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Inflazione e crisi fanno calare la domanda di beni di largo consumo, si afferma il prosumer

Circana fornisce un’anteprima dell’analisi semestrale “FMCG Demand Signals” che evidenzia un indebolimento – in termini di volumi – della domanda per beni di largo consumo nei sei principali mercati Europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi). Si tratta di un calo del – 1,1% su base annua che si accentua ulteriormente (-1,4%) nel quarto trimestre del 2022. Questo è il quinto trimestre di flessione consecutiva e non si prevede un ritorno alla normalità fino alla fine del 2023.

Lo studio evidenzia come si stia affermando la figura del cosiddetto “prosumer” – un consumatore sempre più consapevole, esperto, lungimirante e attento ai prezzi, che seleziona ciò che acquista e decide come consumarlo, con l’obiettivo di attenuare l’impatto dei forti aumenti di prezzo sul proprio portafoglio. La figura del “negozio preferito” scemerà sempre più poiché gli shopper acquistano meno in un unico negozio e preferiscono invece frequentare più punti vendita per trovare prodotti meno costosi. Con la crisi energetica che continua a colpire le tasche delle famiglie, oltre all’impatto della guerra in Ucraina che incide sulla supply chain e sul costo delle materie prime, gli shopper sono alla continua ricerca di opportunità di risparmio.

“Questa flessione dei volumi evidenzia in modo chiaro la battuta d’arresto della domanda per prodotti di largo consumo nei maggiori mercati europei. Prevediamo che la domanda calerà bruscamente soprattutto nei generi alimentari di prima necessità, dove l’inflazione continua ad essere particolarmente elevata” ha commentato Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana,

Quella che oggi sta diventando una “crisi del tenore di vita” richiede ai consumatori di modificare le loro abitudini in termini di acquisto e consumo dei beni alimentari. L’86% degli shopper europei dichiara che il proprio potere di acquisto è in contrazione. Di conseguenza, viene adottato un approccio strategico. Quando entrano in negozio sono sempre più attenti e non si fanno più tentare dagli acquisti d’impulso e talvolta sono meno sensibili alle offerte. Segnali della crisi sono ad esempio l’aumento delle vendite di prodotti in scadenza (quindi commercializzati a prezzo ridotto) o le aumentate segnalazioni da parte delle catene di furti nei punti di vendita. In questo contesto i retailers sono intervenuti aumentando le promozioni mirate per i possessori di carte fedeltà, istituendo per alcuni prodotti i cosiddetti ‘prezzi fissi’ e un allineamento di prezzo tra le diverse catene, mantenendo tra 500 e 1000 articoli ad un costo ridotto. Hanno anche incoraggiato l’uso di dispositivi “scan-as-you shop” nel negozio per aiutare a tenere sotto controllo il valore dello scontrino degli acquirenti.

Evidenze europee
Il largo consumo confezionato è cresciuto del 5,8% nel 2022 in tutta Europa, aumentando il giro di affari di 33 miliardi di euro in termini di vendite a valore rispetto al 2021. Durante le ultime 13 settimane del 2022, le vendite a valore hanno segnato un +10,1%, come risultato diretto dell’inflazione record. L’incremento coinvolge tutte le categorie ad eccezione delle bevande alcoliche. Freddo, fresco, ambient food, bevande e cura della persona hanno spinto la crescita del largo consumo nel 2022, ma un calo del -3,4% nelle vendite di alcolici ha compensato marginalmente i guadagni. Questa flessione può essere in parte spiegata da un ritorno alla normalità dopo un aumento della domanda durante la pandemia. Ciò dimostra anche come alcune abitudini stiano cambiando e vi sia una riduzione dei momenti di consumo e delle quantità consumate per singola occasione. Si registra inoltre un mutamento nel mix dei segmenti con un incremento per gli alcolici Ready-To-Drink e per birre e liquori a basso/zero contenuto alcolico che tuttavia non compensano a pieno il calo complessivo della domanda.

Tendenze sul comportamento dei consumatori nei sei maggiori mercati in Europa, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti
La forbice tra la capacità di acquisto e la disponibilità a spendere si è ampliata. Solo il 14% dei consumatori non ha modificato il proprio stile di vita, mentre il 39% oggi attinge dai risparmi personali e fa ricorso a prestiti per pagare le bollette. Non ci sarà più un solo negozio per fare la spesa. Il 29% dei consumatori è intenzionato a cambiare il luogo in cui acquista i prodotti di tutti i giorni per ricercare convenienza, mentre il 26% andrà in un altro negozio se il proprio marchio abituale non è disponibile o non è scontato (34%) o se non ci sono abbastanza offerte tra i prodotti che fanno parte dell’abituale paniere settimanale (41%). I distributori stanno lavorando per affrontare il potenziale calo della penetrazione e del numero di visitatori nei loro negozi, intensificando le promozioni legate alle carte fedeltà, promuovendo prodotti con “prezzi fissi” e applicando sconti su una gamma di articoli che sono parte della spesa di base dei consumatori. Gli shopper attuano strategie di acquisto volte a moderare l’impatto degli aumenti di prezzo. Il 22% ha ridotto il numero di shopping expedition e il 32% pianifica in anticipo i propri acquisti. Il 18% ora stabilisce a priori quanto spendere per ridurre gli acquisti d’impulso e utilizza dispositivi scan-as-you shop e siti web per informarsi sui prezzi e non avere sorprese alla cassa al momento di pagare.

Cambia anche il comportamento dei consumatori all’interno del negozio. Il 59% degli shopper confronta i prezzi, il 49% la quantità da utilizzare e il 44% è alla ricerca di prodotti contrassegnati da sconti e promozioni. Il 29% cerca prodotti sostenibili e il 39% legge le etichette degli imballaggi o le recensioni indipendenti (23%). Un consumatore su quattro (27%) ha mutato le proprie abitudini e fa acquisti di conseguenza (compra ad esempio prodotti per preparare un pranzo al sacco da portare al lavoro). Questo si traduce in un’opportunità in termini di innovazione, nella formulazione delle porzioni, nel design e nel pack. Di conseguenza i retailer stanno ampliando l’assortimento di marchi del distributore per soddisfare le nuove esigenze emergenti. I fattori che guidano la scelta di testare un prodotto nuovo includono un buon prezzo (63%), la convenienza (40%) la disponibilità a scaffale (40%). Innovazione, sostenibilità, buona qualità, prodotti a base vegetale o attenti all’ambiente sono tutti elementi oggi molto importanti per i consumatori ma non determinanti per decidere di testare nuovi prodotti.

