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Carmela Ignaccolo

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Post covid: il profilo dei nuovi consumi

Cinque prospettive: tante le angolature da cui Luca Pellegrini, presidente di TradeLab, guarda alla ripresa dei consumi in un auspicabile scenario post covid.

“Sul fronte delle attività lavorative, ricominceremo a consumare fuori casa, quando torneremo a lavorare in presenza – esordisce- . Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che lo smart working è ormai entrato a far parte della nostra vista e non verrà cancellato con un colpo di spugna”. Ergo: si ridurranno i lunch bar, si consoliderà il delivery, cresceranno i bar di quartiere.

In ottica di attività ricreativa, con l’apertura di palestre, piscine, teatri, musei, cinema e aree dello shopping, i consumi riprenderanno, certamente, “ma ci sarà la necessità di integrarli alle attività ricreative giocando su due requisiti: semplicità e prezzi contenuti”.

In ottica turistica due le osservazioni: se da una parte la riduzione della componente business (che in molti casi farà ricorso agli strumenti digitali) si farà sentire (in quanto più ricca del turismo leisure), dall’altra “potrà esserci una ripresa interessante del turismo enogastronomico, fortemente legato ai prodotti del territorio e molto apprezzato dai turisti”.

Sul fronte delle attività sociali (incontri, festeggiamenti, ricorrenze), i consumi fuori casa dovranno trovare una formulazione più appetibile, “magari pensando a format su misura, spazi adeguati e flessibili, prezzi ragionevoli”.

L’ultima prospettiva è quella della digitalizzazione, prepotentemente affermatasi in questi mesi: la ripresa dei consumi non potrà ignorarla. “Sarà infatti la digitalizzazione lo strumento principe nella ricerca dei locali, nella loro valutazione, nella proposizione dei menu e dell’offerta, nella gestione dei pagamenti e nell’introduzione del delivery”.

Free from, una tendenza intramontabile

Il successo del “free from” si conferma una delle tendenze più importanti nel mondo alimentare italiano, anche al tempo della pandemia: in 12 mesi è cresciuto di +2,2% il giro d’affari dei prodotti food sulle cui etichette è specificata l’assenza di un ingrediente, di un additivo o di un nutriente. A rivelarlo è l’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, realizzato in collaborazione con Nielsen.

Al mondo del free from appartengono oltre 13 mila prodotti alimentari confezionati, venduti in supermercati e ipermercati italiani, che complessivamente muovono un giro d’affari annuo di 6,9 miliardi di euro, corrispondente al 25,4% del giro d’affari complessivo dei 73.590 prodotti alimentari monitorati dall’Osservatorio Immagino.

Questa crescita riguarda anche i claim utilizzati: l’Osservatorio Immagino è infatti arrivato a rilevare 17 indicazioni differenti (come “senza olio di palma”, “senza zuccheri aggiunti” e “senza OGM”) ed è la dinamica tra di essi a testimoniare la vivacità di questo fenomeno e la sua capacità di evolversi in linea con le nuove richieste e preferenze dei consumatori (Figura 1). Se la più diffusa delle indicazioni del free from resta il “senza conservanti” (presente sul 6,0% dei prodotti), quella che è maggiormente cresciuta nell’arco degli ultimi 12 mesi è stata “senza antibiotici”, che ha aumentato le vendite di +51,7%, anche se resta su valori assoluti ancora bassi (0,2% dei prodotti). Tra i claim emergenti l’Osservatorio Immagino ha evidenziato anche l’escalation dei prodotti “non fritti” (+8,7%), di quelli “senza aspartame” (+7,0%) e di quelli “senza lievito” (+2,0%). Mentre fanno capolino anche nuovi claim, come quelli relativi all’assenza di polifosfati, uova o latte.

Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2020

L’attenzione crescente verso la presenza nei prodotti alimentare dell’ingrediente latte è l’ultima evoluzione del fenomeno del “lactose free”, che continua ad andare a gonfie vele. In 12 mesi i prodotti presentati sulle etichette come “senza lattosio” hanno aumentato di +7,8% le vendite, arrivando a superare le 2 mila referenze per oltre 1,2 miliardi di euro di sell-out tra supermercati e ipermercati.

Anche il grande segmento del “gluten free” continua a crescere, come conferma l’Osservatorio Immagino che misura sia il claim “senza glutine” sia il marchio Spiga Barrata rilasciato dall’Associazione italiana celiachia (Aic). Nell’anno finito a giugno 2020 le vendite dei prodotti accompagnati dal claim “senza glutine” sono cresciute di +4,1% e quelle dei prodotti con il marchio dell’Aic di +2,7% su base annua.

