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Food e hospitality, l’export che verrà. Le stime di PwC Italia

Le previsioni dell’ Ufficio Studi PwC Italia nell’ambito di food e hospitality: entro il 2023 l’export italiano crescerà del 24%, volerà a €532 miliardi.

 

Le previsioni per l’export in Italia stimano una crescita continua nel prossimo biennio: nel 2021 si attende un rimbalzo dell’11,3%, rispetto al calo in valore del 9,7% registrato nel 2020, che permetterà un pieno ritorno ai livelli pre-pandemia, con un aumento ulteriore del 5,4% nel 2022 e una crescita del 4,0%, in media, nel biennio successivo.

Andrea Toselli, Presidente e Amministratore Delegato di PwC Italia spiega: “Le ultime previsioni del Governo ci danno segnali positivi sulla crescita del Pil nazionale, stimata intorno al 6% su base annua. Secondo le rilevazioni dell’Ufficio Studi di PwC l’export italiano, che nel 2021 ha già superato i livelli pre-pandemia, entro il 2023 toccherà 532 miliardi di euro, con una crescita del 24% rispetto al 2020.

Ad incidere positivamente saranno anche i 6,8 miliardi di risorse stanziate dal PNRR ed i fondi complementari a sostegno diretto dell’agroalimentare italiano, che oggi rappresenta oltre 500 mila addetti.

Un segnale importante che conferma come il Food e l’hospitality restino comparti chiave del tessuto produttivo italiano sui quali investire per il benessere del Paese”. 

L’export agroalimentare

Il valore dell’export nel mercato agroalimentare è in continua crescita così come il suo peso sul totale dell’export italiano, che aumenterà dell’11% nel 2021 rispetto al valore pari a 44,6 miliardi di euro nel 2020. L’agroalimentare è infatti il comparto che ha risentito meno della crisi pandemica, non essendo stato colpito da particolari restrizioni o fermi produttivi (dati Interscambio Settoriale Agroalimentare 2021, Osservatorio Economico Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale).

Nel 2020 il valore delle vendite all’estero di prodotti italiani è rimasto in crescita, così come il suo peso sul totale dell’export italiano, passando dal 9,2% (2019) al 10,3% nel 2020 (dati Interscambio Settoriale Agroalimentare 2021, Osservatorio Economico Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale).

Gli effetti dello stop forzato alle attività ricettive e ricreative della filiera Ho.Re.Ca. sono stati infatti parzialmente contenuti dall’incremento della spesa per i consumi domestici nonché dal maggiore utilizzo di soluzioni di food delivery, iniziate a diffondersi durante la pandemia e destinate a permanere.

I trend di ripresa per il settore Food

Le previsioni di consumo dell’Ufficio Studi di PwC Italia per il periodo 2021- 2024, formulate sulla base dell’ultima edizione del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, segnalano tassi di crescita superiori ai livelli pre-Covid sia per gli scambi mondiali che per le esportazioni italiane nel settore alimentare.

I segmenti che mostrano la ripresa più rapida per il commercio mondiale sono olio (+7,6%) e pesce (+7,1%), mentre a trainare le esportazioni italiane, sono i segmenti del pesce (+9,9%) e dei latticini +(7,9%).

Ma a guidare la ripresa del settore agroalimentare italiano sono anche i cambiamenti di consumo.

Nel 2022 si mangerà più italiano, biologico e locale. La pandemia da Covid- 19 ha modificato la relazione dei consumatori con il cibo, evidenziando una maggiore attenzione per la salute, la cura per l’ambiente, con una propensione per il cibo italiano, biologico e locale, con una crescita anche del Ready to Eat.

Tra i trend emergono quello della sostenibilità e del Click&Collect: 81% degli italiani considera importanti le indicazioni in etichetta su come riciclare la confezione per valutare la sostenibilità di un prodotto e il 46% degli italiani è disposto a pagare di più per un prodotto alimentare sostenibile.