“Con una domanda ridotta e una minore fiducia dei consumatori, i distributori devono continuare a lavorare sull’ottimizzazione e la gestione degli assortimenti. I distributori promuovono strategie volte a bloccare il costo delle materie prime per supportare i clienti, ma questo sta portando a una aspra guerra dei prezzi. La razionalizzazione degli scaffali oggi riguarda tutte le categorie ad eccezione di fresco, freddo e confectionery e ci aspettiamo di vedere il graduale ritorno dell’Every Day Low Price in numerose catene, poiché le promozioni in alcuni paesi si stanno rivelando meno efficaci. La strategia vincente sarà quella di promuovere prodotti con un ottimo livello di qualità/prezzo così da rispondere al meglio alle nuove esigenze dei consumatori” conclude Roy.

Flette la vendita di vino in Gdo (-6,1%), crolla anche l’e-commerce

L’aumento dei prezzi ha inevitabilmente innescato il calo dei consumi di vino nella grande distribuzione italiana. Le elaborazioni dell’Osservatorio Uiv-ismea su base NielsenIQ relative al primo trimestre di quest’anno registrano i livelli più bassi di vendite allo scaffale anche rispetto al pre-Covid (2019), con i volumi di vino acquistati in calo tendenziale del 6,1% e con i valori, spinti dall’effetto inflattivo dei prezzi, a +2% (673 milioni di euro).

Una partenza ad handicap che si riflette in particolare nei volumi commercializzati di vino fermo (-7,3%) e ancora di più per i prodotti Dop, a -9,2% e con i rossi a -10,5%, a riprova del fatto che il rialzo dei valori non è legato a una domanda maggiormente orientata verso il segmento premium (i vini comuni perdono la metà rispetto alla media) ma a un surplus di costi produttivi che ha generato un rincaro medio dei prezzi allo scaffale del +8,7%. In controtendenza la tipologia spumanti, che cresce in volume del 3,9% (+9,8% i valori), ma l’incremento è interamente generato dall’exploit degli spumanti low cost (+15,6%), segmento che presenta un prezzo medio allo scaffale di appena 4,47 euro/litro e che oggi vale quasi il 40% dei volumi venduti in Gdo tra le bollicine italiane. Giù il prosecco (-2,8% volume) e lo champagne (-5,8%), mentre salgono l’Asti spumante (+11,8%) e i metodo classico (+4% volume), da confrontare però con il -35% registrato nell’omologo periodo del 2022.

“Come previsto, non sarà un anno facile per il vino italiano, che anche nelle esportazioni registra a gennaio un calo del 4,3% su pari periodo del 2022, con variazioni fortemente negative nella domanda extra-Ue. Il limitato potere di acquisto in Italia e nel mondo, assieme a un surplus dei costi delle materie prime secche, impongono la massima attenzione e concertazione da parte di una filiera le cui imprese stanno assorbendo direttamente parte dei rincari alla produzione. Ma evidentemente non basta” ha detto Paolo Castelletti, il Segretario Generale di Unione Italiana Vini.

La dinamica più sfavorevole coinvolge anche gli Igp (volumi a -8,4%), mentre i vini comuni si fermano a -4,6%. Più pesanti le perdite per i vini rossi che cedono l’8,2% volumico contro il -5,6% dei bianchi e il -11,2% dei rosati. Sopra la media la contrazione dei vini bio (-8,6%). A livello di canali, i più in sofferenza sui volumi risultano i discount (-10%), a fronte di iper e super che chiudono il trimestre rispettivamente a -4% e -5%. Profondo rosso per l’e-commerce: nonostante il sostanzioso taglio dei prezzi, le vendite online segnano a marzo -19,6%.

Andando nel dettaglio dei vini IG più venduti in Gdo, troviamo picchi negativi del -9% per il Chianti, -14% per il Montepulciano d’Abruzzo, -20% per la tipologia Salento, -18% per il Nero d’Avola Sicilia, -20% per la Bonarda oltrepadana, -13% per la Barbera piemontese e -9% per il Lambrusco Emilia e il Cannonau di Sardegna. Stabili – tra i top seller – le Igt Terre siciliane e Puglia, in leggera contrazione Valpolicella e Dolcetto piemontese (-5%), mentre l’unico tra i big che si conferma in buona salute, anzi in costante crescita è il Vermentino di Sardegna, con +1% in volume. Molte le denominazioni che registrano aumenti di listino sopra la media nazionale: Montepulciano +13%, Barbera piemontese +11%, Nero d’Avola a +13%, Bonarda a +12%, Verdicchio a +20%.

Agroalimentare italiano, tra inflazione, gap tecnologici e sostenibilità

Agricoltori afflitti dall’aumento dei costi di produzione a causa della guerra e consumatori in crisi per l’inflazione: è questa l’immagine proiettata dallo studio Nomisma per Cia “Le nuove sfide per l’agricoltura italiana”, con un’Italia più preoccupata della media Ue, dove il 51% dei cittadini è in difficoltà economiche contro il 45% del resto d’Europa.

Dopo la spinta nel post Covid, anche l’agricoltura è in fase di stallo e, pur confermandosi fra le principali dell’Ue (72,4 miliardi di valore della produzione), registra una variazione positiva solo grazie all’escalation dei prezzi agricoli (+21%). Le commodity, già cresciute nel 2021, sono schizzate nel 2022: riso (+69%), soia (+12%), frumento (+42%), mais (+39%). L’inflazione pesa su tutto il settore food (+13,1% annuo) con picchi per pasta (+20%), prodotti lattiero-caseari (+17,4%) e olio (+16,2%). Allo stesso tempo, tutti i settori agricoli sono stretti dall’aumento generale dei costi di produzione (+22%), guidati dal +55% della voce energia. Le maggiori tensioni si registrano nell’approvvigionamento degli input tecnici dall’estero, soprattutto fertilizzanti, che per il 62% sono extra-Ue.

