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Carmela Ignaccolo

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Food e hospitality, l’export che verrà. Le stime di PwC Italia

Le previsioni dell’ Ufficio Studi PwC Italia nell’ambito di food e hospitality: entro il 2023 l’export italiano crescerà del 24%, volerà a €532 miliardi.

 

Le previsioni per l’export in Italia stimano una crescita continua nel prossimo biennio: nel 2021 si attende un rimbalzo dell’11,3%, rispetto al calo in valore del 9,7% registrato nel 2020, che permetterà un pieno ritorno ai livelli pre-pandemia, con un aumento ulteriore del 5,4% nel 2022 e una crescita del 4,0%, in media, nel biennio successivo.

Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia spiega: “Le ultime previsioni del Governo ci danno segnali positivi sulla crescita del Pil nazionale, stimata intorno al 6% su base annua. Secondo le rilevazioni dell’Ufficio Studi di PwC l’export italiano, che nel 2021 ha già superato i livelli pre-pandemia, entro il 2023 toccherà 532 miliardi di euro, con una crescita del 24% rispetto al 2020.

Ad incidere positivamente saranno anche i 6,8 miliardi di risorse stanziate dal PNRR ed i fondi complementari a sostegno diretto dell’agroalimentare italiano, che oggi rappresenta oltre 500 mila addetti.

Un segnale importante che conferma come il Food e l’hospitality restino comparti chiave del tessuto produttivo italiano sui quali investire per il benessere del Paese”. 

L’export agroalimentare

Il valore dell’export nel mercato agroalimentare è in continua crescita così come il suo peso sul totale dell’export italiano, che aumenterà dell’11% nel 2021 rispetto al valore pari a 44,6 miliardi di euro nel 2020. L’agroalimentare è infatti il comparto che ha risentito meno della crisi pandemica, non essendo stato colpito da particolari restrizioni o fermi produttivi (dati Interscambio Settoriale Agroalimentare 2021, Osservatorio Economico Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale).

Nel 2020 il valore delle vendite all’estero di prodotti italiani è rimasto in crescita, così come il suo peso sul totale dell’export italiano, passando dal 9,2% (2019) al 10,3% nel 2020 (dati Interscambio Settoriale Agroalimentare 2021, Osservatorio Economico Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale).

Gli effetti dello stop forzato alle attività ricettive e ricreative della filiera Ho.Re.Ca. sono stati infatti parzialmente contenuti dall’incremento della spesa per i consumi domestici nonché dal maggiore utilizzo di soluzioni di food delivery, iniziate a diffondersi durante la pandemia e destinate a permanere.

I trend di ripresa per il settore Food

Le previsioni di consumo dell’Ufficio Studi di PwC Italia per il periodo 2021- 2024, formulate sulla base dell’ultima edizione del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, segnalano tassi di crescita superiori ai livelli pre-Covid sia per gli scambi mondiali che per le esportazioni italiane nel settore alimentare.

I segmenti che mostrano la ripresa più rapida per il commercio mondiale sono olio (+7,6%) e pesce (+7,1%), mentre a trainare le esportazioni italiane, sono i segmenti del pesce (+9,9%) e dei latticini +(7,9%).

Ma a guidare la ripresa del settore agroalimentare italiano sono anche i cambiamenti di consumo.

Nel 2022 si mangerà più italiano, biologico e locale. La pandemia da Covid- 19 ha modificato la relazione dei consumatori con il cibo, evidenziando una maggiore attenzione per la salute, la cura per l’ambiente, con una propensione per il cibo italiano, biologico e locale, con una crescita anche del Ready to Eat.

Tra i trend emergono quello della sostenibilità e del Click&Collect: 81% degli italiani considera importanti le indicazioni in etichetta su come riciclare la confezione per valutare la sostenibilità di un prodotto e il 46% degli italiani è disposto a pagare di più per un prodotto alimentare sostenibile.

Nel 2021 il 17% di tutto l’e-commerce sarà di largo consumo, aumenta del 9% la quota di mercato rispetto al 2019 di chi è disposto a pagare di più per un prodotto alimentare sostenibile; aumenta del 17% il prezzo medio del carello online rispetto a quello fisico.