Nel 2021 il 17% di tutto l’e-commerce sarà di largo consumo, aumenta del 9% la quota di mercato rispetto al 2019 di chi è disposto a pagare di più per un prodotto alimentare sostenibile; aumenta del 17% il prezzo medio del carello online rispetto a quello fisico.

Costretti a casa dai lockdown, gli italiani hanno aumentato i loro consumi domestici, con la spesa alimentare aumentata di 6 miliardi di euro in un anno, passando da 165 miliardi di euro nel 2019 a 171 miliardi di euro nel 2020. Tanto, ma non abbastanza per compensare quanto si è perso nei pubblici esercizi sul mercato del Fuori Casa, dove i consumi sono crollati di 31 miliardi di euro (Rapporto annuale ristorazione Fipe 2020).

In termini di spesa pro-capite siamo tornati indietro di 26 anni, al 1994. Pandemia e restrizioni hanno inoltre modificato il rapporto tra i consumatori e i pubblici esercizi.

Servizi di Hospitality

Nonostante il 97,5% dei ristoratori abbia registrato nel 2020 un calo di fatturato, i dati 2021 segnano +82,7% nel 2° trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

È in forte risalita anche l’export italiano della Ristorazione professionale, che nei primi tre mesi del 2021 registra un aumento del +20,8% a valore rispetto al 1° trimestre 2020, superando anche i livelli pre-Covid con una crescita del +7,5% sullo stesso periodo nel 2019.

Entro il 2024 si prevede un ritorno a ritmi di sviluppo accelerati per gli scambi mondiali. Fra i segmenti più dinamici si evidenziano proprio la Ristorazione professionale (+6,9% medio annuo nel periodo 2021-’24 a valore) e la vendita di Caffè e macchine (+7% medio annuo).

Anche a livello italiano, l’export dei servizi di hospitality sarà guidato dai comparti Caffe e macchine, panificazione e pasticceria.

Export: exploit italiano su birra, spumante e caviale

Birra, Spumante e caviale: l’export italiano vola e fanno capolino anche produzioni ‘più esotiche’. L’analisi di Coldiretti in occasione di Cibus.

L’Italia (e il suo export) vanno alla grande e macinano volumi. Spumante, birra e caviale: tre categorie di prodotto in cui il Bel Paese dà punti al resto d’Europa. Ecco alcune evidenze emerse dall’analisi della Coldiretti su dati Istat per l’apertura di Cibus.

Se sul fronte birra le esportazioni italiane verso la Germania crescono del 10% e del 32% quelle verso gli USA, altrettanto bene vanno quelle di spumante in Francia: +8%.
Quanto al caviale la crescita è del 187%, con l’Italia che è diventata leader mondiale nell’allevamento.
A guardar bene, secondo quanto emerge dalle proiezioni Coldiretti su dati Istat, è la filiera dell’agroalimentare nel suo complesso quella che ha dimostrato la maggiore resilienza alla crisi mettendo a segno nel 2021 il record storico nelle esportazioni in aumento del 12% nel primo semestre per un valore annuale stimato in 50 miliardi. A trainare le vendite all’estero sono i settori tradizionali del Made in Italy ma non mancano – sottolinea la Coldiretti – risultati interessanti dovuti alla capacità di innovazione, qualità del prodotto e spirito imprenditoriale.

Un esempio, in questa direzione, è quello fornito dalla birra artigianale con una produzione che ha raggiunto i 550 milioni di litri all’anno, dei quali circa un terzo si ottengono da aziende che trasformano direttamente i prodotti agricoli.

Ma gli esempi continuano come le prime spedizioni di riso tricolore verso la Cina o il boom della produzione di frutta esotica Made in Italy con le coltivazioni nazionali che in meno di tre anni sono raddoppiate superando i mille ettari fra Puglia, Sicilia e Calabria per sfruttare positivamente gli effetti drammatici dei cambiamenti climatici.

