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Effetto dazi sul vino: export negli Usa calato del 7,5% a volume in aprile

L’export di aprile del vino italiano verso gli Stati Uniti ha registrato un calo del 7,5% a volume e del 9,2% a valore (a quasi 154 milioni di euro), con un decremento del prezzo medio del 2%. Lo rileva l’Osservatorio di Unione italiana vini (Uiv), che ha elaborato i dati export relativi al primo mese soggetto ai dazi dell’amministrazione Trump (dal 2 all’8 aprile al 20%, in seguito al 10%). La caduta di aprile fa contestualmente scendere il consuntivo delle spedizioni nel quadrimestre verso gli Usa in linea di galleggiamento (+0,9% a volume) dopo l’exploit dell’ultimo semestre caratterizzato da una corsa alle scorte pre-dazi. Nel periodo si dimezza anche la performance a valore (+6,7%, 666 milioni di euro: appena un mese prima il saldo era +12,5%). Un crollo annunciato, rileva Uiv, che rende ancor più problematica la situazione complessiva nei mercati extra-Ue: -9% i volumi e -2,4% i valori.

Da tempo – commenta Lamberto Frescobaldi, Presidente di Unione italiana vini – insistiamo nel guardare agli effettivi consumi e non solo ai dati sulle spedizioni, che solo ora si stanno allineando dopo le evidenti corse alle scorte. Uiv ritiene che si debbano affrontare con estrema urgenza – e sarà il tema chiave della prossima assemblea nazionale del 3 luglio – gli squilibri di mercato sempre più evidenti, anche in vista della prossima vendemmia”. Secondo l’Osservatorio, senza il traino statunitense, il saldo nel quadrimestre della domanda extraeuropea a volume scenderebbe da -9% a -15% (-10% il valore), con decrementi in doppia cifra nell’area asiatica (Giappone e Cina, in crescita la Corea del Sud) e in Russia (-65%). Peggiora anche il terzo mercato al mondo, il Regno Unito che cede 5 punti a volume e oltre 6 a valore, mentre sono stabili il quarto e quinto buyer del made in Italy (Svizzera e Canada, che però cresce in volume di oltre l’8%).

Taleggio Dop, export cresciuto del +11,6% lo scorso anno

Sono cresciute a due cifre le esportazioni di Taleggio nel 2024, a fronte di produzione sostanzialmente stabile. Il risultato è accolto con favore dal Consorzio Tutela Taleggio, che lo interpreta come il frutto di un’attenzione costante alla qualità e alla tutela di un’eccellenza del Made in Italy. Gli scorsi 12 mesi si sono chiusi con una produzione complessiva di Taleggio Dop pari a 8.693.815 kg. “Nel 2024, il Consorzio Tutela Taleggio ha dimostrato una notevole capacità di resilienza e adattamento – commenta Lorenzo Sangiovanni, Presidente del Consorzio Tutela Taleggio – mantenendo saldo il proprio ruolo di tutela e promozione del Taleggio Dop nonostante le sfide poste dal contesto economico e ambientale internazionale. La professionalità e la dedizione delle aziende consorziate hanno permesso di affrontare con fiducia il presente e di prepararsi con determinazione alle sfide future”.

Come anticipato, il dato più rilevante riguarda l’export, che ha raggiunto circa 2.574 tonnellate, con un incremento dell’11,6% rispetto al 2023. Le esportazioni rappresentano ora il 29,6% della produzione totale, a dimostrazione della forte domanda estera per il Taleggio Dop. Il mercato europeo assorbe il 67,2% delle esportazioni, con 1.728.742 kg destinati ai Paesi Ue. La Francia si conferma il principale importatore con 465.977 kg (+51 tonnellate rispetto al 2023), seguita dalla Germania con 394.941 kg (+82 tonnellate) e dal Belgio con 217.200 kg (+29 tonnellate). Le esportazioni verso i paesi extra-Ue ammontano a 845.143 kg, pari al 32,8% del totale export, con una crescita del 7,6% rispetto all’anno precedente. Gli Stati Uniti restano il mercato di riferimento con 362.524 kg esportati, seguiti dal Regno Unito con 159.945 kg, che mantiene la seconda posizione tra i paesi extra Ue per volumi acquistati.

“Abbiamo saputo cogliere le opportunità offerte dai contributi pubblici, ottenendo risorse fondamentali per la promozione del nostro Taleggio DOP – continua Sangiovanni –. In particolare, abbiamo potuto rafforzare la visibilità e la presenza del nostro prodotto sia in Italia sia all’estero. Nel 2024 abbiamo consolidato la presenza sui mercati esteri, incrementato la visibilità e l’appeal del Taleggio Dop verso un pubblico sempre più ampio e giovane. Questi risultati confermano la solidità e la capacità di innovazione del Consorzio, ponendo basi solide per affrontare con successo le evoluzioni future del settore”.

Export alimentare cresciuto del 9,5% nel 2024

L’ export italiano nel 2024 ha tenuto, replicando i risultati dell’anno prima. E l’alimentare ha performato molto bene, facendo registrare una crescita del 9,5% a valore. È quanto afferma il rapporto “Export Italiano, i rischi e le opportunità” realizzato da Coface, tra i leader mondiali nell’assicurazione del credito e nella gestione del rischio commerciale. Lo scorso anno le esportazioni del nostro Paese si sono attestate a 623,5 miliardi di euro con una variazione minima (-0,4%) rispetto al 2023. Il quadro complessivo è fatto però di luci e ombre: da un lato, il crollo del settore auto (-12,2%) e le difficoltà di tessile-abbigliamento (-4,5%) e metalli (-3,3%); dall’altro, oltre all’ottimo andamento dell’alimentare, i trend positivi di farmaceutica (+7,9%) e gioielleria (+12,4%).
Sul fronte geografico, preoccupa il rallentamento dei principali mercati di sbocco (Germania, Francia e USA), solo in parte compensato dalla crescita in mercati secondari, con il caso emblematico della Turchia che entra nella top 10 grazie al boom dell’export di gioielli. All’orizzonte per il 2025 si profila lo spettro dei dazi americani, che potrebbero colpire settori strategici per il Made in Italy, in un contesto di possibile, ulteriore indebolimento della domanda europea.

