C’era la folla delle grandi occasioni stamattina a Expo Gate per la prima presentazione della ricerca sulla sostenibilità delle carni che vede per la prima volta riunite in un unico progetto Assica, Assocarni e UnaItalia, le principali associazioni di categoria delle tre filiere italiane principali (bovino, suino e avicolo). Ospite d’onore, più di un sempre frizzante Alessandro Cecchi Paone che ha moderato le presentazioni degli esperti presenti, non era una persona ma un oggetto: la clessidra ambientale, che troneggiava anche all’ingresso della struttura dedicata a Expo innalzata davanti al Castello Sforzesco.
La quale clessidra rappresenterebbe un nuovo modo di fare comunicazione sull’alimentazione e la sua sostenibilità. Di cosa si tratta lo ha spiegato Massimo Marino, fondatore di Life Cycle Engineering che ha condotta la ricerca. “Quello che presentiamo oggi è un nuovo simbolo che non sostituisce ma integra la tradizionale piramide alimentare che visualizza lo spazio degli alimenti all’interno della dieta mediterranea”. La rivoluzione copernicana consisterebbe nel non valutare la carbon footprint degli alimenti in termini assoluti, ma secondo il loro consumo reale.
Lo scopo, di ricerca e clessidra, è appunto quello di dimostrare che, in realtà, la carne non è da demonizzare in quanto alimento poco sostenibile, tutt’altro. “Il consumo di carni pro capite odierno reale al netto dagli scarti, – ha argomentato Marino – si aggira oggi in Italia sugli 80 grammi al giorno: proprio quello che consigliano le linee guide dell’Inran (l’istituto per la nutrizione italiano, oggi CRA-NUT). La Clessidra Ambientale visualizza il concetto per cui, moltiplicato l’impatto ambientale degli alimenti per le quantità settimanali suggerite dalle linee guida nutrizionali, l’impatto medio settimanale della carne risulta allineato a quello di frutta e verdura, per i quali gli impatti unitari sono minori, ma le quantità consumate decisamente maggiori”.
Il tentativo è quello evidentemente di contrastare anni di campagne ritenute denigratorie o non sempre scientificamente corrette, che hanno demonizzato il consumo di carne, specie rossa, il cui consumo eccessivo è ritenuta favorire obesità e malattie cardiovascolari.
In realtà la carne contiene sostanze nutritive importanti, mentre a causare danni sarebbe un consumo eccessivo, tecniche di cottura inadeguate (la sostanza carbonizzata ottenuta ad alte temperature) o tecniche di allevamento che provocano un eccesso di grassi nella carne, “alla americana”. La filiera italiana della carne invece strettamente controllata segue ormai processi industrializzati consolidati.
Dunque, lo scopo delle associazioni della filiera è sostanzialmente quello di mantenersi sulle posizioni attuali sul mercato interno, che ha ormai raggiunto la sua giusta quota di consumo procapite. Ce la ha confermato François Tomei, direttore Assocarni: “Ormai il mercato interno ha raggiunto una sua stabilità. Quello che si potrebbe fare è lavorare di più sul tema dei grassi, indicando sulla confezioni la percentuale interna. L’ho già visto fare con degli hamburger di Chianina in un supermercato”. Come vanno le nicchie, le carni bio e di animali allevati al pascolo? “Ci sono, certo, ma restano appunto una nicchia: contano per meno dell’1% del totale. Del resto basta andare al supermercato e veder i prezzi, doppi rispetto alla carne “normale” e tutto sommato ingiustificati”.
La “campagna della clessidra” si avvale di un video e di un sito nuovo di zecca.
Anna Muzio