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Evolvation: come cambia il settore alimentare. A colloquio con Daniele Tirelli

Stili alimentari in profondo mutamento, complici i nuovi trend, le tecnologie sempre più raffinate e i complessi equilibri su scala mondiale, capaci di innescare processi inediti, pervasivi e  – in molti casi – persino destabilizzanti.

Una rivoluzione a tal punto radicale e imprevedibile che, per definirla in modo appropriato e rispettoso delle sue peculiarità, si è ricorsi a un neologismo: Evolvation.

Una crasi intrigante che sarà oggetto del convegno “FOOD EVOLVATION: learning to sell future’ nourishment”, in programma il prossimo 8 maggio all’interno di Retail Plaza, l’arena di dibattito organizzata durante TUTTOFOOD (fieramilano 6-9 maggio).

Per capire la portata dei cambiamenti in atto e le possibili ripercussioni sui mercati, abbiamo incontrato Daniele Tirelli, che in qualità di presidente del Retail Institute Italy, porterà sul palco del convegno la sua visione, frutto di un programma di ricerca d’avanguardia.

Professor Tirelli oggi il cambiamento ha un nuovo nome: Evolvation. Perché ricorrere a questa crasi?

Questa definizione esprime un concetto difficile, che fonde il termine EVOLution con quello di innoVATION. Il settore alimentare si differenzia per molti versi. Rispetto ad altri, è oggetto di un cambiamento molto ampio, diffuso e veloce. Osserviamo, così, un continuo mutamento dei tratti dei prodotti esistenti sul mercato, che rimanda al concetto di evoluzione epigenetica o lamarckiana. Si tratta di un adattamento continuo e progressivo all’ambiente, cioè ai gusti mutevoli dei consumatori. D’altra parte, non mancano innovazioni radicali, che potremmo paragonare alla ‘speciazione’, ovvero alla comparsa di nuove entità prima inesistenti. Questi due aspetti sono molto confusi nella teoria e nella prassi corrente del marketing e generano fraintendimenti nelle tecniche di lancio di nuovi prodotti, che possiamo definire semplicistiche e confuse, allo stesso tempo. Infatti, gli 8 lanci su 10 che falliscono dipendono dai grandi malintesi sul loro time-to-market, e vengono, pertanto, uccisi prematuramente dai loro creatori.

Come, in che misura e a quale velocità sta cambiando il settore alimentare?

La velocità del processo evolutivo-innovativo, in questo campo, è influenzata dalla pressione di molteplici forze: a) la ricerca scientifica e tecnologica applicata all’agro-alimentare; b) la propulsione commerciale dei mercati globalizzati; c) la cultura popolare influenzata dal sistema mediatico. In breve, è più facile creare nuovi prodotti con i loro processi produttivi. Le diverse “civiltà alimentari” operano, sempre di più, scambi reciproci delle proprie risorse. Il tema dell’alimentazione è al centro dell’attenzione di miliardi di consumatori e assume, a volte, anche forme parossistiche grazie ai formati televisivi e alle altre forme di comunicazione.

Su scala mondiale, che sono sono i vessilliferi del cambiamento?

Certamente le grandi multinazionali del settore sono ancora gli artefici della Food Evolvation. Infatti, sono in grado di cogliere molti elementi destrutturati di novità e di inglobarli nel loro portafoglio-prodotti e, quindi, di commercializzarli su ampia scala secondo le tecniche del marketing internazionale. L’elenco sarebbe lungo, ma basterà citare ciò che accade nel campo delle bevande, sempre più orientate al funzionalismo. Per quanto riguarda lo scenario internazionale, è  certo che i flussi più importanti stanno scaturendo dalle nazioni del Far East e anche dal Sud America, almeno dal punto di vista dell’ingredientistica e delle ricettazioni. Penso  agli epicentri quali l’India, l’Indonesia o le Filippine.

Si punta sulla funzionalità

E chi i gregari?