Cambia la spesa, stop a beni voluttuari per il 46% dei consumatori
Il 98% degli italiani è preoccupato per la crescita dei prezzi alimentari. L’84% dei consumatori ha già modificato la spesa alimentare, con lo stop al superfluo per il 46% e la rinuncia ai beni voluttuari e di maggior costo: carni rosse tagliate (-14%), pesce (-9%), salumi (-8%) e vino (-6%). Lo testimoniano anche i canali retail che vedono un +12% dei discount. Anche la crescita dell’export agroalimentare (+16% sul ’21) è in parte legata all’inflazione. Parallelamente, l’aumento dell’import porta al netto peggioramento del saldo attivo della bilancia commerciale (da 4,9 miliardi del 2021 a soli 300 milioni per il 2022). La filiera ha, dunque, retto, di fronte alle difficoltà, ma potrebbe pericolosamente vacillare se la situazione si protrae per tutto il 2023.

Italia al 18° posto in Europa nelle tecnologie digitali in agricoltura
Pesa ancora parecchio il gap cronico di servizi e infrastrutture tra città e aree interne, dove sale al 28% il rischio di esclusione sociale per i giovani. L’Italia si distingue per un ampio digital divide, posizionandosi solo al 18° posto in Ue per le difficoltà che registra su questo fronte soprattutto in termini di capitale umano e servizi pubblici digitali. Anche sulla connettività, le aree rurali garantiscono l’accesso a internet con smartphone solo al 74% della popolazione, contro l’81% delle grandi città. Per quanto concerne le infrastrutture di trasporto, ancora grande disomogeneità che rende alcune parti del Paese vicine agli standard Ue e altre profondamente penalizzate.

Agriturismi italiani leader in Europa ma c’è divario tra nord e sud
C’è un’Italia agricola che è leader in Europa per le attività connesse come gli agriturismi, la prima trasformazione, le fattorie sociali e le agroenergie. Valgono 5,3 miliardi e incidono sulla produzione agricola per il 10% (in Ue solo il 4%) e si confermano elemento importante per preservare il capitale umano nelle aree rurali. Si registrano tuttavia due velocità, con il Centro-Nord del Paese che è molto più avanti in fase di integrazione della multifunzionalità (Nord-Ovest 12%, Nord-Est 10%, Centro 9%), rispetto al Sud (solo il 2%), che potrebbe potenziare specialmente gli agriturismi, nelle regioni a forte vocazione turistica

Il settore agricolo emette il 9% di gas serra ma ne riassorbe il 10%
L’Italia agricola è in corsa per il Green Deal con la riduzione del 55% delle emissioni di gas effetto serra entro il 2030 per arrestare il riscaldamento globale. A fronte di una crescita del 67% delle emissioni globali del pianeta nel 2021 in Europa, si è conseguito una riduzione del 27%. L’Italia è in linea, con una contrazione del 26%. Si ricorda, peraltro, che il 9% delle emissioni di gas serra arriva dall’agricoltura (il 6% dalla zootecnia) che però riassorbe il 10% di tali emissioni grazie a foreste, pascoli e colture permanenti. Gli obiettivi di minori emissioni sono funzionali a interrompere il riscaldamento globale, che sta portando a innalzamenti delle temperature generalizzati. In particolare l’area mediterranea, Italia compresa, rappresenta un “hot spot” per il cambiamento climatico. Gli ultimi anni sono stati, infatti, caratterizzati da numerosi eventi climatici avversi, in particolare la siccità, che ha investito il 10% delle aree agricole con colture erbacee e il 25% di quelle sommerse. Mais e riso hanno registrato un calo produttivo, rispettivamente pari al 23% e al 22%, il grano del 9% e la suinicoltura del 4,2%. La siccità si aggiunge al consumo di suolo, che nel biennio 2021-22 è tornato a crescere con una media di 19 ettari al giorno.

Le energie rinnovabili rappresentano il 20% del fabbisogno nazionale
Il 2022 sarà ricordato anche per la crisi energetica, innescatasi nel 2021 e poi acuitasi con il conflitto russo ucraino. Il petrolio ha registrato un +42% e il gas naturale, già cresciuto nel 2021, un ulteriore +150%. Le previsioni per il 2023 sembrano di maggiore stabilità, anche se i prezzi resteranno a livelli ancora elevati rispetto al pre-Covid. Si ridimensionano in parte i costi di trasporto, con un ritorno a fine 2022 del nolo dei container a valori prossimi a quelli del 2020 dopo un biennio impazzito (+79% annuo). L’Italia, fortemente sbilanciata sul gas nell’approvvigionamento energetico, ha ridotto l’import dalla Russia dal 40% del 2021 al 19% del 2022, aumentando del 39% l’import di gas naturale liquefatto con gli Usa primo fornitore. Nel mix energetico del Paese, le rinnovabili cubano il 20% con enormi potenzialità di sviluppo. In particolare, nella copertura del fabbisogno di energia elettrica per tipo di fonte, nel 2022 il 62,1% è rappresentato dalla produzione termica, il 10,4% da quella idrica, l’1,9% dalla produzione geotermica, il 7,4% da quella eolica e, soprattutto, l’11,2% dalla produzione agro-fotovoltaica e il 6,3% dalle biomasse, entrambe a matrice agricola.

Fitosanitari, rese in calo per riso e mais
Il 2023 si è aperto con l’avvio della nuova Pac, che ha per obiettivo la redistribuzione a favore delle aziende medio-piccole (solo il 4,5% ha superficie maggiore di 50 ettari) e interventi a favore dei giovani agricoltori (il 9,3% degli agricoltori è under 40), mentre il 25% delle risorse complessive (875 milioni) è destinato a incentivare le pratiche sostenibili necessarie alla transizione ecologica. Parallelamente, prosegue l’attuazione del PNRR che dedica 8,5 miliardi all’agroalimentare. Tutti questi fondi Ue sono orientati dalla strategia Farm to Fork; resta tuttavia l’interrogativo sugli effetti che potrebbe generare sulla produzione la proposta di nuovo Regolamento sull’Uso sostenibile (SUR) – decisione slittata di alcuni mesi – con cui l’Ue chiede all’Italia di ridurre del 62% l’uso dei fitosanitari e del 45% quelli più pericolosi. In assenza di difesa, però, si calcola un calo del 70% per le rese di grano duro, del 62% per l’olio e addirittura dell’81% per il pomodoro da salsa, dell’84% per il riso e dell’87% per il mais, indispensabile alla zootecnia da cui dipende il nostro Made in Italy. L’agricoltura tricolore, intanto, ha già avviato il percorso di riduzione dei fitofarmaci (-38%), impiega per il 45% prodotti ammessi nel bio e può centrare il target del 25% di superfici biologiche al 2030, con 2,2 milioni di ettari già convertiti e uno scarto di altri 900mila ettari per giungere all’obiettivo finale di 3,1 milioni di ettari.

