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Out of stock e vendite perse, scenario difficile per il largo consumo

Dopo un 2022 particolarmente complesso e difficile per le aziende, tanto da aver fatto ripartire il fenomeno degli “scaffali vuoti” (3,7% di tasso di out-of-stock) e aver aumentato le vendite perse (arrivate al 5,1%), il primo trimestre 2023 ha confermato questo trend: il tasso di out-of-stock è aumentato di +0,2%, arrivando al 3,5%, interessando in modo crescente i prodotti e le categorie a più alto valore unitario, per cui la gestione della profondità assortimentale è diventato un fattore critico. Questo ha determinato una crescita di +0,6% delle vendite perse che hanno toccato quota 4,7%.

Ad aver determinato questo scenario sono soprattutto quattro fenomeni sui quali, in un recente webinar, si sono concentrati Carolina Gomez e Marco Colombo, global central operations di Circana, delineandone gli effetti sul livello di servizio offerto al consumatore finale nei punti vendita della distribuzione moderna.

1. Inflazione al consumo
La forte pressione sui costi ha spinto in alto i prezzi sugli scaffali del largo consumo. Rispetto al gennaio 2019, a dicembre 2022 i prezzi alla produzione dei comparti industriali alimentare, bevande e tabacco sono saliti di +25% e quelli medi di alimentari confezionati e bevande nel retail di +16%. Questo fenomeno ha avuto importanti ripercussioni sull’andamento delle vendite in supermercati e ipermercati, che hanno guadagnato il 5,7% a valore rispetto al 2021 ma hanno perso il 1,7% a volume. Alla diminuzione della rotazione dei prodotti a scaffale si è aggiunto il ritorno alla crescita del tasso di out-of-stock (+0,2% per supermercati e ipermercati di vicinato, +0,3% per i grandi supermercati), arrivato al 3,7% contro il 3,5% del 2021. L’aumento del tasso di out-of-stock ha riguardato tutti i reparti a partire dalla primavera ed è stato particolarmente impattante per le bevande durante l’estate. Il comparto dei prodotti chimici per la cura della casa è riuscito a contenere il delta negativo mentre la drogheria alimentare ha recuperato nel corso del secondo semestre. Surgelati e fresco hanno peggiorato progressivamente la loro prestazione nel corso del 2022, mentre il petcare ha migliorato a fine anno. Ancora una volta l’ortofrutta si conferma il reparto con il più alto tasso di out-of-stock (10,5%).

2. Aumento dei costi di produzione
La crisi energetica, alimentare ed economica generata dal conflitto in Ucraina ha determinato una minor disponibilità di materie prime e, di conseguenza, un contingentamento della produzione. Questo ha diminuito la disponibilità a scaffale di alcuni prodotti: un caso particolare è quello degli oli di semi e pasta di semola. Il timore di non trovare più i prodotti a scaffale o di dover pagare prezzi più alti ha generato negli oli di semi un “effetto incetta”, che, a marzo 2022, ha portato ad un incremento eccezionale di vendite rispetto allo stesso mese del 2021, ma anche a un tasso record di out-of-stock (10%). Con il passare dei mesi questo fenomeno è rientrato ma le vendite perse sono aumentate, sostenute dall’inflazione. Una dinamica analoga si è registrata anche nella pasta di semola, determinando un picco delle vendite superiore al 50% nei mesi primaverili, accompagnato dalla crescita dei prezzi medi fino alla soglia di +30% in estate, per poi rientrare a +20% circa. Ciò ha determinato un aumento temporaneo del tasso di out-of-stock della pasta di semola, dettato non tanto dalla difficoltà di reperimento della pasta in generale quanto da marchi e formati specifici, che intaccano il valore complessivo della categoria.

3. Scarsità di materie prime e di componenti essenziali
La minor disponibilità di alcuni prodotti essenziali nei processi di trasformazione ha caratterizzato il 2022 e si è fatta sentire in particolare per alcuni componenti, come l’anidride carbonica. L’effetto su alcuni mercati è stato significativo, com’è avvenuto nelle acque minerali: l’incremento del prezzo della Co2 e la sua scarsità, aggiunti all’eccezionale stagione estiva, hanno determinano un aumento progressivo dei prezzi al pubblico e un andamento molto disomogeneo delle vendite. L’effetto sullo scaffale è stato immediato: ad agosto 2022 il tasso di out-of-stock dell’acqua minerale gassata è salito al 27,1% (contro il 7,5% del 2021) e l’impatto sulle vendite perse è stato superiore del 20% rispetto al 2021.