Così l’Italia Covid- free ricomincerà a consumare

Parliamo di uno dei settori più fortemente penalizzati dalla pandemia: il fuori casa, infatti, che nel 2019 ha raggiunto gli 85,3 miliardi a valore, nell’annus horibilis del 2020 è sceso a 53,6 miliardi, con una perdita secca del 37%.

Tuttavia, secondo le stime proposte da Bruna Boroni di TradeLab, i presupposti per sperare in una ripresa rapida, una volta usciti dal tunnel pandemico e dai timori ad esso correlati, ci sono tutti.

Basti pensare che tra luglio e settembre 2020 quando la foga virale si era pressoché placata, i consumi erano tornati a salire (8 miliardi ad agosto, 6 a settembre). Fino a quel momento, dunque, a fermare gli italiani, erano stati i divieti: la voglia di uscire, consumare e socializzare non si era sopita…

Con la ripresa dei freddi e i nuovi Dpcm, ecco un nuovo rallentamento, più penalizzante per le occasioni serali a causa del coprifuoco. I momenti di consumo diurni hanno invece tenuto duro: altro segnale di come – quando consentito- gli italiani non hanno mai rinunciato al fuori casa.

Il profilo del nuovo consumatore

“Le rilevazioni – spiega Boroni – fanno presupporre che a ritornare prima ai consumi pre-covid saranno gli uomini. Già adesso infatti i consumi “maschili” valgono circa il 4-5% in più e nel bimestre ottobre novembre hanno addirittura toccato il 60% dei consumi totali”. Non è un mistero, infatti, che le donne hanno accusato maggiormente il colpo della pandemia, anche a livello psicologico.

Sul fronte anagrafico, sarà la fascia dei 45-50enni quella che tornerà prima (e lo sta già dimostrando) ai consumi di un tempo. Infine, a livello geografico le aree più resilienti si sono dimostrate quelle del Sud.

“E questo si spiega con il fatto che al Meridione le occasioni di consumo diurno sono più diffuse. Mentre a Nord Ovest e a Nord Est, rispettivamente, sono stati penalizzati i consumi business e quelli turistici”.

Il messaggio, dunque è chiaro: gli italiani non rinunciano ai consumi fuori casa, ma si adattano (e questo succederà anche nel prossimo futuro) alle occasioni che vengono loro concesse.

Anche secondo Bain&Co., gli italiani si stanno adattando alla situazione, ma lo scenario di un’Italia Covid-free in cui i consumi riprenderanno, non è fantascienza: basti guardare all’Australia dove – bloccati ingressi e uscite e pressocché sgominati i contagi– la popolazione ha ripreso a consumare: come dimostra il fatto che i consumi di dicembre 2020 hanno quasi pareggiato quelli del 2019…

Fronteggiare i timori

Naturalmente la paura non passerà sic et simpliciter: il 68% del campione di TradeLab ammette infatti che il timore dei contagi frenerà le uscite. Serve quindi garantire il distanziamento. Concorda su questo anche Lorenzo Farina, titolare del Duke’s: “Nel post Covid chi avrà spazi avrà più probabilità di riprendere velocemente a lavorare”. Naturalmente, però, c’è un caveat: il maggior distanziamento fa perdere capacità ricettiva al locale. Bisogna tenerlo presente.

Retail sempre più on line: il fenomeno entra nelle parafarmacie

La crescita esponenziale delle vendite on line, significativamente accelerata dalla pandemia, comincia a disegnare nuove geometrie nel perimetro della distribuzione e del retail. A cominciare dal settore delle farmacie e delle parafarmacie.

A quattro anni dalla circolare attuativa del Ministero della Salute che nel Gennaio 2016 diede il via anche in Italia all’e-commerce dei sop-otc, ammontano a 1145, in tutta Italia, le farmacie e parafarmacie autorizzate alla vendita a distanza dei senza ricetta. Rispetto alla fine del 2019 l’incremento è del +31,5%, dunque in un anno sono 282 in più gli esercizi che possono commercializzare farmaci su internet.

Come conferma la piattaforma Farmakom, si tratta dell’aumento più consistente mai registrato finora, superiore anche al precedente record del 2018 – 2019, quando vennero rilasciate 199 nuove autorizzazioni. 