CHI SALE E CHI SCENDE
L’analisi settoriale rivela un quadro a due velocità. Il comparto automotive vive un momento particolarmente difficile, registrando un calo del 12,2% e influenzando negativamente la crescita complessiva dell’export per 1,3 punti percentuali. La contrazione ha preso avvio nel secondo trimestre 2024 e ha interessato le esportazioni di autovetture verso quasi tutte le destinazioni principali, con le sole eccezioni di Paesi Bassi e Polonia. Anche il tessile-abbigliamento e accessori mostra segni di debolezza (-4,5%), con una flessione particolarmente marcata per calzature, borse e piccola pelletteria. I metalli completano il quadro negativo con un -3,3%, dovuto principalmente al calo delle esportazioni di ferro e acciaio, penalizzate dalla debole domanda del settore manifatturiero e delle costruzioni in Europa e dai prezzi più contenuti rispetto agli anni precedenti. In controtendenza, il settore alimentare (+9,5%) e quello farmaceutico (+7,9%) mostrano una solida crescita, affiancati dal comparto dei beni manifatturieri diversi (+12,4%), trainato dall’eccezionale performance della gioielleria.

GERMANIA E FRANCIA RALLENTANO
Sul fronte geografico, l’ export italiano ha risentito del rallentamento della domanda da parte dei principali partner commerciali: Unione europea (che assorbe oltre la metà dell’export italiano), Stati Uniti e Cina. In ambito Ue, preoccupa soprattutto la contrazione verso Germania (-5,0%) e Francia (-3,6%), rispettivamente primo e terzo mercato di sbocco, con cali significativi nelle vendite di veicoli, acciaio e ferro. Queste performance negative sono state però bilanciate dalla crescita dell’ export verso Spagna (+4,5%), Regno Unito (+5,3%) e Paesi Bassi (+4,3%), sostenuta principalmente dall’incremento delle vendite di prodotti farmaceutici. Spicca il caso della Turchia, che con un balzo del 23,9% è entrata nella Top 10 dei partner commerciali dell’Italia nel 2024, grazie a un aumento quintuplicato delle esportazioni di gioielli. Al contrario, la Cina è scivolata dall’undicesimo posto, a causa principalmente del calo delle vendite di prodotti farmaceutici nel primo trimestre 2024, dopo un picco eccezionale registrato a inizio 2023.

I TIMORI PER I DAZI USA
Le prospettive per il 2025 si presentano cariche di incognite. Da un lato, la crescita economica europea appare limitata, con persistenti difficoltà nei settori manifatturiero e delle costruzioni, in particolare in Francia e Germania, mercati di riferimento per l’export italiano. Dall’altro, la politica commerciale degli Stati Uniti rappresenta un fattore di rischio significativo, con la potenziale introduzione o estensione di dazi e barriere commerciali. L’Italia risulta uno dei paesi europei più vulnerabili a eventuali misure protezionistiche americane: i settori particolarmente esposti includono macchinari (12,2% dell’export verso gli USA), farmaceutica (16,8%), automotive (12,5%, con picchi del 16,9% per i veicoli), vini e bevande (21,7%), prodotti ceramici e pietre da costruzione (13% per i minerali non metalliferi), mobili (12,2%), calzature e pelletteria (11%). Oltre agli impatti diretti, occorre considerare le ricadute indirette sulle catene di fornitura integrate con partner come la Germania. In questo scenario complesso, diventa strategico per le imprese italiane diversificare i mercati di sbocco, esplorando le opportunità offerte da economie emergenti ad alto potenziale nei Paesi del Golfo e in Asia.
I dati del 2024 evidenziano la stabilità dell’ export italiano dopo il rimbalzo post-pandemia – spiega Pietro Vargiu, Country Manager di Coface Italia –. Preoccupano le contrazioni nell’automotive e nel tessile-abbigliamento, mentre farmaceutica e alimentare mostrano resilienza. Il rallentamento della domanda in mercati chiave come Germania e USA, unito ai potenziali dazi americani per il 2025, richiede alle imprese italiane di diversificare i propri mercati e rafforzare le strategie di protezione del business. In questo scenario, Coface si conferma partner strategico per le aziende che operano sui mercati internazionali. Come player mondiale di riferimento nella gestione del rischio credito, offriamo un ecosistema di soluzioni dall’Assicurazione dei Crediti alla Business Information e al Recupero Crediti, per sviluppare il business in sicurezza sia sul mercato domestico che all’estero”.

Unione italiana vini: altro che dazi, il 50% significa embargo

La politica degli annunci di Donald Trump crea forti tensioni nel comparto vinicolo italiano. L’esternazione via social più recente (definirla ultima vorrebbe dire sottovalutare l’imprevedibilità del Presidente Usa) prospetta l’innalzamento al 50% dei dazi statunitensi su tutti i prodotti provenienti dall’Unione europea inizialmente a partire dal 1° giugno, termine poi rinviato al 9 luglio dopo un colloquio con Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione europea. “La nuova minaccia del presidente Trump rappresenta un ulteriore fardello di incertezza per le imprese italiane, a partire da quelle del vino – commenta Lamberto Frescobaldi, Presidente di Unione italiana vini (Uiv) –. Da mesi ormai il settore, che negli Stati Uniti spedisce il 24% (1,94 miliardi di euro) dell’intero export enologico, non riesce più a programmare il proprio futuro, e questo è un danno enorme, a prescindere dall’entità del dazio. Per fare un esempio, in questi giorni le imprese italiane del vino stanno pianificando i bandi europei dell’Ocm Promozione, con investimenti per qualche decina di milioni di euro destinati agli Usa, principale target. Chiaramente, una minaccia di accisa al 50%, che più che un dazio sarebbe un embargo, sortisce l’immediato effetto di rinunciare, giocoforza, all’investimento. E con esso ai piani di sviluppo di un settore che vive sempre più di esportazioni. Chiediamo pertanto – conclude il presidente Uiv – a Bruxelles e a Roma di intensificare le trattative, perché il fattore tempo rappresenta ormai sempre più una discriminante fondamentale”.

