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Lidl lancia l’intimo “che viene dal mare”

Si chiama SeaCell ed è la fibra di cui si compone la nuova linea di biancheria intima di Lidl Italia,  firmata Esmara e Livergy. SeaCell, ricavata da alghe marine, è completamente biodegradabile e a emissioni zero.

La raccolta delle alghe è un processo delicato, selettivo e sostenibile. Si utilizza solo la parte dell’alga che è in grado di rigenerarsi. L’alga è interamente non trattata e tutto il suo valore ecologico viene conservato. Le alghe impiegate nella realizzazione di questo innovativo tessuto vengono raccolte, lavate, asciugate, accuratamente macinate e incorporate all’interno della fibra di cellulosa usando solo metodi che permettono di risparmiare energia e risorse.

Grazie alle sue caratteristiche ecologiche e sostenibili, unite al processo delicato di creazione, SeaCell ha ricevuto la certificazione EU Ecolabel e soddisfa tutti i requisiti per la certificazione OEKO-Tex Standard 100. Per questi motivi l’Unione Europea ha premiato il procedimento con il 2000 European Environmental Award nella categoria “tecnologia per lo sviluppo sostenibile”.

I capi creati con questa fibra beneficiano di tutti gli effetti positivi che il mare ha sulla pelle: aiutano la rigenerazione cellulare riducendo infiammazioni o prurito e regalano una piacevole sensazione di benessere. Le proprietà uniche delle alghe marine aiutano a proteggere la nostra pelle contro le influenze ambientali dannose a cui siamo esposti nella nostra vita quotidiana. L’alga è pura e ricca di sostanze essenziali come vitamine, oligoelementi, aminoacidi e minerali.

La nuova linea, disponibile negli oltre 680 punti vendita di Lidl in Italia a partire dal primo marzo, prevede un ampio assortimento sia maschile che femminile composto di: T-Shirt, Top, Slip, Boxer e Culotte.

ALDI, in meno di tre anni, riduce i consumi energetici dell’8,5%

ALDI continua il suo impegno green con importanti risultati conseguiti in termini di sostenibilità ambientale con l’obiettivo di raggiungere, entro il 2025, la riduzione di più di un quarto delle proprie emissioni di CO2e, rispetto al 2016. Da marzo 2018 i consumi energetici nei negozi ALDI si sono ridotti dell’8,5% grazie a impianti fotovoltaici, iniziative di recupero energetico e utilizzo di impianti frigo di ultima generazione.

Con un’estensione pari a 3,5 campi da calcio, i pannelli fotovoltaici di cui sono dotati i negozi ALDI hanno permesso di autoprodurre nel 2020 oltre 2 milioni kWh di energia verde, consentendo un risparmio di 1.117 tonnellate di CO2e, che diventano 1.758 tonnellate se si considera il periodo da marzo 2018.

Quando non autoprodotta dai pannelli fotovoltaici, l’energia di ALDI proviene da fonti rinnovabili ed è messa anche a disposizione dei clienti che durante la spesa possono usufruire gratuitamente delle 64 colonnine di ricarica per mezzi elettrici, presenti in 31 negozi.

Isolati grazie a speciali involucri, i punti vendita permettono di minimizzare i consumi dovuti alla climatizzazione e l’innovativa illuminazione a LED riduce fino al 50% il consumo energetico rispetto alle lampade tradizionali.

Michael Gscheidlinger, Country Managing Director Italia di ALDI, ha aggiunto “Misuriamo ogni aspetto della nostra attività per continuare il nostro piano di espansione in Italia con la massima attenzione all’ impatto ambientale. La gestione energetica di ALDI, dai nostri 108 punti vendita, agli uffici e ai due poli logistici di Oppeano (VR) e Landriano (PV), è interamente certificata ISO 50001 e puntiamo a ridurre ancora di più le emissioni di CO2e per migliorare le performance di sostenibilità energetica in un mercato che consideriamo strategico in Europa”. 

L’innovazione tecnologica è tra i grandi alleati di questa sfida che permette di rendere più efficienti anche i consumi di banchi frigo e isole surgelati. Rispetto alla tecnologia tradizionale, grazie ad attrezzature e impianti di ultima generazione e refrigeranti naturali, nel solo 2020 si sono risparmiate 407 tonnellate di CO2e, con una riduzione di quasi il 5% dei consumi. Il calore prodotto dai banchi frigo viene poi recuperato per il riscaldamento dei negozi e il 96% dei materiali degli stessi viene riciclato a fine vita.

L’impegno di ALDI è dichiarato nel suo programma “Oggi per domani”, che stabilisce i principi e le azioni dell’azienda per garantire uno sviluppo sostenibile per l’ambiente e per la società del futuro. Questi si concretizzano in specifiche iniziative tra cui la riduzione del peso degli imballaggi e l’aumento del loro tasso di riciclabilità. Inoltre, grazie alla collaborazione con Plastic Bank, ALDI è il primo retailer in Italia a utilizzare packaging alimentare realizzato al 100% con Social Plastic, la plastica recuperata dall’ambiente che crea valore per le persone.

 

CIRFOOD: lotta allo spreco alimentare lungo tutta la filiera

CIRFOOD guidata dalla visione “Feed the Future”, sceglie di nutrire il presente di idee e prospettive per garantire a tutta la società uno sviluppo sostenibile dal punto di vista economico, ambientale, sociale e culturale, anche in linea con i principi della Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare, dal campo alla tavola

Tali azioni si basano su un modello di impresa che fa leva sull’Economia Circolare, l’unico possibile per ripensare i propri modelli di ristorazione, dalla produzione fino al servizio, valutando l’intero ciclo di vita dei prodotti per arrivare a un sistema quanto più possibile sostenibile. In coerenza con questo percorso, CIRFOOD ha scelto di aderire all’Alleanza per l’Economia Circolare, insieme a 17 grandi imprese tra le più importanti nei rispettivi settori.

“Per noi la lotta allo spreco alimentare è colonna portante e fondamentale per concretizzare la nostra visione di business. CIRFOOD lavora costantemente allo sviluppo di soluzioni innovative per ridurre gli sprechi alimentari e la Giornata Nazionale di Prevenzione dello Spreco Alimentare ci ricorda quanto sia importante fare la nostra parte come impresa e, parallelamente, educare soci, dipendenti, clienti e studenti a una corretta educazione ambientale e a corretti stili di vita”, commenta Maria Elena Manzini, CSR Manager di CIRFOOD.