La distribuzione geografica

La distribuzione geografica degli oltre mille esercizi autorizzati al 31 dicembre 2020 mostra sensibili differenze tra le singole regioni. La prima per numero di farmacie e parafarmacie che possono vendere online è la Campania, con 203 attività. A ruota seguono Lombardia con 144, Piemonte con 129, Lazio con 108 ed Emilia Romagna con 101. Altre quattro regioni sommano tra le 50 e le 100 attività autorizzate: Puglia (76), Veneto (73), Toscana (67) e Sicilia (62). Dodici regioni, infine, contano non più di 32 farmacie e parafarmacie online, delle quali le ultime cinque sono Basilicata (14), Friuli Venezia Giulia (12), Trentino Alto Adige (8, sei in provincia di Bolzano e due a Trento), Molise (5) e Valle d’Aosta (2).

Distribuzione regionale delle attività autorizzate

In totale, le prime cinque regioni raggruppano il 60% di tutti gli esercizi online, le ultime dodici soltanto il 16%. “Dai nostri dati, emerge un sensibile divario tra farmacisti rispetto alla trasformazione digitale – raccontano i fondatori di Farmakom – Non esiste, infatti, correlazione diretta tra la densità territoriale di farmacie e parafarmacie e il tasso di autorizzazioni all’e-commerce: la Campania e la Sicilia, per esempio, hanno entrambe circa 2.400 attività sul proprio territorio, ma quelle che in Campania dispongono del bollino ministeriale per l’online sono quattro volte le siciliane; la Lombardia è la regione con più farmacie e parafarmacie, ma viene nettamente superata dalla Campania (35% in meno) e quasi raggiunta dal Piemonte (48% in meno).”

La crescita delle autorizzazioni  

In particolare, le cinque regioni dove si registra il maggior numero di autorizzazioni all’e-commerce sono quelle dove farmacie e parafarmacie hanno cominciato fin dall’inizio a presidiare il canale, con almeno 50 attività autorizzate nei 18 mesi successivi alla circolare citata in apertura. “Se limitiamo l’osservazione a queste cinque regioni: nei primi sei mesi, tutte hanno mostrato numeri e trend di crescita comparabili, a eccezione del Piemonte che supera per primo la soglia delle 50 attività autorizzate e per quasi tre anni guida il gruppo. Successivamente, la regione assume una crescita tendenziale stabile e viene superata da Lombardia e Campania, mentre Emilia Romagna e Lazio tengono un passo regolare” proseguono i fondatori di Farmakom. 

La crescita delle autorizzazioni nelle prime cinque regioni

L’accelerazione in lockdown

A partire dai primi mesi del 2020, in ogni caso, tutte registrano un’accelerazione, molto probabilmente perché un numero crescente di farmacisti titolari ha deciso di andare online per far fronte alla diminuzione di traffico legata alla pandemia. Incrementi dello stesso genere si possono osservare anche in molte delle altre regioni. “Attenzione però a dare al fenomeno la giusta contestualizzazione: il Covid, infatti, non ha cambiato le carte in tavola, ha soltanto accelerato dinamiche già in corso, che rimandano a un mercato e ad abitudini dei consumatori da tempo in evoluzione; la pandemia, in sostanza, ha solo accelerato questa trasformazione. L’e-commerce rappresenta quindi un passaggio ormai obbligato, non solo per superare l’attuale momento di incertezza e instabilità, ma anche per conquistare un vantaggio competitivo sul mercato di oggi e di domani” concludono i fondatori di Farmakom.

 

Ogni ordine è un desiderio, e il gelato si reinventa online

Nell’era pandemica l’e-commerce prende il volo. E la resilienza delle varie attività economiche risiede proprio nella capacità di entrare nel circuito delle vendite online. Serve reinventarsi in rete, per avviare una nuova partenza.

Un po’ quello fatto da Gusto 17, concept milanese di gelato artigianale d’eccellenza e personalizzato, che dagli store fisici di Milano, si rinnova  portando il gelato ovunque, grazie al digitale. Nasce così la piattaforma ‘Ogni ordine è un desiderio’ su cui tutti gli appassionati del gelato artigianale di altissima qualità potranno creare ex novo il proprio Gusto dei Desideri o realizzare il prodotto di Pasticceria Gelato che desiderino.

Nella sezione dedicata alla creazione del proprio gelato sarà possibile creare o abbinare i gusti preferiti, tutti realizzati con ingredienti rigorosamente Made in Italy e con un metodo di lavorazione del gelato che rifiuta ogni compromesso: nessun utilizzo di preparati, addensanti, conservanti e coloranti artificiali, ma solo latte fresco, frutta di stagione e un’accurata selezione di materie prime di alta qualità che rappresentano la tradizione gastronomica del nostro paese.

Un e-commerce personalizzato, disegnato per vivere un’esperienza innanzitutto mobile first, e poi disponibile in versione desktop, che realizza non solo i desideri dei gelato lover in giro per l’Italia ma che contribuisce ad esaudirne alcuni davvero speciali: i desideri dei bambini di Make-A-Wish Italia, cui Gusto 17 donerà una quota degli introiti.