Parmigiano Reggiano: 2024 da record, con 3,2 miliardi di euro al consumo

Giro d’affari al consumo ai massimi storici per il Parmigiano Reggiano: il 2024 si è chiuso con 3,2 miliardi di euro contro i 3,05 miliardi del 2023 e un aumento del 4,9%. Risultati positivi per le vendite totali a volume (+9,2%), sostenute da un andamento positivo del mercato italiano (+5,2%) e, soprattutto, dell’export (+13,7%). In crescita anche le quotazioni all’origine: per il 12 mesi la media annuale si è attestata a 11,0 €/kg, segnando un +9% rispetto ai 10,13 €/kg del 2023; per il 24 mesi, l’aumento è stato del +5%, passando dagli 11,90 €/kg dello scorso anno ai 12,5 €/kg del 2024. La produzione è risultata stabile rispetto al 2023: 4,079 milioni di forme vs 4,014 milioni nel 2023 (+1,62%). Tra le provincie della zona di origine, prima per produzione è Parma (1.362.226 forme vs 1.350.415, +0,87%), seguita da Reggio Emilia (1.217.128 forme vs 1.217.380, -0,02%), Modena (877.874 forme vs 860.971, +1,96), Mantova (507.631 forme vs 476.361, +6,56) e Bologna (114.389 forme vs 109.173, +4,77%).
La quota Italia si attesta al 51,3% (osservatorio Sell-In Nielsen). Per quanto riguarda i canali distributivi, la Gdo rimane il primo (65%), seguita dall’industria (18%), che beneficia della crescente popolarità dei prodotti caratterizzati dalla presenza di Parmigiano Reggiano tra gli ingredienti. Il canale Horeca rimane fanalino di coda, e quindi con un enorme potenziale di sviluppo, attestandosi al 7% del totale. Il restante 10% è distribuito negli altri canali di vendita. Le vendite dirette dei caseifici (che si concentrano per oltre l’85% in Italia, pari a circa 9.000 tonnellate) rappresentano il 5,5% delle vendite totali e hanno registrato un forte aumento (+13,0%).
Per il Consorzio, se c’è una certezza che il 2024 ha consolidato è che il futuro del Parmigiano Reggiano è sui mercati internazionali: la quota export rappresenta oggi quasi la metà del totale, il 48,7% (pari a 72.440 t.), con una crescita del +13,7%. Risultati particolarmente positivi sui cinque mercati principali: USA (+13,4%), Francia (+9,1%), Germania (+13,3%), Regno Unito (+17,8%) e Canada (+24,5%). Note positive anche per il Giappone (+6,1%), primo mercato in Asia, e Australia (+28,2%). Con 28,4 milioni di euro investiti per azioni di marketing e comunicazione, Parmigiano Reggiano ha confermato il percorso avviato da alcuni anni per diventare un vero brand iconico globale, pronto ad affrontare gli ostacoli posti da mercati estremamente vasti, ricchi di prodotti d’imitazione e caratterizzati da una marcata confusione al momento dell’acquisto. Il Consorzio sottolinea di lavorare assiduamente per valorizzare la distintività della Dop, fornendo al consumatore più informazioni sulle sue caratteristiche: la stagionatura, la provenienza, il processo produttivo e il gusto, tutti particolari che offrono l’opportunità di differenziarsi dai concorrenti.
Nel prossimo futuro, dovremo sempre più investire sulla crescita nei mercati esteri – dichiara Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio del Parmigiano Reggiano – che rappresentano il futuro della nostra Dop, con una quota export che ha raggiunto quasi la metà del totale, il 48,7%. È obbligatorio creare nuovi spazi nei mercati internazionali e sarà necessario guidare le precondizioni affinché ciò si possa avverare. È evidente come in questo scenario, gli USA, ovvero il nostro primo mercato estero, svolgano un ruolo fondamentale. L’aumento dei dazi sul Parmigiano Reggiano è una notizia che di certo non ci ha rallegrato, ma il nostro è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente a una riduzione dei consumi. Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani. Con gli USA occorre intavolare un ragionamento sul fatto che non si hanno vantaggi nell’intraprendere una guerra commerciale, né da un lato né dall’altro. Questo dialogo non va condotto bilateralmente dai singoli Paesi, ma dall’Unione Europea. Stiamo attraversando un momento di grande cambiamento, caratterizzato da uno scenario di incertezze legato ai conflitti in essere, da nuovi limiti imposti al libero commercio e da una nuova sensibilità del consumatore che cerca in ciò che mangia quei valori che il nostro prodotto incarna e che deve fare emergere per diventare sempre più una marca globale: non un semplice formaggio, ma uno stile di vita, un’icona del saper fare italiano”.

Export: l’agroalimentare vale 67,5 miliardi di euro, il 10,8% del totale italiano

A fine 2024 le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il livello record di 67,5 miliardi di euro, oltre 5 miliardi in più rispetto al 2023 e con una crescita media del 6,5% annuo dal 2010 a oggi. Per la prima volta le vendite all’estero del settore valgono quasi l’11% (10,8%) del totale export italiano. Durante la presentazione della nona edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” organizzato da TEHA (The European House – Ambrosetti) a Bormio (6-7 giugno), Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di TEHA si è soffermato a lungo sul tema dazi, proponendo un’analisi più ottimistica sulle potenziali conseguenze: “Il nostro export agroalimentare negli USA è aumentato del 17% solo nell’ultimo anno esponendoci potenzialmente a un impatto negativo del 20% del totale export, ma qualità e valore dei prodotti italiani fanno la differenza: oltre 6 miliardi di euro di Made in Italy dei 7,8 complessivi esportati negli USA non sono prodotti con alternative sul mercato domestico statunitense e perciò sostituibili, ne deriva che il danno generato dai dazi, se confermati anche dopo la sospensione, potrebbe costare all’Italia solo potenzialmente 1,3 miliardi di euro, ma limitarsi, in realtà, a 300 milioni di euro proprio perché quasi l’80% delle nuove imposte doganali andrebbe a colpire prodotti non sostituibili. Certamente fra questi hanno un peso rilevante i prodotti Dop e Igp, in primo luogo il vino, ma ci sono anche conserve di pomodoro, pasta, salse e farine”.

