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Carmela Ignaccolo

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Mid-market: le imprese guardano oltre confine

Se la prima metà del 2020 è stato caratterizzato da un ripiegamento delle imprese di fascia media sul mercato nazionale (e come sarebbe potuto essere diversamente, viste le pastoie del lockdown?), la chiusura d’anno e il 2021 vedono invece una rinnovata apertura verso l’estero. Come emerge dallanalisi del network di consulenza internazionale Grant Thornton, Globalisation is go again”, nel secondo semestre del 2020 si assiste ad un nuovo slancio delle imprese del mid-market verso i mercati internazionali, con il 34% delle imprese fiduciose di aumentare i propri ricavi fuori dai confini nazionali (+8%) nei 12 mesi successivi, in netto aumento rispetto al dato del 26% registrato nei primi sei mesi del medesimo anno.

E l’Italia? Anche il nostro paese segue il trend globale, seppur con una crescita più contenuta (+6%), passando dal 18% al 24% nel secondo semestre 2020, seguita dall’Eurozona che, dopo il 21% registrato nel primo semestre, cresce di tre punti percentuali al 24%. Non solo, un numero significativamente maggiore di imprese prevede di aumentare il numero di dipendenti dislocati nei mercati esteri (29%, rispetto al 21% del 1° semestre 2020), e di ricorrere maggiormente ai mercati di sbocco (sia sul fronte dei clienti che su quello dei fornitori) internazionali (30% vs 24%) nei prossimi 12 mesi.

Uno sguardo al mondo

Questa spinta oltre confine non è però omogenea, ma presenta al contrario differenze al livello di aree e paesi. Vediamo più nel dettaglio: le imprese nordamericane stanno guidando la spinta all’internazionalizzazione, in particolare gli Stati Uniti con il 44% delle imprese impegnate ad espandere il proprio business all’estero (+16% rispetto il primo semestre), ed anche i mercati emergenti dell’America Latina (37%, dopo il 32% della prima metà dell’anno) e dell’ASEAN si stanno concentrando sulle opportunità offerte dall’internazionalizzazione (42% vs 35%). Al contrario, le imprese dell’APAC (17%) si sono mostrate più restie ad abbracciare questa nuova tendenza (registrando una crescita del 5%) come anche l’Eurozona dove, a causa del perdurare delle restrizioni e del blocco alle importazioni dall’estero, il dato è salito del solo 3%, passando dal 21% al 24%.

Il ruolo del Covid

Ma l’emergenza sanitaria è stata un ostacolo o  – al contrario – un catalizzatore de processo di internazionalizzazione? Anche in questo caso le opinioni non sono unanimi.

Circa un quarto delle imprese esaminate a livello mondiale (23%) sostiene infatti di aver iniziato ad incrementare la propria propensione espansionistica solo dopo l’inizio della pandemia, in Europa il 16% e in Italia si abbassa ulteriormente al 7%.Al contrario,  una quota maggiore (35%) ritiene che il Covid-19 abbia fornito una spinta ad accelerare i piani di internazionalizzazione, mentre il numero più alto (41%) ha dichiarato di aver modificato le politiche di transfer pricing nel corso della pandemia (Eurozona 33% e Italia 36%). Sia in Italia (39%) che nell’Eurozona (36%)  è più rilevante la percentuale di imprese che sono state attive sul piano della spinta all’internazionalizzazione già prima dell’arrivo della pandemia.

Dipendenti all’estero

Un’altra evidenza interessante che merge dallo studio di Grant Thornton mostra come le imprese abbiano aumentato la presenza dei propri dipendenti all’estero. A livello globale, il 41% delle imprese del mid-market identifica questa strategia come occasione per creare nuove opportunità, anche grazie all’uscita dal mercato (a causa della crisi) dei concorrenti. Il 37% associa tale fenomeno ai programmi di stimolo del governo alle iniziative di investimento nei mercati esteri (circostanza, questa, confermata anche dalla maggioranza delle imprese italiane e da quelle della zona Euro, entrambe al 36%). Altro importante incentivo all’internazionalizzazione per le imprese risiede nella domanda proveniente dai mercati d’oltre confine che, il 36% delle imprese, considera rafforzata a causa agli effetti della pandemia sul mercato esterno. Un altro 33% indentifica come opportunità in tale contesto la maggiore facilità nel trasferire prodotti e servizi a livello internazionale, e una quota leggermente inferiore, il 31%, ha imputato tale fenomeno  ai più bassi livelli di concorrenza.

Sbocchi esteri: i vantaggi

Analizzando il modo in cui il Covid-19 ha indotto il mid-market ad aumentare l’attenzione sulla catena di approvvigionamento e di sbocco internazionale, emergono anche qui una serie fattori determinanti: il maggior vantaggio risiede nella possibilità di assicurarsi prezzi e condizioni contrattuali migliori da fornitori e acquirenti stranieri, riferito dal 43% delle imprese (in Eurozona il 41% e in Italia il 42%), mentre il 41% identifica tale vantaggio nel maggior supporto governativo ricevuto durante lo stato di emergenza (in Eurozona il 37% e in Italia il 25%) .