Fondata a Genova da Fabio e Sune Fontani in memoria della figlia Carlotta, Make-A-Wish Italia realizza dal 2004 i desideri di bambini e ragazzi affetti da gravi patologie.

E i bambini di Make-A-Wish saranno anche protagonisti, in quanto saranno i loro disegni, visti attraverso i colori e i tratti dell’artista Adry De Martino, che andranno ad illustrare i packaging dei prodotti.

 

Formaggi nel LCC, un mercato in crescita. L’analisi di IRI

Il Covid-19 ha stravolto la vita e le abitudini di tutti noi: le misure di contenimento varate dal governo per fronteggiare la pandemia hanno causato il crollo dei consumi Fuori Casa e, specularmente, un incremento di quelli casalinghi. La conseguenza più immediata è stata la crescita registrata in alcuni canali del LCC. Un esempio lampante di questo trend – come evidenzia uno studio di IRI – viene dal comparto Latte&Derivati, che con un giro di affari pari a 12,2 miliardi di euro, nel 2020 ha registrato una crescita complessiva del +8%. Tale incremento delle vendite è stato diffuso in tutti i mercati del comparto con la sola eccezione del Latte Fresco, condizionato sia da una crisi di lungo periodo, dovuta soprattutto ai cambiamenti degli italiani nel modo di fare colazione, sia dalla penalizzazione del lockdown, inevitabile per un prodotto dal consumo giornaliero.

Formaggi & Co.

Il maggior tempo trascorso tra le mura domestiche ha indotto il consumatore a cucinare di più; una nuova abitudine confermata dall’andamento particolarmente positivo dai prodotti utilizzati normalmente in cucina come ad esempio panna/besciamella e burro, che segnano incrementi rispettivamente del +17,1% e del +17,2% (IRI Liquid Data – Iper+Super+Libero Servizio Piccolo+Discount – Anno Terminante gennaio 2021). Nell’ultimo anno i Formaggi – il mercato più grande del comparto – con un valore di oltre 7 miliardi di euro, hanno mostrato una performance davvero brillante, registrando una crescita attorno al +10%.

Dal monitoraggio dei mercati LCC effettuato da IRI Liquid Data , emerge come nel 2020 la crescita delle vendite di Formaggi è stata molto più accentuata sulla componente a Peso Imposto (PI). In realtà, la maggior dinamicità delle referenze a Peso Imposto è un fenomeno in atto già da tempo e nell’ultimo anno è stato ulteriormente accentuato. La componente a Peso Variabile invece è stata penalizzata dal timore dello shopper ad approcciare i banchi assistiti, considerando più “sicuri” i prodotti confezionati rispetto a quelli tagliati/porzionati al momento. Inoltre, i banchi assistiti sono stati in molti casi chiusi nella prima fase della pandemia, un fattore che ha contribuito ulteriormente a contenere le vendite. I Formaggi a Peso Variabile sono comunque riusciti a raggiungere una crescita di oltre il 3%, dato interessante soprattutto se confrontato con altri settori del Largo Consumo, dove i prodotti non calibrati hanno accusato delle flessioni, in alcuni casi anche molto rilevanti. Un esempio è la Gastronomia (-13,9% nei canali Iper + Super – Anno Terminante a Gennaio 2021).

Formaggi a Peso Imposto

In questo segmento, la crescita del mercato nell’ultimo anno è stata di oltre mezzo miliardo di euro. Tutti i canali hanno contribuito a questo incremento: in primis quello più frequentato per gli acquisti, ossia il Supermercato, ma in particolare si è distinta la performance del Discount, canale che ha registrato la crescita più elevata (+18%) e che è arrivato ad assorbire circa il 25% del fatturato complessivo della categoria. La crisi economica derivata dalla pandemia ha incrementato la domanda di convenienza contribuendo ad accelerare la crescita del Discount, formato di convenienza per eccellenza. La crescita del canale è confermata da un’indagine sui consumatori condotta a novembre 2020 da REM-Lab, secondo la quale il 91,4% dei rispondenti ha dichiarato di frequentare regolarmente i Discount e la fedeltà al canale è cresciuta del 20%. È tuttavia riduttivo attribuire il successo del Discount al solo fattore della convenienza, altri driver – come l’ampiezza assortimentale – spiegano il trend. Merita una menzione speciale il canale Online, che è letteralmente esploso durante questa pandemia in tutti i mercati del Largo Consumo. Per il mercato dei Formaggi, il canale Online ha segnato una crescita del +165%.

