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L’attenzione alla salute cambia i comportamenti d’acquisto

Oggi è in atto un cambiamento che riguarda le abitudini di acquisto dei consumatori italiani, e non solo, all’insegna di salute e benessere: il 68% dichiara di assumere un approccio proattivo al mantenimento della propria condizione di salute (+4 pp rispetto alla media europea) e, in aggiunta, il 35% è alla ricerca attiva delle novità sul mercato per raggiungere i propri scopi salutari. Il budget destinato a queste spese è considerevole: quasi la metà degli italiani, infatti, è disposto a spendere dagli 88 ai 400 euro al mese per assicurarsi uno stile di vita volto al benessere.
Capofila tra le priorità dei cittadini del Bel Paese, rispetto a 5 anni fa, è dormire bene, come indicato dal 59% del campione. Un orientamento a lungo termine viene invece preferito dal 58% degli italiani scegliendo l’opzione “invecchiare bene”. Ad emergere un altro aspetto chiave: con la salute non si scherza e, infatti, i consigli sono ben accetti solo se provenienti dagli specialisti del campo; una dinamica valida soprattutto nella penisola (63%) a differenza della media rilevata in Europa (44%). Di contro, solo il 12% dei cittadini si lascia influenzare da pareri provenienti dalle piattaforme social.
Sono queste le evidenze dedicate all’Italia che provengono dallo studio globale di NielsenIQ dal titolo “Global State of Health & Wellness 2025: Navigating the shift from health trends to lifestyle choices”. Il report ha esaminato i nuovi comportamenti dei consumatori in ambito salute e benessere, includendo approfondimenti regionali in 19 Paesi con un focus su temi chiave quali fiducia e influenza, nutrizione, benessere mentale, tecnologia per la salute e acquisti consapevoli.

IL COSTO È IL PRINCIPALE OSTACOLO
Nonostante, dunque, la centralità e l’attenzione sulla tematica, non mancano gli ostacoli e, in primis, è quello economico a spiccare: la metà dei consumatori tricolore (51% vs 53% la media europea) afferma che è il costo delle alternative più salutari rispetto alle opzioni standard a giocare da deterrente nella scelta. In aggiunta, anche la complessità delle etichette viene indicata come barriera dal 16%. Una questione, quella delle etichette trasparenti e di facile ed immediata comprensione, che emerge come un bisogno dei consumatori: il 41% degli intervistati ritiene che le scelte orientate alla salute e al benessere debbano iniziare proprio da qui. Non solamente le etichette assumono un ruolo nella salvaguardia della salute, ma anche aziende e governi sono chiamati in causa a giocare la loro parte. Alle prime si chiede di garantire che i prodotti salutistici siano accessibili e facilmente reperibili come quelli non salutari (40%), ai secondi invece di regolamentare più da vicino le aziende (ad esempio, standardizzando l’etichettatura sanitaria) per aiutare i consumatori a fare scelte più orientate alla salute (31%).
Quando si tratta di scelte nella sfera di salute e benessere, emerge chiaramente una ricerca di informazioni affidabili. Oggi, quindi, i brand operanti nel settore devono andare oltre l’innovazione di prodotto e offrire chiarezza, accessibilità economica e ispirare fiducia – osserva Alessandra Gaudino, Senior Consultant – FMCG Customer Success Italy di NielsenIQ – I consumatori sono pronti a investire nel proprio benessere ma hanno bisogno di essere orientati. E per le aziende è possibile conquistare la lealtà dei consumatori, anche nei segmenti premium, assicurandosi che l’intero portafoglio prodotti abbia un focus sul benessere, sia eticamente realizzato, sostenibile e socialmente responsabile”.

A VIVERE BENE SI COMINCIA A TAVOLA
Per comprendere non solo le preferenze e le priorità in evoluzione ma anche cosa significhi “vivere bene”, produttori e retailer devono connettersi con consumatori sempre più informati e con una visione olistica del benessere, che passa anche e soprattutto da ciò che viene messo in tavola. In Italia – in linea con i trend globali –, il 41% ha indicato di voler incrementare nel prossimo anno l’acquisto di alimenti ad alto contenuto di fibre, come, ad esempio, frutta, verdura, cereali integrali, fagioli, noci e semi. Sembra, inoltre, crescere l’attenzione alle diete vegetali con alto contenuto proteico: è il 32% che è intenzionato a consumare più quinoa, lenticchie, tofu e ceci.
Se aumenta, dunque, l’impegno verso un’alimentazione sana, ad essere eliminati dalla dieta sono i cibi ultra processati, ovvero quelli contenenti ingredienti o additivi lavorati industrialmente. Infatti, non solo non rientreranno nel carrello degli italiani nei prossimi 12 mesi – solo il 2% dichiara di volerne acquistare di più – ma godono anche di una cattiva reputazione secondo il 51% degli intervistati.

CRESCE LA DOMANDA DI PRODOTTI SOCIALMENTE RESPONSABILI
Oggi, il concetto di benessere assume molteplici sfaccettature abbracciando anche quelle di sostenibilità e responsabilità sociale, che diventano sempre più interconnesse nella visione dei consumatori. In linea con i trend globali, il 61% degli intervistati in Italia sarebbe disposto a pagare di più sia per articoli eticamente prodotti (es. commercio equo, cruelty-free, maggiore benessere animale) sia per prodotti considerati responsabili dal punto di vista sociale (a sostegno di comunità, popolazioni vulnerabili ecc.).

