Grappa, alla scoperta di un rito emotivo profondo

Fiera Milano Media e Centro Studi Assaggiatori propongono un programma per la valorizzazione della grappa attraverso la ricerca di un rito che la possa distinguere a livello internazionale. Il programma, a cadenza annuale e con respiro poliennale, si struttura in una ricerca rivolta ai professionisti dell’ospitalità, ai giornalisti e ai tecnici del settore che ha come obiettivo di individuare riti per il consumo della grappa. Ogni anno Fiera Milano Media e Centro Studi Assaggiatori organizzeranno questo evento che si concluderà con una dimostrazione dei riti proposti e assegnando il riconoscimento ai migliori riti.

Il rito discende dal mito. E se quest’ultimo è la narrazione di qualcosa di straordinario e trascendentale, il rito indica un atto – o un’insieme di atti – che vengono svolti secondo una precisa procedura, in virtù di un mito, capaci di riassumerlo e di renderlo attuale.

Il rito ha una derivazione inconscia, a volte superstiziosa e intima (come quando ci si bagna il retro del lobo dell’orecchio con il vino versato sperando che porti bene), ma in genere ha una valenza sociale per riaffermare un credo e l’appartenenza a un gruppo. In questo ambito il rito rafforza i legami sociali e rinnova il mito.

Comunque sia, il rito necessita di un coinvolgimento emotivo profondo, raggiungibile attraverso una precisa sequenza di azioni e molte volte con il compendio imprescindibile di stimoli esogeni: luci, suoni, movimenti, odori e sapori.

Al rito, religioso o pagano, ci si prepara, e la preparazione fa già parte del rito. Una ragazza che si trucca e poi si veste per andare in discoteca sta già entrando nel rito, il barman che elabora un cocktail con movimenti studiati sta officiando un rito, alla pari del maître che gestisce un piatto alla lampada davanti ai commensali.

Se è vero che molti riti si compiono con l’acqua, i più comuni trovano sempre elementi rafforzativi in bevande che contengono almeno un po’ di alcol o di caffeina.

Come logica conseguenza i riti sono diventati i maggiori sponsor delle bevande fermentate e alcaloidee.

Possiamo immaginare che la vostra mente sia corsa al rito anglosassone del tè delle 5 caro al mondo londinese o alla ben più complessa cerimonia che si svolge intorno alla bevanda in estremo oriente e in Giappone in particolare, subito pensando che queste costituiscano una vistosa eccezione alla tesi di cui sopra, ma così non è: anche il tè contiene una significativa quantità di stimolanti.

Dai riti rinascono i miti

Lo possono diventare la bevanda e il suo produttore assumendo valori sbalorditivi, come può entrare nel mito l’officiante: l’assaggiatore, il narratore, il sommelier, il barman, il cuoco e il maître.

Ecco quindi che il mito rafforza il rito, lo rende esclusivo di un gruppo o di un momento e pienamente appagante del bisogno per il quale era sorto. Nello stesso tempo il rito genera una forte valorizzazione degli elementi che lo compongono, templi i cui si svolge inclusi.

I cardini sui quali un rito si svolge e si afferma sono sostanzialmente tre: il luogo, il narratore e gli elementi di mediazione. Tra questi ultimi quelli di maggior spicco sono le bevande: il vino in primis, a seguire birra e altri fermentati (si pensi al sakè), acquaviti, caffè e tè.

Se è difficile trovare un rito senza una bevanda, non esiste una grande bevanda senza un rito. E non di rado è stato proprio il rito a generare il successo di una bevanda.

Pensiamo un attimo al tequila: ricavato da una materia prima povera di sostanze aromatiche e facile preda di microrganismi, distillato un tempo in alambicchi primitivi, non è mai stato una gioia dei sensi. Per sopperire a questa carenza naturale fu introdotto l’uso del limone e del sale sull’incavo formato dall’indice e dal pollice: una leccata e poi un bicchierino d’acquavite tutto d’un fiato. Divenne rito e per il tequila fu la fortuna.

Non meno importante, volendo riferirci a tempi più vicini a noi, è stato il recupero della tradizione dello spritz (pirlo per i Bresciani, furlan per i Friulani) con un conseguente insperato business per gli ingredienti (Prosecco, Aperol, Campari) e per i bar che organizzano aperitivi.

Qui sorge spontanea un’altra riflessione: la complessità del rito

Recarsi al bar al mattino per un espresso veloce è comunque un rito, per molti irrinunciabile, ma è decisamente semplice. Sedersi in un bar a Vienna, farsi servire un caffè in tazza di porcellana fine con panna e latte a parte, dosare con cura gli ingredienti, intercalare il sorseggio con piccola pasticceria costituisce un rito decisamente più complesso.

Ecco che i riti possono nascere da abbinamenti tra più elementi sapientemente uniti dal partecipante o dall’officiante del rito. Se invece di essere una caffè alla viennese avessimo preso come esempio un cappuccino a Costa Masnaga, a fare la parte del leone sarebbe stato il barista con la sua capacità di montare il latte alla perfezione e di versarlo con arte su di un espresso eccellente.

Molti riti – da quello del tequila al cappuccino – sono costruiti attraverso abbinamenti.

L’ombra con l’ovetto, tipicamente veneta, è costituita da un semplice bicchiere di vino (in genere bianco) con un nuovo sodo: il piacere di un’abitudine che diventa rito irrinunciabile, con conseguente aumento dei consumi.

Una bevanda semplice diventa rito quando soddisfa un mito collocandosi in un preciso momento di aggregazione, come può farsi complessa diventando rito stesso la sua preparazione. Caso classico la caipirinha.

Ma un mito può volere un rito: quanti prenderebbero mai in mano disinvoltamente una bottiglia di vino da qualche centinaio di euro e la stapperebbero distrattamente versandone il contenuto in un vetraccio di infimo ordine?

Un rito ha naturalmente la necessità di una scenografia, coerente con il rito stesso. Fanno parte di questa il luogo, gli arredi e i complementi di arredo. La piazza di Manzanarre in Spagna è il luogo del rito dell’aperitivo serale per tutta la città. Quattro bar offrono preziosi Xeres serviti in piccoli bicchieri e accompagnati da formaggi e stuzzichini a base di pesci, entrambi scelti con estrema cura.

La poltrona di casa vostra può essere il tempio in cui officiate il rito di un incontro con voi stessi accompagnato da un Cognac d’annata, servito per l’occasione in un balloon di vetro leggerissimo da avvolgere nel palmo della mano.

Ma non meno importante è l’officiante di un rito che ha il compito di preparare il tempio curando ogni minimo particolare, ma anche di dimostrarsi all’altezza del proprio ruolo attraverso uno stile impeccabile. Se un ballon può essere riscaldato nel palmo della mano e un tumbler gestito con disinvoltura e incuranza, un calice da degustazione va tenuto rigorosamente per lo stelo pinzandolo tra il l’indice e il medio o, se volete fare i fighetti, pinzando il piede con il pollice e l’indice.

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