Alla luce di questi scenari, questo il commento di Alessandro Dragonetti, Managing Partner – Head of Tax di Bernoni Grant Thornton: “La resilienza e l’agilità del mid-market mostrate durante la pandemia da Covid-19 hanno aiutato le imprese non solo a gestire al meglio la crisi che ne è derivata, ma altresì a saper cogliere nuove opportunità di crescita e a rivedere le proprie strategie. La spinta all’internazionalizzazione che ne è scaturita dimostra ancora una volta la capacità di prevedere e cogliere i cambiamenti del mercato e la volontà di restare competitivi, caratteristiche tipiche delle aziende del mid-market, che si sono sapute adattare rapidamente, trasformando le difficoltà generate dalla pandemia in opportunità. In tale contesto le imprese del comparto hanno saputo guardare alle potenzialità offerte dai mercati internazionali, sia sul fronte degli approvvigionamenti che su quello di sbocco dei propri prodotti e servizi. Sarà ora fondamentale, soprattutto in vista della imminente (speriamo) fase di ripresa, essere in grado di definire le giuste priorità a livello di piani strategici e decisionali. Taluni effetti della pandemia saranno, infatti, permanenti, cosicché il cambiamento sarà senza ritorno e tale circostanza imporrà una sempre maggiore propensione alla resilienza ed alla rivisitazione periodica dei programmi strategici”.

2020: anno d’oro per la Birra in GDO. L’analisi di IRI

Un 2020 positivo per il Largo Consumo Confezionato (+6,5% in volume e +7,6% in valore, considerando i canali Iper + Super + Libero Servizio Piccolo + Specialisti Casa e Persona + Discount), soprattutto grazie al contributo dei reparti Food e Home Care.

Discount e Specializzati Casa e Persona, sono stati i formati più performanti (a volume rispettivamente +10,3% e del +9,1%).

Mentre sul fronte prezzi si è registrato un calo generalizzato della pressione promozionale che si attesta al 24,8% (-2,3 punti rispetto al 2019) e un conseguente aumento dei prezzi medi (+1,1%).

In contrazione anche la profondità degli assortimenti, con la sola eccezione del Discount. Infine, come abbiamo più volte evidenziato, il 2020 ha assistito a un vero e proprio boom dell’e-commerce, che ha chiuso l’anno con un trend a valore pari a +119%.

Covid e bevande

In questo contesto, si registra un ottimo andamento per le Bevande nel canale Brick&Mortar (+4,4% a volume e +5% in fatturato).

La crescita è stata guidata dal mondo degli Alcolici con un contributo estremamente positivo da parte di tutte le categorie (incrementi in volume: Vino +5,6%, Spumanti +6,7%, Spirits +6,5% e Aperitivi +23,8%).

Un clima più rigido rispetto all’anno precedente ha invece influito negativamente sui volumi sviluppati dalle Bevande Analcoliche: in calo le Bevande Piatte -4,6% (Tea, Isotoniche, Acque aromatizzate), mentre restano in terreno positivo l’Acqua +1,9% (lo spostamento su formati più grandi a discapito dei formati da consumo fuori casa riduce il prezzo medio della categoria), i Succhi e i Nettari +1,4%, le Bevande Gassate +2,7% e soprattutto gli Energy Drink +10,8%.

Il mercato della birra

In quest’ambito, nel 2020 le vendite hanno superato per la prima volta il fatturato di 2 miliardi di euro (Totale Italia incluso Discount), consolidando anche in questo difficile anno la sempre maggiore centralità della categoria all’interno del comparto del Largo Consumo Confezionato.

Ancora una volta i risultati di fatturato (+10,7%) sono migliori rispetto al trend dei volumi, che restano comunque estremamente positivi (+9,0%). Questo dato è influenzato in particolar modo dalla diminuzione dell’attività promozionale che, seppure molto alta (49,8%), scende rispetto all’anno precedente (-2,6 punti).

Questa performance si spiega essenzialmente con lo spostamento dei consumi dal mercato del fuori casa, verso un consumo casalingo.

La razionalizzazione dello scaffale

Il fenomeno, attribuibile ai problemi logistici durante il periodo di lockdown ha coinvolto anche il mercato della Birra. Il segmento più colpito è stato quello delle Speciali che hanno registrato un calo di 10 referenze medie a scaffale a marzo e ad aprile; tuttavia il segmento ha continuato a mostrare una certa dinamicità (+18,9% a valore). La realtà delle Birre Speciali è ormai consolidata: a valore è infatti il secondo segmento del mercato con una quota del 18,9%.

Anche le Standard crescono molto velocemente (+9,5%), mentre le Birre Sophistication, che hanno un prezzo/litro leggermente superiore alle Birre Standard, mostrano dei trend positivi ma a tassi più contenuti (+5,9%). In crescita anche gli altri segmenti: Saving +7,1%, Beer Mix +3,9% e Analcoliche Light +4,9%.

In questo contesto, il Discount sta crescendo a tassi quasi doppi rispetto agli altri canali (+15,7% a volume), mostrando una spiccata vivacità sia a parità di rete che in termini di nuove aperture di punti di vendita.

Va sottolineato inoltre che tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 gli assortimenti medi a scaffale sono tornati in territorio positivo: un fattore che potrà sicuramente giovare al trend di tutta la categoria della Birra.

In linea con l’intero comparto del Largo Consumo Confezionato, anche per la categoria della Birra, l’innovazione è stata sostanzialmente azzerata nel 2020 e rimandata al 2021.

Le principali dinamiche del mercato

 

Anno 2020

Euro (mio)Var.
%
Quota Val.EttolitriVar.
%
Quota Vol.% Vol. PromoVar. P.ti
Birra2.05010,7100,011.048.0549,0100,049,8-2,6
Standard7599,537,04.670.9378,242,354,7-3,1
Sophistication3925,919,12.018.8815,318,360,1-2,7
Special Beer56818,927,71.814.03219,616,438,8-2,7
Saving2617,112,72.139.5806,519,420,53,6
Beer Mix393,91,9222.1155,02,025,1-5,8
Analc. + Light304,91,5182.50911,01,718,6-4,8

 Fonte: IRI InfoScan Census – Tot Italia + Discount (Dati Promo: Ita Iper+Super+LSP>100mq) – 2020

Promozione e comunicazione

Le difficoltà logistiche dovute al lockdown hanno causato un calo promozionale che si è verificato in tutti i segmenti ad eccezione delle Birre Saving: Standard -3,1 punti, Sophistication -2,7 punti Special Beer -2,7 punti, Beer Mix -5,8 punti e Analcoliche Light -4,8 punti.

