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Così cambia la cosmetica: lo studio di Up Marketing e Marketers

Il lockdown ha colpito anche qui: il comparto della cura del corpo. Il risultato? Oggi ai trattamenti lunghi e protratti nel tempo (come per esempio il dimagrimento o l’epilazione laser) si preferiscono quelli rapidi, orientati al relax e all’estetica di base (cerette ed epilazione). A dirlo il report italiano realizzato sul tema dall’agenzia di marketing Up Marketing e il network di imprenditori digitali Marketers.

Ma procediamo con ordine, per scoprire l’evoluzione di questo mercato nell’anno della pandemia.

Per comprenderne bene l’andamento è giusto partire dal fatturato del mercato della bellezza in Italia nel 2019: parliamo di 7 miliardi di euro, divisi in saloni di bellezza (circa 35.000 su tutti il nostro territorio) e parrucchieri, che hanno fatturato in totale oltre 771 milioni di euro.

Nel 2020 la debacle, testimoniata da una contrazione dei consumi del -9,3% e anche del fatturato complessivo (-11,6%).

Pandemia ed e-commerce

Stando al Rapporto, nei primi sei mesi del 2020, si sono registrati grandi perdite per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro. Nel dettaglio: il mondo dell’estetica ha avuto una perdita del -47% (pari a 63 milioni di euro), così come il settore dell’acconciatura che ha altresì avuto una perdita del -47% (pari a 157 milioni di euro). Ancora: erboristeria (-40% per un totale di 134 milioni), profumeria (-38,5% per un totale di 520 milioni) e anche le vendite dirette hanno subito una perdita del -35% pari a 155 milioni.

Forte calo, dunque per i canali tradizionali, a fronte di un vero e proprio boom dell’e-commerce i cui volumi sono quasi quadruplicati nei primi 6 mesi del 2020: da gennaio a giugno 2020 il mercato dell’online ha registrato un +38,8%, unico incremento positivo dei consumi nel settore.

La crescita degli e-consumer durante il lockdown ha generato 2 milioni di euro. Gli acquisti online degli italiani sembrano orientati verso prodotti per l’igiene e la cura della persona (44%), un’occasione perfetta per tutti i centri estetici che vogliono implementare i propri negozi online per la vendita diretta di prodotti.

“Il successo dell’e-commerce riscontrato nel corso del 2020 non è però da interpretare come un invito, per chi ha un centro estetico, ad aprire un e-commerce inteso nel senso più tradizionale – spiega Tony Balbi, CEO e co-fondatore di Up Marketing – Infatti la gestione di un e-commerce (il che include anche la sua promozione, senza la quale il portale non potrebbe ottenere vendite) si configura come un’attività a parte rispetto a quella di un centro  estetico e, nella maggior parte dei casi, non è compatibile, sia per fattori economici che logistici.”

Presenza online in pandemia

Ma in cosa è consistita, durante il lockdown la presenza online dei centri estetici) Quale ruolo hanno svolto? Quali le iniziative di maggior successo?

Il report ha evidenziato come le soluzioni di vendita online che in piena pandemia sono piaciute di più sono attribuibili a vendite online ristrette, ovvero vendite da parte di centri estetici direttamente alla propria clientela. L’idea vincente è stata quella di agevolare l’acquisto di prodotti da parte delle clienti attraverso canali come Whatsapp, gruppi Facebook o una vetrina su Instagram o Facebook Shop, così da mantenere un filo diretto con loro. 

Molto apprezzata anche l’idea di creare dei format di contenuto in cui i centri estetici, tramite degli interventi in diretta sui propri canali social, parlano di uno specifico problema (ad esempio, legato alla cura della pelle o alla beauty routine per il corpo) con figure autorevoli, proponendo trattamenti specifici a un gruppo privato, da fare a casa in totale sicurezza.

Pandemia, colpito duramente il beverage. L’allarme di Assobibe

Perdite del 40% per il mercato delle bevande, a causa delle misure restrittive dovute all’emergenza sanitaria. A lanciare l’allarme è il presidente di Assobibe Giangiacomo Pierini (foto) che aggiunge: “Nessun ristoro è stato previsto per gli operatori, come le imprese di produzione, i grossisti e la filiera che gravita attorno al mondo dei consumi fuori casa. Lo scenario è complicato e le incertezze enormi: anche nel 2021 il trend rimane negativo, con una contrazione a marzo 2021 del 57%“.

E in questo scenario già fosco, ecco all’orizzonte la spada di Damocle di due misure pre pandemiche, ma rimaste inalterate nel crono programma del legislatore: la sugar e la plastica tax.

“Le nuove Sugar e Plastic Tax produrranno ulteriori contrazioni della domanda del 10%, danneggiando ulteriormente la filiera. Con l’entrata in vigore della Sugar Tax, inoltre, le aziende si troverebbero a dover sostenere un aumento medio del 28% della pressione fiscale per ogni litro prodotto in Italia, cui si aggiungerebbe un raddoppio dei costi di approvvigionamento della plastica, anche se riciclabile al 100%. È insostenibile”, dichiara Pierini, “in un momento in cui il potere di acquisto dei cittadini è diminuito e la pressione fiscale è già alle stelle”.

Non resta che auspicare, in merito, un intervento delle istituzioni.

“In questo contesto, più che mai, è importante definire insieme priorità e strategie da portare all’attenzione del Governo. Assobibe continuerà a essere accanto a gli operatori della filiera, a fornire il suo supporto strategico e operativo a sostegno di un comparto che sta pagando un prezzo troppo alto e che rischia di non rialzarsi”, conclude il Presidente.