Costretti a casa dai lockdown, gli italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno, passando da 165 miliardi di euro nel 2019 a 171 miliardi di euro nel 2020. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi sul mercato del Fuori Casa, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro (Rapporto annuale ristorazione Fipe 2020).

In termini di spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994. Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi.

Servizi di Hospitality

Nonostante il 97,5% dei ristoratori abbia registrato nel 2020 un calo di fatturato, i dati 2021 segnano +82,7% nel 2° trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

È in forte risalita anche l’export italiano della Ristorazione professionale, che nei primi tre mesi del 2021 registra un aumento del +20,8% a valore rispetto al 1° trimestre 2020, superando anche i livelli pre-Covid con una crescita del +7,5% sullo stesso periodo nel 2019.

Entro il 2024 si prevede un ritorno a ritmi di sviluppo accelerati per gli scambi mondiali. Fra i segmenti più dinamici si evidenziano proprio la Ristorazione professionale (+6,9% medio annuo nel periodo 2021-’24 a valore) e la vendita di Caffè e macchine (+7% medio annuo).

Anche a livello italiano, l’export dei servizi di hospitality sarà guidato dai comparti Caffe e macchine, panificazione e pasticceria.

Latte vegetale, nuove formulazioni sempre più tech

2022: il latte vegetale raggiungerà nuove frontiere grazie alla ricerca di nuove materie prime: dai piselli alle patate fino a alle arachidi Bambara.

 

Se il 2021 ha buone probabilità di essere ricordato per i nuggets e i burger vegetali o ottenuti con carne coltivata, il 2022 potrebbe essere l’anno dell’altro latte.

Ovvero di nuove formulazioni di latte vegetale, che stanno rapidamente prendendo forma. Intendiamoci: di latte vegetale son già pieni gli scaffali, ma il mondo del food tech è ancora e sempre alla ricerca di alternative al dairy sempre più raffinate e ‘verosimili’; versatili, insomma, tanto quanto il latte vaccino (sia per sapore che per consistenza e resa alla cottura).

E i colossi del food stanno rispondendo con sollecitudine all’appello.

Come dimostra, per esempio, Impossible Foods che dopo il successo riscosso nell’ambito dei succedanei della carne (da gennaio è disponibile anche Impossible Pork, a base di pseudo carne suina), sta progettando di produrre un’alternativa al latte a base vegetale chiamata appunto, Impossible Milk, realizzata – sostiene l’azienda – per funzionare e proprio come il latte vaccino di origine animale. E questo perché Impossible Milk è cremoso come il ‘latte vero’ e perché non si coagula nelle bevande calde come altri latti a base vegetale.

Novità anche da Nestlé che ha lanciato Wunda, una nuova bevanda a base di piselli che, secondo l’azienda, è “epica” e che si differenzia dalle altre referenze oggi sul mercato in quanto versatile, ricca di proteine e fibre, povera di zuccheri e grassi, arricchita di calcio e fonte di vitamine D, B2 e B12 e in grado di montata a schiuma (diversamente da altri drink vegetali).

E non finisce qui: anche Beyond Meat si sta preparando per entrare nel settore lattiero-caseario con il marchio Beyond Milk depositato il 12 agosto. Ancora nessuna informazione sul prodotto o sulla tempistica per il lancio ma una cosa è certa: il brevetto riguarderà “basi per fare milkshake; bevande a base di caffè o tè con latte o succedanei del latte”.

E poi c’è chi si butta su materie prime fino ad ora inedite. Come La startup WhatIF Foods (con sede a Singapore) che ha appena lanciato sul mercato il suo nuovo BamNut Milk, realizzato con una base di arachidi Bambara, olio di cocco e burro di karitè. Oppure come la start-up svedese che ha lanciato Dug il latte vegetale a base di patate che – dicono i suoi creatori – non fa solo schiuma come un vero latte, ma è molto più sostenibile, anche rispetto ai latti vegetali della concorrenza sul mercato. 

Export: exploit italiano su birra, spumante e caviale

Birra, Spumante e caviale: l’export italiano vola e fanno capolino anche produzioni ‘più esotiche’. L’analisi di Coldiretti in occasione di Cibus.

L’Italia (e il suo export) vanno alla grande e macinano volumi. Spumante, birra e caviale: tre categorie di prodotto in cui il Bel Paese dà punti al resto d’Europa. Ecco alcune evidenze emerse dall’analisi della Coldiretti su dati Istat per l’apertura di Cibus.