Contemporaneamente anche la profondità di sconto e l’efficacia delle promozioni sono calate notevolmente e molte attività all’interno dei punti di vendita, come doppie esposizioni e/o teatralizzazioni che avevano caratterizzato le scorse stagioni, non sono state implementate durante il 2020.

Emerge, invece, un trend dei volumi molto positivo per il segmento delle Birre Analcoliche Light con l’obiettivo strategico di allargare le occasioni di consumo della categoria per incrementare il consumo pro-capite. La ricerca sulla qualità del prodotto delle Birre non alcoliche e una maggiore visibilità all’interno del Punto di Vendita sono alcune delle strategie volte a far crescere i consumi.

In questo scenario la comunicazione con gli strumenti canonici, ma anche attraverso lo sfruttamento delle piattaforme digitali sempre più popolari, continua ad avere un ruolo centrale.

Horeca e Cash&Carry: la situazione

A partire dal primo lockdown il mondo del Fuori Casa è stato e continua ad essere uno dei settori più penalizzati dalla crisi pandemica.

Il servizio di misurazione IRI Grossisti Bevande, evidenzia infatti come le vendite di questi prodotti, in crescita negli ultimi anni nel Canale dei Grossisti specializzati (Fonte: IRI Grossisti Bevande che monitora le Partecipate ed i Consorzi), chiudono il 2020 con un andamento dei volumi pari a -31,4%; il calo è generalizzato e non risparmia nessuna categoria. La Birra, che sviluppa il 37% del fatturato e che è considerata la categoria più rilevante, registra un -35,4% in termini di volumi e un -35,8% in termini di ricavi.

Differente la dinamica di sviluppo dei Cash&Carry che presumibilmente si riposizionano cambiando l’offerta, diversificandola dall’Horeca, in modo da allargare la propria clientela. In questo canale il comparto delle Bevande chiude il 2020 con un -0,9% in volume e un -13,3% in valore. Il gap è spiegato dal consistente aumento del peso dell’Acqua Minerale (la categoria meno costosa), a discapito delle altre categorie. Oltre all’Acqua solo gli Aperitivi Alcolici registrano un aumento delle vendite, mentre le altre categorie sono tutte in contrazione. La Birra rimane stabile in volume (-0,1%) ma perde in fatturato (-2,3%). Il calo del prezzo medio, a fronte di una pressione promozionale in contrazione, è dovuto al differente mix: cresce la fascia Mainstream a discapito delle marche Premium; aumenta la quota del vetro nel formato da 66cl e cala quella del formato da 33cl.

IdM: cauto ottimismo per il futuro. I dati dell’Osservatorio di Centromarca

Ottimisti ma con cautela: questo l’atteggiamento dei protagonisti dell’IdM, emerso dall’Osservatorio Congiunturale Centromarca. Basti pensare, per esempio, che l’impatto del covid sulle vendite viene visto negativamente da un 40% del campione, a fronte di un 48% più positivo. E ancora: per il 53% degli imprenditori, la crisi non ha impattato gli investimenti.

Inoltre dall’indagine prevale un’opinione favorevole sulla scelta dei governi guidati da Giuseppe Conte e Mario Draghi di adottare misure importanti dal lato del bilancio pubblico, anche se ci si sarebbe aspettato qualcosa di più e di diverso: il 58% dei capi d’azienda considera, infatti, che sarebbe stato possibile un utilizzo migliore delle risorse stanziate, mentre il 38% ritiene che sarebbero serviti maggiori sostegni alle imprese e ai lavoratori in difficoltà. A vedere tutto nero, infine, solo un 4%, che ha espresso una valutazione sfavorevole riguardo a questa impostazione, esprimendo preoccupazioni per la dimensione del debito pubblico del nostro Paese.

Vediamo i risultati nel dettaglio. Come anticipato, gli impatti della pandemia non sono stati uniformi nelle diverse IdM. Il 48% dei manager intervistati registra effettivi positivi per le vendite, potenzialmente continuativi secondo il 16% degli intervistati. Il 40% evidenzia effetti negativi, ma il 30% li considera transitori. L’impatto asimmetrico di Covid-19 richiede alle IdM strategie di risposta differenziate a seconda delle caratteristiche aziendali e del tipo di beni prodotti. Se si guarda alle prospettive, il 44% dei capi d’azienda prevede un aumento delle vendite, il 36% stabilità, il 20% diminuzione. La portata della crescita nei prossimi sei mesi dipenderà sia dal ritmo della campagna vaccinale sia dai provvedimenti adottati dall’esecutivo.

Investimenti

In quest’ambito, nonostante la crisi economica e l’incertezza delle prospettive, il 53% dei manager dichiara che la crisi Covid-19 non ha modificato gli investimenti aziendali; il 18% indica un impatto positivo. A trainare gli investimenti sono in particolare: innovazione di prodotto (58% dei rispondenti), introduzione di nuove tecnologie (32%), aspettative di vendita favorevoli (30%). Tra i fattori frenanti il 48% dei capi d’azienda evidenzia l’incertezza sull’evoluzione della pandemia, il 46% il timore di un generalizzato impoverimento dei consumatori italiani, il 40% incertezza sulle prospettive di medio termine.