TECNOLOGIA ALLEATA DEL BENESSERE
Stando alle rilevazioni di NielsenIQ e GfK, il 74% degli italiani preferirebbe un prodotto tech con funzionalità aggiuntive per la salute e il benessere. Nell’ultimo anno, gli acquisti di questi prodotti si sono concentrati su articoli per cucinare come le friggitrici ad aria, indicati dal 19% del campione. Viene evidenziata anche la propensione ad utilizzare dispositivi digitali o un’applicazione che monitora automaticamente la salute quotidiana; un’opzione scelta da oltre la metà (52%) dei consumatori tricolore raggiunti. Inoltre, se per il 68% ad orientare la scelta di acquisto è in primo luogo il prezzo (67%), il 57% degli italiani stanzia un budget annuo per questa categoria di prodotti che si attesta tra gli 88 e i 400 euro.

Epta, il banco frigo al tempo dell’economia circolare

Il settore della refrigerazione commerciale è a un bivio: da un lato, il modello lineare – produzione, utilizzo, smaltimento – mostra evidenti limiti in termini di sostenibilità ambientale e, dall’altro, quello circolare si sta sempre più imponendo come concreta alternativa per ottimizzare le prestazioni ambientali delle soluzioni immesse sul mercato e prolungarne la vita utile, all’insegna dell’efficienza. In questo contesto, Epta – azienda specializzata nella refrigerazione commerciale – presenta UNIT, il primo banco frigorifero a marchio Iarp completamente progettato e industrializzato secondo i principi della circolarità.
Per decenni i produttori di arredi refrigerati si sono concentrati nel potenziare l’attrattività dell’offerta dei retailer e, di conseguenza, la customer experience – afferma Francesco Mastrapasqua, Institutional Affairs Manager di Epta (nella foto a sinistra) –; ora però il comparto si trova ad affrontare un radicale cambio di paradigma. Epta ha scelto di agire in anticipo, adottando una visione industriale ispirata all’economia circolare, che traduce già oggi i futuri requisiti europei di circolarità in soluzioni reali”.

USE BETTER, USE LONGER, USE AGAIN
Vero e proprio manifesto circolare di Epta, UNIT è il banco frigorifero dove la fine si trasforma in un nuovo inizio, superando una logica produttiva e di consumo ormai datata. Tre le linee guida: Use Better significa potenziare l’efficienza delle soluzioni attraverso tecnologie evolute, come la telesorveglianza e la gestione energetica da remoto, tramite sensori e IoT, al fine di garantire prestazioni elevate e costanti nel tempo; Use Longer punta a massimizzare la longevità delle attrezzature attraverso un’accurata selezione dei materiali e una progettazione orientata alla riparabilità e alla sostituzione modulare dei componenti; Use Again valorizza il fine vita delle soluzione Epta con il recupero e rigenerazione delle singole unità per un nuovo utilizzo o per essere reimmesse in cicli produttivi successivi.

UNIT, industrializzato per la prima volta, incarna l’approccio ‘from cradle to grave’, dalla culla alla tomba – dice Norman Sarabelli, Product Marketing Manager del brand Iarp (nella foto a destra) – dove modularità, riciclabilità dei materiali ed efficienza energetica si combinano, all’insegna delle 4R: Reuse, Repair, Recondition, Recycle. Ogni sua caratteristica è infatti studiata per far sì che la soluzione possa evolvere nel tempo, rinnovarsi e continuare a creare valore lungo tutto il suo ciclo di vita, virtualmente all’infinito”.

UN PROGETTO MODULARE
Questo counter refrigerato per il segmento Food&Beverage è il risultato di una strategia di progettazione modulare, basata sul principio del Design for Disassembly. Ogni componente, compreso il compressore, è concepito per essere facilmente accessibile e sostituibile, grazie a un sistema a cassette e maniglie che semplificano l’estrazione delle unità e lo smontaggio e montaggio. Queste operazioni sono rese più agevoli anche da una riduzione significativa del numero degli elementi. Ne è un chiaro esempio l’utilizzo di un unico componente con doppia funzione strutturale, impiegato sia come coperchio sia come base, perfettamente intercambiabili. Tale configurazione consente in caso di guasti o obsolescenza di singole parti di ripristinarle, riducendo tempi di fermo e costi operativi.

UNIT si distingue anche per l’impiego di materiali sostenibili e ad alta riciclabilità, scelti per minimizzare l’impatto ambientale durante l’intero ciclo di vita. Il suo rivestimento isolante, ad esempio, non utilizza schiume sintetiche, ma sughero naturale e biodegradabile al 100%. A questo si affianca l’utilizzo di plastiche di origine riciclata, a garanzia di resistenza, durabilità e facilità di lavorazione a fine vita. Infine, UNIT si caratterizza per una refrigerazione completamente naturale, basata sull’isobutano R600a, un idrocarburo che combina elevate performance frigorifere con un impatto ambientale minimo, grazie a valori ODP e GWP rispettivamente pari a zero e a tre. Epta definisce UNIT un primo, concreto traguardo nella realizzazione di soluzioni sempre più allineate ai principi dell’economia circolare, che pone le basi per un ecosistema industriale capace di coniugare sostenibilità, efficienza e innovazione. Una visione che non si limita a un singolo prodotto, ma che si estende all’intero portfolio del gruppo, comprese le soluzioni destinate al mondo retail.