Sempre più spesso nelle regioni del Sud prima si sperimentano e poi si avviano vere e proprie coltivazioni di frutta originaria dell’Asia e dell’America Latina dalle banane ai mango, dall’avocado al lime, dal frutto della passione all’anona, dalla feijoa al casimiroa, dallo zapote nero fino al litchi. Il tutto grazie all’impegno di giovani agricoltori – ricorda la Coldiretti – che hanno scelto questo tipo di coltivazione, spesso recuperando e rivitalizzando terreni abbandonati proprio a causa dei mutamenti climatici, con oltre sei italiani su 10 (61%) acquisterebbero tropicali italiani se li avessero a disposizione invece di quelli stranieri, secondo un sondaggio Coldiretti-Ixè.

Olio extravergine d’oliva: crescono consumi ed export

L’emergenza sanitaria ha potenziato i consumi domestici e, con questi, la riscoperta del Made in Itraly. Olio extravergine compreso, naturalmente. A testimoniarlo un recente report della Commissione Europea, che, per quanto riguarda l’Europa, ha registrato un +15,6% nelle esportazioni verso i paesi extraeuropei fra ottobre 2019 e settembre 2020, in particolare verso Australia (+37,5%), Brasile (+31%) e Canada (+28,1%). Relativamente all’Italia, invece, fra ottobre 2019 e agosto 2020 le esportazioni intraeuropee sono aumentate del 24,7%. Un export dinamico quindi che, insieme al +7,4% di vendite alla GDO dei primi undici mesi del 2020 registrate dall’ISMEA, ha compensato le perdite dovute alla chiusura del canale della ristorazione. Basti pensare che in Italia 9 famiglie su 10 consumano olio extravergine d’oliva tutti i giorni secondo Coldiretti. Con questi ritmi il mercato globale dell’olio extravergine, che nel 2020 valeva 1.465,5 milioni di dollari, secondo WMFJ arriverà a valere oltre 1,8 miliardi di dollari entro il 2026, con un CAGR del 3.6%. “Durante il lockdown le persone hanno avuto modo di fermarsi e riflettere sulla propria alimentazione e questo ha influito su ciò che cercano sugli scaffali dei supermercati – ha affermato Federica Bigiogera, marketing manager di Vitavigor – Quanto emerge dalle indagini di mercato è evidente ora più che mai: i consumatori prediligono ingredienti di qualità, sani e preferibilmente nostrani. Per noi è importante fare tesoro di questi dati ed è anche per questo motivo che da oltre 60 anni utilizziamo per i nostri grissini solo olio extravergine d’oliva al 100%, evitando l’utilizzo di olio di palma, grassi animali o idrogenati, OGM e conservanti”.

Previsioni di mercato

Ma quali sono le previsioni del mercato dell’olio extravergine per l’anno in corso? In Italia non delle migliori, almeno in termini di quantità: l’ISMEA ha registrato un calo della produzione del 30% rispetto allo scorso anno. I motivi sono da ricercarsi nelle anomalie climatiche e nella Xylella che hanno devastato gli ulivi del Sud e in particolare della Puglia, regione responsabile del 51% della produzione italiana. Tuttavia, il clima più mite che si è registrato nel Nord della Penisola nel 2020 ha permesso di assistere a incrementi sostanziali per quanto riguarda alcune regioni settentrionali e centrali come Toscana (+31%), Umbria (+70%) e Liguria (+100%), a testimonianza del fatto che quando si tratta di agricoltura è fondamentale adattare le coltivazioni al clima. E se la quantità non è eccelsa, non si può dire altrettanto della qualità: l’olio extravergine d’oliva, infatti, è un grasso liquido estratto dalle olive, coltura tradizionale del bacino del Mediterraneo, ed è l’unico olio da cucina prodotto senza l’uso di agenti chimici e raffinazione industriale.

Balocco cresce ancora, amplia gli stabilimenti e guarda all’export

È il secondo player player del mercato dolciario da ricorrenza e del mercato della prima colazione, Balocco, e nel 2018 consoliderà la forte crescita del 2017 (+che aveva visto un incremento di 15 milioni sul 2016) avvicinandosi ai 190 milioni di euro di fatturato.