Tipicità, free from e bio

Uno dei più importanti macrotrend di consumo che negli ultimi anni ha influenzato le tendenze dei mercati è l’orientamento dello shopper verso prodotti tipici/d’origine, legati alla tradizione e di provenienza locale. Questo orientamento è ben evidente nel mercato dei Formaggi, dove i prodotti DOP (+13,1% – Anno Terminate Gennaio 2021) e quelli con latte 100% italiano (+11,7% – Anno Terminate Gennaio 2021) mostrano tassi di crescita molto elevati. Sul fronte dei prodotti tipici, si è particolarmente distinto il Gorgonzola, con un aumento della spesa pari al +25%. Un altro macrotrend relativo alle nuove abitudini dei consumatori è quello legato alla preferenza di prodotti “salute/benessere”. L’affermarsi di nuovi stili di consumo e la consapevolezza che una dieta sana è un importante fattore di prevenzione delle malattie legate all’invecchiamento, hanno determinato l’affermazione di fenomeni come il “Free From” e il Biologico. Nel caso dei Formaggi questa tendenza si legge nella significativa crescita dei prodotti senza lattosio, sia per le tipologie di prodotto naturalmente senza lattosio, sia per le tipologie dove invece i diversi Brand hanno inserito nelle proprie gamme di prodotto alcune varianti prive di lattosio (essenzialmente Formaggi Freschi come mozzarella, ricotta ecc.) Il Biologico, invece, sembra faticare ad affermarsi nel mercato: rimane una nicchia pari all’1% e addirittura segna una flessione delle vendite nell’ultimo anno. Infine, l’analisi delle tendenze delle diverse tipologie di Formaggio rivela che i prodotti a contenuto di servizio, ed in particolare quelli destinati alle preparazioni alimentari, come mozzarella da cucina e mascarpone, hanno vissuto un anno eccezionale.

Previsioni

Questo lo scenario attuale, sul futuro, sottolinea lo studio di IRI, regna ancora l’incertezza.Tuttavia, il buon senso suggerisce che, ancora una volta sarà l’andamento della pandemia a determinare i risultati: tanto più lungo sarà il periodo di tempo necessario a raggiungere l’immunità di gregge, tanto più potremo attenderci un consolidamento dei risultati ottenuti nel 2020. Una volta ripristinate le condizioni pre-Covid, o nel momento in cui verrà raggiunta una nuova normalità, è invece presumibile attendersi una ripresa dei consumi fuori casa, che con ogni probabilità influenzerà negativamente le vendite destinate al consumo casalingo.

Crisi del non food: l’allarme di Federdistribuzione

L’allarme arriva da Alberto Frausin, presidente di Federdistribuzione che – nel corso dell’audizione di fronte alle Commissioni del Senato 5ª e 6ª riunite sul Decreto Sostegni – ha confermato: “Le aziende del commercio non alimentare versano in gravi difficoltà a causa del prolungarsi delle chiusure e delle restrizioni di esercizio. Le misure di ristoro, oltre a non essere adeguate ai danni subiti in questo ultimo anno, non mettono al riparo da crisi di liquidità, un rischio concreto a cui andiamo incontro”. Per questo, chiede il presidente, “Occorre quindi prevedere la sospensione dei versamenti tributari e contributivi per le imprese costrette alla chiusura delle attività in questi mesi. Una misura che non ha bisogno della copertura finanziaria da parte dello Stato, trattandosi di dilazionare i tributi nel tempo, ma che è fondamentale per non mettere a repentaglio il futuro delle aziende”. “Chiediamo, inoltre, la proroga del credito di imposta sugli affitti anche per il primo semestre 2021” ha proseguito Frausin, “così da consentire alle imprese commerciali
che hanno subito i maggiori danni dalle misure restrittive degli ultimi mesi, come quelle che operano all’interno dei centri commerciali, di fare fronte ad un costo fisso incomprimibile che rischia di mettere seriamente a repentaglio la tenuta economica aziendale”.

Crisi e pandemia: la risposta delle imprese nel Rapporto Istat

È stata pubblicata la nona edizione del Rapporto Istat sulla competitività dei settori produttivi, alla luce dei condizionamenti dell’emergenza sanitaria.

Lo scenario macroeconomico, affrontato nel Capitolo 1, evidenzia come tutte le principali economie (con la sola eccezione della Cina, che nel secondo semestre ha registrato una crescita pari al +2,3 per cento su base annua) sono state interessate da una fase recessiva. La crisi ha avuto un impatto immediato e dirompente anche sui flussi di commercio estero, con flessioni significative in media d’anno sia dell’import sia dell’export. La flessione delle esportazioni del 2020, ha colpito comparti rilevanti del modello di specializzazione italiano: macchinari (-12,6 per cento), tessile abbigliamento e pelli (-19,5 per cento), mezzi di trasporto (-11,6 per cento). Esportazioni in controtendenza, invece, per settori come farmaceutica (+3,8 per cento) e agroalimentare (+1,0 per cento per alimentari, bevande e tabacco, +0,7 per cento per l’agricoltura).