IL VINO OLTRE GLI 8 MILIARDI DI EURO, BOOM OLIO E CIOCCOLATO
Il vino italiano è il prodotto agroalimentare italiano più esportato con oltre 8 miliardi di euro di valore e una crescita del 5,5% nel solo 2024, seguono pasta e prodotti della panetteria che valgono 7,6 miliardi (+8,6% nell’ultimo anno). Secondo i dati elaborati da TEHA, grassi e oli vegetali italiani (4,1 mld di export) e cioccolato (3,4) hanno fatto registrare le crescite più significative del 2024: rispettivamente +27,2% e +17,8%. In positivo anche i prodotti lattiero-caseari (+9,1% per 6,5 miliardi di export), la frutta (+8,3%, 3,9 miliardi) e i piatti pronti trasformati (+6,2%, 4,1 mld), mentre aumenti più contenuti sono stati rilevati per le bevande ad esclusione del vino (+5% per 4,2 miliardi), cibo per animali (+3,3%, 3,1 mld) oltre che frutta e vegetali trasformati che valgono oggi 6 miliardi all’estero, in linea (+0,7%) con il 2023.

ITALIA LEADER PER ESPORTAZIONI DI POMODORI, PASTA E AMARI
In 15 categorie merceologiche del settore agroalimentare, l’Italia è leader di mercato nel mondo: tra queste i pomodori pelati dove rappresentiamo il 76,3% del mercato globale, la pasta italiana che ne vale quasi la metà (48%) o gli amari e distillati al 34,5%. I salumi italiani nei sette continenti raggiungono una quota del 29,9%, la bresaola del 29% e la passata di pomodoro del 24,1%. Tra le verdure lavorate, il 21,9% del mercato globale viene dal Bel Paese, così come il 9,4% di quello del sidro di mele. L’Italia è seconda al mondo per esportazione di castagne (25,2%), vino (20,7%), olio di oliva (17,4%) e caffè (15,8%). “La forza dei prodotti italiani nel mondo – sottolinea Benedetta Brioschi, Partner TEHA, nel presentare il prossimo Forum Food&Berverage di Bormio che vedrà la partecipazione di manager dell’industria agroalimentare italiana, della distribuzione e rappresentanti di associazioni e istituzioni del settore – risiede nei livelli di qualità che non hanno confronto in Europa: il valore medio delle nostre esportazioni agroalimentari è oggi di 254,5 euro per 100 kg di prodotto, superiore a Spagna (214 euro), Paesi Bassi (207), Germania (172) e Francia (131 euro /100Kg)”.

LOMBARDIA PRIMA PER FATTURATO AGROALIMENTARE
La Lombardia si conferma prima regione in Italia per fatturato agroalimentare con 50 miliardi di euro (19% del totale nazionale), il 41% in più rispetto al 2015, e detta la linea anche per l’export del comparto (10,9 miliardi). La Valtellina, dove si svolgerà la 9° edizione del Forum TEHA di Bormio, è una punta di diamante dell’enogastronomia italiana. Sondrio è l’undicesima provincia italiana su 107 per impatto economico delle produzioni certificate di cibo (260 milioni di euro) e la quarta per produzione di vino con 3,2 milioni di bottiglie ogni anno da 24 milioni di euro di valore complessivo. “Abbiamo scelto Bormio per realizzare uno dei più importanti eventi italiani nel settore agroalimentare – conclude De Molli – per valorizzare l’impegno di una comunità che puntando su qualità e tradizione produce un valore socioeconomico senza eguali per la Lombardia e un modello per l’intero Paese”.

 

Dazi Usa, al via la conta dei danni nel food & beverage italiano

La guerra commerciale con gli Usa è ufficialmente cominciata: sono oltre 100 i Paesi su cui impatteranno i dazi voluti da Donald Trump e tra questi c’è ovviamente l’Italia. Brilla l’assenza nell’elenco di Russia e Corea del Nord, come ha rimarcato già nelle prime ore la stampa internazionale. In sintesi, a partire dal 5 aprile gli Usa applicheranno dazi del 10% su tutte le importazioni e per alcune nazioni – per esempio il Regno Unito – questa sarà l’unica misura adottata. Dal 9 aprile entreranno in vigore tariffe più pesanti e differenziate per una sessantina di Paesi: nel caso dell’Unione Europea – e dell’Italia, dunque – saranno pari al 20%, mentre il 34% annunciato per la Cina dovrebbe andarsi ad aggiungere al 20% già previsto, portando il totale a ben il 54%. Anche per l’Unione Europea e l’Italia le nuove tariffe si vanno a sommare a quelle già applicate per le singole merci. La conta dei danni per il nostro Paese è subito iniziata, accompagnata anche da proposte per affrontare l’emergenza: “Con i sanguinosi dazi americani al 20% il mercato dovrà tagliare i propri ricavi di 323 milioni di euro all’anno – dichiara Lamberto Frescobaldi, Presidente di Unione italiana vini (Uiv) – pena l’uscita dal mercato per buona parte delle nostre produzioni. Perciò Uiv è convinta della necessità di fare un patto tra le nostre imprese e gli alleati commerciali d’oltreoceano che più di noi traggono profitto dai vini importati; serve condividere l’onere dell’extra-costo ed evitare di riversarlo sui consumatori”.