La Gdo alla prova della sostenibilità

Le imprese della Gdo giocano d’anticipo sulla sostenibilità. Con l’obiettivo di essere pronte in vista dell’adozione dei nuovi standard ESRS previsti dalla direttiva Ue Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD), oggetto di revisione del Pacchetto Omnibus che punta a semplificare gli obblighi di sostenibilità per le imprese, posticipando al 2028 l’obbligo di rendicontazione per le grandi imprese non quotate. L’analisi contenuta nel Report di Sostenibilità di Settore della Distribuzione Moderna 2025 di Federdistribuzione evidenzia come il 94% delle imprese sia già impegnato nell’allineamento ai requisiti della nuova direttiva europea, l’80% intenda pubblicare un bilancio di sostenibilità volontario già nel 2025 e il 59% abbia definito una strategia di sostenibilità con obiettivi quantitativi. La sostenibilità è entrata a pieno titolo nella governance aziendale del settore: il 71% delle imprese ha una o più figure con deleghe formali alla sostenibilità, mentre quasi la metà, il 47%, possiede un sistema di gestione dei rischi aziendali che include quelli legati agli ESG. Il Report, realizzato con il supporto di Altis Advisory, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, è giunto alla sesta edizione ed evidenzia l’impegno crescente delle imprese del settore retail nei diversi ambiti di sostenibilità.

IL CONTRASTO AL CAMBIAMENTO CLIMATICO
Dall’analisi emergono risultati positivi in termini di efficientamento energetico e riduzione delle emissioni. Tra il 2022 e il 2023 il comparto alimentare ha registrato una riduzione dell’intensità energetica del -9% in rapporto al fatturato e del -4% per metro quadro. Il comparto del retail specializzato mostra una riduzione dell’intensità pari al -10% sul fatturato e al -7% sulla superficie di vendita. Inoltre, il 41% delle aziende dichiara una riduzione delle emissioni negli ultimi tre anni superiore al 10% e l’88% ha attivato azioni di efficienza energetica nei propri punti vendita, mentre il 65% ha sistemi di monitoraggio GHG (Greenhouse Gas Protocol), il principale standard internazionale per la misurazione, gestione e rendicontazione delle emissioni di gas a effetto serra. Il 53% delle imprese ha anche definito una strategia con obiettivi sulle emissioni Scope 1 e 2, mentre il 47% già traccia le emissioni Scope 3.

ECONOMIA CIRCOLARE E USO RESPONSABILE DELLE RISORSE
Il 94% delle imprese ha implementato una strategia specifica per la gestione degli imballaggi, mentre l’82% ha attivato sistemi di tracciamento per rifiuti pericolosi e non pericolosi e il 59% dispone di politiche formalizzate in materia di gestione circolare. Il 71% delle imprese ha adottato una politica sugli impatti di materie prime, rifiuti ed economia circolare, mentre il comparto alimentare è fortemente impegnato nel contrasto allo spreco alimentare: il 100% delle imprese ha attive partnership con organizzazioni dedicate alla redistribuzione delle eccedenze e il 91% dispone di sistemi di controllo per il monitoraggio in termini di peso delle donazioni effettuate.

LAVORO E GESTIONE DEI COLLABORATORI
Il 41% delle aziende ha adottato delle policy dedicate alla gestione degli impatti sui lavoratori, mentre il 35% affronta questi temi nel proprio Codice Etico. Sono diffusi strumenti di ascolto e coinvolgimento dei collaboratori (73%), piani di welfare strutturati (47%) e iniziative per la parità di genere, con il 71% delle aziende che monitora il gender pay gap e che ha attivato almeno un’iniziativa con l’obiettivo di ridurlo nel tempo, a dimostrazione di una crescente attenzione verso il tema della parità di genere.

LE COLLABORAZIONI DI FILIERA
Cresce l’attenzione del settore. Il 71% delle aziende ha adottato un codice di condotta per la supply chain e l’83% ha implementato un processo di selezione dei fornitori che include criteri di sostenibilità, mentre il 76% delle aziende ha già avviato collaborazioni con i supplier in ottica ESG e il 77% ha una policy per valutare il rispetto dei criteri di sostenibilità ambientale dei fornitori. Inoltre, la metà delle imprese (54%), ha formalizzato una procedura di due diligence o audit sui diritti umani e dei lavoratori sulla catena di fornitura.

LE INIZIATIVE A FAVORE DELLE COMUNITÀ LOCALI
Il 100% delle imprese ha attivato delle iniziative per le comunità locali, in particolare nei settori dell’educazione (65%), della salute, cultura e sport (59%) e dell’ambiente (47%). Il 76% pur realizzando iniziative concrete, non include questa tematica in documenti formali. C’è l’opportunità per il settore di rafforzare l’approccio strategico su questo ambito, oggi presidiato soprattutto in chiave progettuale.

