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M&A, i fondi di private equity trainano le operazioni nel primo trimestre dell’anno

Nei primi tre mesi del 2024 sono state poco più di 2.300 le operazioni a livello globale di M&A con un controvalore di circa 200 miliardi di dollari: un dato che, seppur più basso rispetto a quello degli ultimi anni, rimane decisamente superiore ai livelli pre-pandemia, confermando il trend di un ritorno a un’attività di M&A più “normale” rispetto ai livelli straordinariamente elevati dovuti al rimbalzo economico post-pandemico. A dirlo è il report periodico Horizons, diffuso da BDO, organizzazione internazionale che si occupa di servizi alle imprese.

Tra gli attori più vivaci si mantengono i fondi di private equity, essendo stati coinvolti in più del 36% del totale delle operazioni del trimestre, rappresentando oltre il 30% del valore complessivo delle fusioni e acquisizioni. Il dato ha sicuramente giovato della diminuzione dell’inflazione e delle indicazioni che suggeriscono che i tassi di interesse abbiano raggiunto il loro picco e che verranno tagliati nel prossimo futuro. Per quanto riguarda l’analisi settoriale, il confronto con l’ultimo trimestre del 2023 mostra una decisa diminuzione delle operazioni nei comparti Business Services, Energy, Estrattivo e Utilities e Real Estate, tutti con contrazioni di oltre un terzo, mentre nel settore Financial Services la diminuzione dei deal è stata di circa il 25% rispetto ai tre mesi precedenti. Hanno invece mostrato una maggiore resilienza i comparti Leisure e TMT (Technology, Media, Telecom) con un calo del 5% rispetto al Q4 2023. Il confronto con lo scorso anno mette inoltre in luce una diminuzione dell’attività M&A in Cina e, in generale, nel mercato asiatico, con una contrazione superiore al 30% del numero di deal nel primo trimestre 2024. Più incoraggianti i dati relativi al Nord America e all’Europa, dove la diminuzione si è fermata al 3%.

Le previsioni per i prossimi trimestri indicano che il numero di operazioni, alla fine del 2024, potrebbe attestarsi intorno a 6.500 rispetto alle circa 8.000 del 2023. Qualche indicazione positiva arriva però dal Nord America, che rappresenta circa il 30% del totale delle operazioni di M&A nel mid-market a livello globale, dove si sta registrando un’attività più alta delle previsioni nella maggior parte dei settori, in particolare TMT e Industrial & Chemicals. Inoltre, la situazione globale potrebbe migliorare grazie a un maggiore contributo da parte dei fondi di private equity, che dovrebbero aumentare i loro investimenti, soprattutto in caso di una diminuzione dei tassi di interesse. Potrebbe inoltre essere un ottimo momento per i buyer strategici per essere attivi sul mercato, soprattutto con investimenti di medio-lungo termine e ottenere così benefit dal punto di vista del pricing. Ci si aspetta, inoltre, che i mega-trend globali legati alla digitalizzazione e alla sostenibilità saranno tra i principali driver anche delle operazioni M&A.

“Nonostante il livello dei volumi e del valore delle operazioni di M&A nel mid-market a livello globale siano inferiori rispetto ai trimestri precedenti, si notano importanti segnali di stabilizzazione nel mercato, con un ritorno dei private equity buyer, una diminuzione dell’inflazione e la convinzione che i tassi di interesse siano prossimi a scendere. Tutto questo fa presagire che l’attività di fusioni e acquisizioni possa proseguire con buoni ritmi lungo tutto l’anno, mantenendosi su livelli superiori rispetto al periodo pre-covid” ha detto in merito Stefano Variano, Partner Advisory di BDO Italia.

Global Risk Landscape 2022, lo studio di BDO

BDO, una delle principali organizzazioni internazionali di revisione e di consulenza aziendale in Italia e nel mondo, ha pubblicato i dati relativi all’indagine Global Risk Landscape 2022, svolta su un campione di 500 C-level in tutto il mondo, che esplora le modalità con cui i manager si stanno concentrando sulla resilienza, efficienza e sostenibilità delle supply chain all’interno di un quadro globale dominato dall’incertezza, causata dalle tensioni geo-politiche, dalla crisi climatica, dagli strascichi della pandemia e dalle minacce derivate dagli attacchi informatici.

Secondo lo studio, le conseguenze legate al COVID-19 e alle misure per il suo contenimento hanno continuato a far sentire i loro effetti fino ad oggi, in particolare sulle supply chain, tanto è vero che il 48% degli intervistati ha riportato gravi interruzioni nella catena di approvvigionamento negli ultimi 18 mesi. Per trovare una soluzione a questi problemi, il 59% del campione ha creato delle supply chain alternative rispetto a quelle già esistenti, mentre un ulteriore 23% intende farlo nel corso dei prossimi 18 mesi. La metà dei rispondenti ha inoltre dichiarato di aver accorciato le catene di approvvigionamento, tramite anche il reshoring delle attività, e il 40% ha introdotto tecnologie di analisi dei dati relativi alla supply chain per permettere una loro migliore efficienza.

