Vino, export e Gdo: la promozione istituzionale non serve

Focus su vino, export e Gdo al Vinitaly nel tradizionale convegno dedicato al vino nella distribuzione moderna. Già oggi negli Usa il vino italiano rappresenta il 35% (a valore) del totale dei vini importati dal mondo e collocati a scaffale, e in Germania questa percentuale è del 30%, come ha riferito l’IRI. Buone le performance degli sparkling: nel regno Uito il 50% dei volumi è italiano, e nei paesi considerati dalla ricerca Iri, il vino italiano è leader.

La questione sollevata da Virginio Romano di Iri è però un’altra: come andare all’estero e come incrementare le vendite nel mondo, che oggi rappresentano circa il 50% per il sistema vino ma che, in presenza di un mercato interno in cui i consumi sono i diminuzione, non può che essere determinante per il futuro del settore vitivinicolo.

Certo, quando si parla di export c’è  sempre il coinvolgimento delle istituzioni. Il Ministero delle politiche agricole ha una sua parola d’ordine: aumentare il vino all’estero da 5 a 5,5 miliardi di euro. Ma, come ha affermato il Direttore generale per la promozione della qualità agroalimentare, Ministero delle Politiche Agricole Emilio Gatto, “non vogliamo vendere quello che non siamo in grado di mantenere”, perché se il Ministero è impegnato a “organizzare un sistema di promozione che consenta agli operatori di avere una cornice istituzionale importante” e a “identificare Paesi ‘bersaglio’ in cui avviare progetti di collaborazione che dovranno vedere direttamente interessata la GDO nazionale per la stipula di accordi con i grandi player internazionali per far crescere la commercializzazione dei nostri vini”, è anche vero che le risorse economiche per il momento non ci sono e si stanno esplorando tutti i diversi canali di finanziamento. E quindi l’ottimismo della volontà c’è, ma quello che prevale è il pessimismo della ragione.

A cercare di mettere il discorso con i piedi per terra ci pensa Gianluigi Ferrari, General Manager del Gruppo Core di Bruxelles, che associa le catene Conad, Rewe Group, Colruyt Belgio, Coop Suisse (circa 100 miliardi di fatturato complessivo) . Ferrari in sintesi ha detto che le aziende italiane devono crescere dimensionalmente, perché oggi la gran parte delle aziende esporta vino ma non lo vende. «La differenza è fondamentale – ferma Ferrari – ed è causata dalla dimensione modesta delle imprese vinicole italiane. Non è il Ministero a dover cercare soluzioni, se non a studiare formule che incentivino le fusioni e gli accorpamenti. Non basta essere degli ottimi artigiani per vendere nel mondo, è necessario essere degli ottimi commercianti. Questa è la fondamentale differenza con i francesi. Non abbiamo bisogno di promozione, abbiamo bisogno di vendere e di superare i limiti dettati dal provincialismo culturale e dal nanismo strutturale».

Per quanto riguarda il mercato interno, nel primo bimestre del 2015 sono stati venduti 78 milioni di litri di vino con un aumento dell’1,3% in volume rispetto all’anno precedente, un aumento che sale al 4,4% in volume nel caso del vino in confezione da 75 cl. ma a dettare l’agenda è ancora l’alta promozionali a scaffale del vino, che erodono margini, e la crescita delle private label.

Per  Enrico Viglierchio (Vice Presidente Gruppo Vini di Federvini e Direttore generale di Castello Banfi) è necessario «riportare i brand gradualmente fuori dalla morsa promozionale che ha ormai ampiamente superato il suo livello ‘fisiologico’ col risultato che il consumatore non comprerà più nel regolare e sarà sempre in attesa della promozione di turno e che il valore del brand e la sua percezione da parte del consumatore saranno gradualmente erosi in modo irreversibile. Serve quindi che il prezzo venga gestito in modo da tutelare il valore del prodotto».

Un discorso spesso condiviso dalle catene distributive, aperte alla collaborazione ma che tuttavia lamentano resistenze provenienti talvolta dalle cantine stesse, come ha riferito Alessandro Masetti, Responsabile Reparto Bevande di Coop Italia: «La promozionalità va guidata: una promozionalità sana guida al consumo consapevole e invita a provare nuovi prodotti; una promozionalità eccessiva crea fidelizzazione all’evento stesso dell’offerta e non al prodotto. Ma per poter gestire una promozionalità sana c’è bisogno di lavorare sul reale valore del prodotto, in una logica più vicina al prezzo netto. Al contrario molte aziende di produzione, nelle annate favorevoli, tendono a discostarsi dal reale valore del prodotto andando ad alimentare il polmone della promozionalità».

Altro elemento di sviluppo, individuato dalle catene distributive è la crescita dei vini a marca del distributore e l’ampliamento dell’offerta dei vini a denominazione d’origine, come ha dichiarato Giuseppe Zuliani, Direttore Customer Marketing e Comunicazione di Conad: «Nel 2014 si è consolidato il ruolo della nostra marca commerciale che, con le 57 etichette a marchio proprio affidate a circa 30 cantine di produzione, sta crescendo in modo significativo con una quota che si attesta ormai a circa il 20% nel segmento dei Vini di Qualità (Doc, Docg, Igt e Igp), più del 15% negli Spumanti e di circa il 45% nel vino comune. Buone le performance dei vini Doc/Docg (+5%) e degli Spumanti (+5,10%)».