Contrastare lo spreco a tavola

Ecco le iniziative messe in campo dall’azienda:

  • Patto contro lo Spreco Alimentare promosso da Too Good To Go: l’impresa ha scelto di partecipare a quest’alleanza virtuosa tra aziende, supermercati e consumatori volta ad abbattere gli sprechi alimentari nei prossimi 3 anni. All’interno del Patto, CIRFOOD ha scelto di aderire alle azioni “Azienda Consapevole” e “Consumatore Consapevole” in linea con il percorso di partnership avviato nel novembre 2020 con Too Good To Go che prevede l’introduzione delle “Magic Box” nei locali RITA: delle bag con una selezione a sorpresa di prodotti e piatti freschi, rimasti invenduti a fine giornata. L’iniziativa, nei primi 3 mesi di attività, ha permesso di evitare lo spreco di 635kg di CO2.
  • Le BAG ANTISPRECO nelle SCUOLE: Gli studenti possono portare a casa pane e frutta non consumati in refettorio grazie a bag in tessuto o carta realizzate ad hoc, un progetto di educazione alimentare e ambientale che vuole coinvolgere i giovani nella lotta contro gli esuberi alimentari e far crescere in loro una maggiore consapevolezza sull’importanza del consumo consapevole.
  • FOOD SHUTTLE: il laboratorio edu-tech pensato da CIRFOOD per fare scoprire ai ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado il valore degli alimenti e del territorio, l’origine dei prodotti, la biodiversità, la lotta agli sprechi e l’educazione al gusto. Il laboratorio mira ad avvicinare i bambini ad un consumo consapevole del cibo, inteso come valore, nutrizione e cultura e allo stesso tempo rendendoli protagonisti di un’esperienza di ricerca ed esplorazione nell’universo del cibo.
  • NUTRIAMO la SCUOLA: il progetto ha previsto l’osservazione di diverse variabili legate al servizio di ristorazione scolastica alla riapertura delle scuole a settembre, con l’applicazione dei protocolli anti Covid-19, ma non solo. Grazie alla “Settimana del Cibo”, i bambini hanno immaginato il cibo del futuro, ripensandolo per bisogni e desideri di domani, anche in un’ottica di lotta allo spreco, ritrovando un contatto diretto con la natura.

Contrastare lo spreco lungo la filiera

  • QUANTA STOCK AND GO: la soluzione centralizzata per la supply chain sostenibile che ha permesso a CIRFOOD di ridurre gli sprechi nella logistica. Il sistema di demand forecasting e di ottimizzazione dell’inventario si basa su algoritmi di intelligenza artificiale che CIRFOOD ha implementato nel 2020. Tramite la piattaforma, l’impresa può pianificare attentamente sia la fase di produzione che di approvvigionamento. L’obiettivo è ridurre gli sprechi del 15% e di 111 tonnellate lo stoccaggio in magazzino.
  • DONAZIONI: CIRFOOD, presente in 73 province in Italia, ha attivato accordi con onlus ed enti caritatevoli (Banco Alimentare, Caritas, Last Minute Market) in tutto il Paese per donare eventuali materie prime in eccedenza. Nel 2019 sono state distribuite oltre 76mila pietanze. In questo modo si raggiungono due obiettivi: evitare lo spreco di alimenti ancora commestibili e sostenere le realtà impegnate nel garantire a tutti il diritto a un’alimentazione sana, generando al contempo un alto valore sociale.
  • AZIONE SOLIDALE: CIRFOOD collabora inoltre con l’Associazione Solidarietà “progetto Azione Solidale”. Nel primo periodo emergenziale l’impresa, grazie anche ai propri fornitori, ha potuto donare a enti caritatevoli emiliani circa 2 tonnellate di materi prime, utilizzate per la preparazione di oltre 2.500 pasti per i più bisognosi.
  • CIRFOOD Cooperativa Italiana di Ristorazione. Con oltre 50 anni di storia, CIRFOOD è una delle maggiori imprese italiane attive nella ristorazione collettiva, commerciale e nei servizi di welfare aziendale, con un fatturato di gruppo di 686 milioni di euro. Presente in 17 regioni e 73 province d’Italia, in Olanda e Belgio, CIRFOOD produce oltre 100 milioni di pasti l’anno grazie al lavoro di 13.000 persone, la vera forza dell’impresa. Feed the future è la visione che ispira da sempre CIRFOOD nel modo di fare impresa e guardare al domani per migliorare gli stili di vita delle persone nel rispetto dell’ambiente. CIRFOOD si impegna ogni giorno a nutrire il futuro di idee e soluzioni in grado di garantire a tutta la società uno sviluppo sostenibile, dal punto di vista economico, ambientale, sociale e culturale.

PepsiCo raddoppia l’obiettivo sul clima

PepsiCo ha reso noti i suoi piani per raddoppiare l’obiettivo climatico basato sulla scienza, mirando ad una assoluta riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) attraverso la sua catena del valore, di oltre il 40% entro il 2030. In aggiunta, la società si impegna a raggiungere entro il 2040 zero emissioni nette, un decennio prima di quanto richiesto nell’accordo di Parigi.

In particolare, PepsiCo prevede di ridurre le emissioni di gas serra nelle sue operazioni dirette (ambito 1 e 2) del 75% e in quelle indirette (ambito 3) del 40% entro il 2030 (riferimento 2015). Questa azione dovrebbe prevedere la riduzione di oltre 26 milioni di tonnellate di emissioni di gas a effetto serra, l’equivalente di eliminare dalla strada più di cinque milioni di automobili per un anno intero.

“I gravi impatti del cambiamento climatico stanno peggiorando e dobbiamo accelerare i cambiamenti sistemici urgenti necessari per affrontarlo”, ha dichiarato Ramon Laguarta, Presidente e CEO di PepsiCo. “L’azione per il clima è fondamentale all’interno della nostra attività nel settore alimentare e delle bevande in cui operiamo come leader globali e spinge il nostro percorso “PepsiCo Positive” a fornire risultati positivi per il pianeta e per le persone. Il nostro ambizioso obiettivo climatico ci guiderà sulla ripida ma fondamentale strada da percorrere – semplicemente non c’è altra soluzione che un’azione immediata ed energica.”

Il piano d’azione di PepsiCo è incentrato sia sulla riduzione, come quella delle emissioni di gas a effetto serra per de-carbonizzare le proprie attività e la filiera, sia sulla resilienza, riducendo le vulnerabilità agli impatti dei cambiamenti climatici, continuando ad inserire il rischio climatico nei piani di continuità aziendale. In Europa, PepsiCo ha già ridotto le sue emissioni totali del 6% dal 2015, in linea con le riduzioni globali, e il nuovo piano globale di riduzione delle emissioni si concentrerà su aree prioritarie come l’agricoltura, gli imballaggi, la distribuzione e le operazioni. 

“Non esiste un vaccino per il cambiamento climatico.  Ma il nostro pianeta è in un momento di crisi”, ha dichiarato Silviu Popovici, Amministratore Delegato di PepsiCo Europa.  “L’obiettivo climatico PepsiCo raddoppia i nostri sforzi sulla riduzione delle emissioni. Questo ha impatto sia nel nostro business, ma che per i nostri fornitori e imbottigliatori. In poche parole, tutti dobbiamo fare di più.”