Liquidità

Anche in questo caso le risposte lasciano intravedere un pragmatismo ottimista: 79% dei rispondenti giudica adeguato il livello di liquidità dell’azienda; il 18% lo considera alto; il 3% lo reputa insufficiente. Le evidenze dell’Osservatorio sono coerenti con le statistiche bancarie, che descrivono un’ampia disponibilità di credito alle imprese, a fronte peraltro di un significativo aumento del volume dei depositi bancari delle stesse. È un effetto dei finanziamenti della Banca Centrale Europea al sistema bancario e delle garanzie pubbliche al credito bancario. La volontà delle imprese di investire sarà assecondata nei prossimi mesi dalla disponibilità di risorse per finanziare gli investimenti programmati.

Ordinativi

Tenendo conto del periodo dell’anno, il 41% dei rispondenti giudica normale l’attuale livello del portafoglio ordini; il 28% lo colloca al di sopra dell’ordinario; il 30% inferiore. Le previsioni per i prossimi sei mesi sono di incremento per il 44% dei manager; di stabilità per il 36% e di diminuzione per il 20%.

Occupazione

Nonostante l’innegabile crisi occupazionale innescata dalla pandemia, risulta che la maggior parte dei manager intervistati (82%) esprime aspettative di stabilità del numero di addetti della loro azienda nei prossimi tre mesi; l’11% prevede un aumento degli organici; il 7% una diminuzione.

“I dati confermano la forza delle nostre industrie sul mercato interno ed internazionale”, commenta Francesco Mutti, presidente di Centromarca. “I risultati sono conseguiti grazie alla capacità di presidiare la fascia medio-alta dei beni di consumo e adottando strategie di costante upgrade qualitativo dei prodotti. L’IdM non esce ridimensionata dalla crisi del Covid-19: le imprese esportatrici hanno aumentato le quote sui mercati esteri, mentre quelle operanti soprattutto sul mercato interno hanno saputo reggere alla pressione competitiva”.

Nota Metodologica

L’Osservatorio Congiunturale Centromarca, redatto semestralmente – con il supporto di Ref Ricerche – dà voce alle valutazioni espresse dai capi d’azienda delle più importanti industrie alimentari e non food operanti in Italia. Fotografando il presente e le attese, rappresenta un punto di osservazione di primo piano per valutare le tendenze dell’economia italiana. L’indagine è stata svolta tra l’1 e l’11 marzo; l’elaborazione si è conclusa il 19 marzo.

La Libreria Feltrinelli s’illumina… d’Imoon

La Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte a Milano si trasforma grazie ai progetti di luce di Imoon e alle creazioni custom del suo brand Makris. La progettazione illuminotecnica del team interno Imoon di Lighting Designer è stata determinante per valorizzare gli oltre 45.000 titoli esposti, nonché i dischi e vinili dell’area musica&home video, animare le sfide virtuali nella sezione Comics & Games, esaltare il corner green di Potafiori e rendere unica la pausa nella caffetteria RED.

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WWG, Colmar e studenti dello IULM per un made in Italy sostenibile

Imprese e università stringono un’alleanza al fine di rendere ancora più sostenibile l’industria del made in Italy attraverso la condivisione di idee, la comprensione reciproca e il cambiamento delle forme di lavoro e pensiero. Ecco come nasce il progetto di open innovation della software house WWG che, per festeggiare i 10 anni di collaborazione con il marchio sportswear italiano Colmar, ha scelto di promuovere l’ecosostenibilità dei processi produttivi dell’azienda del made in Italy insieme agli studenti di  Strategic Communication rall’Università IULM di Milano.

Il percorso, cchiamato “Fieldwork”, permetterà a cinque team di studenti, di mettere in pratica nel campo del lavoro le competenze acquisite durante gli studi universitari, trasformandole in vere e proprie soluzioni e proposte di sviluppo aziendale sostenibile che potranno impattare concretamente sul futuro di una grande azienda.

Tra i principali obbiettivi della partnership, su cui Colmar vuole mettere in atto la propria crescita a livello di sostenibilità grazie ai risultati della campagna di open innovation, vi sono il miglioramento delle strutture, la promozione di una cultura green, la riduzione dell’impatto dei propri prodotti, grazie all’utilizzo di tessuti innovativi biodegradabili. Per assicurare la buona riuscita del progetto formativo curriculare i tre attori in gioco hanno messo a punto un brief dettagliato, stilato un calendario d’incontri a intervalli regolari per rendere sempre più efficace la collaborazione e messo in campo coach di livello internazionale per condividere una metodica agile di gestione dei progetti. Ma non è tutto: un sistema di gestione per obiettivi secondo il sistema degli OKR (Objective & Key Results) verrà fornito per migliorare le performance dei team in modo da testare, misurare e valutare rapidamente le idee.

Il pensiero a supporto del progetto

Ma qual è la visione che sta dietro alla nascita di questo progetto? “Suggerisco di considerare l’innovazione aperta come una filosofia o una mentalità che tutte le aziende possono sperimentare – ha spiegato l’ideatore del progetto Mohamed Deramchi, CEO di WWG – In passato abbiamo organizzato hackathon in università, iniziative di crowdsourcing e, più in generale, attività affini a tutto ciò che può aiutare i processi d’innovazione. In questo caso si collegano le risorse interne, quelle esterne e si trovano insieme delle opportunità. È la classica win-win situation che si deve sfruttare, soprattutto in tempi di crisi. Si possono gestire così progetti innovativi anche con budget minimi. Mi piace parlare di frugal marketing, ovvero fare qualcosa di grande partendo da poche risorse a disposizione”.