A dicembre +3,4% per vendite al dettaglio ma resta l’incertezza

I dati recentemente diffusi da Istat relativi alle vendite al dettaglio del mese di dicembre segnano un incremento tendenziale a valore del +3,4% a cui tuttavia corrisponde un calo a volume del -4,4%.

“Nonostante il rallentamento dei prezzi dei beni energetici, il quadro economico rimane ancora caratterizzato dall’incertezza e da un elevato livello di inflazione di fondo, fattori questi che incidono sul potere d’acquisto degli italiani che da mesi stanno riducendo i consumi, in termini sia qualitativi che quantitativi”, commenta Carlo Alberto Buttarelli, direttore ufficio studi e relazioni con la filiera di Federdistribuzione. “Da mesi registriamo una frenata significativa dei volumi di vendita nel comparto alimentare che a dicembre è stata del -6,6% rispetto ad un anno prima. Un trend negativo che sta già mettendo in difficoltà alcune filiere agroalimentari.

Gli italiani continuano a essere preoccupati per la tenuta dei propri bilanci familiari, fortemente gravati negli ultimi mesi dalla crescente pressione dell’inflazione nelle diverse voci di spesa quotidiana. La distribuzione moderna ha rilevato, nel corso dell’ultimo anno, che le abitudini di acquisto delle famiglie si stanno orientando sempre di più verso un’ottica di risparmio e convenienza, soprattutto sui beni più essenziali del comparto alimentare.

Qualora la corsa dei prezzi non dovesse essere adeguatamente contrastata, si corre il rischio di una frenata della domanda interna. Come comparto distributivo, riteniamo urgente avviare un confronto costruttivo con tutti gli attori della filiera, in particolare con l’industria del largo consumo, con l’obiettivo di trovare tutte le soluzioni possibili per contrastare la spinta inflattiva ancora in atto”.

Report Everli sui consumi del 2022, italiani sempre più salutisti

Il quarto report annuale di Everli, marketplace della spesa online, fotografa i trend che hanno caratterizzato la spesa online degli italiani negli scorsi dodici mesi. Frutta e verdura continuano a primeggiare nel carrello online degli italiani, confermandosi per il terzo anno consecutivo in vetta alle categorie di prodotto più acquistate. Questa tendenza “healthy”, in crescita già dallo scorso anno, si riflette anche in nuove abitudini alimentari: nel 2022, merendine e dolci escono per la prima volta dalla top 10 dei prodotti più comprati.

Dallo studio emerge anche una maggiore richiesta di praticità e comodità. Compare così nella classifica delle categorie più acquistate nel Bel Paese una vasta gamma di cibi pronti per essere gustati, come i formaggi – da quelli fusi a fette (3°) agli spalmabili (5°), passando per la mozzarella (7°) – il prosciutto (6°) e alcuni “convenience food”, quali i sughi pronti (8°) e la carne o il pesce in scatola (10°).

I dati di Everli mostrano come lo scorso anno gli italiani abbiano scelto la spesa online anche per l’acquisto di bevande. Infatti, osservando le categorie di prodotto più acquistate, ben 3 su 10 riguardano il mondo del beverage. Nello specifico, l’acqua minerale si conferma come la bevanda per eccellenza e sale al 2° gradino del ranking dei 10 prodotti più comprati nel 2022, mentre il vino e la birra (4°) tornano in graduatoria dopo un’assenza di ben tre anni. La top 10 vede poi l’ingresso delle bibite gassate (9°), categoria che per la prima si fa spazio in questa speciale classifica.

Le abitudini di acquisto online degli italiani
Negli ultimi mesi le dinamiche dei consumi degli italiani sembrano aver risentito dell’instabilità geopolitica e della crescente inflazione. Secondo i dati di Everli, nel 2022 gli acquisti hanno registrato un picco importante nella parte iniziale dell’anno, quella che va da gennaio e marzo e che precede l’insorgere dell’instabilità globale che ha portato all’attuale carovita. Osservando le abitudini di spesa settimanali, sembra che gli abitanti del Bel Paese si dividano equamente in due gruppi, entrambi accomunati dal desiderio di non “rubare” tempo prezioso al fine settimana con l’incombenza della spesa: chi preferisce fare scorta appena prima del week-end e chi attende l’inizio della settimana per rifornire frigo e dispense. Il venerdì e il lunedì sono stati infatti i momenti più gettonati per dedicarsi alla spesa online negli ultimi dodici mesi.

A differenza del passato, però, gli italiani nel 2022 si sono mostrati meno “mattinieri” e a comprare online generi alimentari e prodotti per la casa ci hanno pensano poco prima della pausa pranzo: infatti, è mezzogiorno l’orario che ha registrato il maggior numero di ordini sulla piattaforma. Inoltre, complici anche i ritmi sempre più frenetici, gli acquisti “on-the-go” si confermano la soluzione preferita lungo lo Stivale, con un crescente numero di ordini effettuati via smartphone: secondo i dati di Everli, sono ben 7 utenti su 10 ad affidarsi all’app quando si tratta di fare la spesa online. È proprio la possibilità di guadagnare tempo, delegando gli acquisti a uno shopper affidabile, a rendere questa prassi particolarmente vantaggiosa: basti pensare che lo scorso anno la spesa online ha permesso un risparmio medio di 70 km e 10 ore per utente.

La mappa dei sapori della Penisola
Indagando più nel dettaglio i dati di Everli e mettendo a confronto le abitudini di acquisto online da nord a sud della Penisola, emergono interessanti curiosità e differenze su gusti e comportamenti degli italiani.