Economia circolare: la strada giusta

L’economia circolare del cibo può essere la chiave per risolvere due problemi fondamentali della contemporaneità: da un lato, ridurre il nostro impatto sull’ambiente, dall’altro, contribuire alla lotta contro la malnutrizione. Infatti, stando ai dati della Fondazione Ellen MacArthur, una migliore gestione del food waste (ovvero gli scarti) potrebbe far diminuire le emissioni industriali globali di CO2 del 40%, vale a dire un valore assoluto di 3,7 miliardi di tonnellate, entro il 2050. E ridistribuendo il surplus di produzione del cibo, sempre entro 2050, potremmo sfamare 1 miliardo di persone in più nel mondo. (“Cities and Circular Economy of Food”, Ellen MacArthur Foundation).

Il modo in cui il cibo che mangiamo viene prodotto, commercializzato e consumato, ha un impatto enorme sulla vita del pianeta e su quella dei suoi abitanti. Se si dovesse tradurre economicamente l’impatto della sola produzione del cibo sulla società, a livello globale, in termini di salute e ambiente, si stima che la cifra si aggirerebbe intorno ai 5.7 trilioni di dollari ogni anno! Spostandoci in Italia, Ispra calcola che nel 2018 abbiamo prodotto 14,5 milioni di tonnellate di rifiuti alimentari o derivanti dal packaging degli alimenti. Numeri monstre che testimoniano quanto il mercato del cibo, in tutte le sue sfaccettature, sia una questione di primaria importanza, i cui risvolti vanno ben oltre le nostre tavole.

Si tratta di un mercato che ha il suo fulcro nelle città. Il tema della catena di produzione e smaltimento del cibo, infatti, è legato a doppio filo agli spazi urbani: entro il 2050, l’80% di tutto il cibo prodotto a livello globale sarà consumato nelle città. Non a caso, le città sembrano essere i luoghi in cui le strategie di economia circolare applicate al cibo possono agire in modo più efficace.

Un esempio emblematico è il caso di Milano: è la più grande città in Europa ad utilizzare il sistema di raccolta porta a porta. Stando sempre ai dati Ispra, in termini di percentuale di raccolta differenziata, il Comune di Milano si colloca al primo posto delle città al di sopra del milione di abitanti con il 58,8% e al secondo posto tra le città sopra ai 200 mila abitanti (la prima è Venezia con 59,5%), leggermente al di sopra della media nazionale (58,1%) e al di sotto della media del Nord Italia (67,7%). In termini di produzione di rifiuti urbani pro capite (502,1 kg/ab/anno), il Comune di Milano è al di sotto dei valori delle altre grandi città (solo Genova e Messina hanno valori più bassi), al di sotto della media del Nord Italia (516,8 kg/ab/anno) e al di sopra della media nazionale (499,8 kg/ab/anno).

Questi dati dimostrano che un modello cittadino di economia circolare del cibo è possibile, e non solo a livello di piccole città. Tuttavia, per realizzarlo, non basta l’azione “dall’alto” dei comuni. Serve creare una rete, coinvolgere più attori, in poche parole: fare sistema.

Circolarità significa fare sistema

La gestione dei rifiuti urbani in Italia ha conosciuto una forte evoluzione a partire dagli anni ’90, quando è iniziato “un processo legislativo europeo e poi nazionale più strutturato che mirava direttamente a proteggere la qualità dell’ambiente, la salute umana e le risorse” – come si legge nel report “Economia circolare del cibo a Milano”, realizzato a settembre dal Comune di Milano con la Fondazione Cariplo e Novamont.

Per fare tutto questo è stato necessario creare una rete di consorzi specificamente dedicati al miglioramento della raccolta, selezione e riciclo dei flussi di rifiuti differenziati. Da qui si è sviluppato un sistema industriale le cui dimensioni economiche sono cresciute negli anni: la gestione dei rifiuti urbani oggi ha dimensioni tecnologiche, quantitative e occupazionali “tali da configurarlo come un vero e proprio ambito industriale. … Una realtà profondamente diversa da quella ben più piccola, scollegata tra i suoi attori e frammentata in piccole entità che è esistita fino a 25 anni fa.”

La stessa città di Milano ha sviluppato la sua Food Policy nel corso degli anni e grazie alla collaborazione di più parti: dal 2014 ha avviato un’agenda sul tema del cibo, insieme alla Fondazione Cariplo, coinvolgendo tutti gli attori interessati, dai cittadini, agli altri Enti pubblici, alle associazioni, alle imprese, alle Università. Oggi, le iniziative strutturali coinvolgono in modo organico i diversi Assessorati dell’Amministrazione, e in questo circuito sono via via state incluse società partecipate, attori sociali e settore privato. Un progetto a cui ha preso parte la stessa Cariplo Factory, con l’iniziativa Food Policy Hot Pot, volta a sviluppare l’innovazione all’interno del sistema alimentare della città. Perché parte integrante, imprescindibile, di questo sistema è la sua continua ottimizzazione grazie all’innovazione dei processi.

Cariplo Factory partecipa anche al progetto Food Trails, partenariato europeo coordinato dal Comune di Milano che include 19 partner di cui undici città oltre Milano (Copenaghen, Varsavia, Birmingham, Bordeaux, Bergamo, Funchal, Groningen, Grenoble, Salonicco e Tirana), tre università (Università di Cardiff, Wageningen e Roskilde) e cinque player del sistema alimentare e di innovazione. Obiettivo di Food Trails è evidenziare, a favore dei policy maker, azioni concrete da poter mettere in campo, co-progettate e verificate, per supportare lo sviluppo e il consolidamento di politiche alimentari utili e praticabili.

Un sistema che funziona è un sistema che innova

La complessità della filiera del riciclo impone il ricorso all’open innovation: perché il riciclo sia un successo è cruciale che gli scarti possano essere riutilizzati anche da realtà che oggi neppure immaginano di poterlo fare.

L’open innovation abilita l’accesso alle idee esterne, in particolare quelle sviluppate da startup innovative. E sono moltissime le startup che oggi possono dare un contributo importante per migliorare la filiera del cibo in Italia e le cui soluzioni possono essere integrate nel sistema dello smaltimento dei rifiuti alimentare delle città. Infatti, per quanto si siano fatti enormi passi avanti, molti degli “ingranaggi” dell’economia circolare possono essere ancora perfezionati. Per esempio: attraverso soluzioni che abilitino il controllo della qualità del cibo, o che ne migliorino la tracciabilità lungo l’intera catena del valore, o ancora che aiutino o migliorano il recupero delle eccedenze alimentari o che abilitano la sostenibilità della catena dei fornitori.