Sulla stessa linea d’onda anche gli altri componenti del team di Fieldwork. “Colmar non ha mai perso il carattere della grande famiglia, ancorata al proprio territorio, ma orientata al futuro. Vorremmo raccontare questo progetto non solo per dare risalto alle nostre linee di abbigliamento, ma soprattutto per comunicare l’impegno dell’azienda nel campo della sostenibilità ambientale – spiega Stefano Colombo, Sales & Marketing Director di Colmar – Il focus sarà sempre più sulla promozione di iniziative e temi green. Siamo molto curiosi di lavorare con gli studenti IULM che sicuramente troveranno i migliori strumenti e canali per promuovere questa iniziativa”. Un progetto che mira all’importante obbiettivo di far incontrare in maniera ancora più concreta e fruttuosa il mondo dell’istruzione con quello del lavoro: “Da sempre l’Ateneo IULM punta a unire il sapere con il saper fare, coinvolgere i nostri studenti in progetti reali commissionati dalle imprese è per noi parte integrante del processo formativo – ha sottolineato la prof.ssa Daniela Corsaro, docente associato di Marketing & Sales e Delegato del Rettore alle Relazioni Didattica-Imprese allo IULM –  Il Fieldwork con WWG e Colmar rappresenta un’opportunità unica per i nostri studenti sia al fine di cimentarsi su un tema centrale oggi come quello della sostenibilità, sia per apprendere una modalità di lavoro agile, fondamentale in contesti di mercato sempre più connotati da risorse scarse ma che, al contempo, richiedono una crescente velocità d’azione”.

Digitalizzazione e pagamenti: i 5 trend del prossimo futuro

La corsa alla digitalizzazione innescata dalla pandemia, si sta radicando nei comportamenti dei consumatori, dallo smart working, all’e-commerce fino alle transazioni di pagamento.

“La pandemia  – commenta infatti Paola Trecarichi, General Manager di HiPay Italia. – ha inevitabilmente dato una forte spinta ai pagamenti digitali in tutto il mondo. Aiutare i merchant a preservare il loro fatturato nonostante la crisi è diventato un leitmotiv per HiPay, e siamo riusciti a trovare soluzioni rapide per rispondere sia alle nuove necessità dei nostri retailer, sia ai nuovi bisogni dei consumatori finali”. 

Ma quali sono i trend principali in quest’ambito?

Una risposta giunge dallo studio effettuato dal Gruppo Fintech HiPay, che individua 5 precipui filoni di sviluppo.

Il primo è il pagamento user-friendly che può essere sia a rate sia secondo la modalità “compra ora e paga dopo”, formula molto apprezzata. Secondo FinExtra, infatti, il pagamento differito sta vivendo un rapido sviluppo: +56% tra il 2019 e il 2020. 

Il secondo filone è quello della Strategia 100% Multicanale. La tendenza verso il commercio unificato non è nuova. Tuttavia, la crisi sanitaria del 2020 ha evidenziato il fatto che molti rivenditori non avevano ancora implementato questa opportunità, perché non pensavano che avrebbe permesso ai loro clienti di esplorare i diversi canali senza problemi. L’epidemia e il successivo contenimento hanno portato ad un’accelerazione dell’innovazione e della digitalizzazione: il 68% dei rivenditori afferma che l’implementazione di una strategia omnichannel è una priorità entro 24 mesi – il 43% nel brevissimo termine (entro i prossimi 12 mesi).

Poi HiPay introduce il tema del Conversion rate e la PSD2: oltre alle questioni mramente tecniche l’entrata in vigore ufficiale della PSD2 avrà probabilmente un impatto sui conversion rate dei merchant. I “soft decline” (rifiuto della carta da parte dell’issuer di una transazione non conforme alla PSD2) sono stati introdotti nel 2020 e stanno gradualmente diventando più comuni, pertanto i merchant devono prepararsi ed informarsi con i loro fornitori di servizi di pagamento sulla tipologia di supporto che offrono. Anche il mobile rappresenta una questione centrale per le conversioni nel 2021. In effetti, la Strong Authentication avviene principalmente attraverso lo smartphone del consumatore. I merchant dovranno quindi attrezzarsi per affrontare le sfide dell’integrazione del mobile nel processo di acquisto.

Il quarto trend riguarda il Routing dinamico. Vista infatti la varietà dell’offerta, la crescente complessità e “l’affollamento” dei player, stanno emergendo nuove  soluzioni per la sicurezza dei flussi, note anche come Smart Routing. Il principio è semplice: avere diversi percorsi per lo stesso tipo di transazione, al fine di scegliere quello più efficiente in tempo reale. In concreto, questa nuova soluzione promette di aumentare il tasso di conversione globale dei merchant, garantendo l’utilizzo del miglior percorso disponibile.

Ed eccoci all’ultimo filone di innovazione nella panoramica dei pagamenti: quello del cambio di paradigma esplicitato dal binomio: Banca e fornitore di servizi di pagamento.

La regolamentazione del settore dei pagamenti da parte della Commissione Europea (PSD1 & PSD2) ha facilitato l’apertura del mercato alle fintech. L’innovazione e la rapidità di questi nuovi player, al servizio di esercenti e consumatori, è ormai consolidata. Seppur, gli operatori tradizionali restano ancora ben saldi all’interno del mercato dei pagamenti nell’UE, la creazione di tendenze di pagamento e la leadership nell’utilizzo, mostrano le società fintech come i precursori, sempre più attenti ai merchant e ai loro clienti.

Le realtà Fintech si confermano più specializzate e si concentrano maggiormente sulla risoluzione di alcuni punti sensibili legati al business dei brand; a volte sono considerati secondari dai player generali, ma in grado di fornire un reale valore aggiunto a specifici segmenti di clientela. 