Il calo sensibile della domanda, interna ed estera, ha sottratto liquidità alle imprese: da qui l’introduzione di misure governative di sostegno ai margini di liquidità delle imprese, per fronteggiarne gli effetti sulla gestione finanziaria e creare le condizioni per rilanciare l’attività alla fine dell’emergenza.

Le conseguenze della crisi sui settori produttivi sono analizzate nel Capitolo 2. L’impatto è stato estremamente eterogeneo: più accentuato per i servizi (-12,1 per cento) rispetto all’industria (-11,1 per cento).

È proprio il  terziario la principale vittima della pandemia, in particolare nei comparti legati al turismo (agenzie di viaggio, trasporto aereo, alloggio e ristorazione, con cadute comprese tra il 40 e il 75 per cento).

Sul fronte turismo, in Italia i dati provvisori relativi al 2020 hanno registrato un calo del 59,2 per cento per gli arrivi totali e del 74,7 per cento per i turisti stranieri, interrompendo la tendenza positiva in atto da diversi anni e culminata nel 2019 nel record di presenze negli esercizi ricettivi italiani. La capacità di ripresa di questo settore che, considerando le componenti dell’indotto, nel 2018 rappresentava il 15 per cento del totale delle imprese, il 12,8 per cento degli addetti e il 5,8 per cento del fatturato, appare cruciale.

Il fronte microeconomico, è affrontato nel Capitolo 3 del Rapporto. La crisi pandemica ha innescato un crollo della domanda, ma come hanno reagito le imprese? In ordine sparso e in modo molto differenziato- spiega il Rapporto. Circa il 30 per cento è rimasto “spiazzato”, un quarto ha reagito attraverso l’introduzione di nuovi prodotti, la diversificazione dei canali di vendita e di fornitura (anche attraverso il passaggio a servizi on line e e-commerce), un quinto ha intrapreso misure di profonda riorganizzazione dei processi e degli spazi di lavoro, orientandosi verso la transizione digitale o l’adozione di nuovi modelli di business.

L’effetto della crisi a livello territoriale viene infine trattato nel Capitolo 4. Se sul piano strutturale emerge un chiaro dualismo tra le regioni settentrionali e meridionali del Paese è anche vero che la realtà è molto più sfaccettata. Infatti i risultati confermano come in Italia la crisi tenda ad accentuare il divario tra le aree geografiche: delle sei regioni il cui tessuto produttivo risulta ad alto rischio combinato, cinque appartengono al Mezzogiorno, (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania e Sardegna) e una al Centro Italia (Umbria), mentre le sei regioni classificabili a rischio basso si trovano tutte nell’Italia settentrionale (Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia. Tuttavia esistono elementi di vulnerabilità anche in territori del Centro (Toscana, Lazio e Umbria) e del Nord (Valle d’Aosta e Provincia autonoma di Bolzano) nei quali, sono più rilevanti le attività maggiormente colpite dalla pandemia.

Analisi metodologica

Tra le diverse iniziative dell’Istat finalizzate a raccogliere le informazioni necessarie all’analisi degli effetti della crisi sanitaria sull’economia e sulla società, nei mesi di maggio e novembre 2020 sono state realizzate due indagini specifiche volte a comprendere come le imprese italiane abbiano vissuto una fase così drammatica, con particolare riferimento all’impatto economico, finanziario e occupazionale. Tali indagini costituiscono un elemento fondante per le analisi proposte in questo Rapporto.

Category management: pareri a confronto

Di Category management si parla da anni, ma qual è oggi lo stato dell’arte?

Il tema è stato trattato nel corso dell’incontro “Category management ieri, oggi e domani” organizzato da GS1 Italy, mettendo a confronto le testimonianze dirette di Aspiag, Barilla e Peroni.

“Partendo dai risultati del report internazionale “Category Management Yesterday, Today & Tomorrow”, abbiamo voluto costruire un piano di attività finalizzate a divulgarne i contenuti, raccontando – e facendo raccontare direttamente alle aziende – come sta cambiando l’approccio al Category management” – spiega Silvia Scalia, ECR and training director di GS1 Italy. “Da sempre la missione della nostra organizzazione è quella di contribuire all’efficienza del sistema nella gestione e nel trasferimento dei dati. Abbiamo il compito di abilitare un nuovo modo di dialogare con il consumatore, grazie alla capacità degli standard GS1 e delle soluzioni GS1 Italy di rendere disponibili tutte le informazioni che servono per instaurare un rapporto continuativo e di fiducia con il consumatore online e nel mondo fisico”.