 

Post covid: il profilo dei nuovi consumi

Cinque prospettive: tante le angolature da cui Luca Pellegrini, presidente di TradeLab, guarda alla ripresa dei consumi in un auspicabile scenario post covid.

“Sul fronte delle attività lavorative, ricominceremo a consumare fuori casa, quando torneremo a lavorare in presenza – esordisce- . Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che lo smart working è ormai entrato a far parte della nostra vista e non verrà cancellato con un colpo di spugna”. Ergo: si ridurranno i lunch bar, si consoliderà il delivery, cresceranno i bar di quartiere.

In ottica di attività ricreativa, con l’apertura di palestre, piscine, teatri, musei, cinema e aree dello shopping, i consumi riprenderanno, certamente, “ma ci sarà la necessità di integrarli alle attività ricreative giocando su due requisiti: semplicità e prezzi contenuti”.

In ottica turistica due le osservazioni: se da una parte la riduzione della componente business (che in molti casi farà ricorso agli strumenti digitali) si farà sentire (in quanto più ricca del turismo leisure), dall’altra “potrà esserci una ripresa interessante del turismo enogastronomico, fortemente legato ai prodotti del territorio e molto apprezzato dai turisti”.

Sul fronte delle attività sociali (incontri, festeggiamenti, ricorrenze), i consumi fuori casa dovranno trovare una formulazione più appetibile, “magari pensando a format su misura, spazi adeguati e flessibili, prezzi ragionevoli”.

L’ultima prospettiva è quella della digitalizzazione, prepotentemente affermatasi in questi mesi: la ripresa dei consumi non potrà ignorarla. “Sarà infatti la digitalizzazione lo strumento principe nella ricerca dei locali, nella loro valutazione, nella proposizione dei menu e dell’offerta, nella gestione dei pagamenti e nell’introduzione del delivery”.

Così l’Italia Covid- free ricomincerà a consumare

Parliamo di uno dei settori più fortemente penalizzati dalla pandemia: il fuori casa, infatti, che nel 2019 ha raggiunto gli 85,3 miliardi a valore, nell’annus horibilis del 2020 è sceso a 53,6 miliardi, con una perdita secca del 37%.

Tuttavia, secondo le stime proposte da Bruna Boroni di TradeLab, i presupposti per sperare in una ripresa rapida, una volta usciti dal tunnel pandemico e dai timori ad esso correlati, ci sono tutti.

Basti pensare che tra luglio e settembre 2020 quando la foga virale si era pressoché placata, i consumi erano tornati a salire (8 miliardi ad agosto, 6 a settembre). Fino a quel momento, dunque, a fermare gli italiani, erano stati i divieti: la voglia di uscire, consumare e socializzare non si era sopita…

Con la ripresa dei freddi e i nuovi Dpcm, ecco un nuovo rallentamento, più penalizzante per le occasioni serali a causa del coprifuoco. I momenti di consumo diurni hanno invece tenuto duro: altro segnale di come – quando consentito- gli italiani non hanno mai rinunciato al fuori casa.

Il profilo del nuovo consumatore

“Le rilevazioni – spiega Boroni – fanno presupporre che a ritornare prima ai consumi pre-covid saranno gli uomini. Già adesso infatti i consumi “maschili” valgono circa il 4-5% in più e nel bimestre ottobre novembre hanno addirittura toccato il 60% dei consumi totali”. Non è un mistero, infatti, che le donne hanno accusato maggiormente il colpo della pandemia, anche a livello psicologico.

Sul fronte anagrafico, sarà la fascia dei 45-50enni quella che tornerà prima (e lo sta già dimostrando) ai consumi di un tempo. Infine, a livello geografico le aree più resilienti si sono dimostrate quelle del Sud.

“E questo si spiega con il fatto che al Meridione le occasioni di consumo diurno sono più diffuse. Mentre a Nord Ovest e a Nord Est, rispettivamente, sono stati penalizzati i consumi business e quelli turistici”.

Il messaggio, dunque è chiaro: gli italiani non rinunciano ai consumi fuori casa, ma si adattano (e questo succederà anche nel prossimo futuro) alle occasioni che vengono loro concesse.

Anche secondo Bain&Co., gli italiani si stanno adattando alla situazione, ma lo scenario di un’Italia Covid-free in cui i consumi riprenderanno, non è fantascienza: basti guardare all’Australia dove – bloccati ingressi e uscite e pressocché sgominati i contagi– la popolazione ha ripreso a consumare: come dimostra il fatto che i consumi di dicembre 2020 hanno quasi pareggiato quelli del 2019…

Fronteggiare i timori

Naturalmente la paura non passerà sic et simpliciter: il 68% del campione di TradeLab ammette infatti che il timore dei contagi frenerà le uscite. Serve quindi garantire il distanziamento. Concorda su questo anche Lorenzo Farina, titolare del Duke’s: “Nel post Covid chi avrà spazi avrà più probabilità di riprendere velocemente a lavorare”. Naturalmente, però, c’è un caveat: il maggior distanziamento fa perdere capacità ricettiva al locale. Bisogna tenerlo presente.

2020: anno d’oro per la Birra in GDO. L’analisi di IRI

Un 2020 positivo per il Largo Consumo Confezionato (+6,5% in volume e +7,6% in valore, considerando i canali Iper + Super + Libero Servizio Piccolo + Specialisti Casa e Persona + Discount), soprattutto grazie al contributo dei reparti Food e Home Care.

Discount e Specializzati Casa e Persona, sono stati i formati più performanti (a volume rispettivamente +10,3% e del +9,1%).