 

La Mdd tocca quota 20% e sviluppa più di 11 mld di fatturato

Gli acquisti di prodotti alimentari a marca del distributore (Mdd) sono cresciuti anche nel 2020: +9,3%, raggiungendo una quota di mercato del 20% (+0,5 sull’anno precedente) pari a 11,8 miliardi di euro di fatturato (nel 2019 era di 10,8 miliardi di euro)*. Per la Distribuzione Moderna la filiera legata a questi prodotti ha dimostrato di essere un fattore che genera valore e una leva che può contribuire allo sviluppo economico del Paese, accompagnandone il rilancio secondo criteri sempre più sostenibili. Si calcola, inoltre, che nel 2020 abbiano fatto risparmiare alle famiglie italiane circa 2 miliardi di euro

Queste alcune delle evidenze proposte da ADM e  MarcabyBolognaFiere come anticipazione del Convegno del 24 marzo 2021 nell’ambito dell’edizione digitale della manifestazione.

Mdd e filiera

Conta circa 1500 industrie la filiera che produce la Mdd; di queste l’85% è rappresentato da piccole e medie imprese italiane. Come evidenzia il Position Paper di The European House – Ambrosetti “Dall’emergenza al rilancio sostenibile: il contributo della Marca del Distributore”, le insegne distributive selezionano le industrie partner seguendo vari criteri di produzione e packaging sostenibile. Tra questi, quelli più richiesti sono: attenzione nell’utilizzo di sostanze chimiche; garanzia di tracciabilità della filiera; tutela del benessere animale; riduzione della plastica e utilizzo di imballaggi riciclabili. 

Dalla survey realizzata da The European House – Ambrosetti risulta che la transizione verso modelli di produzione e consumo sostenibili è considerata una priorità strategica da oltre l’80% delle insegne distributive e delle aziende Mdd partner che hanno realizzato investimenti specifici o che li hanno programmati nei prossimi tre anni.

“La Distribuzione Moderna Alimentare – ha sottolineato Marco Pedroni, Presidente di ADM, Associazione Distribuzione Moderna – ha un peso economico e sociale per il Paese forse poco conosciuto dalle stesse Istituzioni: nel 2020 ha generato 143 miliardi di Euro di fatturato, sostiene direttamente 425.000 occupati e rappresenta il primo  canale per la spesa alimentare delle famiglie italiane. Ogni settimana 60 mio di consumatori entrano nei nostri punti vendita e anche nel difficile 2020 la Marca del Distributore (MMD) è cresciuta 3 volte di più dei prodotti dell’industria alimentare. Se il Paese vuole tornare a crescere deve sostenere i consumi interni, a partire dalla capacità di spesa delle fasce più deboli.”

“La Marca del Distributore spiega il 78% della crescita dell’industria alimentare nel mercato domestico negli ultimi 17 anni. Grazie alla sua relazione privilegiata con la società, il consumatore e la filiera di riferimento – ha detto Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti – la Marca del Distributore è uno dei pochi settori economici ad essere coinvolto su tutti i 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e su 71 dei rispettivi 169 target. La Marca del Distributore, ancor più nel 2020, è diventata una leva chiave per l’affermazione di un nuovo modello di Società che mette al centro il benessere dell’individuo”.

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MarcabyBolognaFiere: la road map del prossimo futuro

“La 17° edizione di MarcabyBolognaFiere si terrà, auspichiamo in presenza, il 23 e 24 giugno 2021 – ha dichiarato Gianpiero Calzolari, Presidente di BolognaFiere – ma è già partita, dal 15 marzo con l’adesione di operatori fortemente qualificati, la piattaforma digitale che accompagna aziende e buyer all’evento con occasioni di matching su scala internazionale. Sempre in avvicinamento all’evento, accanto all’appuntamento presentato oggi si terrà il 25 marzo, il Convegno ‘La Marca del Distributore guida il Rilancio Sostenibile in Italia e in Europa – I Distributori e i Produttori in azione’, che comprenderà la presentazione del XVII Rapporto MarcabyBolognaFiere, che analizza l’evoluzione dei prodotti Mdd, organizzato da BolognaFiere e ADM, in collaborazione con IRI e IPLC”.

Al convegno del 24 marzo 2021, che sarà trasmesso sul sito dedicato alla manifestazione fieristica, interverranno: Stefano Patuanelli (Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali); Stefano Bonaccini (Presidente, Regione Emilia-Romagna); Veronica De Romanis (Professoressa di Politica Economica Europea, Stanford University di Firenze e LUISS di Roma); Marco Pedroni, Presidente di ADM – Associazione Distribuzione Moderna; Gianpiero Calzolari (Presidente, BolognaFiere); Valerio De Molli (Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti); Massimo Viviani (Consigliere Delegato, ADM). Modera Andrea Bignami, SkyTg24.

Il Convegno in programma il 25 marzo 2021 amplierà il confronto allo scenario europeo: dopo la presentazione del XVII Rapporto MarcabyBolognaFiere sul Mercato 2020 dei prodotti a Marca del Distributore (a cura di Gianmaria Marzoli, Retail Solutions Vice President Iri), seguirà una sintesi dell’indagine, arricchita da testimonianze di alcune insegne non italiane, sulla sostenibilità della Marca del Distributore in Europa condotta per BolognaFiere da IPLC (a cura di  Paolo Palomba, Partner IPLC Italia).

 

*(Dati riferiti al Largo Consumo confezionato alimentare esclusi discount)

Consumatori e fedeltà ai brand: la ricerca Adyen

Pandemia e sicurezza, pandemia e fedeltà al brand. In che misura l’emergenza sanitaria ha messo in discussione gli equilibri pregressi? Se lo è chiesto Adyen, che ha realizzato in proposito una ricerca coinvolgendo 25.000 consumatori in Europa, Stati Uniti, Asia Pacifica e Brasile.