Nel corso del 2022 Roma è stata la città che ha acquistato il maggior numero di prodotti ortofrutticoli, aggiudicandosi lo scettro di più “salutista” del Paese. Il podio regionale, invece, vede un pari merito: l’Emilia-Romagna, in testa dal 2019, deve ora condividere il primo posto con Lombardia e Veneto. Nel ranking delle province con i maggiori acquisti di frutta e verdura entrano infatti anche Milano (2°), Padova (6°), Varese (8°) e Verona (9°), che si affiancano a due veterane, ossia Bologna (4°) e Forlì-Cesena (10°).

Se tre regioni si contendono il titolo di più “healthy” d’Italia, quello di più golosa ha una sola vincitrice: la Lombardia, con Varese (3°), Milano (4°), Bergamo (6°) e Brescia (8°) tra le 10 città in cui si sono registrati gli ordini maggiori di dolciumi. E a livello provinciale? Roma detiene anche questo primato, mentre Venezia si posiziona seconda.

I consumi più significativi di carne e pesce si sono registrati a Torino, seguono Roma e Trieste. La classifica continua con Pordenone (4°) e Udine (5°), rendendo il Friuli-Venezia Giulia la regione che ha effettuato il maggior numero acquisti in questa macro-categoria alimentare.

Consumi, nel 2023 per Federdistribuzione occorre un argine a inflazione e incertezza

I dati diffusi da Istat relativi alle vendite al dettaglio del mese di novembre segnano un lieve incremento sul mese precedente (+0,8%) sia per i beni alimentari (+0,6%) che per quelli non alimentari (+1,0%).

Il 2022 è stato un anno segnato da un livello di inflazione che non si registrava, nel nostro Paese, da diversi decenni. Nel corso dell’anno concluso, lo sforzo delle imprese della Distribuzione Moderna è stato ingente e orientato a gradualizzare l’impatto derivanti dagli extra costi e dagli aumenti sui beni in acquisto, con l’obiettivo di tutelare il potere d’acquisto delle famiglie e salvaguardare i consumi. L’effetto è stato un importante impegno di risorse economiche, con un investimento rilevante di margine e un impatto significativo sui conti economici delle aziende.

L’andamento dei consumi, come evidenziato già nei mesi scorsi da Federdistribuzione, risulta particolarmente preoccupante, in considerazione della crescente apprensione delle famiglie rispetto alla propria situazione economica. Nel mese di novembre, le vendite a volume, nel settore alimentare, hanno infatti registrato un dato su base annua del -6,3%.

Il 2023 si apre in continuità con l’anno precedente, all’insegna dell’incertezza e con un’inflazione acquisita che, come stima l’Istat, si attesta intorno al +5,1%. Secondo le previsioni dell’Ufficio Studi di Federdistribuzione se la spinta inflazionistica registrata finora dovesse ulteriormente proseguire nei prossimi mesi, si rischierebbe un’ulteriore frenata nei consumi.

Da una delle recenti rilevazioni Ipsos condotte per Federdistribuzione emerge che 8 italiani su 10 si dichiarano preoccupati per l’impatto dell’inflazione sul proprio bilancio familiare e per fronteggiarlo stanno cambiando le proprie abitudini d’acquisto. Per quanto riguarda il food, 4 italiani su 10 sono più attenti a limitare gli sprechi e comprano solo lo stretto necessario, oltre un terzo ha ridotto i consumi o cerca soluzioni più economiche a parità di prodotti. Anche per quanto riguarda il comparto dell’abbigliamento e delle calzature quasi 4 italiani su 10 hanno ridotto gli acquisti.

In questo scenario le analisi dell’Ufficio Studi di Federdistribuzione, già da qualche settimana registrano sui mercati i primi segnali di un rallentamento delle quotazioni delle materie prime e dei beni energetici. E in questa prospettiva, lo sforzo delle imprese della Distribuzione Moderna necessita di una condivisione da parte di tutti gli attori lungo la filiera, affinché si possano trovare tutte le soluzioni possibili per mettere un freno alla corsa dei prezzi a difesa del potere d’acquisto delle famiglie ed evitare fenomeni recessivi dovuti al crollo dei consumi interni.

Consumi 2023, le previsioni nella survey di Coop

Sopravvissuti al Covid, oramai assuefatti ai bollettini di guerra, soprattutto quotidianamente alle prese con il carovita, gli italiani si affacciano sul nuovo anno con una inattesa forte tempra emotiva. Uno stato d’animo fatto certamente di timore (33%) e inquietudine (22%), ma soprattutto di fiducia (39%) e aspettativa (38%) per il nuovo anno. A conti fatti, nonostante un 2022 vissuto pericolosamente, gli italiani manifestano una imperturbabile accettazione della realtà (28%) e una sorprendente serenità interiore (34%). È l’istantanea degli italiani scattata dalle due survey dell’Ufficio Studi Coop condotte a dicembre 2022; la prima L’anno che verràsu un campione rappresentativo della popolazione italiana in collaborazione con Nomisma e la seconda Planning 2023 and Beyondsulla community di esperti del sito italiani.coop.

Così, in questa inattesa propensione zen, il 26% del primo campione malgrado tutto continua ad associare all’anno appena iniziato la parola “speranza” e rispetto ad appena quattro mesi fa (la precedente survey è di agosto 2022) non può non stupire come la “fiducia” sia salita di 12 punti percentuali e di converso scendano sentimenti più cupi come l’”irritazione” o la “rabbia” (rispettivamente calati di 12 e 6 punti percentuali).

D’altro canto, è innegabile che gli ultimi anni (ed in particolare gli ultimi mesi di crescita dei prezzi) abbiano lasciato ferite profonde nel corpo sociale del Paese. Il 18% delle famiglie dichiara nel 2022 di aver fatto fronte a un permanente disagio alimentare (circa 9 milioni) e 1 italiano su 4 teme la vera povertà per il 2023 (non avere soldi per cibo, trasporto, abiti, scuola). E sono soprattutto gli imprevisti a mettere a repentaglio questa fragile armonia; il 66% del campione non saprebbe come far fronte a una spesa improvvisa e non rimandabile di 850 euro. Non stupisce allora che il 70% degli intervistati se disponesse all’improvviso di 10 mila euro, non esiterebbe a dirottarli subito nel salvadanaio A giocare un ruolo decisivo, vero argine alle difficoltà del presente, sono ancora una volta gli affetti e la vita familiare (tra i buoni propositi per il nuovo anno il 56% indica di voler trascorrere più tempo in famiglia e il 20% vorrebbe mettere al mondo un figlio), La strategia più comune risulta alla fine quella di adottare un lento lifestyle che permette di concentrarsi sulle cose più vicine, come la cura di se stessi (tra le prime voci in crescita del 2023 con un 29% che farà più di prima visite di prevenzione e controllo), il ritorno tra i fornelli (29%), la fuga dal fast food (il 15% lo farà di meno o smetterà).