È proprio in quest’ottica che nel 2018 Cariplo Factory ha attivato, insieme a Intesa Sanpaolo Innovation Center, il Circular Economy Lab (CE Lab), primo laboratorio per la circular economy in Italia che collega le imprese con le startup innovative. A proposito di rifiuti: qualche settimana fa, grazie al supporto del CE Lab, il Gruppo Greenthesis, uno dei principali operatori italiani con esperienza globale nei servizi ambientali, ha iniziato un percorso di collaborazione con cinque startup selezionate attraverso un percorso di open innovation: Clariter, Captive Systems, Carborem, Iride Acque, HBI.

La sfida di oggi per domani: ambiente, società ma anche economia

Tornando alla filiera alimentare, oggi, la priorità è ridurre lo spreco, recuperare gli scarti e minimizzare l’impatto ambientale dell’intera industria: specialmente in questo momento che la pandemia ha definitivamente messo a nudo la fragilità del nostro modello di sviluppo economico, rendendo evidente la necessità di ripensarlo in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità. Una risposta che può arrivare proprio dall’economia circolare come modello di produzione, consumo di beni e servizi e – soprattutto – gestione dei relativi scarti, orientato al principio di conservazione del valore socioeconomico dei prodotti.

Abbiamo l’occasione di ripensare l’intero ecosistema produttivo, rivalutando l’economia circolare e la bioeconomia, nella sua natura fortemente connessa al territorio e per la sua capacità di creare filiere multidisciplinari integrate nelle aree locali. Caratteristiche che la rendono uno dei pilastri del Green New Deal, il programma lanciato dall’Unione Europea per raggiungere la neutralità delle emissioni inquinanti entro il 2050 (i primi dati resi di noti da Bruxelles hanno stimato una disponibilità di fondi per l’Italia di oltre 360 milioni di euro). Da questo punto di vista la strada è ancora lunga. Solo nel 2018, in Italia, sono state immesse al consumo 2.292.000 tonnellate di imballaggi in plastica: come se ogni abitante ne consumasse 38,2 kg all’anno (tanto per avere un’idea: il consumo annuo di pasta è di 23 kg!). A preoccupare, però, è l’incremento rispetto al 1995, quando i kg di plastica pro-capite erano 33.

A cura di Riccardo Porro, 
Chief Operations Officer di Cariplo Factory

Chi si fida della catena alimetare? La ricerca internazionale

Gli effetti della pandemia da COVID-19, non hanno significamente modificato il livello di fiducia nella catena di approvvigionamento alimentare. Vi è apprezzamento per la sua capacità interrotta di fornire il cibo. Altri soggetti, invece, interpretano le scene di panico da acquisto e accumulo di scorte alimentari come una mancanza di fiducia nella sua abilità a mantenere adeguati livelli di fornitura. Ecco alcune delle evidenze emerse dal del progetto di ricerca internazionale EIT Food: Increasing consumer trust and support for the food supply chain and for food companies, e resi noti dall’équipe italiana, coordinata della prof.ssa Anna Miglietta del Dipartimento di Psicologia, con la collaborazione del Dipartimento di Filosofia (referente Prof.ssa Tiziana Andina).

In linea generale, consumatori dei 6 paesi affermano di avere maggior fiducia negli agricoltori/allevatori soprattutto piccoli produttori, locali e indipendenti. Per la ristorazione, il maggior grado di fiducia è dato alle attività di piccole dimensioni e locali.

Tra le principali azioni che vorrebbero veder implementate, per aumentare il loro grado di fiducia, i consumatori segnalano: la necessità di allevamenti di animali secondo elevati standard di benessere; l’equità dei prezzi; l’etichettatura e tracciabilità dei prodotti e la tutela dell’ambiente.

Nello specifico dei risultati emersi in Italia a partire da un questionario on-line sottoposto a 369 consumatori, 7 focus group con i consumatori, 1 workshop con 14 rappresentanti del mondo aziendale, accademico e giornalistico, 5 interviste con rappresentanti del mondo industriale, si rileva che i consumatori dichiarano di riporre maggiore fiducia, a fronte dell’incertezza e dei rischi derivanti dal virus, nei grandi rivenditori di prodotti di marca. Prevale, quindi, il consumo dei prodotti confezionati o anche surgelati, a discapito di quelli freschi.

Vi è una forte fiducia negli enti regolatori e di consulenza della filiera agro-alimentare ma si guarda con sospetto ai mass media, in particolare per le pubblicità che coinvolgono dei chef rinomati nonostante che il cooking entertainment guadagni sempre più spazio nelle piattaforme televisive e nel web.

Si crede che le aziende agro-alimentari facciano poco per garantire una reale trasparenza dei prodotti che commercializzano. Vi è una grande attenzione a due aspetti della responsabilità sociale delle aziende: il benessere degli animali coinvolti nella filiera agro-alimentare; lo smaltimento dei rifiuti (sia in fase di produzione che a seguito del consumo). Infine, sia tra le aziende sia tra i consumatori italiani prevale la percezione degli agricoltori come i soggetti più vulnerabili della filiera agroalimentare.

 

Il progetto

Increasing consumer trust and support for the food supply chain and for food companies, è un progetto triennale di ricerca internazionale EIT Food, parte della Consumer Trust Grand Challenge.

L’università di Torino partecipa al Consorzio del progetto guidato dall’Università di Reading, Regno Unito, e composto da 16 partner del mondo accademico (Universidad Autonoma de Madrid, Università di Helsinki, Queen’s University Belfast, Università di Varsavia e VTT), industriale (tra cui AZTI, CSIC, DouxMatok, Grupo AN, PepsiCo, Sodexo, Strauss Group, Technion) e organizzazioni non-profit come l’EUFIC.

L’indagine ha coinvolto 2.363 persone, tra consumatori e attori della catena alimentare, nei 6 paesi coinvolti dal progetto: Finlandia, Israele, Italia, Polonia, Spagna, UK.

Beni durevoli in calo dell’11,4%. L’analisi Findomestic

 

Nel 2020, annus horribilis, i consumi si rivelano ondivaghi e riservano delle sorprese: la spesa per i veicoli, infatti, si riduce del 15,7%, ma cresce il valore di segmenti chiave legati alla trasformazione tecnologica della casa come l’Information Technology (+23,5%) e i piccoli elettrodomestici (+9,5%). Secondo quanto emerge dalla 27esima edizione dell’Osservatorio Findomestic, realizzato in collaborazione con Prometeia, gli acquisti di beni durevoli scendono nel 2020 a 61,3 miliardi di euro con una contrazione dell’11,4% rispetto al 2019, in linea con il trend dei consumi tout court. I cali più pesanti si registrano in Lombardia (-12,7%), Veneto (-12,4%) e Marche (-12%).

«Si interrompe così la dinamica positiva che durava da sei anni consecutivi – commenta Claudio Bardazzi, responsabile dell’Osservatorio Findomestic -. L’andamento dei consumi riflette i cambiamenti radicali innescati dall’emergenza sanitaria. L’esplosione dello smart working e della didattica digitale integrata ha restituito centralità alla dimensione familiare, orientando il lifestyle verso la funzionalità, la sicurezza e il comfort degli ambienti domestici. Lo spiegano chiaramente due dati: il +30% dei congelatori e il +37% dei wine cabinet. La casa diventa, al contempo, un rifugio e uno spazio sempre più votato al benessere».

