
Starbucks arriva in Italia, a Milano dove probabilmente a primavera aprirà il suo primo punto vendita, sotto la possibile egida di Antonio Percassi, che tramite il suo gruppo in Italia ha già portato Zara, e, recentemente, Victoria’s Secret (sempre a Milano). La notizia, anticipata dal Corriere della Sera settimana scorsa, è rimbalzata sui media di tutto il mondo, che unanimi si sono fatti la domanda: ma come farà la catena decollata 30 anni fa con l’intento dichiarato di replicare il modello del bar italiano a “funzionare” proprio nella patria del caffè?
Il nome, certo, diffuso oggi in 68 Paesi con 22.519 punti vendita, attirerà molti curiosi. Ma la carta vincente potrebbe essere soprattutto l’esperienza di acquisto veramente unica (almeno per l’Italia) che vede la tecnologia in primissimo piano. La catena di caffetterie americana è stata la prima ad esempio a consentire di pagare il conto tramite smartphone, evitando di fatto le code alla cassa. Oggi si può ordinare via app e trovare tutto, dal caffè all’intero pranzo, pronto all’arrivo in negozio. La presenza del wi-fi gratuito (e di qualità) è tutt’altro che “di facciata”, tanto che la compagnia negli States ha lasciato AT&T e attivato un accordo con Google per potenziare il servizio. E sarà apprezzata dalle fasce più giovani (ma non solo) la possibilità di fruire di contenuti audio grazie ad accordi con Google Play e, da quest’autunno negli USA, con Spotify, con playlist a disposizione dei clienti preparate dagli addetti al punti vendita.
Anche l’ambiente si rinnova e lascia il segno, come mostra il caso recente di Starbucks di Upper St. Martin’s Lane, a Londra: si entra accolti da un “ospite” che invita a sedere, niente coda alle casse e possibilità di ordinare “in qualsiasi momento e da qualsiasi posto grazie a dispositivi mobile”. A disposizione dei clienti anche le ricariche wireless, mentre la comunicazione si avvale di schermo digitali e proiezioni sui muri. Tutto è a vista, dalla cucina al bar al caffè stesso che, grazie a vetrate a tutta parete, è aperto sulla strada e che alla strada guarda (un po’ come ai tavolini sulla famosa “piazza italiana” cui si è inspirato 30 anni fa l’Ad di Starbucks Howard Shultz).
Più difficile fare una previsione sul successo dei vari Frappuccini, Shakerati, Latte e Mocha (ci chiediamo se manterranno li stessi nomi “di fantasia” ispirati ai classici italiani). Ma difficilmente l’azienda si farà cogliere impreparata sull’espresso, che però al momento da Starbucks costa tre volte quello italiano.
In Europa Starbucks è presente in 24 Paesi e in Germania, grazie a un accordi con REWE, aumenterà la sua presenza passando proprio per la GDO, in supermercati ed ipermercati REWE a partire dal 2016.
Il primo Starbucks insomma potrebbe aprire a Milano (l’azienda americana per ora non commenta, ma ammette indirettamente la trattativa con il Gruppo Percassi), in centro, puntando almeno inizialmente su manager cosmopoliti, appassionati di tecnologia e del brand.
Tutt’altro target sembra aver invece scelto Domino’s, altra primaria catena a stelle e strisce che propone un altro prodotto sommamente italiano: la pizza.
Se Milano, tirata a lucido e globalizzata dall’esperienza Expo, resta la porta d’ingresso per le novità estere, tutt’altra location è stata scelta: Bisceglie, periferia ovest. In ogni caso sono previste altre due/tre aperture a breve, per una sfida al mercato che appare ancora più complessa, data la brand awareness molto meno forte. Anche se un asso “tech” nella manica Domino’s ce l’ha: la possibilità di ordinare e farsi consegnare a casa la pizza con un apposito emoji via Twitter (ma non ancora in Italia, of course).