Se sul fronte birra le esportazioni italiane verso la Germania crescono del 10% e del 32% quelle verso gli USA, altrettanto bene vanno quelle di spumante in Francia: +8%.
Quanto al caviale la crescita è del 187%, con l’Italia che è diventata leader mondiale nell’allevamento.
A guardar bene, secondo quanto emerge dalle proiezioni Coldiretti su dati Istat, è la filiera dell’agroalimentare nel suo complesso quella che ha dimostrato la maggiore resilienza alla crisi mettendo a segno nel 2021 il record storico nelle esportazioni in aumento del 12% nel primo semestre per un valore annuale stimato in 50 miliardi. A trainare le vendite all’estero sono i settori tradizionali del Made in Italy ma non mancano – sottolinea la Coldiretti – risultati interessanti dovuti alla capacità di innovazione, qualità del prodotto e spirito imprenditoriale.

Un esempio, in questa direzione, è quello fornito dalla birra artigianale con una produzione che ha raggiunto i 550 milioni di litri all’anno, dei quali circa un terzo si ottengono da aziende che trasformano direttamente i prodotti agricoli.

Ma gli esempi continuano come le prime spedizioni di riso tricolore verso la Cina o il boom della produzione di frutta esotica Made in Italy con le coltivazioni nazionali che in meno di tre anni sono raddoppiate superando i mille ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria per sfruttare positivamente gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici.

Sempre più spesso nelle regioni del Sud prima si sperimentano e poi si avviano vere e proprie coltivazioni di frutta originaria dell’Asia e dell’America Latina dalle banane ai mango, dall’avocado al lime, dal frutto della passione all’anona, dalla feijoa al casimiroa, dallo zapote nero fino al litchi. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori – ricorda la Coldiretti – che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, con oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero tropicali italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè.

Ci sta diventa Società Benefit. Obiettivo 2022? BCorp con Lexant e Nativa

Ci Sta, pizzeria 100% italiana nata dall’idea del manager italiano Nico Grammauta, protagonista nel settore del food retail, promette una rapida espansione in Italia con un approccio etico e sostenibile.

Guidata in questo percorso dall’avv. Simona Cardillo di Lexant, con il supporto dello studio notaio Pantè, la società titolare del brand Ci sta ha scelto di trasformarsi in Società Benefit, modificando il proprio statuto ed assumendo formalmente l’impegno a creare valore non solo per gli azionisti, ma per tutti tutti i propri stakeholders, comunicando con trasparenza e responsabilità l’impegno assunto secondo la normativa introdotta con legge 208/2015 (Legge di stabilità 2016). Inoltre ha  ottenuto la certificazione da parte di B Lab, l’ente internazionale di certificazione che valuta i criteri prestabiliti di selezione.

Quanto ai prossimi obiettivi, la società ha le idee chiare: supportata da Lexant e da Nativa, punta a diventare BCorp entro il 2022.

Tutto questo si traduce in un impegno con e per il futuro: il manifesto di Ci Sta oggi vede definite le parole e gli obiettivi che rappresenteranno l’insegna nei prossimi mesi: riduzione dell’impatto ambientale  (attraverso la massimizzazione dell’utilizzo di energia da fonti rinnovabili o a basso impatto rispetto alle alternative di mercato), contrasto allo spreco di cibo, valorizzazione delle eccellenze agro-gastronomiche italiane e valorizzazione del territorio, supporto a organizzazioni impegnate in attività di beneficenza a favore della comunità, e in particolare di categorie di persone in difficoltà o svantaggiate, promozione del talento individuale come fondamento di una cultura che incoraggia il lavoro di squadra. In poche parole: ambiente, territorio, filiera, persone, comunità, prodotto.

“In qualità di Società Benefit Ci Sta intende perseguire una o più finalità di beneficio comune e operare in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni ed altri portatori di interesse. Il nostro sogno, al quale lavoriamo con dedizione, è raggiungere la certificazione di B Corp nel corso del 2022”- conclude Nico Grammauta.