Mentre sul fronte prezzi si è registrato un calo generalizzato della pressione promozionale che si attesta al 24,8% (-2,3 punti rispetto al 2019) e un conseguente aumento dei prezzi medi (+1,1%).

In contrazione anche la profondità degli assortimenti, con la sola eccezione del Discount. Infine, come abbiamo più volte evidenziato, il 2020 ha assistito a un vero e proprio boom dell’e-commerce, che ha chiuso l’anno con un trend a valore pari a +119%.

Covid e bevande

In questo contesto, si registra un ottimo andamento per le Bevande nel canale Brick&Mortar (+4,4% a volume e +5% in fatturato).

La crescita è stata guidata dal mondo degli Alcolici con un contributo estremamente positivo da parte di tutte le categorie (incrementi in volume: Vino +5,6%, Spumanti +6,7%, Spirits +6,5% e Aperitivi +23,8%).

Un clima più rigido rispetto all’anno precedente ha invece influito negativamente sui volumi sviluppati dalle Bevande Analcoliche: in calo le Bevande Piatte -4,6% (Tea, Isotoniche, Acque aromatizzate), mentre restano in terreno positivo l’Acqua +1,9% (lo spostamento su formati più grandi a discapito dei formati da consumo fuori casa riduce il prezzo medio della categoria), i Succhi e i Nettari +1,4%, le Bevande Gassate +2,7% e soprattutto gli Energy Drink +10,8%.

Il mercato della birra

In quest’ambito, nel 2020 le vendite hanno superato per la prima volta il fatturato di 2 miliardi di euro (Totale Italia incluso Discount), consolidando anche in questo difficile anno la sempre maggiore centralità della categoria all’interno del comparto del Largo Consumo Confezionato.

Ancora una volta i risultati di fatturato (+10,7%) sono migliori rispetto al trend dei volumi, che restano comunque estremamente positivi (+9,0%). Questo dato è influenzato in particolar modo dalla diminuzione dell’attività promozionale che, seppure molto alta (49,8%), scende rispetto all’anno precedente (-2,6 punti).

Questa performance si spiega essenzialmente con lo spostamento dei consumi dal mercato del fuori casa, verso un consumo casalingo.

La razionalizzazione dello scaffale

Il fenomeno, attribuibile ai problemi logistici durante il periodo di lockdown ha coinvolto anche il mercato della Birra. Il segmento più colpito è stato quello delle Speciali che hanno registrato un calo di 10 referenze medie a scaffale a marzo e ad aprile; tuttavia il segmento ha continuato a mostrare una certa dinamicità (+18,9% a valore). La realtà delle Birre Speciali è ormai consolidata: a valore è infatti il secondo segmento del mercato con una quota del 18,9%.

Anche le Standard crescono molto velocemente (+9,5%), mentre le Birre Sophistication, che hanno un prezzo/litro leggermente superiore alle Birre Standard, mostrano dei trend positivi ma a tassi più contenuti (+5,9%). In crescita anche gli altri segmenti: Saving +7,1%, Beer Mix +3,9% e Analcoliche Light +4,9%.

In questo contesto, il Discount sta crescendo a tassi quasi doppi rispetto agli altri canali (+15,7% a volume), mostrando una spiccata vivacità sia a parità di rete che in termini di nuove aperture di punti di vendita.

Va sottolineato inoltre che tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 gli assortimenti medi a scaffale sono tornati in territorio positivo: un fattore che potrà sicuramente giovare al trend di tutta la categoria della Birra.

In linea con l’intero comparto del Largo Consumo Confezionato, anche per la categoria della Birra, l’innovazione è stata sostanzialmente azzerata nel 2020 e rimandata al 2021.

Le principali dinamiche del mercato

 

Anno 2020

Euro (mio)Var.
%
Quota Val.EttolitriVar.
%
Quota Vol.% Vol. PromoVar. P.ti
Birra2.05010,7100,011.048.0549,0100,049,8-2,6
Standard7599,537,04.670.9378,242,354,7-3,1
Sophistication3925,919,12.018.8815,318,360,1-2,7
Special Beer56818,927,71.814.03219,616,438,8-2,7
Saving2617,112,72.139.5806,519,420,53,6
Beer Mix393,91,9222.1155,02,025,1-5,8
Analc. + Light304,91,5182.50911,01,718,6-4,8

 Fonte: IRI InfoScan Census – Tot Italia + Discount (Dati Promo: Ita Iper+Super+LSP>100mq) – 2020

Promozione e comunicazione

Le difficoltà logistiche dovute al lockdown hanno causato un calo promozionale che si è verificato in tutti i segmenti ad eccezione delle Birre Saving: Standard -3,1 punti, Sophistication -2,7 punti Special Beer -2,7 punti, Beer Mix -5,8 punti e Analcoliche Light -4,8 punti.

Contemporaneamente anche la profondità di sconto e l’efficacia delle promozioni sono calate notevolmente e molte attività all’interno dei punti di vendita, come doppie esposizioni e/o teatralizzazioni che avevano caratterizzato le scorse stagioni, non sono state implementate durante il 2020.

Emerge, invece, un trend dei volumi molto positivo per il segmento delle Birre Analcoliche Light con l’obiettivo strategico di allargare le occasioni di consumo della categoria per incrementare il consumo pro-capite. La ricerca sulla qualità del prodotto delle Birre non alcoliche e una maggiore visibilità all’interno del Punto di Vendita sono alcune delle strategie volte a far crescere i consumi.

In questo scenario la comunicazione con gli strumenti canonici, ma anche attraverso lo sfruttamento delle piattaforme digitali sempre più popolari, continua ad avere un ruolo centrale.