4. Cambiamento climatico e stagionalità estreme
Il 2022 è stato l’anno più caldo e siccitoso da quando si hanno rilevazioni attendibili: ha determinato degli impatti a scaffale? Non sembra, visto che nei mesi con i maggiori rialzi delle temperature non si sono registrati picchi nell’andamento dell’out-of-stock. Il caso delle bevande gassate è emblematico sia in termini di out-of-stock (5% di tasso) sia di vendite perse (42%). Nel 2023 le vendite perse sono, poi, ulteriormente aumentate di +19%.

Out of stock e pandemia: il bilancio di Checkpoint

Alberto Corradini

La prima ondata del Covid-19 in Italia ha significato un boom nel consumo e nelle vendite di generi alimentari, ma ha invece penalizzato la  componente non Food e non specializzata nel commercio di beni di prima necessità, con una significativa diminuzione dei consumi. Partendo da queste premesse, Alberto Corradini di Checkpoint Systems analizza alcuni dati ufficiali per stilare un bilancio sull’impatto che essa ha avuto realmente sulla filiera, e per aprire una riflessione sull’esigenza di utilizzare l’esperienza maturata per mettere in atto strategie efficaci nel continuare a fronteggiare il prosieguo di una situazione di grave emergenza.

L’impatto della pandemia sulla catena di fornitura.

Si è parlato di un aumento dei volumi di vendita, ma è vero pure che, specialmente in GDO il comparto ha subito alcune criticità nella logistica, con ben il 60% delle aziende intervistate da ECR Italia nell’ambito della ricerca dal titolo Covid-19 nel largo consumo: quali effetti e quali implicazioni per la filiera?, che ha dichiarato di aver riscontrato problemi significativi lungo la catena di approvvigionamento, specie con fornitori esteri[1]. Tuttavia solamente un 20% delle aziende della GDO è preoccupata che nel futuro prossimo si possano verificare scenari critici di eguale misura. Nella catena di rifornimento da Centro di Distribuzione a Punto Vendita, infatti, complici l’assenza di traffico e la disponibilità di flotte dedicate di automezzi in grado di operare in modo continuativo, non si sono nel complesso registrate problematiche significative. Se parliamo poi della categoria Largo Consumo la percentuale di imprese che hanno subito criticità nell’approvvigionamento scende ulteriormente e ben l’82% delle aziende del comparto ha dichiarato addirittura di non aver subito alcun significativo impatto, se non con alcuni fornitori internazionali.

L’out-of-stock

Il problema dell’esaurimento delle scorte, che prima della pandemia era principalmente legato a stagionalità, promozioni, concorrenza dell’ecommerce, ha subito con il Covid una moderata accelerazione. Errori a livello di fornitura, di stoccaggio o, a monte, di produzione, piuttosto che di distribuzione o, in store, di mancati rifornimenti degli scaffali, ordini errati o inventari imprecisi, sono aumentati proprio con il complicarsi della logistica in senso più generale. Un’analisi che il Barometro OSA (Optimal Shelf Availability) – realizzato da GS1 Italy in ambito ECR e in collaborazione con IRI – ha svolto proprio sullo scenario dell’Out-of-Stock 2020 ci fornisce dati interessanti, descrivendoci un tasso medio percentuale del 3,9% registrato tra gennaio e dicembre 2020, ossia un aumento di soli +0,3 punti rispetto al 2019. Lo scenario, da un certo punto di vista, è ben più rassicurante del previsto, e denota un impatto della pandemia non così significativo, con appena il 5,1% in più di vendite perse a causa dello spettro “scaffali vuoti”, rispetto al periodo pre-Covid.

A un anno circa dall’inizio dell’emergenza possiamo dire quindi che, nel complesso, la logistica sembra aver retto alla crisi. È chiaro però che la pandemia ha contribuito a generare nei retailer la consapevolezza della necessità di adottare alcune misure per mantenere efficiente la supply chain e, di conseguenza, il business: ridurre gli assortimenti per ottimizzare il lavoro sui punti vendita ed evitare problemi a livello di gestione delle scorte; aumentare la disponibilità e flessibilità della manodopera per garantire l’efficienza dei magazzini; potenziare la collaborazione di filiera per migliorare i processi di consegna e supportare gli andamenti altalenanti della domanda; sono questi i principali learnings che i retailer portano con sé in questo 2021. D’altro canto, da attenti osservatori del mercato quali siamo, oltre che fornitori di tecnologie all’avanguardia, intendiamo suggerire l’esigenza di continuare a presidiare il problema dell’OOS, con l’intento di contenerne il margine specie in questo periodo transitorio dove l’uscita dalla pandemia sembra ancora piuttosto lontana.

[1]Covid-19 nel largo consumo: quali effetti e quali implicazioni per la filiera?”, Report ECR Italia GS1 (2020)

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