Acqua San Benedetto vince il Premio Compraverde Veneto

Acqua Minerale San Benedetto conquista il Premio Compraverde Veneto promosso dalla Regione Veneto nella categoria “Imprese” con Ecogreen, la linea di acqua minerale con il 100% di CO2 neutralizzata attraverso l’acquisto di crediti per finanziare progetti di riduzione di gas effetto serra e realizzata con bottiglie in plastica riciclata (RPET), fino al 50% sul formato 1L Easy.

L’iniziativa dei “Premi Compraverde” fa parte del Forum Regionale Compraverde Buygreen Veneto, evento giunto alla sua 5ª edizione e diventato un appuntamento annuale per offrire alle Pubbliche Amministrazioni la possibilità di essere aggiornati sul tema del “Green Public Procurement”, sui CAM (Criteri Ambientali Minimi), e per confrontarsi con vari operatori del settore sui temi della sostenibilità per le Stazioni Appaltanti. Il Forum Compraverde Buygreen Veneto per l’edizione 2021 si articola in due giornate dedicate a tematiche di interesse per il Green Procurement pubblico e privato. In particolare durante la prima giornata dell’8 giugno è stato trattato il tema della “Transizione ecologica e la ripresa dell’economia”. Nel corso della mattinata presso il Palazzo della Regione Veneto a Venezia si è tenuta la cerimonia di assegnazione del Premio CompraVerde Veneto categoria “Imprese” che ha visto ritirare il premio, in rappresentanza del Gruppo San Benedetto, Tullio Versace, Consigliere di Amministrazione del Gruppo e responsabile della divisione Supply Chain ed Eco Sostenibilità.

“Siamo onorati di aver ricevuto questo importante riconoscimento a conferma del nostro impegno costante verso un futuro sempre più sostenibile e ad impatto zero” – afferma Tullio Versace, Consigliere di Amministrazione e direttore Supply Chain ed Eco Sostenibilità di Acqua Minerale San Benedetto. “Esempio tangibile dell’impegno ambientale della nostra Azienda è Ecogreen, la prima linea d’acqua minerale in Italia a ricevere dal Ministero dell’Ambiente il logo del Programma per la Valutazione dell’Impronta Ambientale. L’Acqua Minerale San Benedetto Ecogreen è la linea di prodotti con il 100% di emissioni di CO2 eq neutralizzate – attraverso l’acquisto di crediti per finanziare progetti di riduzione dei gas effetto serra – e realizzata con plastica riciclata, fino al 50%. La linea Ecogreen comprende i formati da mezzo litro, la bottiglia da 1L Easy e i formati famiglia da 1,5L e 2L”.

Negli ultimi sette anni si stima che San Benedetto abbia ridotto le emissioni di gas effetto serra del prodotto Ecogreen 1L Easy del -24,5%; un risultato pari alla CO2 assorbita da 63.567 alberi in un anno; Inoltre, dal 2013 al 2020 l’Azienda ha ridotto le emissioni dell’intera linea Ecogreen del 14,6% – pari a 8.826 tonnellate di CO2 eq e alla CO2 assorbita da 294.200 alberi in un anno – utilizzando 5.165 tonnellate di RPET. La riduzione delle emissioni complessive del Gruppo San Benedetto nel biennio 2019-2020 è stata del 6% pari a -37.900 tonnellate di CO2 eq. Il percorso verso una piena economia circolare e a impatto zero ha inoltre portato San Benedetto a lanciare di recente la nuova bottiglia Ecogreen Easy realizzata con il 100% di RPET e carbon neutral che si stima permetterà un ulteriore risparmio delle emissioni di gas effetto serra lungo tutto il ciclo di vita del prodotto del 9%, con un utilizzo di circa 300 tonnellate di PET vergine in meno nel 2021.