Horeca e Cash&Carry: la situazione

A partire dal primo lockdown il mondo del Fuori Casa è stato e continua ad essere uno dei settori più penalizzati dalla crisi pandemica.

Il servizio di misurazione IRI Grossisti Bevande, evidenzia infatti come le vendite di questi prodotti, in crescita negli ultimi anni nel Canale dei Grossisti specializzati (Fonte: IRI Grossisti Bevande che monitora le Partecipate ed i Consorzi), chiudono il 2020 con un andamento dei volumi pari a -31,4%; il calo è generalizzato e non risparmia nessuna categoria. La Birra, che sviluppa il 37% del fatturato e che è considerata la categoria più rilevante, registra un -35,4% in termini di volumi e un -35,8% in termini di ricavi.

Differente la dinamica di sviluppo dei Cash&Carry che presumibilmente si riposizionano cambiando l’offerta, diversificandola dall’Horeca, in modo da allargare la propria clientela. In questo canale il comparto delle Bevande chiude il 2020 con un -0,9% in volume e un -13,3% in valore. Il gap è spiegato dal consistente aumento del peso dell’Acqua Minerale (la categoria meno costosa), a discapito delle altre categorie. Oltre all’Acqua solo gli Aperitivi Alcolici registrano un aumento delle vendite, mentre le altre categorie sono tutte in contrazione. La Birra rimane stabile in volume (-0,1%) ma perde in fatturato (-2,3%). Il calo del prezzo medio, a fronte di una pressione promozionale in contrazione, è dovuto al differente mix: cresce la fascia Mainstream a discapito delle marche Premium; aumenta la quota del vetro nel formato da 66cl e cala quella del formato da 33cl.

Bio: crescono i consumi durante il lockdown. Bene anche il Km0

Frutta e verdura bio: crescono i  consumi durante la pandemia e per il 60% dei responsabili acquisti l’origine 100% italiana acquisirà ulteriore centralità nelle scelte scelta di frutta e verdura. Ne è conferma l’elevata importanza attribuita ai prodotti ortofrutticoli a km zero o del territorio (45%). Anche la ricerca di adeguate garanzie di controllo e rintracciabilità lungo la filiera genera interesse (45%). Tra gli altri valori determinanti, ci sono i prodotti biologici (34%) e salutistici (32%), con un occhio anche alla sostenibilità, grazie alle confezioni in materiali riciclabili o ecosostenibili (30%).

Questi i primi dati di Organic F&V Monitor, l’Osservatorio – promosso da AssoBio e Alleanza Cooperative Italiane e curato da Nomisma – che nasce nell’Anno Internazionale della frutta e della verdura promosso dall’ONU.

Durante il lockdown,  infatti, i consumatori sono andati alla ricerca di prodotti naturali, biologici, con etichette chiare, a conferma di una tendenza di crescita già in atto.

Rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia è il Paese in cui la propensione al consumo di frutta è più elevata. Nel complesso, l’81% della popolazione in Italia assume almeno una porzione di frutta o verdura al giorno, ma il primato riguarda anche le quantità, oltre che la frequenza. Nel 2020, secondo le elaborazioni di Nomisma, il consumo pro capite annuo (at home + away from home) di ortofrutta fresca in Italia è stato di 160 kg, di gran lunga superiore rispetto a quello di molti paesi europei come la Germania (che si ferma a 109 kg) o il Regno Unito (101 kg). 

Nell’anno della pandemia una famiglia su quattro ha acquistato ortofrutta online dai siti della grande distribuzione, con una domanda potenziale ancora maggiore e non soddisfatta a causa di una forte intensità delle richieste (durante il lockdown il 16% ha provato a effettuare un ordine senza successo). Per l’ortofrutta il canale on line non si esaurisce con la GDO: un ulteriore 15% ha acquistato da siti di produttori o mercati agricoli on line.

Fonte: Nomisma su Osservatorio The World After Lockdown

Bio in GdO 

Le vendite di ortofrutta veicolate dalla distribuzione moderna evidenziano un incremento nell’anno della pandemia: +9,1% a volume rispetto al 2019 (fonte: Nielsen, perimetro confezionato a peso imposto) e +8% a valore (oltre 4,5 miliardi di euro).

L’ortofrutta è da sempre la categoria elettiva del consumatore interessato al bio a cui afferisce il maggior giro d’affari del segmento: 208 milioni di euro le vendite a peso imposto realizzate nella distribuzione moderna nel 2020 – divisi quasi perfettamente a metà tra frutta (48%) e verdura (52%). Vendite che hanno registrato un balzo del +8% a valore rispetto all’anno precedente – crescita quasi doppia rispetto all’intero paniere bio (+4,5 a valore rispetto al 2019). Libero servizio piccolo (LSP) e discount registrano le performance più brillanti (+9 e +28% rispettivamente).

Ma ci sono ulteriori potenzialità di mercato visto il crescente interesse del consumatore, le vendite bio sul totale dell’ortofrutta pesano ancora solo il 4,6% sul totale (5,6% nella categoria frutta e 3,9% nella verdura).

Il progetto Organic F&V Monitor 

Nel costruire le prospettive e quindi le politiche strategiche del mondo ortofrutta bio, però, occorre monitorare anche tutti gli altri canali, dedicando particolare attenzione ai consumi nell’away from home, oltre che ampliare il dettaglio per categoria nell’analisi del peso variabile. Per queste ragioni Nomisma e Assobio hanno deciso di proseguire le attività dell’Osservatorio Ortofrutta, inaugurato già nel 2018, che intende superare la carenza di informazioni in merito all’andamento vendite e al ruolo del comparto bio, nelle singole categorie di ortofrutta a peso imposto e peso variabile nei diversi canali.

