Una recente analisi della Coldiretti su dati Istat ha fotografato gli effetti dell’aumento dei prezzi della pasta, il prodotto alimentare maggiormente presente sulle tavole degli italiani. Il conto salatissimo, pari a quasi 800 milioni di euro in più rispetto al 2021, «grava in primis sulle famiglie povere per cui la pasta ha una incidenza più elevata sulla spesa quotidiana» sottolinea la Coldiretti. «Se a Milano un chilo di pasta di semola può costare fino a 3,18 euro, a Roma si viaggia sui 3,20 euro, a Bologna 3,26 euro, a Palermo 2,48 euro e a Napoli 3,18 euro».
Il conflitto in corso sul fronte russo-ucraino ha indubbiamente moltiplicato manovre speculative e pratiche sleali sui prodotti alimentari, appesantendo la situazione dell’Italia, Paese che importa dall’estero il 44% del grano duro destinato alla pasta.
Allo scenario nefasto dipinto da Coldiretti però si contrappone la visione meno pessimistica di Unione Italiana Food che, pur confermando il rincaro medio della pasta, parla di un aumento pari alla metà o persino meno rispetto a quello stimato da Coldiretti. Elaborando una previsione su dati Nielsen, Unione Italiana Food ridimensiona l’allarmismo e porta il rincaro a meno di 7 euro in più all’anno a persona, praticamente un’inezia.
Secondo Unione Italiana Food, «la pasta continuerà ad essere un alimento accessibile a tutti, anche in un momento difficile per gli italiani. Con mezzo chilo di pasta e pochi altri ingredienti, si riesce a preparare un pasto gustoso, nutriente e bilanciato per una famiglia di cinque persone, e questo con meno di due euro».
Si tratta di numeri e visioni parecchio divergenti ma, ad oggi, né Coldiretti né Unione Italiana Food hanno chiarito nel dettaglio le modalità di calcolo del rincaro, pur specificando le fonti dati utilizzate.