Acqua Minerale San Benedetto si dimostra ancora una volta un’azienda leader in innovazione come evidenzia anche la recente introduzione del tappo Twist&Drink. Disponibile per il formato 0,5L della linea Ecogreen il nuovo tappo si dimostra pratico e utile per il consumatore e con un importante risvolto green poiché è legato alla bottiglia così da non disperderlo nell’ambiente, agevolando il riciclo. Con questa innovazione San Benedetto ha anticipato la direttiva europea 2019/904 che richiede l’obbligo del tappo attaccato alla bottiglia a partire dal 2024. Infine, nelle politiche ambientali di San Benedetto rientra anche la scelta di diversificare la produzione in cinque siti strategici in Italia (Scorzè, Popoli, Donato, Viggianello e Atella) avvicinando la produzione ai luoghi di consumo. Attraverso il “Progetto Network”, un programma pensato per valorizzare le reti di acque locali di alta qualità in tutto il territorio nazionale, il Gruppo ha ottenuto una maggiore flessibilità produttiva e logistica, riducendo l’incidenza dei trasporti e ha evitato nel 2020 l’emissione di 23.221 tonnellate di CO2 eq. Grazie a questo progetto, si è evitato che venissero percorsi 35.876 km “su gomma”.

Zoia: estendere il credito d’imposta sopra i 15 milioni

Roberto Zoia, presidente del CNCC promuove, insieme a Confimprese e Federdistribuzione, un emendamento al Decreto Sostegni-bis auspicando in un’estensione del credito d’imposta per gli affitti commerciali anche alle attività, che operano all’interno dei centri commerciali, con ricavi maggiori del tetto previsto di 15 milioni di euro per i mesi da gennaio a maggio 2021.

 

Roberto Zoia, presidente del CNCC, ha così commentato l’emendamento al Decreto Sostegni-bis promosso congiuntamente a Confimprese e Federdistribuzione: “Le misure imposte dal Governo per limitare la diffusione del Covid-19, a partire da marzo 2020, hanno gravato in modo significativo sul fatturato del settore dei centri commerciali, che ha un’incidenza sul PIL italiano pari al 7,5%. Dopo mesi di chiusure forzate, siamo stati molto soddisfatti che le Istituzioni abbiano deciso di riaprire finalmente le nostre strutture nei giorni festivi e pre-festivi, una decisione accolta con entusiasmo anche dai cittadini, che sono tornati a frequentare assiduamente i centri commerciali. Abbiamo inoltre apprezzato la reintroduzione, nel Decreto Sostegni-bis, del credito d’imposta per gli affitti commerciali per i mesi da gennaio a maggio 2021 che tuttavia, limitato alle attività con fatturato massimo di 15 milioni, riteniamo non sia sufficiente a supportare adeguatamente il nostro comparto e a favorirne la ripartenza. Abbiamo pertanto deciso di promuovere, insieme a Confimprese e Federdistribuzione, un emendamento al suddetto decreto legge, auspicando in un’estensione del beneficio economico anche alle attività che operano all’interno dei centri commerciali con ricavi maggiori del tetto previsto di 15 milioni di euro. Queste agevolazioni, destinate a compensare i costi fissi non adeguatamente coperti dai ricavi, garantirebbero infatti non solo una maggiore tenuta e sostenibilità economica anche alle imprese di maggiori dimensioni che rappresentano la principale fonte di occupazione del settore, ma favorirebbero anche la collaborazione tra i proprietari e retailer contribuendo efficacemente al pieno rilancio del comparto”.

 

Comfort food, così gli italiani si coccolano con il cibo

Coniato nel 1966 dal Palm Beach Post, il termine comfort food fa riferimento a quei cibi ‘antistress’ consumati per ‘rilassarsi’, magari anche per ‘consolarsi’. Ma chi acquista comfort food in Italia? E quanto la pandemia ha modificato le nostre abitudini?

 

Uno spuntino per consolarsi, uno snack anti stress: ecco il fine ultimo del comfort food, definizione nata – non a caso – negli opulenti Stati Uniti.

E il dilagante salutismo? Non c’è il rischio che faccia da deterrente a questa ‘consolazione’ alimentare? Non sembrerebbe se – come emerge da un’indagine svolta da Doxa e Unione Italiana Food nel 2019 – si conferma un’abitudine per 31 milioni gli italiani.

E non si pensi che gli snack siano un genere di cibo solo per i più piccoli: anche gli adulti ne consumano spesso e anzi sono disposti a ricorrere agli acquisti on line, alla ricerca di sapori nuovi o che – al contrario – rievochino la loro infanzia.

Comfort food, a chi piace di più?

I principali consumatori di comfort food in Italia nel 2020 appartengono alla fascia d’età 25-34 (33,83%), seguiti dalla fascia 18-24 (30,37%) e 35-44 (19,59%). Minore interesse è manifestato dalle fasce di età 45-54 (9,16%), 55-64 (4,36%) e +65 (2,69%).