UIV AUSPICA UNA REAZIONE DI FILIERA
Secondo un’analisi dell’Osservatorio Uiv, l’unica soluzione è infatti da ricercare lungo la filiera, con il mercato – dalla produzione fino a importatori e distributori – che dovrebbe farsi carico di un taglio dei propri ricavi per un valore pari a 323 milioni di euro (su un totale di 1,94 miliardi) e mantenere così gli attuali assetti di pricing. Sempre in base ai calcoli di Uiv, ben il 76% delle 480 milioni di bottiglie tricolori spedite lo scorso anno verso gli Stati Uniti si trova in “zona rossa” con una esposizione sul totale delle spedizioni superiore al 20%. I picchi si registrano per il Moscato d’Asti (60%), il Pinot grigio (48%), il Chianti Classico (46%), i rossi toscani Dop al 35%, i piemontesi al 31%, così come il Brunello di Montalcino, per chiudere con il Prosecco al 27% e il Lambrusco. In totale sono 364 milioni di bottiglie, per un valore di oltre 1,3 miliardi di euro, ovvero il 70% dell’export italiano verso gli Stati Uniti. Per Paolo Castelletti, Segretario Generale di Uiv (nella foto in alto), “Rispetto ai partner europei, l’Italia presenta due principali fattori di rischio: da una parte la maggiore esposizione netta sul mercato statunitense, pari al 24% del valore totale dell’export contro il 20% della Francia e l’11% della Spagna. Dall’altra, una lista di prodotti più sensibili su questo mercato, sia in termini di esposizione, che di prezzo medio a scaffale: solo il 2% delle bottiglie tricolori vendute in America vanta un price point da vino di lusso, mentre l’80% si concentra nelle fasce “popular”, che tradotto in prezzo/partenza significa in media poco più di 4 euro al litro”.

CENTROMARCA AVVIA UN’INDAGINE SUL FRONTE INDUSTRIALE
Dal canto suo, Centromarca ha avviato un’indagine rapida per misurare l’impatto che i dazi americani avranno sull’industria di marca e fornire dati utili in sede nazionale ed europea. “Nel settore del largo consumo il prezzo è una componente significativa – sottolinea Vittorio Cino, Direttore Generale di Centromarca –. Le conseguenze non dovrebbero essere omogenee: ogni merceologia ha specifiche dinamiche di esportazione, variabili produttive e commerciali. Per esempio, ci sono diverse elasticità della domanda alle variazioni di prezzo che i dazi potranno determinare per i consumatori. Certo la scelta statunitense crea una discontinuità senza precedenti nel mercato globale: ci vorrà tempo e un’attività diplomatica di vasta portata per recuperarla”.

GLI EFFETTI SUI COMPORTAMENTI DEL CONSUMATORE STATUNITENSE
Secondo una ricerca, condotta in questi giorni negli Stati Uniti da YouGov per Centromarca, circa la metà dei consumatori americani utilizza prodotti grocery italiani: il 14% lo fa ogni settimana, il 25% mensilmente. Tra i prodotti usati abitualmente, nelle prime cinque posizioni troviamo pasta (50% di citazioni), seguita da olio di oliva (46%), formaggi (38%), salse (37%) e vino (33%). In merito all’effetto dazi solo il 16% dei consumatori afferma di essere disposto a pagare di più per acquistare prodotti grocery italiani, il 48% afferma di essere disposto a spendere la stessa cifra che sborsa per altri prodotti, il 10% vorrebbe investire di meno, il 26% non ha un’opinione precisa. Fatto cento coloro che consumano prodotti grocery made in Italy, il 47% asserisce che in caso di aumento dei dazi manterrebbe la quantità di prodotti italiani acquistati, mentre il 30% la ridurrebbe. Tra gli elementi che guidano l’acquisto di prodotti italiani primeggiano qualità percepita, reputazione della marca e rapporto qualità/prezzo.

L’EXPORT DI PRODOTTI DI LARGO CONSUMO NEGLI STATI UNITI
Alcuni dati elaborati da Nomisma per Centromarca descrivono l’importanza dello sbocco statunitense per le produzioni grocery alimentari e non food italiane. Tra il 2023 e il 2024 l’incremento delle importazioni a valore negli Usa è stato del +16%, da 8,5 a 9,9 miliardi di euro. In dettaglio, l’alimentare cresce da 6,8 a 8,0 miliardi di euro e i prodotti per la cura della casa e della persona da 1,7 a 1,9 miliardi di euro. Nel decennio 2014 – 2024 il fatturato grocery complessivo è passato da 3,8 a 9,9 miliardi di euro, pari a una crescita del +161%. Le analisi mostrano che nel 2024 il peso degli Usa sull’export italiano food & beverage era pari al 12%; 13% per i prodotti cura casa/persona. Il 72% dell’export di sidro italiano (spesso usato come intermedio di lavorazione) ha come canale di sbocco gli states. Seguono: acque minerali (41%), olio di oliva (32%), aceti (30%), liquori (26%), vini fermi/frizzanti (25%), spumanti (24%), formaggi duri/semi duri (19%), profumi/fragranze (18%), pasta (16%), trucchi/prodotti di bellezza (15%), conserve di pomodoro (7%). Per il 54% dei consumatori statunitensi acquistare un prodotto alimentare di marca italiana è sinonimo di bontà, per il 49% di qualità delle materie prime, per 36% di sicurezza e tutela della salute. Nell’ambito dei prodotti per il personal & home care il 53% delle persone trova qualità delle materie prime, il 49% sicurezza, il 32% sostenibilità ambientale.