In questo articolato contesto proseguono i lavori di F&V Organic Monitor – il progetto curato da Nomisma, promosso da AssoBio con il supporto di ACI (Alleanza Cooperative Italiane) – che ha l’obiettivo di:

  1. mappare le reali dimensioni delle vendite di ortofrutta in Italia, estendendo il monitoraggio anche al peso variabile sia per quanto riguarda i consumi domestici (distribuzione moderna, negozi specializzati in prodotti bio ed e-commerce) che quelli fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva)
  2. individuare il reale ruolo del biologico sul totale delle vendite in Italia
  3. identificare il peso dei diversi canali di vendita
  4. valutare l’andamento delle vendite per categorie e varietà

Gli attori della filiera aderenti (produttori, retailer, operatori ristorazione, operatori e-commerce) saranno coinvolti nella raccolta dati, che verranno poi codificati e aggregati a disegnare un quadro d’insieme dell’Osservatorio.

“Il segnale che il consumatore italiano ci manda è inequivocabile – osserva Roberto Zanoni, Presidente di AssoBio – nell’anno del lockdown le scelte hanno premiato i prodotti biologici e biodinamici, la vendita di ortofrutta bio è cresciuta dell’8%. Riteniamo per questo che sia il momento opportuno per rilanciare l’attività dell’Osservatorio Organic F&V Monitor insieme a Nomisma, riconoscendo il giusto peso e dignità a ciascun canale di vendita, dallo sfuso al fuori casa, fino alla ristorazione collettiva, per fornire agli operatori uno strumento informativo completo, utile per supportare il loro sviluppo commerciale e strategico nel comparto”.

“Il progetto di ricerca rappresenta per l’intero comparto ortofrutticolo un’importante occasione di studio e di sviluppo futuro – commenta Andrea Bertoldi, Consigliere AssoBio. “I Numeri danno la misura della rilevanza commerciale, restituiscono la valenza della filiera e consentono di raccogliere le informazioni sugli aspetti produttivi e di vendita, in ottica di efficientamento e sostenibilità. La necessità degli operatori è quella di incrociare le esigenze della domanda di frutta e verdura con le inevitabili risposte dell’offerta produttiva e della filiera commerciale, così da elaborare un rapporto sulle tendenze e di mettere in atto le scelte migliori per il futuro”.

“Oggi solo il 19% degli italiani segue le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che prevedono l’assunzione di almeno 4 porzioni di frutta e verdura al giorno. Se a questo si aggiunge il fatto che il 46% degli over 18 anni è in sovrappeso o obeso, appare cruciale l’azione di sensibilizzazione del consumatore per consolidare sili di vita alimentari salutari” osserva Silvia Zucconi Responsabile Market Intelligence Nomisma. “Il contesto pandemico ha contribuito ad orientare le scelte dei consumatori verso prodotti espressione di valori quali salutismo, tracciabilità, garanzie di qualità. Avere dati che misurano e monitorano le dinamiche di mercato dell’ortofrutta diventa così – non solo uno strumento fondamentale per le imprese della filiera – ma anche contributo addizionale per supportare la definizione di policy di prevenzione e la promozione di campagne a sostegno della comunicazione degli attributi valoriali dell’ortofrutta e del biologico, proponendo iniziative concrete proprio nell’Anno Internazionale della frutta e della verdura”.

Green e ialuronico: ecco le nuove star del carrello

Green e biodegradabili: eco l’evoluzione dei prodotti per il cura casa. Mentre per il cura persona è boom di ialuronico. Queste le evidenze che emergono dall’ottava edizione dell’Osservatorio Immagino di Gs1 in collaborazione con Nielsen.

Cura persona

Se il claim più diffuso resta “dermatologicamente testato” (+1,9% del sell-out), nei prodotti per la cura della persona (oltre 18 mila quelli analizzati dall’Osservatorio Immagino) si mantiene alta la domanda di antiossidanti naturali e l’acido ialuronico continua ad essere l’ingrediente indicato in etichetta che fa registrare il maggior incremento delle vendite anche nell’anno mobile giugno 2019-giugno 2020 con un +11,6%, dopo il +16,6% dell’anno mobile precedente. A trainare il claim “ialuronico” l’espansione dell’offerta (+9,8%), in particolare nei prodotti per la cura e la pulizia del viso donna. In crescita anche i prodotti con il claim “biologico” (+5,1% di vendite dopo il +14,3% dell’anno precedente) per un valore di oltre 72 milioni di euro. Ad aumentare nella cosmesi bio sono soprattutto i disinfettanti, i saponi liquidi, le salviette per i bimbi, i dopo shampoo e i prodotti per la pulizia del viso donna.

Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2020

Trend negativi invece per i claim “prodotto in Italia” (-10,4%), “ipoallergenico” (-6,4%), “senza parabeni” (-8,4%), e anche per gli altri quattro claim, che rimandano a un ingrediente, analizzati dall’Osservatorio Immagino: “argan” (-0,6% dopo il +6,3% annuo a giugno 2019), “mandorla” (-0,4%),“karité” (-5,9%) e “avena” (-0,9% dopo il +11,8% dell’anno mobile precedente). A determinare queste flessioni è il calo dell’offerta a discapito di una domanda positiva.

Cura casa green

Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2020

Nel cura casa si fanno spazio i prodotti che indicano in etichetta il loro contributo alla sostenibilità ambientale. L’Osservatorio Immagino rileva che, nell’ultimo anno, questo paniere (quasi 11 mila prodotti) ha registrato un +22,2% del fatturato negli ipermercati e supermercati e +15,5% di offerta a scaffale, arrivando a comprendere quasi 900 prodotti per un giro d’affari di 191 milioni di euro.