La prima evidenza riguarda il fatto che i consumatori, desiderosi di sicurezza e timorosi del possibile contato con estranei (49%) o di usare sistemi di pagamento NON contacless (54%), guardano oggi con grande favore all’implementazione di nuove tecnologie in store, considerate una possibile soluzione per ridurre il contatto interpersonale. Un’opzione per i retailer auspicata da oltre il 50% degli intervistati.

Ma gli effetti pandemici e del lockdown non si fermano qui: ma hanno anche contribuito in modo decisivo a ridefinire il livello di fidelizzazione verso i marchi. I i consumatori, infatti, dichiarano fedeltà soprattutto ad aziende che hanno continuato a far sentire loro la propria vicinanza anche durante lo scoppio della pandemia grazie all’offerta di servizi specifici. Il 73% degli intervistati, infatti, afferma che continuerà a scegliere di acquistare presso gli stessi brand anche nel post-covid. Anche la presenza del negozio di vicinanza rappresenta un vantaggio: il 67% dei consumatori internazionali dichiara di voler fare più acquisti presso i rivenditori locali perché possano rimanere aperti. Una tendenza che si estende anche all’e-commerce, con quasi la metà dei consumatori intenzionata ad affidarsi a realtà più locali anche per gli acquisti online. Un approccio flessibile verso i canali di vendita e la distribuzione rappresenta, dunque, un potente strumento di fidelizzazione del cliente. 

Coscienza sociale

La pandemia ha ha incrementato la consapevolezza sociale sull’impatto etico e ambientale prodotto da un singolo acquisto e ci si aspetta che i brand si adeguino. La tendenza verso una modalità di acquisto più responsabile è emersa chiaramente nella ricerca realizzata da Adyen: il 62% dei consumatori globali afferma che, a seguito della pandemia, il posizionamento etico di un merchant è diventato sempre più importante nella decisione finale delle loro scelte d’acquisto. E il 59% dice che farà il possibile per acquistare da aziende responsabili che hanno dimostrato una coscienza sociale. Tra le diverse soluzioni, Adyen mette a disposizione ai propri clienti Adyen Giving, un servizio che permette di donare ad una organizzazione benefica al momento del pagamento   – sia online che tramite app o in negozio – senza commissioni.

Philippe De Passorio

“Lo scenario attuale, caratterizzato dalla pandemia ancora in corso, rende difficile fare previsioni certe per il prossimo futuro” commenta Philippe De Passorio, Country Manager Adyen Italia. “Per i merchant diventa quindi fondamentale investire in un’infrastruttura tecnologica che permetta loro di andare incontro rapidamente alle mutevoli esigenze dei clienti. L’utilizzo intelligente della  tecnologia dietro ai pagamenti rappresenta uno strumento fondamentale per un efficace strategia di fidelizzazione e di client retention: le soluzioni contactless offerte da Adyen, come il pagamento tramite digital wallet o QR code, oppure il Pay by Link, che permette di finalizzare un pagamento tramite mail o mobile chat, contribuiscono a rafforzare il  senso di sicurezza e di controllo nel processo d’acquisto da parte del consumatore, e, in ultimo, a costruire relazioni durature con la propria clientela”.

 

Il treno del digitale corre sui binari dell’EDI. Il monitoraggio di GS1 Italy

L’Italia ha preso il treno della digitalizzazione, tra i temi-chiave del 2021. E l’EDI (Electronic Data Interchange) è uno dei principali vettori del processo di digitalizzazione del paese. Sono 19 mila le aziende che finora hanno adottato l’EDI, condividendo in modo digitale 240 milioni di documenti in un anno. Ma sono ancora poche e sono concentrate in soli cinque settori (il 98% delle aziende appartiene a largo consumo, automobilistico, farmaceutico, elettrodomestici ed elettronica di consumo). Quindi, la maturità digitale nei processi business-to-business è ancora tutta da conquistare.

Trend dei messaggi GS1 Edi scambiati nel LCC nel periodo 2014-2019

Ma quali sono i vantaggi dell’EDI per le aziende?

Come emerge dal “Monitoraggio dell’uso dell’EDI nel largo consumo in Italia”, realizzato da GS1 Italy in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, uno dei plus principali è un importante taglio dei costi: un produttore, infatti, può risparmiare dai 3 ai 5 euro per ogni fattura, dai 10 ai 14 euro per ogni ordine ricevuto e fino a 42 euro a ciclo se completa la dematerializzazione di tutti i documenti del ciclo dell’ordine; mentre un retailer può risparmiare tra 4 e 6 euro per fattura, dai 5 ai 7 euro per singolo ordine emesso e fino a 23 euro a ciclo. Inoltre, l’EDI può essere implementato in modo semplice se si adottano sistemi user friendly e a misura di PMI, come Euritmo, la soluzione web-EDI studiata da GS1 Italy, già usata da 7.500 aziende italiane per lo scambio dei documenti commerciali. Ma i costi non sono tutto: anche la prassi operativa se ne avvantaggia dal momento che, adottando lo scambio elettronico dei documenti (EDI) le imprese possono: ridurre gli errori, velocizzare i pagamenti e i tempi di consegna, eliminare le attività a scarso valore aggiunto (come il data entry), azzerare controlli e verifiche manuali per tutte le transazioni commerciali, diminuire le rotture di stock e le scorte, ridurre i contenziosi, migliorare la tracciabilità dei prodotti, esportare i prodotti.