Come hanno ricordato Brian Harris e Luc Demeulenaere, i due esperti internazionali intervenuti nell’incontro, negli ultimi 10 anni il focus si è spostato da prezzo, assortimento e layout dello scaffale, a un più complesso sviluppo di promozioni, store format, strategie omnicanale, fino all’emergere di nuovi driver che ruotano intorno a valori importanti come salute, sicurezza, ecologia, globalizzazione, convenienza: valori su cui hanno influito fortemente tanto l’ondata pandemica quanto i suoi impatti sull’economia, rendendo ancora più rilevante per il futuro il ricorso ad una precisa segmentazione e alle nuove tecnologie di intelligenza artificiale per capire e rispondere alle esigenze dei consumatori.

“Oggi il Category management si sta confermando l’approccio di riferimento per il marketing collaborativo nella filiera del largo consumo a livello mondiale”-  ha detto Antonella Altavilla, owner di ADF consulting. “Il futuro lo proietta in spazi di applicazione sempre più ampi, delineando nuove opportunità di collaborazione a valore aggiunto per l’Industria e la Distribuzione. A caratterizzarle saranno una ‘tailorizzazione’ più marcata e la sostenibilità dell’offerta omnicanale di prodotti e servizi mirata a specifici target di clienti”.

“È importante che Industria e Distribuzione migliorino la loro capacità di sviluppare e di condividere nuove visioni di categoria in un’ottica strategica – è stata la conclusione di Brian Harris. Anche la capacità di segmentare e coinvolgere specifici target di consumatori sarà fondamentale: è necessaria una visione integrata e olistica delle persone, dei loro comportamenti, dei loro bisogni e dei loro valori. Infine, le nuove tecnologie basate sull’intelligenza artificiale saranno imprescindibili per accedere ad una vasta quantità di dati e sviluppare una profonda conoscenza dei consumatori”.

Le testimonianze

Sull’evoluzione del Category si sono pronunciate le tre aziende convenute. Per Roberto Sinigaglia, organizzazione acquisti e business process manager di Aspiag, il Category “deve fondarsi su pilastri come strategia, capacità analitiche, capacità organizzative, information technology, misurazione delle performance. In ognuna di queste troviamo le ragioni che hanno frenato l’approccio e le cause principali del fallimento del Category management”.

Secondo Sinigaglia il Category management per Aspiag “continuerà a essere “shopper centric”, per creare valore alla categoria, aumentando la shopper exhibition. Il passaggio da product oriented a shopper oriented è un passaggio fondamentale che il retailer deve compiere in collaborazione con il fornitore “category captain” della categoria”.

Partendo dagli studi da cui emerge che la penetrazione è il principale driver di vendita e che ispirare le persone è fondamentale per l’acquisto, Barilla ha ideato un approccio di Category management che ha completamente ripensato la categoria “pasta meal” e l’ha declinato sulle specificità di ognuno dei tre paesi coinvolti (Italia, Francia ed Emirati Arabi Uniti). I risultati? In Italia e in Francia, la più chiara segmentazione dell’offerta ha migliorato sia la produttività sia la leggibilità degli scaffali, mentre negli Emirati Arabi Uniti è stata creata una nuova ambientazione degli scaffali, più interattiva ed emozionale, con cui il brand ispira i consumatori attraverso il fascino gastronomico dei piatti.

“Il consiglio per chi sta valutando di investire nel Category management è di partire da uno studio approfondito dei comportamenti degli acquirenti e sviluppare costantemente iniziative per i consumatori, che sono sempre alla ricerca di novità e di ispirazione. Inoltre, l’approccio omnicanale può permettere alla categoria di esprimere ancora un importante potenziale”- ha affermato Marco Greggio, key account category developer di Barilla.

Peroni, dal canto suo, ha sviluppato un nuovo progetto dedicato alla categoria “birra” nel canale supermercati e ipermercati italiani. Partendo dall’analisi delle ragioni del calo delle vendite, l’azienda ha deciso di focalizzarsi sui nuovi trend di consumo salutistici e sull’ottimizzazione dell’assortimento e della visibilità a scaffale, con il duplice obiettivo di invertire il trend delle vendite e di aumentare il closure rate degli acquirenti. Per questo ha proposto un’esposizione a scaffale che riflette i criteri di scelta del consumatore e che faciliti la selezione e il processo di acquisto dei clienti. Il risultato? Il Category management ha contribuito a migliorare il trend delle vendite complessive a valore e di quelle non in promozione e a riportare in positivo il segmento delle birre analcoliche. Ma ha anche fatto diminuire l’out-of-stock e crescere il closure rate degli acquirenti target.