L’azienda di Fossano, guidata ancora oggi dalla terza generazione della famiglia che la fondò nel 1927, punta a crescere ancora. Negli ultimi 10 anni ha investito oltre 50 milioni di euro in tecnologia, aumentando le linee interne. Il primo grande risultato si deve alla decisione di affiancare ai prodotti da ricorrenza anche una divisione di prodotti continuativi, frollini in particolare, che hanno consentito alla marca di essere presente nelle case dei consumatori italiani non solo a Pasqua e Natale, ma tutte le mattine, a colazione. Con questa strategia e investimenti costanti in R&D e implementazione delle linee produttive, l’azienda è cresciuta negli ultimi dieci anni al ritmo di un milione al mese, fino a diventare co-leader nei due segmenti.

 

Occhi puntati sull’export, oggi al 13%

Sul mercato italiano l’azienda è concentrata sul lancio del nuovo brand dal posizionamento premium “Bottega Balocco – Italian Bakery 1927”, i piani per lo sviluppo dell’export, che vale attualmente il 13%, prevedono la creazione di linee dedicate. Già oggi i prodotti Balocco sono distribuiti in 67 Paesi, dall’Europa agli USA, da Medio Oriente all’Australia. La crescita delle esportazioni sarà sostenuta in futuro da un’offerta prodotti studiata appositamente per rispondere alle abitudini alimentari degli stranieri, con la competenza italiana nella sana e corretta alimentazione. Proprio per realizzare questo obiettivo è in corso di ampliamento il sito produttivo di Fossano, che ospiterà presto nuove linee per prodotti da forno destinati all’export. Dopo i lavori, la superficie coperta aumenterà da 46.000 a 58.000 metri quadri (su una superficie totale di 70.000 metri quadri).

Alla crescita di fatturato e produzione si è affiancata in questi anni la crescita costante dell’organico. Per la campagna natalizia 2018 Balocco ha inserito oltre 200 lavoratori stagionali, portando a 400 unità i dipendenti presenti nel sito di Fossano. Il numero complessivo di addetti sale a 500 unità computando anche lavoratori interinali e cooperative e i 20 addetti impiegati nella “fabbrica in miniatura” aperta da Balocco a fine 2017 all’interno di F.I.CO Eataly World a Bologna.

Per il secondo anno consecutivo infine l’azienda è tra le prime cinque del largo consumo in cui si lavora meglio, secondo l’indagine realizzata dalla società tedesca indipendente “Statista” per il settimanale Panorama, interpellando migliaia di lavoratori di oltre 2.000 imprese italiane con più di 250 dipendenti.

L’agroalimentare italiano continua a crescere: + 3,5% nei primi 5 mesi dell’anno. I dati Nomisma

L’agroalimentare italiano coferma i suoi successi  sul fronte nelle esportazioni, mettendo a segno una crescita nei primi 5 mesi dell’anno pari al +3,5%.

Un indubbio successo, dunque, per le produzioni tricolore, nonostante lo scenario internazionale – punteggiato di dazi, Brexit, e accordi di libero scambio non ratificati (Ceta docet) – non sia propriamente propizio.

Per fortuna, rassicura Denis Pantini, Responsabile Area Agroalimentare di Nomisma, “al momento ci troviamo ancora in una fase di “minacce” e non di “ostacoli” nel senso che tutte queste problematiche  prefigurano uno scenario futuro benché potenzialmente imminente.”

In effetti, andando ad analizzare la crescita dell’export italiano per singolo mercato di destinazione, si evince come in molti di quelli oggi sotto “osservazione” per i rischi sopra citati, le esportazioni agroalimentari del nostro paese stanno correndo più di quelle dei concorrenti.
Se negli Usa le importazioni totali di prodotti agroalimentari hanno fatto registrare (a valore) un calo del 4% nel periodo analizzato, quelle dal nostro paese sono invece cresciute del 4,5%. Trend analogo in Canada: a fronte di una riduzione dell’import agroalimentare complessivo del 6,8%, quello di prodotti italiani è aumentato del 4%.