Nella performance di vendita, in testa il claim “meno plastica” che registra un +34,5% del sell-out grazie soprattutto a detersivi per lavatrice e stoviglie e ammorbidenti, dopo il +27,2% dell’anno finito a giugno 2019. Positivo anche il push delle industrie con un incremento dell’offerta del +18,4%. Lo segue “biodegradabile” (+26,6% delle vendite) che è anche il più rappresentativo in termini di numero di prodotti a scaffale (3,9%) e di giro d’affari (oltre 93 milioni di euro), con un aumento dell’offerta di +18,0%. L’incremento del sell-out è legato all’acquisto di piatti e bicchieri usa e getta, sacchetti per la spazzatura e salviettine per la pulizia delle piccole superfici. Ancora un riferimento al packaging per il terzo claim più performante, “plastica riciclata”, il cui fatturato sale di +15,5% grazie, in particolare, a sacchetti per la spazzatura e detersivi per lavastoviglie

 

 

Digital experience: i consumatori vogliono di più. Lo studio VMware

Nonostante durante la pandemia le esperienze digitali dei consumatori si siano numericamente  moltiplicate, in termini di soddisfazione la risposta non è altrettanto entusiasmante: dalla ricerca “Digital Frontiers – The Heightened Customer Battleground” commissionata da VMware, infatti, emerge che solo il 38% dei consumatori in Italia ritiene che le aziende con cui entrano in contatto forniscano ora un’esperienza digitale migliore rispetto a prima della pandemia.

Gli ambiti più deludenti

Secondo la ricerca, in particolare i mercati del retail, healthcare e servizi finanziari in Italia non sono riusciti a fornire esperienze digitali all’avanguardia. Esperienze che potrebbero includere l’introduzione della realtà virtuale e della realtà aumentata per uno shopping più immersivo, l’ottimizzazione dei percorsi di consegna per migliorare la velocità e la tracciabilità delle consegne online dalla fabbrica a casa, o lo sviluppo di un maggiore livello di personalizzazione delle app in base alla posizione del consumatore e al suo comportamento d’acquisto. A questo risultato va da pendant, invece, la propensione dei consumatori, progressivamente sempre più proiettati verso la digitalizzazione: lo studio, infatti, evidenzia come l’83% degli intervistati si definisca “digitalmente curioso” o “esploratore digitale”, confermando un’alta propensione e ricettività verso il digitale.

Un monito per le aziende

I dati emersi dovrebbero rappresentare sia un avvertimento che un’opportunità per le aziende: il 52% dei consumatori afferma infatti che sarebbe pronto a passare alla concorrenza se la sua esperienza digitale non fosse all’altezza delle aspettative e solo l’8% rimarrebbe fedele. E il 60% abbandonerebbe un sito o una app nel caso non riuscisse a risolvere immediatamente un problema – sia attraverso un chatbot, una chat dal vivo o direttamente al telefono. Anche le scelte etiche di un’azienda pesano nella scelta dei consumatori: il 48% degli intervistati smetterebbe di acquistare prodotti di aziende che non condividono pubblicamente le proprie politiche etiche.

Matthew O’Neil, Industry Managing Director, Advanced Technology Group di VMware ha commentato: “Non c’è dubbio che lo sviluppo di nuove esperienze digitali sia stato fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, mentre molte organizzazioni sono passate con successo al digitale, dalla nostra analisi emerge anche che molte non siano state in grado di offrire ai loro clienti nuove esperienze online. Le aziende che non riescono a concentrarsi sul miglioramento delle esperienze digitali rischiano di perdere clienti, mentre quelle che lo fanno bene hanno tutto da guadagnare”.

Le richieste dei consumatori

Le aspettative digitali dei consumatori non dovrebbero essere una grande sorpresa. Quello che cercano è:

  • Un elevato livello di sicurezza e protezione dei loro dati (60%)
  • Facilità d’uso su tutti i loro dispositivi (46%)
  • Applicazioni semplici ed efficaci (41%)
  • Maggiore velocità di servizio (30%)
  • Costante miglioramento dei servizi e alle esperienze offerti (28%)
  • Comportamenti impeccabili da parte dell’organizzazione (verso i propri dipendenti/società durante questo anno di cambiamento (22%).

Quanto agli strumenti utili al raggiungimento di questi obiettivi, i consumatori hanno larghe vedute: il 57% di essi accoglierebbe con favore un maggiore uso della realtà virtuale da parte dei rivenditori per capire meglio come i prodotti potrebbero apparire nelle loro case e il 38% considera il proprio smartphone il primo strumento per eseguire le transazioni finanziarie, percentuale che sale al 47% negli intervistati nella fascia di età 25-34 anni.

Ciò che è chiaro è che le organizzazioni non hanno margini per il fallimento. Nonostante il difficile contesto, solo il 34% dei consumatori oggi si sente più comprensivo e indulgente quando la prova di nuovi servizi digitali, volti a migliorare la customer experience, ha un esito negativo.

Alla luce di questa riflessione, Matthew O’Neil commenta: “Il 2020 è stato l’anno del digital switch. Nel 2021 i servizi digitali dovranno essere all’altezza delle aspettative dei consumatori. Questo significa creare, offrire e proteggere applicazioni, servizi ed esperienze per i consumatori affamati di digitale. E un passaggio dalla digitalizzazione al diventare digitale”.

Riassumendo, cosa abbiamo imparato e stiamo ancora imparando da questo stravolgimento della shopping experience? Come dovranno muoversi le aziende per restare al passo con la nuova domanda?