Interessante confrontare i dati del 2020 con quelli dell’anno precedente: si nota infatti come nell’anno della pandemia ci sia stato un maggiore apprezzamento per i comfort food in alcune fasce d’età: in particolare, quella 18-24 ha registrato un incremento di consumo dell’82% rispetto allo stesso periodo del 2019. Molto probabilmente gli effetti del lockdown hanno aumentato il tempo libero a disposizione di questi consumatori e il bisogno di evasione attraverso “coccole” alimentari.

Quanto al sesso, emerge chiaramente che sono gli uomini i principali consumatori: 57,1% rispetto a quelli di sesso femminile (42,9%) e tra gli uomini c’è una netta prevalenza della fascia compresa tra i 25 e i 34 anni.

Ancora un dato: si è individuata una forte correlazione tra i comfort food e il gaming, ma anche tra comfort food cinema e serie tv, tecnologia e musica. Ad esempio, la Mountain Dew è così popolare fra i gamers che è stata realizzata una linea apposita per loro. Mentre tantissimi  riferimenti a tali prodotti vi sono anche all’interno della musica e della cultura dell’intrattenimento americana, di facile assorbimento da parte dei consumatori italiani. È il caso, ad esempio, dei Twinkies di Ghostbusters o della barretta Three Musketeers di Stranger Things.

In termini geografici, infine, emerge che è la Lombardia la regione che consuma di più in Italia e riflette un atteggiamento radicato nelle regioni del Nord piuttosto che al Centro o al Sud, sebbene la provincia di Milano sia solo la terza per consumi nel 2020, preceduta da quelle di Napoli e Roma.

Prodotti e marchi più ricercati nel mondo

Il prodotto più acquistato nel 2020 è l’Happy Hippo. Anche se ritirato dal mercato italiano nel 2013, oggi si stimano circa 22.000 ricerche mensili sul web, seguono gli M&M’s Bite Size Cookies, nati dalla collaborazione con il brand Keebler. Terzo posto sul podio, alle Patriots Onion Rings (prodotto a marchio American Uncle realizzate in Italia).

Il marchio più acquistato nel 2020 è M&M’s, seguito da Fanta e Oreo, ottimo posizionamento (4° posto) per Ferrero (unico brand italiano) trainato da Happy Hippo; a seguire troviamo Airheads, Reese’s, Pringles e Doritos, anch’essi molto popolari negli Stati Uniti.

Prodotti e marchi più ricercati in Italia

I dati relativi al nostro Paese potrebbero sorprendere: dal rapporto emerge infatti come la categoria preferita dai nostri connazionali sia quella dei cereali. A guardar bene, tuttavia, il dato si spiega facilmente con il fatto che i cereali non disponibili in Italia e soprattutto quelli americani si presentano spesso in gusti inusuali (Lucky Charms, Froot loops, cereali Oreo) e ciò soddisfa appieno l’esigenza dei consumatori di vivere nuove esperienze di gusto.

Lo stesso discorso vale per le ricerche delle creme spalmabili, che vedono i gusti Marshmallow e burro d’arachidi tra i più desiderati.

Nella classifica dei 10 marchi più ricercati sulla piattaforma, il primo posto è occupato da Monster Energy, seguito da Oreo, Pringles e Reese’s. Singolare è il dato relativo alla conoscenza dei consumatori del marchio Cheetos, che non ha una distribuzione ufficiale nella GDO ma a quanto pare sembra essere molto conosciuto tra gli appassionati del settore.

Fonte: Report sul Comfort Food internazionale in Italia 2020 – American Uncle

 Nota metodologica:

I dati mostrati nel report sono estrapolati ed elaborati dalla banca dati di American Uncle, piattaforma di e-commerce leader nazionale nel settore comfort food, e sono integrati con indagini di acquisto effettuate sui suoi utenti.

Coprifuoco alle 23, riaprono al 100% i centri commerciali

La cabina di regia ha deciso. Tra le novità: coprifuoco alle 23, centri commerciali aperti nel weekend, caffè al banco al chiuso dal 1° giugno.