Venendo in Europa si registra un incremento dell’import agroalimentare dall’Italia del 2,6% nel Regno Unito (rispetto ad un -2,4% a livello totale) mentre in Germania le importazioni dall’Italia sono cresciute del 5,8%. Infine il Giappone, con il quale si è appena chiuso l’Accordo di Partenariato Economico (Jefta) dove anche in questo caso l’import agroalimentare dal nostro paese è cresciuto del +1,6% contro una riduzione complessiva del 5,3%.
In buona sostanza “un’Italia in netta controtendenza che “fa meglio del mercato”, per usare un termine tanto caro ai trader di Borsa, e che invita a valutare con attenzione i possibili impatti per il settore agroalimentare italiano che potrebbero derivare da una riduzione della spinta propulsiva che il commercio internazionale ha impresso alla crescita delle nostre imprese”, conclude Pantini.
Spinta propulsiva che, in una comparazione tra top exporter in questa prima parte dell’anno, sta ponendo l’Italia al di sopra di tutti, eccezion fatta per la Francia che ci supera per pochi decimali in termini di crescita nell’export.

Merito anche dei buoni risultati registrati al di fuori dei mercati
tradizionali dell’Europa Occidentale o del Nord America come nel caso del Messico (dove l’export agroalimentare italiano cresce del 23%), della Corea del Sud (+20%), della Romania (+13%) o della Polonia (+8%), dove negli ultimi cinque anni le importazioni di food&beverage dal nostro paese sono aumentate del 46%, grazie anche ad un consumatore locale che ha potuto godere di un maggior livello di benessere e che in prospettiva dovrebbe veder crescere ancora i propri redditi (+18% le previsioni di aumento del pil pro-capite in Polonia nel prossimo quinquennio).

 

Questi temi saranno oggetto di approfondimento del Forum Agrifood Monitor 2018 che avrà luogo  il prossimo 28 settembre.

Cresce l’export per l’Italia, toccando nel 2017 la quota record di 40 mld

Come si dice? Da cosa nasce cosa. E dalla crisi dei consumi che per un decennio ha imperversato nel nostro Paese, è nata (o meglio si è fortemente rafforzata) una diversa strategia commerciale basata sull’export.

Non è un caso, infatti che dal 2007 (anno d’esordio della crisi) al 2017 il valore delle esportazioni agroalimentari italiane è passato da 22 ad oltre 40 miliardi di euro, record storico, sebbene ancora lontano dall’ambizioso traguardo che il Paese si è dato dei 50 miliardi al 2020.

Ecco una delle evidenze principali della relazione di Nomisma presentata in occasione del convegno “L’agroalimentare italiano alla prova dell’internazionalizzazione”, evento organizzato presso il Savoia Hotel di Bologna dallo studio legale LS Lexjus Sinacta e che ha visto la partecipazione, tra gli altri, di Ioanna Stavropoulou (Granarolo spa), Giordano Emo Capodilista (Confagricoltura), Massimiliano Montalti (Assologistica), Andrea Villani (A.G.E.R.), Damiano Frosi (Politecnico di Milano).

Nonostante questo l’Italia non è ancora sul podio dei paesi esportaori, ma in Europa detiene il 5° posto dietro Olanda, Germania, Francia e Spagna. Evidentemente la reputazione da sola non è in grado di sancire il successo. Servono anche organizzazione, competenza e conoscenza, caratteristiche appannaggio delle imprese più strutturate.

Il nostro Paese, ancora, sconta un po’ il vezzo del piccolo è bello: basti pensare che in Italia solamente l’1,7% delle imprese alimentari ha più di 50 addetti – contro il 10,5% della Germania o il 4,1% della Spagna – ed è in grado di esportare circa il 30% della propria produzione.