IL POSIZIONAMENTO PREMIUM SALVERÀ IL PARMIGIANO REGGIANO?
A confidare nella specificità della nostra produzione è Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio Parmigiano Reggiano (nella foto a destra): “I dazi sul nostro prodotto passano dal 15% al 35%. Di certo la notizia non ci rende felici, ma il Parmigiano Reggiano è un prodotto premium e l’aumento del prezzo non porta automaticamente ad una riduzione dei consumi. Lavoreremo per cercare con la via negoziale di fare capire per quale motivo non ha senso applicare dazi a un prodotto come il nostro che non è in reale concorrenza con i parmesan americani. Ci rimboccheremo le maniche per sostenere la domanda in quello che è il nostro primo mercato estero e che rappresenta oggi il 22,5% della quota export totale. Il Parmigiano Reggiano copre circa il 7% del mercato dei formaggi duri a stelle e strisce e viene venduto a un prezzo più che doppio rispetto a quello dei parmesan locali. Nel 2019, quando Trump introdusse tariffe aggiuntive pari al 25%, il Parmigiano Reggiano fu il prodotto più colpito con un incremento del prezzo a scaffale dai 40 ai 45 dollari al chilo. Fortunatamente i dazi sono poi stati sospesi il 6 marzo del 2021 e non ci hanno creato problemi in termini di vendite. Gli americani hanno continuato a sceglierci anche quando il prezzo è aumentato. Negli Stati Uniti chi compra il Parmigiano Reggiano fa una scelta consapevole: ha infatti un 93% di mercato di alternative che costano 2-3 volte meno”.

ALLARME NEL MONDO COOPERATIVO
Fortemente impattato è anche il tessuto cooperativo: negli Usa il fatturato delle cantine cooperative è di oltre 570 milioni di euro, il 30% di tutto l’export vitivinicolo nel mercato statunitense, mentre per un altro settore ad alto valore aggiunto con le sue produzioni DOP come i formaggi, le cooperative commercializzano negli Stati Uniti 122 milioni di euro, il 25% di tutte le vendite di formaggi negli Usa, che nel 2024 hanno toccato quota 484 milioni di euro. Seguono poi altre filiere e prodotti in cui la cooperazione esporta valori significativi come il pomodoro da industria. “Per quanto riguarda il settore vino – dice Raffaele Drei, Presidente di Confcooperative Fedagripesca (nella foto in alto) – occorre destinare maggiori risorse per la promozione, se davvero vogliamo aiutare le aziende ad acquisire nuovi mercati. Andrà fatto inoltre un grande lavoro di sburocratizzazione nelle procedure per l’accesso ai bandi. All’Europa chiediamo misure per la promozione più snelle e in generale risposte più efficaci rispetto al passato perché quelle attuali risultano un po’ timide rispetto all’urgenza di aggredire nuovi mercati”. Più in generale, per altri settori fortemente orientati alle esportazioni, le istituzioni secondo Drei “dovranno concentrarsi maggiormente nei rapporti internazionali per promuovere rapporti bilaterali con altri paesi extra-Ue, anche attraverso nuovi accordi di libero scambio al fine di migliorare canali commerciali già consolidati o aprire altri mercati in cui oggi è difficile conquistare quote di mercato. Il settore lattiero-caseario rischia di veder compromessa la stabilità della tutela delle Dop con il conseguente proliferare dell’Italian sounding”.

Parma Food Valley, un “marchio” da 11 miliardi di euro di fatturato

Tra i 5 prodotti gastronomici che meglio rappresentano il nostro Paese nel mondo, il 27% degli italiani cita spontaneamente una filiera della Parma Food Valley, all’interno di un territorio conosciuto dal 43% degli intervistati. E in generale, più del 50% riconosce il valore di eccellenza dei prodotti di quest’area. Sono alcuni degli spunti emersi da una ricerca Ipsos su Parma Food Valley, il territorio rappresentato da Fondazione Parma Creative City of Gastronomy Unesco che racchiude 6 tra le più importanti filiere dell’agroalimentare italiano: Parmigiano Reggiano, Prosciutto di Parma, pasta (Barilla), pomodoro (Mutti e Rodolfi), latte (Parmalat) e le alici (Delicius, Rizzoli e Zarotti). La Fondazione è stata costituita nel 2017, a seguito della nomina di Parma a Città Creativa Unesco per la Gastronomia, avvenuta nel dicembre 2015. E oltre alle filiere, è affiancata dai partner istituzionali come il Comune di Parma, la Camera di Commercio dell’Emilia, l’Unione Parmense degli Industriali, l’Università di Parma e Fiere di Parma, con il coordinamento di Parma Alimentare. L’ente di ricerca ha condotto uno studio sulla conoscenza e l’apprezzamento del marchio Parma Food Valley in Italia. Sono state 1.246 le interviste realizzate su una popolazione dai 18 ai 74 anni ben suddivisa per occupazione (il 58% lavora) e stato di famiglia (il 55% si dichiara convivente, il restante 45% o vive da solo o con famigliari/amici), mentre per quanto riguarda il tasso di istruzione il 22% ha raggiunto la laurea. In chiusura, il 48% degli intervistati è stato intercettato nel Nord, il 18 al Centro e il restante 34% tra Sud e isole.

PRODUZIONE ED EXPORT IN CIFRE
La ricerca è stata effettuata su un’area di grande rilievo dal punto di vista economico. Nel 2023 (ultimo dato complessivo disponibile) le 6 filiere hanno sommato un fatturato al consumo di oltre 11 miliardi di euro. Le due Dop – 3,05 miliardi di euro per il Parmigiano Reggiano; 1,7 miliardi per il Prosciutto di Parma – e Barilla (4,9 miliardi di euro) rappresentano la fetta maggiore, seguiti dal pomodoro (quasi 800 milioni di euro), latte (720 milioni) e le alici (135 milioni) in un settore di cui Parma è leader e che attraverso le tre aziende rappresenta più del 70% delle acciughe consumate in Italia. Sul fatturato complessivo, circa 5 miliardi di euro (il 44%) derivano dalle esportazioni. Secondo i dati pubblicati da Upi (Unione Parmense degli Industriali), basati sui report Istat dei valori alla produzione, quello ducale rappresenta il 5% dell’intero export alimentare italiano, cifra che sale al 32% se riparametrata sull’Emilia-Romagna. E in una situazione geopolitica minacciata dai dazi, è possibile analizzare anche i Paesi più importanti. Se Francia e Germania sono ai primi due posti, nell’ultimo anno sono stati proprio gli Stati Uniti a registrare la maggior crescita sull’export con un +21,7% rispetto al 2023, seguiti dal Canada (+21,1%), Spagna (+19,1%) e Regno Unito (+15%). Più in generale, dal 2015 l’export della Parma Food Valley è sempre cresciuto, arrivando in 10 anni a sfiorare il +100%. Mentre per quanto riguarda le importazioni, gli Usa non compaiono nei primi 20 posti di una classifica guidata dalla Spagna. Infine, dal punto di vista occupazionale l’agroalimentare parmense può vantare 1.052 aziende sfiorando i 15.000 addetti.