Era nell’aria, ma si pensava al 24 maggio. E invece già dal 19 (cioè dal giorno dopo la pubblicazione del decreto sulla Gazzetta ufficiale) il coprifuoco slitterà di un’ora: dalle 22 alle 23. Per poi probabilmente passare alle 24, dal 7 giugno, fino alla completa soppressione – contagi permettendo – dal 21 giugno.

E non basta: dal 22 maggio via libera anche alle aperture di centri commerciali, mercati, gallerie e parchi commerciali nei festivi e prefestivi. E sempre nella stessa data potranno rimettersi in moto gli impianti di risalita.

In anticipo rispetto al precedente decreto anche le riaperture delle palestre: non più il 1° giugno, ma il 24 maggio.

Per bar e ristoranti al chiuso, invece, è il 1° giugno la pietra miliare: potranno infatti restare aperti sia a pranzo che a cena e – of course – il caffè al banco sarà concesso. Un passo avanti rispetto al precedente decreto che prevedeva solo il consumo al tavolo e fino alle 18.

E sempre dal primo giugno si potrà assistere alle competizioni sportive all’aperto (capienza al 25% e comunque non più di 1000 persone).

Conferma per il wedding, al nastro di partenza il 15 giugno, ma i partecipanti dovranno esibire il green pass (ovvero un certificato di avvenuta vaccinazione, di guarigione o un tampone negativo effettuato nelle 48 ore precedenti).

Sempre il 15 giugno, in anticipo di 15 giorni, riprendono fiere e parchi tematici.

Ed eccoci al 1° luglio quando avranno il via libera anche piscine al chiuso e centri benessere.

Nessuna apertura prevista ancora, invece, per le discoteche.

Campari inizia con sprint il 2021 e punta sul super premium

Ottimi risultati per il gruppo Campari, che guarda al futuro lanciando RARE, la nuova linea super premium.

Parte con il vento in poppa il 2020 di Campari che registra al suo attivo vendite nette pari a €397,9 milioni, in aumento del +10,5% su base totale, e del +17,9% a livello organico. Se confrontate con il primo trimestre 2019 che rappresenta la base di riferimento invariata rispetto all’impatto Covid-19, – si legge nella nota del Gruppo –  la crescita organica è stata pari a +12,1%.

L’EBIT si è attestato a 66,4 milioni e l’EBIT rettificato a €68,5 milioni. L’utile del Gruppo prima delle imposte, è stato pari a €64,8 milioni, in aumento del +112,1%; l’utile prima delle imposte rettificato (che esclude le rettifiche per proventi -oneri- operativi e finanziari, nonché la rivalutazione al fair value dell’investimento nella joint venture sudcoreana per un ammontare totale netto positivo pari a €0,7 milioni) è pari a €64,1 milioni, in crescita del +84,7%.

“Nel complesso – commenta Bob Kunze-Concewitz, Chief Executive Officer –  abbiamo registrato un inizio d’anno molto sostenuto e soddisfacente, con i nostri brand in buono stato di salute, grazie ai consumi domestici sostenuti. Ciononostante, l’andamento in questo trimestre a bassa stagionalità è stato amplificato anche da una base di confronto favorevole e dall’effetto della Pasqua anticipata”.

Sul futuro, invece aleggia un po’di incertezza data non solo da un peggioramento delle previsioni sui tassi di cambio, ma anche dalla volatilità causata delle restrizioni in corso e delle tempistiche delle campagne vaccinali nell’Unione Europea, che stanno particolarmente influenzando il canale on-premise e il canale Global Travel Retail.

Ad ogni modo il Ceo prevede che: “Il buono stato di salute dei brand permanga, alimentato da sostenuti investimenti di marketing, che sono previsti accelerare nella stagione di punta degli aperitivi, oltre che da una graduale riapertura del canale on-premise e dalla continua crescita del canale e-commerce”.

Prossimi passi

Uno dei principali obiettivi del Gruppo, è oggi quello di conquistare operatori del settore e consumatori di fascia elevata nel mercato degli spirit super premium e oltre.

“Siamo lieti di annunciare – specifica infatti Bob Kunze-Concewitz – il lancio della divisione RARE, un nuovo approccio dedicato al segmento degli spirit di alta gamma, in cui intendiamo affermarci tra i principali player negli Stati Uniti e nei principali mercati globali”.

