Censis: i Millenials, giovani che non ti aspetti

Com’è nella sua lunga tradizione di osservatore della società italiana, il Censis nella ricerca «Vita da Millennials: web, new media, startup e molto altro. Nuovi soggetti della ripresa italiana alla prova» realizzata per il Padiglione Italia di Expo 2015 offre una lettura dei giovani assai diversa da quella stereotipata della rappresentazione mediatica che va per la maggiore. I giovani, dice il Censis non nono quelli pigri e apatici così spesso rappresentati. Viceversa sono vitali, pieni di energia, con tanta voglia di fare. Una generazione che a Expo ha partecipato attivamente. Ma siamo distanti dalla “meglio gioventù” degli anni Sessanta e Settanta, perché è forte il senso dell’io, della soggettività nei Millenials, quanto forte era il senso della collettività nei Baby boomers.

Voglia di impresa

Il Censis traccia un profilo dei Millennials contraddistinto da una grande voglia di imprenditorialità. Quasi 32.000 nuove imprese nate nel secondo trimestre del 2015 fanno capo a un under 35, cioè sono nate più di 300 imprese al giorno guidate da giovani, con una crescita del 3,6% rispetto al trimestre prec: edente a fronte del +0,6% riferito al sistema d’impresa complessivo. Un terzo delle imprese avviate nel trimestre è stato fondato da un giovane. Alle barriere di accesso al mercato del lavoro e ai rischi di incaglio nella precarietà, i Millennials italiani hanno opposto una forza vitale partendo da una potenza italiana consolidata: l’imprenditorialità.

Contemporaneamente, sempre riferendosi al rapporto con il lavoro, per il Censis sono 2,3 milioni i Millennials (i giovani di 18-34 anni) che svolgono un lavoro di livello più basso rispetto alla propria qualifica (sono il 46,7% di quelli che lavorano, rispetto al 21,3% dei Baby Boomers di 35-64 anni),

“Pur di entrare nel mondo del lavoro, pur di «stare in partita», tanti Millennials si accontentano di impieghi lontani dal loro percorso di formazione, anche in nero”. E una volta chlavorano, non si tirano indietro: lavorano oltre l’orario (3,8 milioni), spesso senza compenso per gli straordinari (1,1 milioni), spesso anche di notte (1,1 milioni) o in remoto (11,8 milioni).

La frontiera dell’innovazione

Ovviamente riguardo alla tecnologia, i Millennials sono per il 94% utenti di internet, per l’87% attivi sui social network e sono loro ad aver fatto decollare l’e-commerce: il 64% nell’ultimo anno ha acquistato almeno un prodotto o un servizio in rete nell’ultimo anno. Sobrietà e sharing economy vanno a braccetto nella loro quotidianità. Il 31,7% acquista prodotti usati (contro il 14,7% dei Baby Boomers), il 21,9% si sposta regolarmente in bicicletta (fa altrettanto solo il 10,3% dei 35-64enni) e l’8,4% (il 4,1% dei 35-64enni) utilizza il car sharing e il bike sharing.

Sul fronte dei valori espressi e condivisi, sono allo stesso tempo individualisti, solidali e global e sono decisamente proiettati verso il futuro. Il 42,1% di loro contro un dato medio del 20,9% pensa che i gironi moigliori per l’Italia devono ancora arrivare e che il futuro vada costruito con una spinta al cambiamento nel quotidiano.

Cambiare passo per crescere

Qualche perplessità l’analisi del Censis l’ha sollevata, non per la impeccabilità dei numeri, ma per la loro lettura. La voglia di far impresa dei Millenials non è forse frutto proprio di una prospettiva di precarietà tipico di questa generazione alla quale vengono offerti solo lavori camuffati da stage sottopagati, a meno che non si trasformino in micro impresa o lavoratori autonomi? Certo, vivendo in una società più aperta, viaggiano di più, hanno un sistema di valori contraddistinto da un soggettivismo etico, consumano con maggiore sobrietà (ma lo stanno facendo anche milioni di famiglie). Ma riguardo al quadro celebrativo della flessibilità sul lavoro, dello stacanovismo come lo definisce il Censis e dell’imprenditorialità giovanile, come replica naturale del capitalismo molecolare che distingue l’economia italaiana, qualche perplessità resta.

«I dati del Censis sono importanti – afferma una Millennial impegnata in una startup, Barbara Labate, amministratore delegato di Risparmiosuper – perché dà il quadro di un forte ecosistema che sta crescendo in Italia, ma non basta. Stiamo cercando di copiare il modello americano, ma siamo distanti, perché pochi fondi investono nelle startup. Per gran parte di queste nuove aziende un finanziamento di 50 mila euro significa vivere sei mesi, con il risultato che si trasforma in un lavoro a tempo determinato per chi vi è impegnato. Se non si cambia passo, creiamo solo delle nanoaziende che non riescono ad avere una prospettiva di sviluppo internazionale».