“Per chi guarda al Category management, il consiglio è continuare a investire sull’analisi degli acquirenti e aggiornarla costantemente per cogliere le evoluzioni nel loro comportamento e sfruttare strumenti più interattivi per raggiungere i target di acquirenti chiave” – ha concluso Veronica Maggioni, national account manager di Peroni.

Grande Distribuzione: per gli italiani è il settore che innova meglio 

Automotive, Fashion, Energia, Grande Distribuzione, Tecnologia, Food, Abbigliamento e attrezzature sportive, Banche e Assicurazioni, Telefonia & Internet: queste le nove categorie sotto la lente di Omnicom PR Group, che ha voluto scattare un’istantanea di questi settori e della loro reputation nel percepito dei consumatori.

Ne è emerso che Food (35,3%), Grande Distribuzione (30,3%) e Automotive (28,1%) sono stati giudicati i settori più vitali, in quanto registrano il miglior rapporto tra aspettative vs esperienze

Quanto alla brand reputation, si è visto che essa dipende solo per il 45% dai benefici provenienti da prodotti/servizi, per il 35% dall’impatto sociale della marca e per il 20% dai comportamenti dei vertici aziendali.

Ma quali sono i driver che concorrono a creare il percepito della marca e di un intero settore?

Lo studio ne mette in luce tre tipologie: quella afferente all’impatto sociale (35%), verificabile sulla base della cura dedicata ai dipendenti, sul contributo alla comunità in cui si opera, sul rispetto dell’ambiente. C’è poi quella attinente ai comportamenti aziendali (20%), sintetizzabili in: fare la cosa giusta (impegno a supportare cambiamenti su etica e trasparenza), imprimere solidità e coerenza alle performance finanziarie e operative, comunicare in modo più frequente e credibile. L’ultima tipologia di driver in grado di influire sulla percezione del brand è quella che attiene ai Benefici per i clienti ( 45%), come l’offerta di prodotti e servizi a maggior valore; la maggior attenzione al Customer care; l’attenzione ad  innovare prodotti e servizi

La Grande Distribuzione

Pur non arrivando a soddisfare pienamente le aspettative, la GDO è tra i settori analizzati quello che ha innovato di più e meglio nel corso dell’ultimo anno presentando un gap negativo tra aspettative ed esperienze di 46 punti.

Quali sono invece le aree dove i gap da colmare sono più significativi e che richiedono quindi una maggiore attenzione? Certamente l’offerta di servizi a maggior valore (-65), la cura del cliente e dei dipendenti (-59), così come l’attenzione verso l’ambiente (-64). Tutti fattori molto importanti che hanno un peso significativo nelle scelte dei consumatori.

Paragonato a molti altri settori, l’impatto sulla comunità genera una aspettativa maggiore, dato non certo inaspettato considerando l’indotto che generano le nuove aperture di punti vendita della Grande Distribuzione sul territorio e sulle persone che lo abitano.

Dai risultati emerge che i brand si stanno già muovendo in questa direzione, ma è essenziale che comunichino in modo chiaro e differenziante il loro ruolo sociale (“purpose”) e che agiscano poi di conseguenza, in modo coerente rispetto a quanto dichiarato.

 “Il consumatore oggi ha le idee molto chiare su ciò che vuole e ha aspettative molto alte, quasi irraggiungibili per alcuni aspetti, su ciò che i brand devono fare – spiega a questo proposito Daniela Spiezio, Business Manager – Consumer Product and Services, Entertainment Industry Lead di Omnicom PR Group Italia- . Partendo da questo presupposto, è facile comprendere perché il settore della Grande Distribuzione, pur ottenendo risultati positivi e di valore che gli consentono di posizionarsi al secondo posto per esperienza tra i settori analizzati, sia invece rappresentato da un grafico dove appare evidente che ci sia ancora molto su cui lavorare in alcuni ambiti. Il settore della Grande Distribuzione ha bisogno di accelerare, di evolvere e di innovare, anche per quanto riguarda l’ambiente. È essenziale comunicare e agire in modo coerente rispetto alle intenzioni e all’impegno espressi”.

 

Nota metodologica

Lo studio “Post-Invasion” ha analizzato la reputazione di 9 settori chiave dell’economia italiana, con 72 brand ad essi associati, attraverso le lenti attente di oltre 2.000 consumatori.

 

 

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