Assobirra, il settore bloccato dalle accise: calano vendite e investimenti. E l’occupazione non cresce

L’aumento delle accise rischia di mettere in seria difficoltà gli oltre 600 produttori dislocati sulla penisola e di conseguenza tutti gli operatori della filiera. È quanto emerge da una ricerca di Format Research per Assobirra, che ha fotografato l’impatto – importante – che le tasse, in crescita del +30% tra ottobre 2013 e gennaio 2015, stanno avendo sul business di tutti: agricoltori, produttori (aziende di grandi dimensioni e micro birrifici), esercenti di bar e ristoranti, imprese della distribuzione e dei servizi.

Si parte da un punto: quella italiana è una vera e propria “anomalia” rispetto al resto d’Europa visto che, nel nostro Paese (uno di quelli col più basso potere d’acquisto in UE), le tasse sulla birra sono tra le più alte.

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Metà dei produttori di birra intervistati (50,6%) dichiara un fatturato fermo o in diminuzione, a seguito dell’aumento delle accise. E il 42,9% di chi dichiara una riduzione del fatturato ne attribuisce la responsabilità agli aumenti delle accise (il primo scattato il 10 ottobre 2013, il secondo il 1° gennaio 2014 e l’ultimo il 1° gennaio 2015). Il 46,9% delle imprese birrarie non è riuscita ad assorbire gli aumenti di ottobre 2013 e gennaio 2014, mentre il 43,2% dichiara che non riuscirà ad assorbire l’ultimo aumento intervenuto a gennaio 2015.

«Su una birra da 66cl  – commenta il presidente di assorbire Alberto Frausin – gli italiani pagano 46 centesimi di tasse (tra accisa e IVA), gli spagnoli 21,3 e i tedeschi 19,5. In pratica 1 sorso su 2 lo beve il fisco. Il settore viene da 10 anni di mancata crescita del mercato e i dati dei primi 10 mesi del 2014 parlano di una lieve flessione (-0,6%). E nei primi 5 mesi del 2015 abbiamo avuto un ulteriore diminuzione dei consumi pari al -3%. Lo avevamo preannunciato anche al Governo che l’ennesimo rialzo delle tasse di gennaio avrebbe avuto conseguenze. Ora non possiamo non sottolineare il rischio per la tenuta dell’export ma anche per l’occupazione di una situazione del genere. Le accise non solo non vanno più toccate al rialzo ma ora è necessario ridurle per far ripartire il settore».

Ma come sono stati assorbiti gli aumenti? Solo in parte sono ricaduti sui prezzi (50%), mentre un terzo delle aziende ha ridotto i margini di profitto (31,6) o nel 18,5% dei casi ha ridotto investimenti e occupazione.

«Oggi la pressione promozionale è in aumento. La birra – spiega il direttore dell’associazione dei produttori di birra Filippo Terzaghi – ha superato, nel 2014, il 44% di pressione promozionale, mentre sui prodotti di largo consumo ci si ferma in media al 28,5%. Questo vuol dire che quasi 1 birra su 2 è venduta in promozione (fonte IRI 2015). L’aumento delle tasse che noi riteniamo iniquo e ingiusto, penalizza eccessivamente un prodotto simbolo del nostro Made in Italy ed è evidente che, dove a pagare non è il produttore, sono i 30 milioni di italiani che scelgono la birra. Non a caso nel 2014 c’è stato un calo del consumo pro-capite, sceso a 29,2litri (il più basso d’Europa), sono saliti i consumi casalinghi a scapito del “fuori casa” e sono stati premiati i prodotti a costo basso».

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La ricerca rileva anche alcune conseguenze importanti. La prima: l’aumento delle accise è un ostacolo a nuove assunzioni per i produttor.Il 44% delle imprese sarebbe pronto a creare fino a tremila nuovi posti di lavoro (che potrebbero crescere a 11 mila se si attestassero sui livelli di Germania e Spagna, dove valgono rispettivamente lo 0,09 e lo 0,10%). La seconda: si è verificato uno stop alla crescita dimensionale dei microbirrifici, non più in grado di fare investimenti. Le accise sono un ostacolo alla ripresa degli investimenti per il 76,5% delle imprese.

«A fronte di una riduzione delle accise – sostiene con forza Frausin -siamo pronti, come filiera, a fare la nostra parte: generare nuova occupazione, far nascere nuove imprese, ritornare a investire nel Paese e tornare a far crescere l’export e la vocazione internazionale delle nostre imprese».