IL RAPPORTO CON I CONSUMATORI
Il contatto diretto con milioni di persone è un elemento distintivo della Gdo. Il 94% delle aziende ha formalizzato politiche per garantire qualità e sicurezza sui prodotti e servizi, mentre il 100% dichiara di aver implementato strumenti specifici per la raccolta di feedback da parte dei consumatori. In ambito alimentare, la marca del distributore emerge come elemento strategico per il presidio diretto della qualità dell’offerta, per la trasparenza nella comunicazione verso il consumatore e per lo sviluppo di linee di prodotto con caratteristiche di sostenibilità. Non ultimo, il 71% delle imprese attua politiche di prezzo al fine di favorire l’accessibilità ai consumatori appartenenti a categorie economicamente vulnerabili.
Le nostre imprese dimostrano di essere pronte all’evoluzione del contesto normativo – dichiara Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione – e stanno integrando sempre più la sostenibilità nei propri modelli di business. Il contatto quotidiano con milioni di persone conferisce al retail moderno una responsabilità sociale, ambientale ed economica importante, ma è anche un’opportunità: quella di orientare comportamenti virtuosi a monte e a valle della filiera, ossia verso produttori e consumatori, generando così valore condiviso. È essenziale che questo impegno, che ha già portato a importanti investimenti da parte delle imprese, sia accompagnato da politiche e normative coerenti e stabili, capaci di sostenere il settore lungo un percorso di transizione che deve essere sostenibile per tutti”.
Le imprese del retail moderno stanno reagendo con prontezza alle sollecitazioni, normative ma non solo – sostiene Stella Gubelli, Amministratore Delegato di Altis Advisory, spin-off dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – orientando l’attenzione agli impatti sociali e ambientali generati. Oggi, per le imprese della distribuzione moderna le scelte di sostenibilità non sono ‘solo’ un insieme di azioni, ma parte integrante dei modelli di business, della governance, delle politiche di gestione e delle relazioni lungo tutta la catena del valore. La sfida resta aperta: per consolidare i progressi compiuti è fondamentale continuare nel percorso di integrazione, con un impegno costante che si fondi su visione strategica, collaborazione tra attori e responsabilità condivisa”.

LA PAROLA AGLI ITALIANI
Negli ultimi anni, l’interesse degli italiani per la sostenibilità ha subito un rallentamento, passando dal 30% al 24%, complice l’instabilità geopolitica ed economica. Tuttavia, l’80% ritiene urgente cambiare i comportamenti di acquisto e di consumo, l’84% chiede alle aziende un impegno sociale e il 78% acquista da brand che riflettono i propri valori. Tre leve guidano l’adozione della sostenibilità: paura del cambiamento climatico (22%), etica (meno di 1 su 10) e qualità (70% associa sostenibilità a qualità e innovazione). Sono questi alcuni dei dati che emergono dal contributo indipendente curato da Ipsos Italia e incluso all’interno del Report di Federdistribuzione. Ipsos sottolinea anche come sia in crescita l’apprezzamento degli italiani verso le insegne retail impegnate sulla sostenibilità e come sia fondamentale per le imprese costruire fiducia attraverso valori condivisi, esperienze autentiche e comunicazioni credibili.
L’innovazione digitale, se integrata strategicamente, consente alle imprese di migliorare produttività, efficacia e modelli di business. Lo sottolinea l’analisi curata da Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, ospitata nel Report. Per una transizione digitale e sostenibile efficace è fondamentale adottare una strategia a lungo termine basata sulla valutazione della maturità aziendale e su interventi immediati. Un processo che può, inoltre, valorizzare l’individuo attraverso approcci “human-tech” che sostituiscono o affiancano l’essere umano o che adattano la tecnologia alle esigenze personali, coinvolgendo attivamente i beneficiari.

Per 8 italiani su 10 il settore alimentare ha un impatto importante sulla vita in Italia e nel mondo

L’alimentare suscita un altissimo livello di interesse e coinvolgimento personale tra la popolazione italiana. Per 8 consumatori su 10 le decisioni delle aziende di questo settore hanno un impatto importante sulla vita in Italia (81%) e nel mondo (79,5%). L’area di maggiore importanza è quella del “Prendersi cura dell’ambiente”, seguita dal “Offerta di prodotti e servizi a maggior valore” ed un “Miglior impatto sulla comunità e sulla società”. Non è un caso che queste tre aree presentano il parametro più negativo tra aspettative ed esperienze. Queste, in sintesi, alcune delle principali evidenze che emergono dalla ricerca “Post-Invasion” 2024/2025, realizzata da Omnicom PR Group, società di consulenza strategica in comunicazione con oltre 6.300 addetti nel mondo, che ha analizzato la reputazione dell’alimentare nell’ambito di uno studio su 8 settori chiave per l’economia italiana (automotive, moda, energia, grande distribuzione, tecnologia, alimentare, servizi finanziari, cura della persona) attraverso la lente di oltre 2.000 consumatori.

Il settore alimentare – commenta Paola Chiasserini, Vice President – Food&Nutrition Industry Lead – è ritenuto il più rilevante nella vita degli italiani. Una rilevanza che emerge anche da recenti documenti del CREA (con il suo Centro Politiche e Bioeconomiasistema), nei quali si conferma che l’agro-alimentare nel suo complesso (agricoltura, industria alimentare e delle bevande, intermediazione, distribuzione all’ingrosso e al dettaglio e ristorazione) è un cardine della nostra economia, con un fatturato pari a circa il 15% del fatturato globale dell’economia nazionale. Dalla nostra ricerca Post-Invasion si profila chiaramente un consumatore che continua ad orientare le proprie scelte in maniera sempre più consapevole su prodotti e aziende che dimostrano impegno, concretezza e responsabilità ambientale, sociale e culturale, lungo tutta la catena di approvvigionamento. Questa grande attenzione alla sostenibilità include la riduzione degli sprechi, la preferenza per prodotti locali e l’acquisto di alimenti con packaging green o sfusi”.