Sono convinto che, pur nella reciprocità degli scambi consentiti dalla “globalizzazione”, il mondo Occidentale riceverà molti più contributi di quanti ne possa fornire alle gigantesche realtà demografiche dei paesi in pieno sviluppo. Al di là dei pregi delle tradizioni gastronomiche europee, le produzioni agricole asiatiche combinate alle soluzioni culinarie di quelle nazioni, incideranno sempre di più sulle diete del Vecchio Continente oltre che degli USA. A me piace dire che le tradizioni degli altri, agli occhi di chi le scopre e impara ad apprezzarle, diventano delle “innovazioni”, anche se tali non sono.

 

Acini oblungi e apireni, frutto di un’attenta selezione

Quanto le nuove abitudine al consumo sono condizionate dalla Evolvation e quanto, al contrario, la condizionano?

La spettacolarità dell’evolvation è la sua spontaneità. La cultura neo-positivista che prevale in Occidente tende a vedere le abitudini di consumo come frutto di una razionalità che deve essere controllata attraverso la precettistica calata dall’alto dai vari esperti. In realtà, la combinazione di varie soluzioni ristorative e di canali specializzati nell’alimentare nelle grandi città, fa sì che, impercettibilmente, ogni giorno, si creino delle occasioni esperienziali grandi e piccole verso cibi meticciati, diversi da quelli abitudinari. Un esempio è il successo tra i giovani del melange della Hawaiian Poke Bowl. Un altro aspetto è la frattalizzazione che avviene in tutte le classi di prodotto. Pensiamo al sale. La commodity per antonomasia, in poco tempo, si è frazionata in tante alternative legate all’origine: le Hawaii, l’Himalaya, la Persia, ecc. Pensiamo ai mieli monoflorali: di ciliegio, anice, mandarino, cotone, erica, ecc. Il numero delle alternative cresce in modo più che proporzionale in ogni comparto, mentre la distribuzione classica evidenzia grandi difficoltà nel fronteggiare questa esondazione di referenze.

Come cambieranno, da qui a qualche anno, gli schemi gastronomici mondiali?

Il fenomeno di maggior rilievo, nella storia dell’alimentazione moderna, è stato indubbiamente lo “scambio colombiano” conseguente alla scoperta di un altro continente. Per realizzarsi pienamente ha impiegato alcuni secoli. La caduta del comunismo, che ha aperto la via ai liberi commerci su scala planetaria, ha fatto sì che, in poco tempo, tutti i continenti abbiano cominciato ad interagire con tutti gli altri. Vi sono state condizioni per cui (si pensi ai decenni di prezzi del petrolio contenuti) sono cambiati i vettori  del commercio (si pensi alla crescita ininterrotta dell’ortofrutta in contro-stagione, consegnata per via aerea e raccolta al giusto punto di  maturazione). Insomma, assisteremo ad una grande fusione di stili e di basi gastronomiche. Se in Asia si comincia ad apprezzare l’olio d’oliva, in occidente si diffonderà la cucina a base di cocco. Egualmente le sofisticatissime ricette ayurvediche colonizzeranno l’arcipelago delle culture occidentali vegetariane e salutiste. Il fenomeno grandioso consiste nel fatto che i popoli si conosceranno sempre meglio, scambiandosi le ricette e le soluzioni ritenute migliori.

Recente incrocio di prugna e albicocca

Quali i principali asset di questa trasformazione?

Superfluo dire: una distribuzione adattata a queste enormi pressioni commerciali. Io prevedo un grande ruolo per aziende come Amazon.com e Ali Baba che oltre al network con i consumatori finali hanno un asset straordinario nella loro organizzazione logistica. La loro vera forza si esprimerà non tanto e non solo nel servizio “globalizzato” ai consumatori finali. Il grande impatto verrà dalla capacità di sostituirsi al “grossismo” tradizionale, per servire una fitta rete di piccoli punti di vendita specializzati, che opereranno nel tessuto sempre più intricato e inaccessibile dei centri metropolitani culturalmente e umanamente cosmopoliti. La loro strana inversione strategica, che è consistita nel cercare prima la clientela familiare che non il piccolo dettaglio, li ha messi in grado di risolvere, meglio di altri, il problema logistico che risulta molto più rilevante del CRM e delle problematiche del front-end. Spostare i prodotti alimentari da ogni parte del mondo, in quantità crescenti, mantenendoli integri e sani e a prezzi accessibili è una conquista spettacolare e stupefacente. Ed è questa il fondamento della Food Evolvation.