Questa peculiarità spiega anche la nostra ridotta presenza sui mercati lontani:  i due terzi dell’export agroalimentare italiano, infatti, sono ancora destinati a mercati “di prossimità”, cioè Paesi dell’Unione Europea, mentre la restante quota si distribuisce tra America (13,5%), Asia (9%), altri Paesi Europei (7,6%), Africa (2,4%), sebbene – e da qui si comprendono le ulteriori potenzialità inespresse del food&beverage italiano – nell’ultimo decennio il nostro export agroalimentare sia cresciuto del 229% verso il Medio Oriente, del 197% in Asia centrale, del 163% in Asia Orientale e del 123% nei paesi del centro-sud America.

A proposito di queste criticità, Denis Pantini, Responsabile dell’Area Agroalimentare di Nomisma ha commentato: “Affinché l’export dei prodotti agroalimentari italiani aumenti, è indispensabile che si allarghi la base delle imprese esportatrici, in larga parte riconducibili ad aziende medio-grandi e rappresentanti una quota ancora ridotta del totale, meno del 20% del settore”.

Le criticità

Sul mercato internazionale, le opportunità di crescitanon mancano: nei prossimi 5 anni, infatti, ci si attende i corrispondenza a un incremento del reddito pro capite, una ulteriore crescita dei consumi alimentari in molti dei principali mercati mondiali: Stati Uniti (+24%), Cina (+44%), India (+85%), Russia (+45%), Corea del Sud (+22%), Canada (+35%).

Il problema dell’Italia è quello della concorrenza di altri paesi agguerriti, specializzati e con condizioni fiscali ben diverse. Non dimentichiamo, infatti, che tra le difficoltà che rendono la vita difficile alle PMI italiane in questa corsa all’export, figurano dazi e barriere non tariffarie che rappresentano spesso ostacoli insormontabili. Tra il 2012 e il 2016 il numero di misure sanitarie e fitosanitarie e barriere tecniche e commerciali è aumentato rispettivamente del 43% e 99%, per non parlare dei dazi medi all’import che in alcuni casi sono superiori al 30% ad valorem. In quest’ottica, gli accordi commerciali giocano certamente un ruolo di primo piano; ne è una dimostrazione quanto sta accadendo sul mercato del vino in Cina, dove Australia e Cile, grazie ad accordi bilaterali che hanno azzerato i dazi all’importazione, insieme hanno eroso più del 10% del mercato a Francia, Italia e Spagna (che all’opposto non godono di queste agevolazioni).

 

Fonte: Nomisma Agrifood Monitor

Unione Europea e Cina firmano: saranno 200 le IG protette

Unione Europea e Cina pubblicano formalmente un elenco di duecento Indicazioni Geografiche – 100 europee e altrettante cinesi – che potranno essere considerate “protette” reciprocamente attraverso un accordo bilaterale che sarà firmato nel corso del 2017.

A enfatizzare l’importanza di tale accordo per i prodotti italiani è l’Associazione Italiana Consorzi Indicazioni Geografiche AICIG, attraverso le parole del Segretario Leo Bertozzi, il quale ha spiegato che quello odierno è in realtà “un risultato importantissimo che origina nel 2012 con il riconoscimento di un primo gruppo di dieci Indicazioni Geografiche Ue e altrettante cinesi. Detto risultato è foriero di tre interessanti assunti: dimostra l’importanza delle Indicazioni Geografiche a livello internazionale, apre le porte ad un ulteriore ampliamento del gruppo di 100 IG anche ad altre Denominazioni in futuro e soprattutto smentisce l’azione del Consorzio nomi generici CCFN fondato negli USA per opporsi alla tutela delle denominazioni registrate nella UE e quindi agente in direzione contraria alla Cina, che sta invece portando avanti una seria politica di riconoscimento delle IG europee”.

Le IG italiane
Duecento  le IG citate nel documento , di cui ben 26 appartenenti al nostro Paese, che può vantare il primato di Paese con il numero più elevato di IG: Aceto Balsamico di Modena, Asiago, Asti, Barbaresco, Bardolino Superiore, Barolo, Brachetto d’Acqui, Bresaola della Valtellina, Brunello di Montalcino, Chianti, Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene, Dolcetto d’Alba, Franciacorta, Gorgonzola, Grana Padano, Grappa, Montepulciano d’Abruzzo, Mozzarella di bufala campana, Parmigiano Reggiano, Pecorino Romano, Prosciutto di Parma, Prosciutto San Daniele, Soave, Taleggio, Toscano, Nobile di Montepulciano.