Ecco i 4 asset da cui, oggi, non si può prescindere:

  1. A fare la differenza nelle organizzazioni è ora la capacità di fornire applicazioni e servizi che migliorano l’esperienza dell’utente: questo è il nuovo campo di battaglia.
  2. Le organizzazioni non possono permettersi di mancare il bersaglio.
  3. La partita è tutta da giocare. E per accelerare ulteriormente il ritmo dell’innovazione, occorre semplificare il modo in cui le aziende affrontano questa grande opportunità.
  4. Digitalizzare non è più sufficiente. Si tratta di una vera trasformazione che mette le organizzazioni in una posizione privilegiata per sperimentare, innovare e sbloccare opportunità di crescita in questo nuovo ambiente

 

Metodologia

Questa ricerca è stata condotta tramite un sondaggio online, commissionato da VMware, su 6.109 consumatori in 5 Paesi: Regno Unito (2.069 intervistati), Francia (1.028), Germania (1.005), Italia (1.004) e Spagna (1.003). In questo sondaggio, ai consumatori è stato chiesto di valutare le loro esperienze digitali in cinque settori: vendita al dettaglio, sanità, servizi finanziari, istruzione e governo (locale e nazionale). YouGov ha condotto il sondaggio tra novembre 2020 e gennaio 2021

 

Canali d’acquisto: come sceglie il consumatore. L’analisi di IRI

La «rivoluzione» determinata dalla pandemia da Covid-19 che si è diffusa nel nostro Paese, ha messo in discussione o accelerato tendenze preesistenti nei comportamenti di acquisto e nel modo di fare impresa nel settore del Largo Consumo Confezionato, portando a un cambiamento degli assetti della GDO in Italia.
Per la Grande Distribuzione Organizzata il 2020 si è chiuso con una crescita in termini di vendite a valore pari al +5,1% a livello di “Totale Negozio”, considerando quindi tutte le merceologie presenti in assortimento. A prima vista, sembrerebbe una performance in linea con gli andamenti degli anni precedenti, ma in realtà il risultato è stato determinato da un mix di componenti del tutto singolari. Grazie alle informazioni derivanti da IRI Liquid Data vediamo che il 2020 ha registrato un altalenarsi di fasi con andamenti fortemente differenti tra loro: abbiamo assistito a picchi della domanda durante la prima ondata epidemica (circa +9%) e a successivi momenti di stabilizzazione (+2% durante i mesi estivi) conseguenti alle riaperture o agli allentamenti delle misure di restrizione dettate dal governo, per poi osservare, nell’ultimo periodo dell’anno, un assestarsi delle vendite verso un più moderato
+3,7%; quest’ultimo dato potrebbe indicare che gli italiani si sono adeguati ad un nuovo stile di vita, tornando ad una tendenza all’accaparramento più equilibrata.
La crescita di 5,1 punti percentuali per le vendite a valore a livello di “Totale Negozio” nel 2020 è un risultato da scomporre in andamenti fortemente disomogenei tra loro a seconda del comparto analizzato: si assiste ad una crescita costante del Largo Consumo Confezionato nel suo insieme, ad un sostanziale equilibrio delle vendite dei prodotti Freschissimi a Peso Variabile e ad un crollo dei fatturati nel General Merchandise, con punte che sfiorano il -16% nei canali Ipermercati e Supermercati (fig. 1).

fig.1

Analogamente quando ci focalizziamo sull’andamento dei singoli canali distributivi si osservano dinamiche differenti a seconda del formato preso in esame: esse sono in parte condizionate dal protrarsi di tendenze preesistenti ed in parte frutto dell’adattamento dei modelli di acquisto alla crisi in corso.

fig.2

Il discount e i supermercati

La più rilevante delle tendenze osservate nel corso dell’anno appena concluso, è stata l’accelerazione del Discount, che ha cominciato a guadagnare spazio in misura consistente soprattutto nella seconda metà dell’anno, in concomitanza con l’acuirsi delle situazioni di disagio economico delle famiglie. Questa tendenza si è amplificata con il passare dei mesi, aggiungendo al canale un guadagno di circa 2 punti di quota di mercato nell’ultima parte dell’anno. La «galoppata» del Discount ha dei risvolti di particolare interesse perché la performance commerciale si è accompagnata ad un aumento dell’attrattività sui consumatori, unitamente ad una nuova e più elevata capacità di fidelizzazione che in precedenza sembrava estranea a questo formato.

Il successo del Discount appare cosìmotivato non solo dalla convenienza, ma anche dalla sua maggiore compatibilità al nuovo atteggiamento «Back-to-Basic» della shopper experience. Si evidenzia perciò che il consumatore ricerca la possibilità di passare meno tempo possibile nei punti di vendita, trovando subito ciò di cui ha bisogno; gli elementi di piacere nel fare la spesa e la socializzazione sembrano stati in buona misura accantonati durante l’epoca Covid. In quest’ottica, la sempre maggior quota dei reparti Fresco e Freddo contribuisce a posizionare il Discount come un canale in grado di offrire servizio e prossimità, oltre alla convenienza. Si osserva una crescita anche per i Supermercati medi e piccoli, che nel loro complesso continuano a rispondere alle mutate esigenze dei
consumatori in questo periodo storico. Il boom dei negozi di prossimità registrato ad inizio pandemia, invece, è stato più una risposta contingente alle fasi di stretto lockdown; con
l’allentamento delle misure restrittive il formato è tornato a mostrare i limiti per il suo sviluppo che già erano evidenti nel pre-Covid. Gli Specializzati Casa e Persona nelle prime fasi della pandemia sono stati penalizzati dalle restrizioni e da «problemi di interpretazione» delle norme da parte della autorità locali, che hanno costretto alcuni punti di vendita a chiudere temporaneamente. Tuttavia, il canale ha mostrato una decisa
ripartenza già dalla primavera, trascinata dalla domanda eccezionale di prodotti per l’igiene e per la sanificazione, ma anche per il mix di offerta competitivo nelle sue categorie d’elezione, confermando così il successo già ottenuto prima della pandemia. Risultati del tutto opposti per le Grandi Superfici generaliste, soprattutto gli Ipermercati, che dopo la flessione causata dalle restrizioni al movimento, non sono riusciti a recuperare attrattività verso i consumatori, proseguendo la crisi strutturale di fatturato già in corso da alcuni anni.
Per comprendere l’andamento dei canali fisici durante il 2020, è però necessario tenere in considerazione anche la forte accelerazione intrapresa dal canale online, la cui crescita è forse una vera e propria icona dell’emergenza sanitaria.