 

 

Digital experience: i consumatori vogliono di più. Lo studio VMware

Nonostante durante la pandemia le esperienze digitali dei consumatori si siano numericamente  moltiplicate, in termini di soddisfazione la risposta non è altrettanto entusiasmante: dalla ricerca “Digital Frontiers – The Heightened Customer Battleground” commissionata da VMware, infatti, emerge che solo il 38% dei consumatori in Italia ritiene che le aziende con cui entrano in contatto forniscano ora un’esperienza digitale migliore rispetto a prima della pandemia.

Gli ambiti più deludenti

Secondo la ricerca, in particolare i mercati del retail, healthcare e servizi finanziari in Italia non sono riusciti a fornire esperienze digitali all’avanguardia. Esperienze che potrebbero includere l’introduzione della realtà virtuale e della realtà aumentata per uno shopping più immersivo, l’ottimizzazione dei percorsi di consegna per migliorare la velocità e la tracciabilità delle consegne online dalla fabbrica a casa, o lo sviluppo di un maggiore livello di personalizzazione delle app in base alla posizione del consumatore e al suo comportamento d’acquisto. A questo risultato va da pendant, invece, la propensione dei consumatori, progressivamente sempre più proiettati verso la digitalizzazione: lo studio, infatti, evidenzia come l’83% degli intervistati si definisca “digitalmente curioso” o “esploratore digitale”, confermando un’alta propensione e ricettività verso il digitale.

Un monito per le aziende

I dati emersi dovrebbero rappresentare sia un avvertimento che un’opportunità per le aziende: il 52% dei consumatori afferma infatti che sarebbe pronto a passare alla concorrenza se la sua esperienza digitale non fosse all’altezza delle aspettative e solo l’8% rimarrebbe fedele. E il 60% abbandonerebbe un sito o una app nel caso non riuscisse a risolvere immediatamente un problema – sia attraverso un chatbot, una chat dal vivo o direttamente al telefono. Anche le scelte etiche di un’azienda pesano nella scelta dei consumatori: il 48% degli intervistati smetterebbe di acquistare prodotti di aziende che non condividono pubblicamente le proprie politiche etiche.

Matthew O’Neil, Industry Managing Director, Advanced Technology Group di VMware ha commentato: “Non c’è dubbio che lo sviluppo di nuove esperienze digitali sia stato fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, mentre molte organizzazioni sono passate con successo al digitale, dalla nostra analisi emerge anche che molte non siano state in grado di offrire ai loro clienti nuove esperienze online. Le aziende che non riescono a concentrarsi sul miglioramento delle esperienze digitali rischiano di perdere clienti, mentre quelle che lo fanno bene hanno tutto da guadagnare”.

Le richieste dei consumatori

Le aspettative digitali dei consumatori non dovrebbero essere una grande sorpresa. Quello che cercano è:

  • Un elevato livello di sicurezza e protezione dei loro dati (60%)
  • Facilità d’uso su tutti i loro dispositivi (46%)
  • Applicazioni semplici ed efficaci (41%)
  • Maggiore velocità di servizio (30%)
  • Costante miglioramento dei servizi e alle esperienze offerti (28%)
  • Comportamenti impeccabili da parte dell’organizzazione (verso i propri dipendenti/società durante questo anno di cambiamento (22%).

Quanto agli strumenti utili al raggiungimento di questi obiettivi, i consumatori hanno larghe vedute: il 57% di essi accoglierebbe con favore un maggiore uso della realtà virtuale da parte dei rivenditori per capire meglio come i prodotti potrebbero apparire nelle loro case e il 38% considera il proprio smartphone il primo strumento per eseguire le transazioni finanziarie, percentuale che sale al 47% negli intervistati nella fascia di età 25-34 anni.

Ciò che è chiaro è che le organizzazioni non hanno margini per il fallimento. Nonostante il difficile contesto, solo il 34% dei consumatori oggi si sente più comprensivo e indulgente quando la prova di nuovi servizi digitali, volti a migliorare la customer experience, ha un esito negativo.

Alla luce di questa riflessione, Matthew O’Neil commenta: “Il 2020 è stato l’anno del digital switch. Nel 2021 i servizi digitali dovranno essere all’altezza delle aspettative dei consumatori. Questo significa creare, offrire e proteggere applicazioni, servizi ed esperienze per i consumatori affamati di digitale. E un passaggio dalla digitalizzazione al diventare digitale”.

Riassumendo, cosa abbiamo imparato e stiamo ancora imparando da questo stravolgimento della shopping experience? Come dovranno muoversi le aziende per restare al passo con la nuova domanda?

Ecco i 4 asset da cui, oggi, non si può prescindere:

  1. A fare la differenza nelle organizzazioni è ora la capacità di fornire applicazioni e servizi che migliorano l’esperienza dell’utente: questo è il nuovo campo di battaglia.
  2. Le organizzazioni non possono permettersi di mancare il bersaglio.
  3. La partita è tutta da giocare. E per accelerare ulteriormente il ritmo dell’innovazione, occorre semplificare il modo in cui le aziende affrontano questa grande opportunità.
  4. Digitalizzare non è più sufficiente. Si tratta di una vera trasformazione che mette le organizzazioni in una posizione privilegiata per sperimentare, innovare e sbloccare opportunità di crescita in questo nuovo ambiente

 

Metodologia

Questa ricerca è stata condotta tramite un sondaggio online, commissionato da VMware, su 6.109 consumatori in 5 Paesi: Regno Unito (2.069 intervistati), Francia (1.028), Germania (1.005), Italia (1.004) e Spagna (1.003). In questo sondaggio, ai consumatori è stato chiesto di valutare le loro esperienze digitali in cinque settori: vendita al dettaglio, sanità, servizi finanziari, istruzione e governo (locale e nazionale). YouGov ha condotto il sondaggio tra novembre 2020 e gennaio 2021

 

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