La ricerca ha raccolto anche le opinioni dei consumatori esperti dai quali emerge una maggiore propensione rispetto alla popolazione generale, alla ricerca di informazioni (79% degli intervistati) e alla condivisione della propria opinione su prodotti e servizi di un’azienda (66%), rispetto alla popolazione (rispettivamente 66% e 48%). E se da una parte, l’offerta di prodotti e servizi a “maggior valore” e la cura dell’ambiente si confermano, anche per i consumatori esperti, come due driver più importanti, dall’altra è sull’esperienza che essi mostrano valutazioni molto differenti, e decisamente più positive rispetto alla popolazione, riducendo notevolmente i gap tra aspettativa ed esperienza. “Una conferma che la comunicazione, diffondendo conoscenza e approfondimento delle azioni che le aziende fanno, del loro impegno concreto e dei risultati raggiunti, può aiutare a ridurre i gap e quindi lavorare in senso favorevole sulla reputazione aziendale” conclude Chiasserini.

Più nello specifico, dai risultati dell’analisi condotta emerge chiaramente che i consumatori del settore alimentare sono quelli maggiormente sensibili a tutte le tematiche ESG secondo gli standard ESRS (European Sustainability Reporting Standards) con percentuali che superano il 71% in cinque dei dieci standard analizzati. I tre fattori ESG più rilevanti sono il rispetto di consumatori e clienti con il 75,1%; lotta all’inquinamento di aria, acqua e suolo con il 73,1%; rispetto di biodiversità ed ecosistemi con il 72,6%. Sul fronte della trasparenza in comunicazione i consumatori si aspettano informazioni, puntuali e precise dalle aziende, richiedendo garanzie sulla sicurezza alimentare (77,5% di rilevanza), un impegno a garantire la tracciabilità sin dall’etichetta, un’elevata attenzione alla salute e nutrizione (76%), responsabilità lungo tutta la filiera (74,2%).

Drugstore: aumentano gli acquisti, ma a 7 italiani su 10 non piacciono le confezioni di plastica

I drugstore, ovvero le catene di negozi di articoli per la casa, cura della persona, oltre a farmaci da banco, integratori e alimentari secchi (es. tisane), sono sempre più presenti nelle città e nelle abitudini d’acquisto degli italiani: il 68,9% delle famiglie li frequenta regolarmente per prodotti di igiene, casa e alimentari. Tuttavia, emerge anche un dato in dissonanza: più di 7 italiani su 10 (74%) si dice infastidito dall’eccesso di plastica nei packaging, mentre i consumatori più attenti all’ambiente – gli eco-attivi, pari al 23% delle famiglie– restano ancora poco coinvolti da questo canale. È quanto emerge dalla nuova ricerca “Il canale Drugstore dal punto di vista dello shopper”, realizzata da YouGov CP Italy, leader nelle ricerche sul largo consumo, su un panel di 15.000 famiglie rappresentative dell’intera popolazione italiana (26 milioni di nuclei familiari).
Gli eco-attivi sono consumatori consapevoli, attenti all’impatto ambientale delle loro scelte e pronti a premiare i brand (e i negozi) più sostenibili. Eppure, oggi generano solo il 21% del valore nel canale drugstore: un gap che rappresenta un’enorme opportunità di crescita per le insegne. “L’irritazione per l’uso eccessivo di plastica non è un dettaglio – sottolinea Marco Pellizzoni, Commercial Director Consumer Panel di YouGov –, è un indicatore di comportamento pronto a tradursi in scelta d’acquisto”. Il messaggio è chiaro: ridurre il packaging in plastica e comunicare con efficacia l’impegno ambientale può fare la differenza per intercettare un pubblico esigente. Non solo: anche la Gen Z, pur con un potere d’acquisto limitato, mostra crescente interesse per i temi della sostenibilità, rendendo il posizionamento green ancora più strategico. In un contesto competitivo e in rapido cambiamento, secondo YouGov, la sostenibilità non è più un plus, ma una leva chiave per rendere i drugstore più attrattivi, moderni e rilevanti.

Nasce Accademia del Basilico: Barilla porta in aula i coltivatori della filiera del pesto

Cresce la domanda di pesto a livello globale: +17% in volume dal 2023 al 2024 in base ai dati Nielsen. Una ragione in più per Barilla, il leader mondiale con una quota di mercato arrivata al 40,4% lo scorso anno, per rilanciare la sfida con Accademia del Basilico, un programma incentrato sulla formazione degli agricoltori coinvolti nella coltivazione del basilico per i Pesti Barilla, la cui produzione è concentrata nello stabilimento sughi di Rubbiano (PR). Realizzato in collaborazione con Dinamica, ente di formazione, certificato e specializzato nel settore agroalimentare in Emilia-Romagna e con il supporto di Open field, il corso si è sviluppato attraverso sette lezioni per approfondire varie tematiche, tra cui la salubrità del suolo, la gestione integrata dei problemi fitosanitari legati alla coltivazione del basilico e le innovazioni tecnologiche, coinvolgendo 21 partner dell’azienda, tra coltivatori e stakeholder.
L’obiettivo di Accademia del Basilico è duplice: da un lato, rafforzare il legame con i coltivatori e tutti gli attori strategici della filiera, per condividere con loro strumenti e competenze per migliorare continuamente le pratiche agricole nella coltivazione di quello che per Barilla è “l’oro verde”; dall’altro, valorizzare la filiera del basilico dell’azienda e il suo modello innovativo a vantaggio della più ampia comunità agricola, portando l’esperienza di Pesto Barilla anche al di fuori dei confini nazionali. “Con Accademia del Basilico Barilla vuole offrire ai propri coltivatori una nuova opportunità di crescita e di networking, dove tutti i partner coinvolti possono condividere esperienze e competenze, e acquisire nuove conoscenze sulle pratiche agricole responsabili per la coltivazione del nostro basilico – spiega Matteo Gori, Presidente della categoria sughi Barilla –. Grazie a questa iniziativa Barilla dimostra ancora una volta la propria attenzione all’ambiente, al territorio e alle persone, valorizzandone il saper fare, per continuare a perseguire un modello di agricoltura sostenibile, capace di integrare tradizione e innovazione”.