Con siffatto accordo si va quindi a tutelare l’importante flusso di importazioni di prodotti agroalimentari europei che raggiungono ogni anno la Cina e di fatto a rafforzare la cooperazione tra UE e mercato cinese nato circa un decennio fa con il riconoscimento di protezione ai primi dieci prodotti IG per ogni parte.

Asiago DOP: riconosciuto e protetto in Cina

Asiago DOP, entro la fine del 2017, otterrà il pieno riconoscimento e la protezione in Cina.  È questo l’importante risultato raggiunto nei giorni scorsi dal summit economico UE-Cina inserito nell’accordo bilaterale sulla cooperazione e la protezione delle indicazioni geografiche avviato fin dal 2010. Il primo passo di questo processo è la pubblicazione formale degli elenchi dei 100 prodotti italiani e 100 cinesi che verranno protetti una volta entrato in vigore l’accordo, elenco nel quale, grazie all’impegno del Consorzio di Tutela, è stato inserito anche Asiago DOP.

«Rivendichiamo il successo del ruolo del Consorzio di Tutela Formaggio Asiago – afferma Fiorenzo Rigoni, Presidente del Consorzio – e di tutto il sistema di tutela italiano che ha visto riconoscere l’impegno pluriennale in Cina. Oggi siamo a celebrare l’importanza degli accordi bilaterali come strumento di protezione e di riconoscimento del valore economico, sociale e culturale delle DOP e la piena applicazione del Regolamento UE 1151/2012, in base al quale la protezione delle Indicazioni Geografiche è uno strumento per proteggere “il patrimonio culturale e gastronomico vivo” dell’UE”.

Il mercato cinese

Le importazioni lattiero casearie da parte della Cina sono in costante crescita. Nel 2016, hanno toccato quota 2,28 milioni di tonnellate, con un aumento del 20% in volume rispetto all’anno precedente. Sul fronte dei consumi, l’import cinese di formaggi cresce del 18% fra gennaio e aprile 2017, mentre l’export dei formaggi italiani è aumentato del 35% (dati CLAL.it).

 

 

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Alibaba Group celebra il vino nel “Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival”

Alibaba Group ha celebrato il “Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival”, il primo evento interamente dedicato al vino e alle bevande alcoliche con l’intento di promuovere la crescente popolarità di vini e bevande alcoliche importati tra i consumatori cinesi, soprattutto tra le nuove generazioni.

Oltre 100.000 tipologie di vini e bevande alcoliche provenienti da più di 50 Paesi hanno avuto accesso al mercato di 434 milioni di consumatori cinesi.
L’Italia è stata rappresentata da 50 cantine, tra cui Allegrini, Antinori, Bolla, Folonari, Frescobaldi, Mezzacorona, Planeta e Ruffino, e più di 500 etichette.
Italia, Spagna, Francia, Germania, Austria, Belgio e Cile sono stati i paesi più rappresentati nelle vendite. L’Italia è stata seconda solo alla Francia in termini di  numero di etichette di vini offerti su Tmall.
Durante le ventiquattro ore dedicate all’evento, i consumatori cinesi hanno effettuato 100 milioni di ordini di vini e bevande alcoliche provenienti da tutto il mondo. Nella prima ora, le vendite sono state dieci volte superiori rispetto a quelle registrate il 9 settembre dello scorso anno. Per quasi la metà si è trattato del primo acquisto su Tmall di questa tipologia di prodotti, a riprova del fatto che l’evento ha attratto un nuovo pubblico di consumatori on line.