La società dei sobri consumi
Proiettando questa disposizione d’animo sul fronte dei consumi, inevitabile la rinuncia al superfluo per garantirsi l’essenziale. Se circa un italiano su due spera di mantenere stabili le proprie spese familiari nel 2023, comunque il 45% conta di spendere di più per le bollette e il 32% per cibo e bevande; il tutto a scapito di ristoranti e altri locali e spettacoli e cultura (rispettivamente per il 32% e il 26% degli intervistati). Per i durevoli si pensa a cambiare gli elettrodomestici più vecchi ma si rinvia l’acquisto della nuova auto (il 29% conta di acquistare un grande elettrodomestico nei prossimi 12 mesi e per converso un 35% vorrebbe l’auto nuova ma non l’acquisterà), con la casa al top delle priorità; un consistente 67% pensa nel 2023 a una ristrutturazione dell’abitazione (dato forse ancora trainato dal rimodulato bonus edilizia).

Per far fronte all’aumento dei prezzi l’80% degli italiani cambierà anche le proprie abitudini alimentari orientandosi verso diete più salutari e meatless, ma più sobrie e certamente “zero waste” e “no frills”. Secondo il 40% dei manager Food & Beverage intervistati il 2023 sarà un anno all’insegna della sobrietà ed essenzialità alimentare. Sugli scaffali le novità del 2023 saranno la pasta e le farine prodotte con grani antichi o con prodotti low carb e maggiore contenuto di proteine. E se dovesse rinunciare a quella vera, già oggi un italiano su cinque ai prodotti di origine vegetale preferirebbe la carne coltivata in vitro.

La GDO e l’insostenibile peso dell’inflazione
Sul fronte macroeconomico, grazie soprattutto alla parziale riduzione dei prezzi del gas, il 2023 sarà un anno di stagnazione ma non di decrescita (+0,2% le previsioni del Pil 2023 su 2022 secondo i manager italiani) con una inflazione ancora sostenuta ma inferiore a quella del 2022 (+6,1% secondo i manager italiani). Gli andamenti più recenti motivano anche un andamento positivo dei consumi (al netto dell’inflazione) che le ultime previsioni collocano all’1,4% rispetto al 2021.

A preoccupare maggiormente sono invece soprattutto i consumi e i risultati economici della filiera alimentare. Se infatti dopo un anno di aumenti record, le previsioni dei manager stimano un primo rallentamento dei prezzi entro l’estate, l’inflazione dei beni alimentari lavorati resterà elevata (+6,7% medio nel 2023 secondo i manager italiani del settore Food & Beverage), si ridurranno i volumi acquistati dalle famiglie nella Gdo (-0,9%) e si conferma il peggioramento della redditività delle imprese industriali e, soprattutto, distributive (lo teme il 66% dei manager del settore) con conseguente calo degli investimenti (37%) e ricadute anche sul fronte occupazionale (27%). Innovazione e ristrutturazione sono la ricetta necessaria per uscire da questa difficile crisi sia nell’organizzazione dei processi aziendali (lo afferma il 38%), sia nel prodotto e nel servizio (32%) fino ai canali e alla rete di vendita (26%). E in questo la Marca del Distributore sembra davvero una panacea in grado di risolvere i problemi, mentre rimangono intoccabili la sostenibilità ambientale e sociale delle azioni e dei prodotti.

Un Natale in famiglia, il Nuovo Anno a cena fuori
A dispetto delle nuove preoccupazioni per i contagi in Cina, quello del 2022 è stato il primo Natale senza restrizioni e con una pandemia che fa meno paura. Gli acquisti di Natale sono stati invece fortemente condizionati dall’incremento dei prezzi che hanno fatto crescere nella spesa degli italiani prodotti come panettoni, pandori e altro, prodotti da forno, salumi, formaggi e gli ingredienti di base. Per questa ragione la spesa degli italiani nelle ultime due settimane dell’anno è stata di oltre il 13% maggiore di quella del 2021 ma con una riduzione delle quantità di circa un punto percentuale per gli acquisti delle festività e di quasi 2 punti per l’intero mese di dicembre.  La spesa per i consumi domestici si è concentrata nella settimana precedente al Natale mentre gli acquisti in vista dell’ultimo dell’anno hanno avuto un andamento negativo, segno di un ritorno alla convivialità outdoor, ai viaggi e ai cenoni al ristorante.

Rapporto Coop 2022, il largo consumo alla prova dell’inflazione

A volte un’immagine vale più di tante parole. La foto di un tornado che apre l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2022 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, presentata l’8 settembre a Milano, la dice lunga sulle tante criticità all’orizzonte. A cominciare dall’inflazione: il dato a doppia cifra del +7,8% nel 2022 ci fa ritornare indietro di 40 anni (era al +9,2% nel 1985) e da allora a oggi mai aveva toccato tale picco. L’effetto è presto detto: una perdita media del potere d’acquisto delle famiglie stimata in 2.300 euro per il 2022, cioè il 7,7% della spesa media annua.

Nei prodotti alimentari lavorati – ha spiegato Albino Russo, Direttore Generale Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) – la dinamica inflattiva è prossima alla doppia cifra, ma ancora inferiore rispetto ad altri Paesi europei (da noi un +10% a fronte del +13,7% della Germania o del +13,5% della Spagna, con la media Ue 27 al 12,8%). Allo stesso tempo in maniera inattesa, nonostante questa spinta dei prezzi, i volumi di vendita hanno tenuto (+7,8% primo semestre 2022 vs 2019), complice la calda e lunga estate italiana, il ritorno del turismo straniero e la capacità della distribuzione moderna di imporsi sugli altri canali di vendita specializzati. Il mercato italiano è però al momento l’unico a mantenere un trend positivo dei volumi: la variazione delle vendite a prezzi costanti di largo consumo confezionato è del +0,5% in Italia, contro -5,4% del Regno Unito, -3,7% della Germania, -2,3% della Francia e -1,3% della Spagna. Questa differenza, come il ritardo nell’incremento dei prezzi, sembra presagire ad una inversione di tendenza imminente.