Andamento regionale

I beni durevoli (veicoli, mobili, elettrodomestici e hi-tech, ecc.) monitorati da Findomestic, società di credito al consumo del Gruppo BNP Paribas, pesano per il 6,3% sui consumi totali, un valore sostanzialmente stabile rispetto allo scorso anno (6,4%). Nei primi due trimestri dell’anno i durevoli hanno subito un calo rispettivamente del 20,8% e del 31,1%, per arrivare poi al rimbalzo del 13% nel periodo compreso fra luglio e settembre. Con una spesa complessiva di 12,3 miliardi di euro, la Lombardia rimane la regione con la maggiore incidenza in valore assoluto (7,5%) sui consumi dei durevoli, davanti al Lazio con 5,9 miliardi (3,6%) e al Veneto con 5,8 miliardi (3,5%). Il territorio lombardo, tuttavia, è anche quello che patisce il calo percentuale più consistente (-12,7%), seguito dal Veneto (-12,4%) e dalle Marche (-12%). La contrazione si rivela, invece, meno marcata in Molise (-7,9%), Friuli Venezia Giulia (-8,4%), Puglia e Trentino Alto Adige (-8,7% per entrambe).

Il mercato dei veicoli

Il comparto (auto nuova, usata e due ruote) – di fatto azzerato durante il lockdown – riesce a scongiurare il tracollo grazie agli ecoincentivi statali, che hanno determinato una ripresa significativa del settore a partire soprattutto dal mese di agosto, anche se la decelerazione delle perdite era già cominciata a giugno: il 2020, secondo l’Osservatorio Findomestic, si chiuderà a quota 33,5 miliardi. Naturalmente in basa alla tipologia di veicolo, il panorama cambia. Partiamo dall’usato: per le famiglie italiane le auto usate, pur in flessione del 13%, continuano a rappresentare la voce di spesa più consistente con 17 miliardi di euro totali. Le compravendite stimate per la fine dell’anno saranno 2.494.500, il 13,6% in meno rispetto al 2019. La Lombardia guida la classifica con quasi 370.000 passaggi di proprietà nonostante il calo più marcato in Italia (-16%). Seguono il Lazio con circa 250.000 (-13,8%) e la Campania con poco meno di 244.000 auto usate vendute (-11,8%). L’unica regione con un tasso di decremento ad una sola cifra è la Sicilia (-9,2%).

Per le auto nuove acquistate da privati la contrazione della spesa si attesta al 19,3% per un valore complessivo di 14,8 miliardi di euro, in calo di 3,5 miliardi rispetto al 2019. In base alle proiezioni, a fine anno le famiglie italiane avranno immatricolato 862 mila vetture (-21,3%) all’interno di un mercato, che includendo la domanda aziendale, chiuderà il 2020 con 1.336.355 pezzi venduti (-30,7%). A livello regionale, con oltre 227.000 immatricolazioni la Lombardia si conferma il primo mercato, seguita da Trentino Alto Adige con 192.000 auto vendute e il Lazio con 132.600. Le flessioni più elevate riguardano il Trentino (-35,5%), Sardegna e Valle d’Aosta (entrambe a -34,4%). Più contenuto il decremento per Liguria (-24,5%) e Toscana (-25,7%).

Il rilancio del mercato dell’auto nel post-lockdown si tinge di verde: la crescita delle vetture ad alimentazione alternativa – GPL, metano, ibride ed elettriche – si attesta all’8,9% dopo i primi 9 mesi dell’anno. È green una vettura su quattro tra quelle di nuova immatricolazione, con una conseguente erosione delle quote di mercato sia dei veicoli a benzina (40% delle vendite, in calo del 39,4% sul 2019) che di quelli diesel (35% del totale, con un passivo del 44,1%). Nel segmento della mobilità sostenibile, le auto a motorizzazione elettrica sono protagoniste di un vero e proprio boom con una crescita del 73% sull’immatricolato; perdono appeal, al contrario, i veicoli alimentati a Gpl (-39,9%) e, in parte, anche quelli a metano (-12,4%).

Il segmento dei motoveicoli risente in misura relativa dello scenario di crisi: il ridimensionamento del fatturato si ferma all’8,3%, per un valore complessivo di 1,6 miliardi. Le vendite di due ruote hanno fatto registrare un incremento particolarmente sensibile in estate e in particolare a giugno (+35,4%) e agosto (+41,4%): un effetto della revisione dei paradigmi della mobilità in tempi di emergenza pandemica, che comporta una crescente preferenza per gli spostamenti senza mezzi pubblici. La Lombardia, che con 44.795 pezzi venduti vale quasi il 20% del mercato, registra una flessione minima (-1,5%) a differenza del Trentino Alto Adige dove il calo in volumi raggiunge il 36,8%. Le regioni meridionali, favorite dal clima, registrano, invece, vendite in aumento con incrementi consistenti in Puglia (+13,1%) e Calabria (+14,8%).

Il settore casa

I due grandi comparti del settore casa evidenziano andamenti divergenti: alla dinamica negativa dei mobili (-10,6%) fa da contraltare la perfetta stabilità della tecnologia consumer (-0,1%), come rileva l’Osservatorio Findomestic.

L’arredamento aveva iniziato il 2020 con il piede giusto: il +2% di gennaio e il +2,9% di febbraio sono stati annullati dalle gravissime perdite innescate dal lockdown primaverile, con il -53,4% di marzo e addirittura il -85,5% di aprile. La risalita è lenta e faticosa, ma la tendenza pare ormai avviata in maniera definitiva sui binari della ripresa: il mercato raggiungerà i 13,6 miliardi alla fine dell’anno. L’analisi regionale restituisce la misura precisa del cospicuo contributo al comparto da parte della Lombardia: 2,71 miliardi, in decrescita dell’11%. Nettamente distaccate le regioni al secondo e terzo posto, ovvero il Lazio con 1,31 miliardi (-9,8%) e il Veneto con 1,25 miliardi (-10,9%). Le perdite percentuali più consistenti si registrano in Sardegna (-13%), Basilicata (-12,8%) e Calabria (-12,6%). Il canale online con una crescita del 32% arriva a pesare il 13% all’interno di un mercato in cui le famiglie italiane, da tradizione, continuano a preferire i punti vendita fisici.

