Protocollo di Milano, la Gdo e il cibo tra fame, spreco e obesità

Franco Sassi, OCSE, Lynn Marmer di Kruger, Richard Black di PepsiCo, Adam Drewnowski e Alex Thomson alla sesta edizione del Forum Internazionale su Alimentazione e Nutrizione.

Ciò che si mangia, l’obesità dipende dalla disponibilità economica, dal grado di istruzione ma anche dal supermercato dove si fa la spesa. Parola di Adam Drewnowski, Direttore del Center for Public Health Nutrition e Professore di Epidemiologia, School of Public Health, Università di Washington che ha partecipato al sesto International Forum on Food and Nutrition organizzato dalla Fondazione BCFN presso l’Università Bocconi di Milano. Sullo sfondo, un dato incontrovertibile; oggi l’obesità per la prima volta nella storia causa più morti della fame.

Il legame strettissimo tra alimentazione e salute è ormai di dominio pubblico e oggetto di varie campagne istituzionali, che hanno aumentato la consapevolezza di ampie frange di consumatori nei Paesi sviluppati. Ma anche il privato può fare molto, e la grande distribuzione in particolare, in positivo e in negativo. La firma di Coop del Protocollo di Milano è un passo importante in questo senso, e del resto il senso del Protocollo è proprio questo: portare tutti insieme verso l’obiettivo di un approccio più giusto, corretto e sostenibile alle riserve di cibo del pianeta, che raggiungerà nel 2050 i 9 miliardi di individui.

Il fatto che il cibo dannoso costi molto poco è parte del problema. E in questo, è necessaria una riflessione da parte di ristorazione e distribuzione. Un attacco al consumerismo è venuto dal professor Timothy Lang, Professor of Food Policy alla City University di Londra, che propone di integrare le conoscenze ambientaliste e quella sulla salute pubblica che abbiamo sul cibo e renderle comprensibili a tutti. C’è anarchia nei consigli ai consumatori, “si spendono più soldi in UK per pubblicizzare bevande gassate che per educare alla salute: 500 milioni di sterline. Le tradizioni culinarie nel XX secolo sono state in gran parte distrutte. Credo che ogni Paese, regione, città debba inventarsi una propria dieta sostenibile. Nuove regole per mangiare nel XXI secolo, diverse a seconda dei luoghi anche se sottintendono una stessa conoscenza scientifica dell’ambiente e della salute”.

"Per la vostra salute mangiate 5 frutti o verdure brutte al giorni": la versione di Intermarché del "5 a Day".
“Per la vostra salute mangiate 5 frutti o verdure brutte al giorno”: la versione di Intermarché del “5 a Day”.

Cosa può fare la Gdo per risolvere il problema? Alcuni esempi li ha dati Alex Thomson, moderatore e giornalista di Channel 4. “Piccoli passi che per essere realmente incisivi devono essere inseriti in una struttura che comprenda i governi e le istituzioni”.

Tesco e altre catene di supermercati inglesi hanno deciso di ridurre entro il 2020 la percentuale di spazzatura mandata in discarica all’1% e hanno anche rilasciato dati sullo spreco: due terzi delle insalate e metà dei prodotti da forno vengono buttati. Le insegne francesi hanno smesso di esporre dolci e caramelle vicino alle casse. La catena francese Intermarché ha dedicato alle “verdure brutte” che non possono essere vendute nei supermercati una campagna pubblicitaria di successo. La proposta è di venderle a prezzi scontati perché, a parte l’estetica, non hanno nulla che non vada: un modo per ridurre lo spreco insensato che potrebbe, già oggi, se recuperato globalmente, nutrire il pianeta. “È giusto che il marketing, che ci ha cacciato in questa situazione assurda, ora ci aiuti ad uscirne” ha detto Thomson nella sua appassionata introduzione. Walmart non solo ha ridotto la quantità di sale e  zucchero nei suoi prodotti private label, ma ha anche deciso di acquistare da piccoli produttori indipendenti in Costa Rica.

PepsiCo si è impegnata a ridurre del 25% gli zuccheri nei soft drink entro il 2020. “È una grande opportunità – ha detto Richard Black, Global R&D Nutrition Vice President – perché se pensate che ogni giorno vengono consumati oltre un miliardo di prodotti PepsiCo nel mondo, capite quanto possiamo influenzare la salute di milioni di persone”, nel male ma anche nel bene.

“L’importante è che la gente possa scegliere. Quello che facciamo noi? Abbassare i prezzi sui prodotti freschi, frutta e verdura in particolare, la gente sta richiedendo cibi meno lavorati e più freschi, e pensiamo che parte della sfida contro l’obesità riguardi la possibilità di accesso e la disponibilità economica. Inoltre, abbiamo sensibilizzato i nostri dipendenti e le loro famiglie, che sono migliaia perché siamo il sesto gruppo degli USA per numero di impiegati, dando loro informazioni su uno stile di vita sano, spingendoli a fare screening ed esami e abbiamo dato loro incentivi nel momento in cui raggiungevano alcuni obiettivi circa la loro salute. Infine, abbiamo creato una comunità con camminate e concorsi di cucina. Credo che nel mondo del retail stiano succedendo molte cose, i prodotti stiano cambiando e anche l’attitudine dei consumatori” ha detto Lynn Marmer, Vice Presidente, Gruppo Kroger, insegna americana che ogni anno dona tonnellate di alimenti che andrebbero sprecati alle banche del cibo.

Per una volta però, non guardiamo all’estero. Come ha detto Alex Thomson, “l’Italia ha un ruolo chiave da giocare, perché la sua cultura e la sua cucina sono quelle che hanno il maggiore impatto a livello globale”.

Anna Muzio