Oltre al tornado, un’altra metafora utilizzata nel Rapporto redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop – con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Nomisma Energia, Npd – è assai indicativa: il carrello come un fortino da proteggere e non più una miniera da cui attingere per finanziare altri consumi. Cosa significa? Che gli italiani – per ora – non hanno operato il cosiddetto downgrading degli acquisti, cioè non hanno rivisto al ribasso il mix dei prodotti che comprano. Guardando ai dati dello scorso luglio, a fronte di un’inflazione del +9,4% nel largo consumo confezionato, la variazione dei prezzi medi dei prodotti acquistati è stata del +9,3% e lo 0,1% di differenza è appunto la variazione di mix.

Ma attenzione: già oggi il 57% delle famiglie in affitto dichiara di essere in difficoltà a pagare il canone, così come il 50% delle famiglie con mutuo fa fatica a pagare la rata e se restringiamo il campo a luce e gas, un italiano su 3 entro Natale potrebbe non coprire più le spese per le utenze. Mettendo a confronto il periodo ottobre 2020 – settembre 2021 e quello ottobre 2021 – settembre 2022, la spesa media delle famiglie per l’elettricità è passata da 560 euro a 1.100 euro (+91%), quella per il gas naturale da 990 euro a 1.700 euro (+70%).

Insomma, la situazione è tale da fare presumere che le conseguenze si scarichino anche sul carrello della spesa. Come? Sono 24 milioni e mezzo gli italiani che nonostante l’aumento dei prezzi non sono disposti a scendere a compromessi nelle loro scelte alimentari e nei prossimi mesi prevedono di diminuire la quantità, ma non la qualità del loro cibo. Le stesse marche leader sembrano sacrificabili, rispetto al 2019 hanno registrato una contrazione della quota di mercato passando dal 14,9% di quell’anno al 13,1% 2022 (-1,8 pp), mentre la Mdd continua la sua avanzata, con una quota di mercato che nel 2022 sfiora il 30% (+2,0 rispetto al 2019). Ma questa forse è una delle rare note positive per la Gdo, visto che il 2022 (e forse ancor di più il 2023) potrebbe essere l’anno più difficile della sua storia.

Rapporto Censis-Confimprese, rialzo positivo dei consumi

È stato presentato pochi giorni fa il 2° Rapporto Censis-Confimprese, realizzato con il contributo di Nhood, società di servizi immobiliari focalizzata sugli immobili a uso misto e sulle riqualifiche urbane, nonché attore primario del mondo dei centri commerciali, che è sempre a supporto e sostegno del mondo retail anche attraverso il contributo a studi e ricerche mirati alla realizzazione di report utili al settore. Dal Rapporto sono emersi risultati molto interessanti che manifestano un grosso incremento nell’andamento del mondo del retail e dei consumi: in particolare, la spesa delle famiglie supererà i 1.000 miliardi di euro a fine anno. Dopo il +14,2% nel secondo trimestre del 2021, quest’anno i consumi aumenteranno di 60 miliardi rispetto all’anno scorso. Cresce la voglia di canali fisici del retail: il 65% degli italiani vuole tornare nelle piazze dello shopping. Il Rapporto è stato presentato da Francesco Maietta, responsabile dell’area politiche sociali Censis, e discusso da Francesco Montuolo, executive vice president Confimprese, Ettore Papponetti, Head of Commerce & Leasing Nhood Italy e Massimiliano Valerii, direttore generale Censis.

Ettore Papponetti, Head of Commerce & Leasing Nhood Italy: “Phygital, esperienzalità e sostenibilità sono tra le tendenze evidenziate dal rapporto stilato da Censis e Confimprese e trovano nel Centro Commerciale un luogo ideale di realizzazione, sia per la naturale conformazione e grandezza dei suoi spazi, sia perché la sinergia tra proprietà, gestione e operatori può fare la differenza nel rendere i luoghi d’acquisto fisici attrattivi e desiderabili quanto quelli digitali. Siamo già al lavoro su questi punti chiave, sia negli assetattualmente gestiti che in quelli in via di sviluppo, come Merlata Bloom Milano: siamo infatti fortemente orientati verso progetti costruiti in partnership con i tenant e che generino un triplo impatto positivo – sulle Persone, sul Pianeta, sul Profitto -, considerando sempre quest’ultimo come una naturale conseguenza di un’attività sostenibile”.

Il rimbalzo dei consumi
Alla fine dell’anno la spesa per consumi delle famiglie sfonderà il muro dei1.000 miliardi di euro. Nel secondo trimestre del 2021 i consumi degli italiani si sono già ripresi del 14,2% rispetto allo stesso periodo del 2020 (33 miliardi in più), con una netta inversione di tendenza rispetto al -5,4% registrato nel primo trimestre dell’anno. L’incremento a consuntivo d’anno ammonterà a 60 miliardi in più rispetto all’anno scorso, un tesoro prezioso per rivitalizzare l’economia reale. Complessivamente la pandemia ha bruciato dieci anni di crescita dei consumi. Ma, se non ci saranno nuovi stop sanitari, a Natale si prevedono almeno 9 miliardi di spesa in più rispetto allepassate festività. È quanto emerge dal 2° Rapporto Censis-Confimprese, realizzato con il contributo di Nhood.

Le tigri del consumo
Sono 4,5 milioni gli italiani che, forti di redditi rimasti intatti e di risparmi forzosi dovuti all’impossibilità di poterli utilizzare durante la pandemia, ora sono pronti a spendere per i consumi più di quanto facessero nel periodo pre-Covid. Usciti dall’emergenza, il 57,2% degli italiani tornerà a spostare soldi dal risparmio ai consumi, per andare oltre le scarsità imposte dal periodo recente. Più la paura allenta la presa, più crescono le tigri del consumo.