QUALITÀ E GUSTO I DRIVER D’ACQUISTO
Tra gli oltre 1.200 intervistati, il 63% mette al primo posto la qualità e il 52% il gusto come aspetti più rilevanti nel guidare gli acquisti. Ma nella ricerca emergono anche punti di miglioramento. E tra questi c’è il focus principale di Fondazione Parma Creative City of Gastronomy Unesco, ovvero promuovere la conoscenza di Parma Food Valley. Pur avendo prodotti unici in tutto il mondo, più della metà degli intervistati non conosceva il brand. “La ricerca Ipsos offre degli spunti interessanti per valorizzare ancora di più Parma Food Valley – afferma Massimo Spigaroli, Presidente Fondazione Parma Creative City of Gastronomy Unesco –. In un momento simile, caratterizzato anche a livello internazionale da una conflittualità politica ed economica, è ancora più importante sottolineare l’importanza di un ente che invece è stata capace di fare sistema. Attraverso questa occasione lavoreremo ancora di più per far conoscere l’eccellenza dei nostri prodotti, in una valorizzazione in grado di far crescere consorzi, aziende e territorio”.

Export formaggi in Giappone: nel 2024 +14% a volume e +11% a valore

Cresce l’export dei formaggi italiani in Giappone: nel 2024 le nostre produzioni casearie mettono a segno un +14% a volume e un + 11% a valore, a fronte di 12.700 tonnellate esportate nel 2024 – di cui il 40% è Dop – per un valore di 106,9 milioni di euro. Complessivamente l’export dei formaggi Dop e Igp nel Paese del Sol Levante totalizza 53,4 milioni di euro. A fare da traino sono Grana Padano Dop e Parmigiano Reggiano Dop, che insieme registrano un +12% a volume (quasi 2.000 tonnellate esportate per oltre 22 milioni di euro), e i grattugiati con un +87% (1.400 tonnellate esportate). Ma anche Mozzarella di Bufala Campana Dop e Gorgonzola Dop, rispettivamente con 800 e 510 tonnellate.

Lo fa sapere Afidop, Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp, in occasione della 50° edizione di Foodex Japan 2025, la più importante manifestazione fieristica agroalimentare in Giappone, in programma a Tokyo dall’11 al 14 marzo 2025. Per l’occasione l’associazione partecipa con i suoi formaggi Asiago Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Pecorino Romano Dop e Piave Dop alla serata “The Italian aperitivo”, organizzata il 13 marzo presso l’ambasciata italiana da ICE e Fiere di Parma. All’evento parteciperanno, tra gli altri, il presidente Afidop, Antonio Auricchio, e l’ambasciatore italiano in Giappone, Gianluigi Benedetti.

Il 2024 è stato un anno più che positivo: gli aumenti innescati dal deprezzamento dello Yen nei confronti delle valute straniere nel 2023 non hanno intaccato l’affezione dei giapponesi nei confronti dei nostri formaggi Dop – dichiara Antonio Auricchio, Presidente di Afidop –. Merito della nostra varietà di stili, consistenze e gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro versatilità in cucina e del fascino del Made in Italy, da sempre sinonimo di saperi antichi, e di una filiera che offre garanzie di qualità e autenticità. Benché il formaggio non sia parte integrante della cultura giapponese, grazie ai 5.000 ristoranti italiani a Tokyo e a piatti occidentali che spopolano nel Paese come la cacio e pepe, le nostre produzioni casearie stanno vivendo una crescita significativa in Giappone. Il consumo di formaggio è più che raddoppiato dal 1990 ad oggi superando le 300.000 tonnellate, con un trend crescente sui formaggi freschi. Per il futuro vediamo ampi margini di crescita”.

Distretti agroalimentari, l’export tricolore passa di qui

Prosegue la crescita sui mercati esteri dei distretti agroalimentari italiani con un risultato complessivo delle esportazioni dei primi nove mesi del 2024 che supera i 21 miliardi di euro, con un progresso del 7,7% a prezzi correnti rispetto al periodo gennaio-settembre del 2023. È quanto emerge dal Monitor dei distretti agroalimentari italiani al 30 settembre 2024, curato dal Research Department di Intesa Sanpaolo che attesta un’evoluzione in linea con il totale agroalimentare italiano (+8,2%), di cui i distretti rappresentano il 42,5% in termini di valori esportati. Nello studio si evidenzia come la filiera dei distretti vitivinicoli accelera nel periodo gennaio-settembre andando a sfiorare i 5 miliardi (+4,4%). Il distretto principale, quello dei Vini di Langhe, Roero e Monferrato, va in negativo nei primi nove mesi del 2024 (-1,6%). Molto positiva la dinamica del distretto dei Vini del Veronese (+9,6% nei primi nove mesi); balzo in avanti per i Vini dei colli fiorentini e senesi (+11%) e per il Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene (+8%).

BENE PASTA E DOLCI
Anche la filiera della pasta e dolci continua il suo percorso di crescita sui mercati internazionali: nei primi nove mesi del 2024 realizza 3,6 miliardi di export (+7,6% rispetto allo stesso periodo del 2023). Tra i distretti della filiera, il contributo maggiore viene dal distretto dei Dolci di Alba e Cuneo, che realizza quasi 1,5 miliardi di export nei nove mesi (+18,6%). Bene anche i Dolci e pasta veronesi (+13%). Arretra il comparto pasta e dolci dell’Alimentare di Parma: nei primi nove mesi del 2024 il gap accumulato è di circa 25 milioni (-2,7%), ma grazie al contributo del comparto conserve, resta nel complesso in territorio positivo (+1,9%).