fig. 4

Infatti, l’epidemia ha accelerato in misura impressionante lo sviluppo di questa forma di commercio, attirando e fidelizzando nuovi shopper e abbattendo molte barriere culturali e conoscitive che fino ad un paio di anni fa sembrava potessero frenarne lo sviluppo. Per il canale online, il 2020 si è chiuso con un fatturato superiore a 1,3 miliardi, una dimensione di tutto rispetto, anche circoscrivendo il perimetro ai soli operatori «generalisti online». Secondo le nostre proiezioni i ricavi potranno balzare a 2,3 miliardi già durante il 2021. Se così fosse, questa modalità di vendita raggiungerebbe una quota non trascurabile nell’ambito delle vendite del Largo Consumo Confezionato.

Conclusione

Al momento è difficile prevedre l’evolvere dell’attuale situazione, in quanto ogni possibile mutamento è legato all’andamento della pandemia da Covid-19 e ai risultati della campagna vaccinale che è stata avviata da qualche mese in tutto il mondo. Tuttavia, ci sono alcune azioni che i Retailers che operano nel mondo del Largo Consumo Confezionato dovrebbero prendere in considerazione fin da subito:
➢ Per le grandi superfici e in particolare per gli Ipermercati, è sempre più urgente un radicale ripensamento strategico in merito al loro ruolo all’interno del contesto sociale ed economico italiano.
➢ Il Web-shopping non è più un’opzione, ma un must strategico per chi vuole affermarsi nel retail del Largo Consumo: bisogna però considerare che ad oggi il posizionamento dell’offerta è fortemente orientato alla fascia Premium, fattore che potrebbe condizionarne la crescita in un contesto di forte crisi economica.

Olio extravergine d’oliva: crescono consumi ed export

L’emergenza sanitaria ha potenziato i consumi domestici e, con questi, la riscoperta del Made in Itraly. Olio extravergine compreso, naturalmente. A testimoniarlo un recente report della Commissione Europea, che, per quanto riguarda l’Europa, ha registrato un +15,6% nelle esportazioni verso i paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020, in particolare verso Australia (+37,5%), Brasile (+31%) e Canada (+28,1%). Relativamente all’Italia, invece, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7%. Un export dinamico quindi che, insieme al +7,4% di vendite alla GDO dei primi undici mesi del 2020 registrate dall’ISMEA, ha compensato le perdite dovute alla chiusura del canale della ristorazione. Basti pensare che in Italia 9 famiglie su 10 consumano olio extravergine d’oliva tutti i giorni secondo Coldiretti. Con questi ritmi il mercato globale dell’olio extravergine, che nel 2020 valeva 1.465,5 milioni di dollari, secondo WMFJ arriverà a valere oltre 1,8 miliardi di dollari entro il 2026, con un CAGR del 3.6%. “Durante il lockdown le persone hanno avuto modo di fermarsi e riflettere sulla propria alimentazione e questo ha influito su ciò che cercano sugli scaffali dei supermercati – ha affermato Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor – Quanto emerge dalle indagini di mercato è evidente ora più che mai: i consumatori prediligono ingredienti di qualità, sani e preferibilmente nostrani. Per noi è importante fare tesoro di questi dati ed è anche per questo motivo che da oltre 60 anni utilizziamo per i nostri grissini solo olio extravergine d’oliva al 100%, evitando l’utilizzo di olio di palma, grassi animali o idrogenati, OGM e conservanti”.

Previsioni di mercato

Ma quali sono le previsioni del mercato dell’olio extravergine per l’anno in corso? In Italia non delle migliori, almeno in termini di quantità: l’ISMEA ha registrato un calo della produzione del 30% rispetto allo scorso anno. I motivi sono da ricercarsi nelle anomalie climatiche e nella Xylella che hanno devastato gli ulivi del Sud e in particolare della Puglia, regione responsabile del 51% della produzione italiana. Tuttavia, il clima più mite che si è registrato nel Nord della Penisola nel 2020 ha permesso di assistere a incrementi sostanziali per quanto riguarda alcune regioni settentrionali e centrali come Toscana (+31%), Umbria (+70%) e Liguria (+100%), a testimonianza del fatto che quando si tratta di agricoltura è fondamentale adattare le coltivazioni al clima. E se la quantità non è eccelsa, non si può dire altrettanto della qualità: l’olio extravergine d’oliva, infatti, è un grasso liquido estratto dalle olive, coltura tradizionale del bacino del Mediterraneo, ed è l’unico olio da cucina prodotto senza l’uso di agenti chimici e raffinazione industriale.

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