LOTTA A MALATTIE E PARASSITI
Partendo da un’introduzione panoramica sui principali problemi fitosanitari, i docenti che si sono alternati durante i diversi appuntamenti di Accademia del Basilico hanno analizzato gli impatti economici e produttivi delle malattie e dei parassiti che possono danneggiare le coltivazioni di basilico, spiegando come imparare a riconoscere i sintomi di alcune malattie, le infestazioni delle principali specie di insetti e le tecniche di prevenzione e controllo che è possibile adottare. Anche la regolamentazione vigente sui fitofarmaci e le pratiche di sicurezza nell’applicazione dei trattamenti sono state oggetto di discussione, con l’intento di mettere a fattor comune conoscenze e strategie per ridurre l’utilizzo di agrofarmaci. E ancora il tema dell’agricoltura 4.0 ha fornito l’occasione per discutere delle potenzialità di una gestione agricola “di precisione”, con focus sulle possibili applicazioni nella gestione agronomica del basilico. Grazie all’impiego di strumenti digitali sempre più sofisticati, è possibile non solo aumentare la resa produttiva dei terreni, ma soprattutto ridurre notevolmente l’impatto ambientale.

ACCORDI TRIENNALI E ROTAZIONE DELLE COLTURE
Barilla ha stretto con i propri basilicoltori legami triennali volti, da un lato, a garantire una produzione continuativa e di qualità, dall’altro a sostenere i coltivatori, l’economia e la produzione locale. Tra gli impegni contrattuali assunti da basilicoltori rientra la rotazione continua delle colture. Con l’obiettivo di preservare la struttura del suolo, aumentare la fertilità e ridurre la presenza di parassiti ed erbe infestanti, diverse specie vegetali vengono coltivate in uno stesso terreno in successione ricorrente, secondo una sequenza definita che evita la monocoltura. In questo modo il terreno non è sottoposto a progressivo esaurimento dei nutrienti. Al contempo, la rotazione colturale può ridurre la necessità di fertilizzanti ed erbicidi sintetici, migliorare la struttura del suolo e la sostanza organica, ridurre l’erosione e aumentare la resilienza del sistema agricolo. Inoltre, tutti i basilicoltori si impegnano contrattualmente a dedicare il 3% dei loro campi della filiera Barilla alla coltivazione di piante e fiori che promuovono la biodiversità, fornendo riparo agli insetti essenziali per l’ecosistema.

IL PROGETTO “MEZZO BIANCO”
L’impegno verso l’innovazione sostenibile si concretizza anche nella scelta del packaging, attraverso il progetto “mezzo bianco”, termine con il quale si indicano i vasetti alimentari con una percentuale di vetro riciclato più alta rispetto ai tradizionali contenitori in vetro bianco. I vasetti di Zignago Vetro scelti da Barilla contengono fino al 65% di vetro riciclato, ciò permette di diminuire significativamente il consumo di materie prime vergini e il consumo energetico. Inoltre, in termini emissivi, è stato stimato tramite specifica analisi che per la produzione del vaso in mezzo bianco le emissioni di CO2 sono ridotte del 28% rispetto a quello tradizionale in vetro bianco, a parità di fonte di approvvigionamento elettrico tra le due produzioni. Il vetro di Zignago Vetro è già utilizzato per oltre 43 milioni di vasetti di pesto, un numero che Barilla punta a far crescere, raggiungendo la totalità dei volumi di pesto nei prossimi anni.

Su 100 prodotti, 85 si dicono sostenibili: un mercato da 44,4 miliardi di euro

Sono saliti a quota 117 mila i prodotti confezionati venduti in supermercati e ipermercati italiani che sulle etichette forniscono almeno un’informazione riguardo il loro impegno per la sostenibilità, intesa nella sua triplice declinazione: ambientale, sociale e benessere animale. Rappresentano l’84,8% delle referenze e sviluppano il 92,9% delle vendite in valore dell’ampio paniere monitorato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, lo studio semestrale che analizza le abitudini di consumo degli italiani e che è giunto alla sua sedicesima edizione. “Siamo stati i primi monitorare il tema del racconto della sostenibilità attraverso le etichette dei prodotti e lo facciamo con un approccio innovativo, sviluppato in collaborazione con NielsienIQ e con l’Istituto di Management della Scuola Superiore di Sant’Anna di Pisa – dichiara Marco Cuppini, Research and Communication Director di GS1 Italy –. Edizione dopo edizione, stiamo assistendo al consolidamento di quest’area, che solo negli ultimi 12 mesi rilevati ha visto crescere di più di 1,5 punti sia la percentuale del numero dei prodotti, sia la quota sulle vendite a valore del largo consumo”. Complessivamente, nel canale super e ipermercati, i prodotti “sostenibili” hanno sviluppato vendite per 44,4 miliardi di euro, in crescita annua di +3,6% a valore e in calo di -1,6% a volume, evidenziando un andamento leggermente migliore per il paniere di prodotti che riuniscono i claim della sostenibilità sociale.

LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE
Fra le tre aree identificate dall’Osservatorio Immagino, a prevalere è quella della sostenibilità ambientale riferita al prodotto o al suo packaging, che compare sulle etichette di 116.950 prodotti per 44,3 miliardi di euro di vendite. Il trend annuo è stato di +3,6% a valore e di -1,6% a volume. Nel mondo della sostenibilità ambientale le informazioni più diffuse attraverso le etichette sono quelle relative alle indicazioni pratiche, come quelle riguardanti l’uso e la conservazione del prodotto oppure la raccolta differenziata del packaging. L’Osservatorio Immagino le ha individuate sul 77,9% dei prodotti, che corrispondono a quasi 43 miliardi di euro di sell-out. Al secondo posto ci sono i claim relativi alle caratteristiche ambientali (monocriterion), come la riciclabilità del pack, la formulazione speciale degli ingredienti la riduzione del contenuto di plastica o la biodegradabilità: sono evidenziate sul 67,1% dei prodotti e sviluppano 40,2 miliardi di euro di vendite. Oltre 20 mila referenze (14,9% del totale rilevato), per 10,2 miliardi di euro di sell-out, sfruttano le etichette per comunicare informazioni relative alle loro modalità green di produzione e approvvigionamento, come l’adozione di disciplinari di filiera oppure le certificazioni di sostenibilità.
I claim generici di sostenibilità (come green, ecologico o circolare) rappresentano un altro fenomeno significativo nella comunicazione on pack dei prodotti di largo consumo. L’Osservatorio Immagino li ha rilevati sulle etichette di 9.799 prodotti (7,1% del totale osservato), che hanno raggiunto un giro d’affari di quasi 5,4 miliardi di euro. E di 1,7 miliardi di euro è invece il sell-out dei 2.263 i prodotti che riportano in etichetta un claim o un riferimento all’approccio green al loro ciclo di vita e impronta ambientale, come i programmi di valutazione, le certificazioni di eccellenza ambientale e i marchi basati su studi LCA e impronta ambientale.

LA SOSTENIBILITÀ SOCIALE
Nella graduatoria per numero di prodotti e per valore delle vendite la sostenibilità sociale si colloca al secondo posto, dietro quella ambientale, con 11.990 referenze che presentano sulle etichette una certificazione etica. Nell’arco dei 12 mesi rilevati, nel canale supermercati e ipermercati, questo paniere ha mostrato una sostanziale stabilità delle vendite in volume (-0,1%) e una crescita di +4,5% di quelle a valore, arrivate a 6,3 miliardi di euro. Solo il 2,0% dei prodotti rilevati dall’Osservatorio Immagino presenta in etichetta una certificazione relativa all’impegno per il benessere animale o dichiara l’adesione a programmi dedicati. Si tratta di 2.762 referenze che hanno ottenuto 1,4 miliardi di euro di sell-out. Nei 12 mesi considerati le vendite sono salite di +2,0% a valore e sono calate di -5,6% a volume.

Oleificio Zucchi diventa Società Benefit

Un nuovo importante traguardo, per un’azienda con 215 anni di tradizione: Oleificio Zucchi ha ottenuto il riconoscimento giuridico come Società Benefit. Uno status che conferma la volontà del gruppo cremonese di coniugare crescita economica e benessere sociale. Le Società Benefit rappresentano un modello di impresa che integra la finalità del profitto con l’impegno a generare un impatto positivo su persone, comunità e ambiente. Questo modello giuridico, regolato dalla legge, richiede che l’impresa operi in maniera responsabile, sostenibile e trasparente, perseguendo scopi di benessere collettivo e fornendo una rendicontazione annuale sui risultati ottenuti. Ad oggi più di 3.000 realtà italiane sono impegnate nel promuovere questo nuovo paradigma imprenditoriale basato sulla consapevolezza e sulla sostenibilità.

Oleificio Zucchi sottolinea come proprio la sostenibilità sia un valore fondante della sua attività, che ha portato a risultati significativi. Ad esempio, nel 2017 l’azienda ha introdotto la Certificazione di Sostenibilità per la filiera dell’Olio Extra Vergine di Oliva, primo disciplinare di settore che garantisce tracciabilità e responsabilità lungo tutta la filiera; nel 2024 ha conseguito il riconoscimento Made Green in Italy, attestazione ufficiale del Ministero dell’Ambiente per la misurazione e riduzione dell’impronta ambientale per l’Olio Extra Vergine d’Oliva 100% Italiano Sostenibile Zucchi. Tutte le azioni e gli investimenti di Oleificio Zucchi per la sostenibilità ambientale, l’innovazione e la responsabilità sociale sono documentati nel Bilancio di Sostenibilità, uno strumento che l’azienda redige dal 2005, quando fu tra i pionieri della rendicontazione nel settore. Attraverso questo documento, l’azienda monitora con trasparenza il proprio percorso di miglioramento, che comprende anche iniziative a supporto della comunità locale, rafforzando il legame con il tessuto sociale e promuovendo pratiche di crescita condivisa. “Diventare una Società Benefit è una naturale evoluzione del nostro impegno – afferma Alessia Zucchi, Amministratore Delegato di Oleificio Zucchi –. Per noi la sostenibilità non è un concetto astratto, ma un progetto concreto che guida ogni nostra scelta. Vogliamo continuare a generare valore non solo per il nostro business, ma anche per le persone che lavorano con noi, per le comunità in cui operiamo e per l’ambiente che ci circonda. Questo riconoscimento rafforza la nostra missione e ci sprona a fare sempre meglio”.

Kikka 100% Arabica e Nicaragua Monorigine, le novità di Caffè Borbone

Caffè Borbone annuncia la disponibilità di due nuovi prodotti, Kikka 100% Arabica capsule compatibili con macchine ad uso domestico Nespresso, e Nicaragua Monorigine Fine Robusta, declinata nel sistema “a cialda”.