Nell’ampio paniere della tecnologia consumer, le performance dei mercati risultano particolarmente variegate. L’impennata dell’information technology (+23,5%) alimenta un giro d’affari complessivo da 2,4 miliardi di euro: si tratta dell’unico segmento con bilanci positivi in tutti i singoli mesi del 2020, con un picco di crescita del 47,8% a maggio. Tra i prodotti di maggior successo figurano le webcam (+60,3%), i pc portatili (+53,1%) e anche i tablet (+20,7%): un chiaro esito della svolta smart del lavoro e dell’istruzione. Dei 2,4 miliardi spesi dagli italiani in I.T., 480 milioni sono concentrati in Lombardia (+30%), 248 in Veneto (+20,9%) e altrettanti in Emilia Romagna (+22,1%). La regione che fa segnare la crescita maggiore è la Liguria con +32,1% (74 milioni totali), mentre nel Lazio l’espansione del mercato si ferma al 17,9% (a quota 202 milioni). Ai numeri dell’I.T. contribuisce lo sviluppo dell’e-commerce, che incide sugli acquisti con una quota del 26,5% segnando un’accelerazione del 53% rispetto allo scorso anno. Nel comparto tech, anche l’andamento dei piccoli elettrodomestici è decisamente favorevole: con un bilancio in aumento del 9,5% il segmento tocca un valore di 1,7 miliardi di euro. La variazione positiva è maturata soprattutto tra maggio e giugno (rispettivamente +36,5% e +36,7%) grazie in particolare alle vendite di tagliacapelli (+60,6%) e robot da cucina (+28,2%), riflesso delle nuove esigenze sviluppate durante il lockdown scattato a marzo. Anche per i piccoli elettrodomestici è in forte crescita l’apporto degli acquisti tramite l’e-commerce: +53,9% in valore e incidenza al 34,8%.

È in sofferenza, invece, il mercato dei grandi elettrodomestici, che scivolano a 3 miliardi complessivi con una contrazione del 5,5%, nonostante lo sprint di prodotti come i congelatori (+30,1%) e le wine cabinet (+36,7%). Negativa è anche la performance della telefonia, che perde il 6,9% arretrando a 5,3 miliardi complessivi, nonostante il boom degli acquisti sul web: +61,9% per un’incidenza del 14%. Pesa, in particolare, il calo degli smartphone (-6,9%), che non è compensato dal notevole incremento delle cuffie (+47,7%) e dei dispositivi wearables (+8,7). Le regioni dove la frenata è più brusca sono l’Umbria (-10,4%), le Marche (-9,1%), il Lazio e la Toscana (entrambe a -9%). La Lombardia guida il giro d’affari del segmento telefonia con una spesa di 1,03 miliardi, in flessione del 6,5%. Più contenuto è il calo dell’elettronica di consumo, che perde il 3,1% in valore attestandosi a 1,8 miliardi di euro: segnano il passo i televisori (-2,8%) e aumentano le casse (+3,6%), mentre tornano in ascesa i droni (+54%). Per i prodotti di elettronica diventano sempre più rilevanti gli acquisti online, con una progressione annua del 41,1% e un peso del 21% sul totale dei consumi del segmento.

La scalata dell’e-commerce

Oggi oltre la metà degli italiani – per la precisione il 56% – preferisce comprare su Internet anziché in negozio. È la prima volta che i canali digitali scavalcano quelli fisici nelle intenzioni d’acquisto. Tendenza che, seppur condizionata da variabili contingenti come le chiusure delle attività o le limitazioni alla mobilità, si è andata via via consolidando anche con l’allentamento delle restrizioni tant’è che oggi il 44% dichiara di acquistare di più su web rispetto all’era pre-Covid. Da marzo ad oggi, sono tanti gli italiani che hanno acquistato online prodotti mai acquistati precedentemente sul web: il 22% ha fatto per la prima volta la spesa alimentare, l’11% ha acquistato piccoli elettrodomestici, il 10% ha ordinato telefoni, libri, cosmetici e articoli per il fai-da-te e l’8% ha comprato giocattoli e prodotti informatici. Ad aver beneficiato di più del contributo dell’online è proprio il mercato della tecnologia consumer dove l’incremento della spesa sul web (+46%) è riuscito a compensare nei primi 9 mesi dell’anno la riduzione dei consumi sul canale fisico (-8%) permettendo all’intero comparto di chiudere sui livelli del 2019 (-0,1%).

Il credito al consumo

Come certificano i dati Assofin, il mercato registra dopo i primi 10 mesi dell’anno una flessione delle erogazioni del 22,2%: un inevitabile contraccolpo della caduta dei consumi determinata dalla crisi pandemica. Findomestic mostra, alla fine di ottobre, un andamento leggermente migliore rispetto alla media: -20,6%. «Il 2020 era partito con uno slancio positivo – spiega il direttore generale di Findomestic, Gilles Zeitoun -. Nei primi due mesi dell’anno, infatti, si era rilevata una crescita rispetto al 2019. L’effetto lockdown ha frenato la domanda, innescando un calo che, a livello di mercato, ha raggiunto il 65,7% ad aprile. La ripresa è stata difficoltosa, ma Findomestic si è dimostrata in grado di rispondere alle esigenze del pubblico mettendo a punto una strategia imperniata su reattività, adattabilità e concretezza, nel quadro di quella responsabilità che da sempre rappresenta la stella polare delle azioni della nostra società: proprio per questo abbiamo accolto circa 60 mila richieste di sospensione rimborsi e abbiamo proposto ai nostri clienti nuovi prodotti in grado di garantire maggiore flessibilità nella gestione dei rimborsi e completa accessibilità anche attraverso i canali digitali».

FCA e Carrefour presentano con Be Charge “Shop & Charge”

Fiat Chrysler Automobiles, Carrefour Italia e Be Charge lanciano il progetto Shop & Charge che punta a contribuire alla diffusione delle colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici.

Si tratta di progetto che vuole contribuire a facilitare il passaggio alla mobilità elettrica, e che permette di sfruttare il tempo necessario per la ricarica delle batterie per altre attività quotidiane, come per esempio fare la spesa. In pratica, ottenere vantaggi e creare opportunità, facendo leva sulle abitudini quotidiane.

Grazie a Shop & Charge chi guida una Nuova 500 Elettrica troverà a sua disposizione fino a 250 colonnine di ricarica – installate a partire da marzo 2021 da Be Charge – nei parcheggi di 135 punti vendita di Carrefour selezionati all’interno del territorio nazionale.

Per scoprire dove si trovano le colonnine di ricarica è sufficiente utilizzare l’app FIAT che le segnala con il logo Carrefour in sovraimpressione e comunica la loro posizione al navigatore.

Inoltre, i clienti della Nuova 500 – cui è indirizzato in questa prima fase il progetto che sarà successivamente esteso ad altri modelli elettrici ed elettrificati di FCA – potranno entrare in un “loyalty program” legato all’acquisto di prodotti biologici a marchio Carrefour. Questo programma, basato sul circuito di loyalty Payback di cui fa parte il grande distributore, permetterà di accedere a sconti esclusivi sui prodotti biologici a marchio Carrefour e di accumulare punti Payback più velocemente. Sempre e solo per i clienti della Nuova 500, questo programma consentirà di ottenere sconti dedicati sul servizio “Click & Collect”, la corsia prioritaria di Carrefour per il ritiro della spesa online.