Il ritorno del retail
Il rimbalzo dei consumi sarà favorito dalla stanchezza degli italiani, per troppo tempo costretti in casa e ormai saturi di una sovrabbondanza di interazioni digitali nelle loro vite. Il 51,9% non sopporta più gli incontri da remoto per il lavoro, lo studio o le relazioni interpersonali. Il 52,8% ritiene che il digitale sia eccessivamente presente nelle proprie vite e che ora c’è bisogno di un riequilibrio con il mondo fisico. Il 65% (il 77,4% tra i giovani) vuole tornare a trascorrere tempo fuori casa per incontrare gli amici, mangiare insieme, divertirsi, fare shopping. L’insofferenza per i divieti e la vita da remoto spingerà in alto il retail.

Cresce la voglia di shopping nei canali fisici del commercio
Il 64% degli italiani ha nostalgia degli acquisti nei negozi fisici, nei centri commerciali, nelle piazze dello shopping, anche riducendo il ricorso all’e-commerce. Lo dicono più le donne (67,6%) e le persone benestanti (69,8%). La normalità per gli italiani è fatta anche di shopping fisico, da cui traggono emozioni e benessere.

I nuovi driver degli acquisti
Utilizzare ogni tipo di informazione disponibile per decidere cosa acquistare e dove farlo: ecco il potere rinforzato del consumatore con cui il retail dovrà misurarsi. Il 64,9% degli utenti di internet cerca informazioni su aziende, prodotti e servizi. Il 53,4% confronta i prezzi dei prodotti e servizi per valutare le diverse opzioni. È questo l’importante contributo del digitale: i consumatori sono diventati più forti grazie ai flussi informativi facilmente accessibili a chiunque e ovunque per giudicare, scegliere, acquistare. L’e-commerce è ormai una realtà consolidata: il 51,6% degli internauti (il 62,3% delle persone più istruite, il 64,6% dei 30-44enni) ha effettuato almeno un acquisto online nell’ultimo mese. Dopo la pandemia ogni consumatore costruirà la sua spesa personale combinando canali fisici del retail ed e-commerce.

«È un’Italia che ce la fa– spiega Mario Resca, presidente Confimprese – quella che il Censis fotografa dopo i 19 mesi di pandemia che hanno messo a dura prova la tenuta del retail. La stabilità del governo Draghi, la ripresa dell’economia italiana che è tra quelle europee a più alta crescita, la voglia di normalità unita ai risparmi degli italiani sono il vero vaccino dell’Italia post Covid19. Oggi, qualche incognita potrebbe provocare temporanee frenate come la scarsità di materie prime su scala globale, la mancanza di manodopera specializzata e l’inflazione. Per questo è necessario rassicurare gli italiani con politiche di welfare e incentivi volti a proteggere e promuovere il loro benessere economico e sociale».

Mare Aperto Foods lancia il tonno “Basso in Sale”

Per chi desidera portare in tavola benessere e gusto, Mare Aperto Foodssocietà genovese che fa capo al Gruppo Jealsa – propone il nuovo tonno “Basso in Sale”.

Con questa nuova referenza, dunque, l’azienda risponde alle esigenze del consumatore, sempre più attento ad inserire nella propria dieta quotidiana prodotti che favoriscano un’alimentazione corretta. Si è infatti constatato come nel 2020, il 17% degli italiani abbia acquistato prodotti salutistici in più rispetto al 2019 e il 66% ha continuato a consumarli anche dopo il lockdown. Anche l’acquisto dei prodotti “senza” – quindi in assenza di specifici ingredienti – è aumentato dal 41% al 48% da luglio a dicembre 2020*.

Da qui il lancio di un tonno a tasso ridotto di sale, il 75% in meno rispetto a 100g (peso netto e sgocciolato) di tonno in olio di oliva Mare Aperto 80 g classico. È dimostrato, infatti, che la maggior parte delle persone consumi in media circa il doppio del livello massimo di assunzione di sale raccomandato (5g), tanto che gli stati membri dell’OMS hanno stabilito come obiettivo la riduzione dell’assunzione di sale da parte della popolazione mondiale del 30% entro il 2025.**

“Il tonno in scatola è un alimento molto versatile in cucina e vanta un profilo nutritivo di tutto rispetto: le sue carni sono ricche di proteine pregiate, che contengono tutti quegli aminoacidi essenziali necessari all’organismo per crescere e ricambiare i tessuti. È buono anche il suo contenuto di sali minerali, soprattutto di ferro e di fosforo.” commenta la Dott.ssa Martina Donegani, Biologa nutrizionista, web contributor e consulente alimentare.

Basso in Sale è realizzato con tonno appartenente a specie non sovrasfruttate, pescato con metodi sostenibili e certificato Friend of the Sea (FOS), che garantisce l’origine sostenibile dei prodotti ittici. Al tonno viene aggiunto olio extravergine biologico, in linea con i principi dell’azienda in termini di sostenibilità e impegno reale verso l’ambiente.

“A differenza di quello che spesso si crede, le carni del tonno in scatola sono estremamente magre.  Per questo è preferibile consumare tonno conservato in olio extravergine d’oliva, meglio ancora se biologico come in questo caso: il suo utilizzo, infatti, comporta l’aumento di lipidi di ottima qualità, che forniscono una quota importante di sostanze antiossidanti, come i tocoferoli e i polifenoli. Anche il basso contenuto di sale è un plus fondamentale: optare per il tonno in scatola con un quantitativo di sale ridotto è un’opzione da privilegiare. Ridurre l’apporto di sale, infatti, è particolarmente importante perché l’eccesso di sodio favorisce l’ipertensione, causa primaria di infarto e ictus, oltre che di malattie cronico-degenerative, quali i tumori dello stomaco, osteoporosi e malattie renali” – conclude la dott.ssa Donegani.

Come per tutte le altre referenze di Mare Aperto, anche su Basso in Sale è presente il sistema di apertura facilitata, inoltre anche per questa referenza il packaging è completamente riciclabile, e segue l’approccio clean label ovvero trasparenza in ogni dettaglio informativo, tanto che tutti gli ingredienti sono riportati sul fronte della confezione e il cartoncino di tutti i cluster è certificato da FSC (Forest Stewardship Council) come proveniente da boschi gestiti responsabilmente.

 

*Fonte: IRI Ricerca abitudini alimentari Post Covid-19 Unione Italiana Food

**Fonte: Piano d’Azione globale 2013-2020 dell’Oms per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili (“Global action plan for the prevention and control of NCDs 2013-2020”).

 

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