Nel sistema agroalimentare si sta facendo largo, sempre più, un’idea di filiera che superi gli steccati che spesso hanno contrapposto il mondo agricolo da quello industriale di trasformazione. Non c’è dubbio che Expo e, bisogna darne atto, l’attività del ministero delle Politiche agricole guidato da Maurizio Martina, hanno fornito un bel contributo a far prendere atto agli operatori che i muri e gli steccati dovevano essere abbattuti. Gli esempi di un dialogo aperto tra tutti gli operatori della filiera agroalimentare – distribuzione compresa – sono stati numerosi in questi ultimi mesi: prove di dialogo ci sono state per esempio a Marca Bologna e a Fruit Innovation. La stessa GS1 Italy|Indicod Ecr aveva pubblicato già l’anno scorso uno studio in collaborazione con Ref Ricerche sulla “filiera del mangiare”.
Quattro aziende hanno rappresentato i principali ingredienti della pizza (Granarolo per la mozzarella, Colavita per l’olio extravergine, Cirio per il pomodoro e Agugiaro e Figna per la farina). Tutti prodotti che entrano di diritto nelle eccellenze agroalimentari italiane e che esprimono anche numeri di rilievo.
Lattiero-caseario: 32 mila allevamenti bovini, 2.500 bufalini, 11 milioni di tonnellate di latte vaccino, 155 mila tonnellate di mozzarella vaccina e 38,8 mila tonnellate di quella bufalina. A rappresentare la filiera Granarolo, la prima aziende dal comparto e una delle più grandi aziende alimentari italiane, che della qualità e della giusta remunerazione ai produttori, oltre che del controllo di filiera, ha fatto il suo punto distintivo.
Il pomodoro, rappresentato da Cirio (Gruppo Coltiva) alle soglie dei 160 anni: prodotto in 461 mila tonnellate, il pomodoro con 4,9 milioni di tonnellate trasformate rappresenta il 55% della produzione europea e oltre il 12% di quella mondiale.
Infine la farina (Agugiaro e Figna): la produzione nazionale media di grano tenero è di 2.99.000 tonnellate e vale 550 milioni di euro. Per ottenere la farina operano nel nostro Paese 230 molini che hanno un fatturato di 2,5 miliardi di euro. 5 miliardi è invece quello delle 1200 aziende di prodotti da forno.
In questo clima di “agroalimentare buono”, suggellata dalle parole del presidente di Confagricoltura a sottolineare “le eccellenze alimentari fatte anche da piccole realtà agricole”, sono rimasti in disparte gli altri temi, quelli che agitano chi fa agricoltura, trasforma i prodotti agricoli e li vende: un settore agricolo che sta, nonostante le eccellenze, soccombendo nel contesto globale, l’importazione di prodotti il tema della qualità e della remunerazione degli agricoltori e degli allevatori, la sostenibilità delle imprese, il caporalato e le truffe alimentari. Temi che pesano come macigni su tutta la filiera e che mettono di fronte ciascun operatore alle proprie responsabilità. Non sarà facile uscirne, ma forse proprio chi è impegnato in prima linea nel fare “agroalimentare buono” darà le risposte, unendo gli sforzi. Da soli e in ordine sparso non si arriva da nessuna parte.