Attraverso questa iniziativa strategica, Campari Group mira a innescare e accelerare la crescita della propria offerta attuale e futura di prodotti di fascia alta e altissima, ricercando un nuovo e dedicato approccio al brand building e alle strategie commerciali. Negli Stati Uniti, RARE si concentrerà su tre segmenti di prodotto: Opulent, segmento di fascia più alta con offerta di prodotti luxury che consente a Campari di conquistare una base di clienti dal reddito alto; Boutique, prodotti di nicchia che consentono a Campari di interagire con intenditori di prodotti spirit, consumatori e bartender esperti; Signature, segmento con offerta super premium di base, con prodotti riconosciuti e premiati rappresentativi delle categorie più rilevanti e in più rapida crescita negli Stati Uniti. Oltre agli Stati Uniti, è previsto uno sviluppo dell’iniziativa RARE, arricchita con le migliori espressioni dal portafoglio dei brand leader del Gruppo, in selezionati mercati europei e in Australia, nonché nel canale e-commerce.

Ripartenza e PNRR: a colloquio con Mariano Bella, Confcommercio

Per il direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio, la ripartenza non aspetta: si deve fare in fretta, puntando ai contenuti. Il PNNR? Un buon piano, ma al turismo si poteva dare di più.

Parlando di PNRR Mariano Bella, direttore dell’Ufficio studi di Confcommercio, teme che al documento venga attribuita una dimensione miracolistica. E che passi il concetto che dal 1° luglio le cose ricomincino sic et simpliciter a funzionare. Di fatto non è così semplice. Altrimenti i vari sostegni al reddito attivati in passato, il miracolo lo avrebbero già fatto.

La questione è molto ampia, infatti, e non può prescindere dalle asimmetrie che caratterizzano il nostro Paese.

Il primo squilibrio – evidenzia Bella – è quello demografico: una popolazione che invecchia non ha prospettive e una popolazione che invecchia e non riesce a trattenere i giovani cervelli è in una situazione ancora peggiore.

“Il secondo squilibrio – prosegue – è dato dalla povertà assoluta e dalla sua crescita esponenziale: 5 milioni nel 2019, cui va aggiunto 1 altro milione nel 2020”.

La terza grande distonia riguarda il diverso impatto della pandemia sui vari settori economici. “Quello dei servizi è fra i settori che ha subito le perdite maggiori. Guardiamo ai consumi, per esempio: nel 2020 le perdite ammontano a 129 mld a prezzi correnti. Ebbene, il macro comparto che riunisce trasporti, alberghi e ristoranti, vestiario e calzature, ricreazione e cultura, ha registrato perdite quantificabili in circa 107-108 miliardi: la fetta più grossa, dunque.

E la cosa più grave è che non si sa se dopo la pandemia questi settori torneranno di nuovo integri. E’ proprio questo dubbio che giustifica la richiesta di sostegni adeguati.

In questo scenario, allora come va letto il PNRR?

“Il PNRR è un buon piano – ammette Bella – magari un po’sbilanciato sull’equazione’ finanziamenti, uguale finanziamenti pubblici’ e più incline a pensare a come spendere i soldi che alle riforme da fare. Ci si sarebbe dovuti concentrare, ritengo, più sulle best practice: individuandole e poi esportandole in altri contesti”.

Un modo pratico, insomma, per implementare velocemente riforme già testate.

Quanto al turismo, ammette il direttore, si sarebbe potuto dare di più. Ma adesso il punto è un altro: dobbiamo fare in fretta e puntare alla formazione. Solo così saremo in grado di offrire contenuti competitivi, in grado di sfidare la concorrenza sul piano del servizio.

Ma il nostro Paese ha la forza di riqualificare i suoi operatori?

“Sì: voglio essere ottimista, e mi conforta pensare che in passato in Italia siamo già riusciti a fare ottime cose e anche in questo caso potrebbe essere d’aiuto ispirarsi alle best practice nel mondo della formazione, per esportarle anche altrove. Dal Recovery plan possiamo trarre opportunità interessanti per promuovere la formazione e la digitalizzazione e per riqualificare le strutture. In fretta, però. Non esiste un piano B, dobbiamo darci da fare ora per riprenderci la nostra fetta di turismo, persa a causa della pandemia. E parlo specialmente del turismo straniero.”

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