Le colonnine di ricarica saranno installate da Be Charge, l’azienda che sta sviluppando una delle più estese reti di infrastrutture pubbliche italiane per veicoli elettrici, contribuendo in questo modo a sviluppare e a fare crescere la mobilità elettrica in Italia. Nei parcheggi ad accesso pubblico dei 135 punti di vendita Carrefour selezionati per l’installazione delle colonnine saranno disponibili due tipi di colonnine: le Quick, con una potenza di 22 kW, e le Fast, capaci di raggiungere una potenza di 75 kW. In mezz’ora – tempo medio per una spesa – la Nuova 500 potrà caricarsi per un’autonomia equivalente di 50 chilometri connettendosi alle colonnine Quick, e di 300 utilizzando le Fast. Le colonnine saranno utilizzabili da qualsiasi veicolo elettrico ma solo i clienti della Nuova 500 potranno godere dei vantaggi esclusivi della partnership.

A marzo 2021, con l’avvio del progetto, partirà anche una campagna di comunicazione che coinvolgerà i canali social dei tre partner e i punti vendita di Carrefour in Italia, allestiti con pannelli e segnalazioni dedicati all’iniziativa. Inoltre, saranno previste attività di product placement e di test drive con la Nuova 500, con il coinvolgimento dei concessionari italiani di FCA aderenti al progetto.

Con questo accordo, FCA vuole favorire le abitudini sostenibili dei clienti che, per esempio, potranno accumulare più velocemente i punti fedeltà Carrefour ottenuti con l’acquisto di prodotti biologici a marchio Carrefour e ricaricare con sconti dedicati la propria Nuova 500 Elettrica. In questo modo è possibile ottimizzare i tempi e semplificare le proprie abitudini di vita sostenibili.

Per Carrefour Italia il progetto rappresenta un ulteriore passo avanti nella concretizzazione della propria strategia di sostenibilità ambientale Act for Food, nella consapevolezza dell’importante ruolo come uno dei player della grande distribuzione in grado di promuovere la sostenibilità lungo tutta la propria filiera.

Le 250 stazioni di ricarica per veicoli elettrici Be Charge installate presso i 135 punti di vendita Carrefour selezionati si aggiungeranno agli oltre 4 mila punti di ricarica già installati da Be Charge sul territorio nazionale, tutti accessibili tramite app, contribuendo allo sviluppo previsto nei prossimi anni che porterà l’azienda a installare oltre 30 mila punti di ricarica in Italia.

“Il processo di elettrificazione di Fiat, prima con le 500 e Panda Hybrid, poi con la Nuova Fiat 500 elettrica – dichiara Luca Napolitano, Head of EMEA Fiat, Lancia e Abarth brand – è partito con grande impeto e decisione. Siamo già leader nel segmento delle piccole Ibride e ora con il contributo della 500 elettrica vogliamo arrivare ad un mix di circa il 60% di vendite elettrificate entro la fine del 2021, meglio della media di mercato italiano. Ma il nostro compito è anche quello di facilitare la vita a bordo dei nostri clienti, e allora cosa c’è di meglio di andare a fare la spesa e alla fine avere anche ricaricato la batteria della vettura. Ecco la partnership con Carrefour nasce perché entrambi abbiamo la chiara missione di soddisfare le esigenze quotidiane dei nostri clienti”.

“In Carrefour puntiamo a diventare leader nella Transizione Alimentare per Tutti attraverso il programma Act for Food, abbracciando una strategia di sostenibilità a 360° dedicata a promuovere pratiche di consumo responsabile non solo nel campo dell’alimentazione, ma anche in tutti gli altri ambiti della vita, nell’interesse dell’intera collettività” – sottolinea Christophe Rabatel, CEO di Carrefour Italia – “Siamo felici di collaborare con partner come FCA e Be Charge, con cui condividiamo l’obiettivo comune di offrire ai nostri clienti servizi sempre più innovativi, contribuendo al tempo stesso a diffondere soluzioni, come quelle di mobilità sostenibile, con un minore impatto sull’ambiente”.

“Il progetto Shop & Charge – commenta Paolo Martini, Amministratore Delegato di Be Charge – riflette l’impegno dei partner coinvolti nel favorire una mobilità quotidiana sempre più consapevole. Il progetto si integra perfettamente nel nostro piano di sviluppo, che vede la sostenibilità al centro della nostra strategia creando un ecosistema capace di sfruttare le potenzialità offerte dall’elettrificazione della mobilità e dalla digitalizzazione, per creare valore economico, sociale e ambientale per il nostro Paese”.

“È importante che il pubblico capisca – spiega Roberto Di Stefano, Head of e-Mobility per FCA Region EMEA – che si tratta solo dell’inizio del lungo viaggio di elettrificazione di FCA, un primo passo verso una modalità di vivere la mobilità elettrica all’insegna della semplificazione della vita, per farla diventare una pratica normale, quotidiana. La direzione e-Mobility in collaborazione con i marchi di FCA sta lavorando su questa e numerose altre iniziative, sempre con l’obiettivo di offrire ai nostri clienti una gamma di prodotti e servizi integrati e completi che permettano di orientarsi nel viaggio verso il futuro. Futuro che, per certi versi, è già presente”.

Solo il 6,2% dei prodotti in GDO ha un packaging 100% riciclabile

La sostenibilità ambientale deve essere una priorità: e i pareri sono sempre più concordi su questo punto. Basti pensare che secondo un recente sondaggio pubblicato da Environmental Leader ben il 74% dei consumatori sarebbe disposto a pagare di più per un prodotto dal packaging sostenibile. Ma se molto è stato detto, poco è stato fatto: secondo uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy infatti soltanto il 25,4% dei prodotti alimentari nella GDO riporta in etichetta le informazioni necessarie su come smaltirne correttamente la confezione e solo il 6,2% dei prodotti ha un packaging completamente riciclabile. Questo significa che il 74,6% dei prodotti non riporta alcuna informazione. Carenze che rappresentano un enorme problema per l’ambiente: il peso del packaging determinato dagli acquisti di prodotti di largo consumo degli italiani nel 2019 ammonta infatti a quasi 3 milioni di tonnellate. Il futuro però appare più roseo: un’indagine di Markets and Markets pubblicata su Food Packaging Forum stima che il mercato globale dei packaging eco-friendly passerà dagli attuali 174,7 miliardi ai 249,5 miliardi di valore entro il 2025 (+42,8%), registrando un tasso annuo di crescita composto del 7,4%. Sono sempre di più infatti le aziende che investono sulla sostenibilità, come l’italiana Vitavigor, pronta a lanciare una nuova linea di snack con carta 100% riciclabile.