LE MELE TRAINANO L’ORTOFRUTTA
Accelera anche la filiera dei distretti agricoli realizzando nei nove mesi oltre 2,9 miliardi di export (+5,4% rispetto allo stesso periodo del 2023). Il maggior contributo viene dal distretto delle Mele dell’Alto Adige con un incremento del 20% nel periodo gennaio-settembre 2024. In forte recupero l’Ortofrutta romagnola a quota 546 milioni di euro nei primi nove mesi, l’11,6% in più rispetto allo stesso periodo del 2023. Continua il calo sui mercati esteri per la Nocciola e frutta piemontese (-16% nei primi nove mesi).

CONSERVE IN TERRITORIO POSITIVO
Anche la filiera delle conserve contribuisce positivamente alla dinamica dell’export dei distretti agro-alimentari con un +5% nei primi nove mesi, ossia un incremento di 112 milioni. Molto positivo il comparto conserve dell’Alimentare di Parma: +15,3% nel periodo gennaio-settembre 2024 (tale da compensare l’andamento negativo del comparto pasta e dolci del distretto). Il distretto delle Conserve di Nocera chiude positivo nel bilancio gennaio-settembre 2024 (+2% tendenziale).

LE PERFORMANCE DI CARNI E FORMAGGI
Lieve progresso nei nove mesi per la filiera delle carni e salumi (+3,1%) corrispondenti a 59 milioni in più. Si distinguono le Carni di Verona, che realizzano 23 milioni di incremento sui mercati esteri (+4,6%). Crescono anche i Salumi dell’Alto Adige (+15,1%, circa 10 milioni in più), e i Salumi di Parma (+5,2%, in incremento di circa 20 milioni).
La filiera del lattiero-caseario nel complesso avanza del 5,2% nei primi nove mesi del 2024 (95 milioni di euro in più), quasi interamente realizzati dal Lattiero-caseario parmense (+38,3%). In progresso anche il Lattiero-caseario di Reggio Emilia (+16,7%), mentre calano leggermente il Lattiero-caseario sardo (-2%), la Mozzarella di bufala campana (-1%) e il Lattiero-caseario della Lombardia sud-orientale (-2,2%)

CRESCITA NEL CAFFÈ
Avanza la filiera del caffè (+9,5% tendenziale nei primi nove mesi del 2024), con ottimi andamenti per tutti e tre i distretti che la compongono. Il Caffè, confetterie e cioccolato torinese realizza 718 milioni di vendite all’estero (+7,7%). Positivi anche il Caffè di Trieste (+15,4%) e il Caffè e confetterie del napoletano (+9,7%).

FORTE INCREMENTO PER L’OLIO
La filiera dell’olio è quella che contribuisce maggiormente alla crescita delle esportazioni dei distretti agroalimentari: nei primi nove mesi del 2024 vengono realizzati 522 milioni di export in più (+52,4%) a prezzi correnti. Il distretto dell’Olio toscano realizza 389 milioni in più (+56%). Positivo anche l’andamento dell’Olio umbro (+33%) e del comparto oleario dell’Olio e pasta del barese (+60%).
La filiera del riso chiude sostanzialmente invariata (-0,3% nei primi nove mesi del 2024). I due distretti che la compongono hanno un andamento similare: Riso di Pavia -0,4%, Riso di Vercelli -0,2%. Bene, infine, il distretto dell’Ittico del Polesine e del Veneziano: +11,6% nei primi nove mesi del 2024.

I PARTNER COMMERCIALI
La Germania si conferma il primo partner commerciale per i prodotti dei distretti agroalimentari nei primi nove mesi del 2024 (+6,9% tendenziale); incrementi a doppia cifra anche verso gli Stati Uniti (+17%), bene anche i flussi destinati alla Francia (+5,4%), stabile il Regno Unito (+0,7%). Le economie emergenti, che rappresentano il 20% del totale delle esportazioni distrettuali agroalimentari, crescono del 6,8% nel terzo trimestre (+8,7% nei nove mesi) contro un +9,8% delle economie avanzate (+7,5% nel periodo gennaio-settembre 2024). Tra queste vanno segnalate Polonia (+11,9% nei nove mesi), Romania (+14,5%), Brasile (+14,4%) e Russia (+10,2%), bene anche la Cina (+7%) grazie allo sprint del terzo trimestre (+15,6%).

IL RUOLO DI INTESA SANPAOLO
La filiera agroalimentare italiana si rafforza ulteriormente nei mercati esteri – dichiara Massimiliano Cattozzi, Responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo – ricevendo crescente apprezzamento della propria qualità, biodiversità e tradizione. Fattori che la nostra banca contribuisce a consolidare come strategici grazie a strumenti e consulenza offerti a vantaggio della competitività, dell’eccellenza produttiva e dell’innovazione sostenibile delle aziende del comparto. Lo testimoniano le quasi 7.000 imprese che abbiamo accompagnato nell’accesso ai bandi PNRR, contribuendo al successo del Made in Italy alimentare”.
Intesa Sanpaolo, nell’ambito della Divisione Banca dei Territori guidata da Stefano Barrese, accompagna la filiera agroalimentare verso un modello di sviluppo capace di connettere natura, cultura ed economia tramite la Direzione Agribusiness, rete nazionale con 250 punti operativi in Italia, di cui 94 filiali specializzate, a servizio di oltre 80 mila clienti. Attraverso il Programma Sviluppo Filiere, Intesa Sanpaolo supporta 172 filiere agroalimentari, di cui 30 sostenibili, coinvolgendo oltre 8.800 fornitori e quasi 22.000 dipendenti per un giro d’affari di circa 23 miliardi di euro.

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