Starbucks punta sulla responsabilità sociale d’impresa “locale” e apre nel Queens a New York il suo primo community store, negozio incentrato sulla vita della comunità: ne seguiranno altri 15. È un trend crescente nel retail, inaugurato da Nike a Brooklyn, quello di aprire un punto vendita “localizzato” in zone disagiate della città e che alla comunità offre non solo prodotti ma anche servizi e un luogo di aggregazione che, in qualche modo, ha l’ambizione di porre un argine alle difficoltà economiche e sociali vissute dalla popolazione che orbita nelle vicinanze.
A Queens i corsi vertono su food, servizio e ristorazione: “Stiamo adattando il nostro know how per dare un’opportunità ai giovani del quartiere. Li formeremo perché possano intraprendere carriere nella ristorazione e nel settore alimentare – spiega Ben Thomases, direttore esecutivo dell’organizzazione Queen’s Community House -. Starbucks è nota per la qualità del suo servizio e sappiamo che queste abilità possono essere trasferite a una serie di posizioni nella ristorazione, ma anche altrove.” Il focus è sulla responsabilità sociale, sull’impiego di mano d’opera locale (che tra l’altro conosce il luogo e ha contatti con i clienti spesso diretti) ma anche sulla personalizzazione del punto vendita che si vuole legato al genius loci, anche se in qualche modo risulta standardizzato per il solo appartenere a una catena. Ci stiamo allontanando anni luce dall’ottica McDonald’s di trovare lo stesso panino (e lo stesso layout) ovunque nel mondo (e lo sta capendo anche McDonald’s).