Ma quali sono le aree merceologiche che comunicano maggiormente la riciclabilità dei packaging sulle etichette? Secondo lo studio di Osservatorio Immagino di GS1 Italy, ai primi posti possiamo trovare l’ortofrutta (43,7%), il freddo (41,5%) e la drogheria alimentare (31,8%), seguiti dal fresco (26,5%), il cura casa (24,3%) e le carni (14,6%). Le percentuali dei prodotti che indicano la possibilità di riciclo restano basse invece per quanto riguarda le bevande (14,6%), il pet care (13,1%) e la cura persona (11,5%). Per quanto riguarda invece i prodotti all’interno delle singole categorie merceologiche, l’acqua minerale trionfa con il 100% delle referenze dichiarate totalmente o largamente riciclabili sull’etichetta. Poco più in basso, con oltre il 90% delle referenze, abbiamo il cura casa, con prodotti per detergenza bucato e stoviglie, le bevande piatte e gassate, le carni e l’ortofrutta, mentre intorno all’80% ci sono i prodotti di drogheria alimentare, del fresco, del freddo e del petcare. Infine, fra i prodotti con il minor grado di riciclabilità del packaging ci sono i preparati e i piatti pronti (41,2%), i prodotti da ricorrenza (30,7%) e i condimenti freschi (25,3%).

“Diventa sempre più importante comunicare al consumatore le informazioni sulla riciclabilità per favorirne la consapevolezza, aiutarlo nelle scelte d’acquisto e soprattutto nel corretto smaltimento del packaging di prodotto – ha spiegato Samanta Correale, Business Intelligence Senior Manager GS1 Italy – Affinché l’intero processo sia virtuoso, infatti, è necessario che arrivi fino in fondo”.

Consumi: la sostenibilità guida le scelte. La ricerca di GfK

Oggi più che mai la sostenibilità e l’attenzione per la salvaguardia del pianeta sono in cima alle preoccupazioni dei consumatori. Secondo quanto emerge dalla ricerca GfK #WhoCaresWhoDoes sulla Sostenibilità e le preoccupazioni ambientali, un numero crescente di consumatori sta modificando i propri comportamenti per effetto della crescente sensibilità ai temi ambientali. A livello europeo, una famiglia su tre (35%) ha smesso di acquistare determinati prodotti e/o servizi a causa del loro impatto negativo sull’ambiente o sulla società.

Anche i consumatori italiani si dimostrano molto attenti alla sostenibilità: il 30% dichiara di evitare i prodotti con imballaggi in plastica e il 36% ha smesso di acquistare certi prodotti e servizi a causa del loro impatto negativo; una percentuale che sale al 65% per il segmento degli Eco Active, che comprende i consumatori più ingaggiati dalle tematiche ambientali.

Gli italiani sono in media ben disposti anche rispetto al tema del riciclo e dichiarano di riciclare molto di più rispetto alla media mondiale. Dalle ricerche GfK emerge però che per il 58% delle famiglie è ancora poco chiaro cosa succede ai prodotti quando vengono riciclati.

Un altro aspetto importante è quello degli imballaggi: oltre la metà delle famiglie italiane si aspetta che le aziende mettano a disposizione confezioni fatte da materiale riciclabile al 100%, di materiali alternativi alla plastica o di plastica biodegradabile.

Guardando invece alle categorie di prodotto dove gli shopper ritengono di avere un’influenza maggiore in termini di sostenibilità, per l’Italia troviamo ai primi posti l’home e il personal care; a livello europeo, invece, si piazzano in cima alla classifica frutta e verdura.

La sostenibilità e l’attenzione per la salvaguardia del pianeta sempre più centrali per i consumatori. Un dato che nessun Brand può permettersi di ignorare, anche perché ben il 62% degli italiani preferisce compare prodotti da aziende che dimostrano attenzione all’ambiente.            

L’influenza delle nuove generazioni

Secondo quanto emerge dallo studio GfK, in Europa i responsabili degli acquisti famigliari vengono influenzati nelle loro scelte principalmente dai figli (45%), seguiti dagli amici (42%), dal coniuge (37%) e dai genitori (19%). Le opinioni dei membri più giovani delle famiglie contano di più di quelle dei politici (14%), dei media (13%) e delle celebrità (9%). Di conseguenza, per produttori e retailer oggi è ancora più importante tenere conto dell’orientamento delle generazioni più giovani rispetto alle tematiche ambientali per impostare le proprie strategie di crescita future.

I consumatori ci credono

Secondo i risultati della nostra ricerca, i consumatori sono sempre più convinti che i propri comportamenti di acquisto possano avere un effetto positivo sull’ambiente. Secondo il 40% degli intervistati, sono soprattutto i produttori di beni e servizi a poter fare la differenza nel ridurre l’impatto ambientale, seguiti dai governi con il 35%.

A livello europeo, 3 famiglie su 10 preferiscono evitare di acquistare prodotti con un imballaggio in plastica. In un momento come quello attuale – in cui l’emergenza COVID-19 ha messo al centro le tematiche di igiene e sicurezza – è ancora più significativo rilevare che così tanti consumatori cercando di liminare la produzione di rifiuti in plastica da imballaggio.

La percentuale di consumatori che cerca di evitare i rifiuti in plastica varia da Paese a Paese, ma ovunque risulta in crescita il segmento dei consumatori Eco Active, vale a dire di colore che si sentono responsabili in prima persona e stanno modificando i propri comportamenti di acquisto. A livello europeo questo segmento arriva a pesare il 24% e la Germania è il paese che vanta il maggior numero di consumatori Eco Active (38%). Seguono in classifica l’Irlanda, la Slovacchia (25%), la Spagna (24%), l’Italia e la Gran Bretagna (entrambe 23%). In alcuni Paesi, in particolare Spagna e Francia, il segmento di consumatori Eco Active ha registrato una crescita significativa rispetto allo scorso anno. 

Un altro gruppo molto rilevante è quello dei consumatori Eco Considerer (43% del totale a livello europeo) che include coloro che si dichiarano preoccupati per i rifiuti in plastica e che modificano di tanto in tanto i propri comportamenti, ma che ritengono importante soprattutto un’azione più incisiva da parte delle aziende e dei governi.

 

Nota metodologica

I dati riportati in questo comunicato stampa si basano su ricerche condotte da GfK in collaborazione con Kantar ed Europanel in 24 Paesi. La rilevazione è stata effettuata a  giugno 2020. I 10 Paesi europei al quale si riferiscono i dati riportati nel comunicato sono i seguenti: Italia, Gran Bretagna, Irlanda, Germania, Francia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Polonia, Portogallo e Spagna. Il report GfK copre i seguenti Paesi: Italia, Germania, Polonia, Repubblica Ceca, Russia e Slovacchia.

Qui un estratto della ricerca “Who Cares? Who does? Sustainability Concern and Action”

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