In questo contesto, il Global Risk Landscape ha fatto emergere che il principale fattore di rischio per le aziende è costituito dalle tensioni geo-politiche, indicate dal 78% degli intervistati. Questo fattore risulta legato al conflitto in Ucraina e alle conseguenti sanzioni che hanno colpito attività e patrimoni russi: a questo proposito, la survey di BDO ha rilevato che il 55% del campione ha stretto accordi con nuovi fornitori per cercare di mitigare gli effetti della guerra in Ucraina. Un altro elemento di incertezza emerso dalla ricerca è legato ai timori di una guerra commerciale fra USA e Cina, che porterebbe a un ulteriore peggioramento del quadro internazionale.

La seconda maggior fonte di rischio è rappresentata dalla trasparenza delle catene di approvvigionamento, come dichiarato dal 75% del campione. Una sua mancanza porta infatti a un crescente rischio reputazionale per l’azienda, per non essere in grado di raggiungere gli alti standard etici ormai richiesti dai consumatori, e a una maggiore difficoltà di comprendere e affrontare le sfide a livello regionale e locale, portando così a perdite in termini di denaro e tempo.

Il terzo maggiore rischio individuato dalla survey risiede nella minaccia degli attacchi informatici alle supply chain, indicato dal 72% dei rispondenti. Per prevenire e affrontare questa potenziale fonte di criticità, il 67% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver effettuato investimenti nella digitalizzazione della catena di approvvigionamento negli ultimi 18 mesi e il 51% ha aumentato le risorse disponibili a seguito dello scoppio del conflitto in Ucraina.

Solamente il 22% del campione ha invece indicato i cambiamenti climatici e gli eventi meteorologici estremi fra le più alte priorità di rischi per il business, evidenziando un basso livello di priorità da parte di manager e organizzazioni per questi aspetti, in grado, però, di poter generare danni a livello finanziario e reputazionale. Inoltre, solo il 23% degli intervistati ritiene che gli eventi naturali avversi potranno avere un impatto significativo sulle attività aziendali e il 14% ha definito piani e processi per mitigare le possibili interruzioni alle supply chain causate dai cambiamenti climatici.

Infine, un’area di miglioramento nella gestione dei rischi per le organizzazioni è legata allo status dei Chief Risk Officer (CRO) nell’organigramma aziendale: lo studio di BDO ha infatti evidenziato che nel 29% delle aziende intervistate il CRO non fa parte del top management. A livello globale, tra le regioni in cui gli specialisti di gestione dei rischi occupano un posto nella direzione aziendale ci sono il Medio Oriente (nel 72% dei casi) e USA (nell’80%). In Europa questa percentuale si ferma al 44%.

UN FOCUS SULL’EUROPA
L’analisi dei dati relativi ai 100 manager C-level intervistati da BDO all’interno dell’area europea mostra che il 68% di essi individua il maggiore fattore di rischio per le organizzazioni nel conflitto in Ucraina, che ha portato un significativo aumento dei costi delle materie prime e delle fonti energetiche e una crescita dell’inflazione, oltre a difficoltà nell’approvvigionamento di semilavorati.

In seconda posizione, con una quota del 60%, si trovano i timori di un rallentamento dell’economia e di un recupero più lento del previsto dopo l’impatto della pandemia, che non viene più percepito come principale elemento di rischio in Europa grazie anche all’alto tasso di vaccinazione nel continente.

La survey ha inoltre mostrato che i manager europei hanno una sensibilità verso le questioni ambientali e il cambiamento climatico di gran lunga superiore rispetto alla media globale: i rischi derivati da eventi naturali imprevedibili e estremi sono stati infatti indicati dal 59% del campione, rispetto al 22% del dato globale. Questo perché l’EU Green Deal sta introducendo i fattori di rischio ESG nel risk management degli operatori dei mercati finanziari con il preciso scopo di impattare nella sostenibilità dell’economia reale; attraverso la leva della finanza sostenibile.

Gli intervistati europei non sembrano invece essere particolarmente preoccupati dalle minacce di attacchi informatici: solo il 42% ha dichiarato di aver aumentato gli investimenti in cybersecurity per mitigare i rischi di interruzione della catena di approvvigionamento in seguito al conflitto in Ucraina, rispetto al dato globale del 51%, e solo il 13% li ritiene il rischio principale per le organizzazioni.

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