Per la prima volta, Caffè Borbone propone una miscela 100% Arabica che nasce dalla selezione delle migliori varietà di Arabica. L’incontro degli aromi e dei gusti di Colombia, Brasile, Honduras e Uganda dà vita a una miscela ricca ed equilibrata che spazia dalle note fruttate e floreali di frutti di bosco e limone alla dolce intensità del caramello e del cioccolato.

Se con Kikka 100% Arabica l’azienda punta a valorizzare le caratteristiche delle varietà Arabica attraverso l’arte del blend, con Nicaragua Fine Robusta l’attenzione è rivolta al territorio di origine, il Nicaragua, dove si coltiva un caffè di qualità superiore. Il monorigine proviene da una zona geografica molto circoscritta e per questo si caratterizza per un profilo sensoriale ben riconoscibile e distintivo, a cui contribuisce il carattere deciso della varietà Robusta. Il gusto raffinato e bilanciato, dalla tazza ricca e corposa, dolce e priva di acidità troppo spiccate, è esaltato dalla tostatura “alla napoletana” che intensifica l’aroma e il corpo e, allo stesso tempo, dona morbidezza al palato.

Nicaragua Fine Robusta è inoltre un caffè etico che rispetta la materia prima e sostiene l’economia locale. Nasce, infatti, dal lavoro di una piccola cooperativa nei dintorni di El Diamante de Las Segovias, un luogo rinomato per la produzione di caffè. Una volta raccolto a mano, il caffè è processato con il metodo honey, un procedimento tra il metodo a secco e quello lavato riservato solo ai caffè più pregiati, che conferisce un sapore unico e apporta ulteriore dolcezza ad ogni chicco. Con il metodo honey, le drupe vengono spolpate lasciando una sostanza vegetale gelatinosa naturalmente presente sul chicco ricca di zuccheri, capace di riassorbire l’umidità. Durante la lunga fase di asciugatura al sole, questi zuccheri diventano sempre più concentrati e riescono a essere assorbiti dal chicco conferendo intensità, complessità e morbidezza al caffè.

“Il nostro obiettivo è continuare a espanderci in più canali di vendita grazie a un’offerta ampia e differenziata di formati esclusivi e miscele ad hoc. È fondamentale che ogni prodotto abbia una propria identità in termini di gusto e provenienza, sempre nel rispetto di elevati standard di qualità per rispondere alle esigenze di tutti i consumatori, anche quelli più interessati all’origine delle materie prime e alla ricerca di nuove esperienze legate al gusto. L’attenzione ai processi di produzione e lavorazione e il legame con i territori sono parte integrante del risultato finale”, commenta Marco Schiavon, Amministratore Delegato di Caffè Borbone.

Packaging biodegradabile, la scelta green di Sacar nel fai da te

Blister e mini-sacchetti compostabili, in grado di degradarsi e dunque ridurre l’impatto ambientale. È la scelta di Sacar, azienda attiva nell’allestimento di spazi espositivi per minuterie metalliche, componentistica di ferramenta e coordinati d’arredamento, dedicati a centri self-service per bricolage e fai da te. L’iniziativa, presentata come una novità nel comparto “do it yourself” (DIY), prevede che tutti i contenitori della minuteria metallica e di altre categorie merceologiche saranno d’ora in poi realizzati in PLA (acido polilattico), una bioplastica ottenuta dalla trasformazione degli zuccheri presenti nel mais e in altri materiali naturali, non derivati dal petrolio.

Per noi, l’attenzione all’ambiente non è una scelta dettata dalle esigenze di questi ultimi tempi – afferma Marco D’Adda, Responsabile Commerciale e Ricerca&Sviluppo Sacar –. Fin dalla sua fondazione, oltre 50 anni fa, Sacar ha sempre considerato prioritaria la sostenibilità in tutti gli aspetti della sua attività: dall’impatto ambientale al risparmio di energia, dal packaging alla commercializzazione. Un percorso che oggi ci vede introdurre le confezioni dei nostri prodotti in materiale totalmente biodegradabile”.

I blister presentano sia la vaschetta sia il top realizzati in PLA e accoppiati senza utilizzo di colle, ma solo grazie al calore. Per la colorazione delle confezioni, inoltre, sono utilizzati pigmenti naturali. A pieno regime, Sacar produrrà oltre mille pack all’ora, volume che potrà essere regolato in base al fabbisogno settimanale e all’andamento degli ordini. L’azienda sta ottenendo il riconoscimento della Certificazione OK Compost Industrial grazie al TŰV, uno tra i più autorevoli enti europei in tema di sicurezza, qualità e ambiente.

Già 15 anni fa i nostri pack erano realizzati in PET – spiega Umberto D’Adda, titolare Sacar – e oggi, abbiamo fatto un ulteriore importante passo avanti, utilizzando il PLA. Siamo pionieri su questo fronte: sappiamo che alcune scelte aziendali finalizzate alla sostenibilità comportano investimenti più elevati, ma siamo altrettanto convinti che sia la strada più giusta da intraprendere”.

Una strategia adottata anche nella sede di Meda (MB), inaugurata nel 2010 ed estesa su oltre 5.000 metri quadrati, che è stata interamente concepita in funzione del minore impatto ambientale possibile, grazie a massima valorizzazione della luce e del calore, sistema di raffrescamento e riscaldamento a pavimento, impiego di lampadine LED, pannelli solari e altri accorgimenti green.

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