Le performances
Il Gruppo Mezzacorona ha venduto 10.000 bottiglie di vino durante il 9.9, con una media di 415 bottiglie all’ora.
Tignanello, il vino con cui hanno brindato Jack Ma e il Presidente del Consiglio Matteo Renzi durante il G20, è andato esaurito.

Le Rovole e Natale Verga sono tra gli altri brand Italiani che hanno riscosso maggiore successo durante l’evento.
Il “Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival” ha permesso alle cantine di tutto il mondo di  farsi conoscere, in particolare si sono registrate vendite significative per le bottiglie di Chateau Lafite, al prezzo di 2.700 euro.
Il Maotai cinese, il liquore più famoso del Paese, ha registrato vendite superiori di quasi il 50% rispetto alle vendite dell’intero 2015.
Manfredi Minutelli, Business Development Manager Responsabile Food&Wine Alibaba Italia  ha dichiarato: “Siamo particolarmente entusiasti del risultato raggiunto. I numeri delle vendite durante il ‘Tmall 9.9 Global Wine & Spirits Festival’ confermano la nostra convinzione di come Alibaba possa fare molto per aiutare l’export italiano a crescere in Cina in un settore come quello del vino che ha ampi margini di crescita avendo oggi una quota di mercato pari solo al 6% . Al fianco delle cantine del nostro Paese, Alibaba si pone l’obiettivo di recuperare posizioni di mercato più in linea con quello che l’Italia rappresenta nel mondo: il primo produttore di vino. Grazie al supporto e all’adeguata preparazione di Alibaba, le aziende presenti sulle nostre piattaforme, come i tre flagship store citati,  possono ottenere importanti risultati in termini di vendite e brand awareness”.

Flussi commerciali: calo dell’export a luglio 2016

“A luglio 2016 i flussi commerciali mostrano andamenti congiunturali divergenti, con un calo delle esportazioni (-0,6%) e un aumento delle importazioni (+0,5%). Il surplus commerciale è di 7,8 miliardi (+8,1 miliardi a luglio 2015).

La flessione congiunturale dell’export è la sintesi di un calo delle vendite verso i mercati Ue (-1,1%) e di un lieve aumento di quelle verso l’extra Ue (+0,2%). I prodotti energetici registrano una marcata diminuzione (-13,1%), mentre i beni di consumo durevoli (+1,6%) e i beni intermedi (+0,5%) risultano in crescita.

Nel trimestre maggio-luglio 2016, rispetto al trimestre precedente, l’aumento delle esportazioni (+0,7%) è determinato esclusivamente dall’area Ue (+1,6%). I prodotti energetici registrano l’espansione più consistente (+17,0%).

A luglio 2016 la marcata flessione tendenziale dell’export (-7,3%), di ampia intensità sia per l’area extra Ue (-8,8%) sia per l’area Ue (-6,1%), è significativamente condizionata dalla differenza nei giorni lavorativi (21 a luglio 2016 contro i 23 di luglio 2015). Al netto di questo effetto, si rileva una contenuta flessione tendenziale (-0,9%), sintesi di un calo dell’export per l’area extra Ue (-3,2%) e di un aumento per l’area Ue (+1,1%).

Le vendite di prodotti petroliferi raffinati (-31,7%) sono in forte diminuzione, mentre le esportazioni di mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi, (+4,5%) contrastano la diminuzione tendenziale dell’export.

A luglio 2016 le esportazioni verso Belgio (-26,4%), paesi MERCOSUR (-22,2%) e paesi OPEC (-17,5%) registrano un marcato calo tendenziale. Si segnala invece la crescita verso Cina (+4,7%) e Giappone (+4,0%).

A luglio 2016 la diminuzione tendenziale dell’import (-8,3%) è determinata sia dall’area extra Ue (-11,1%) sia da quella Ue (-6,3%).

Nei primi sette mesi dell’anno l’avanzo commerciale raggiunge 31,1 miliardi (+45,9 miliardi al netto dei prodotti energetici).

Nel mese di luglio 2016 l’indice dei prezzi all’importazione dei prodotti industriali diminuisce dello 0,3% rispetto al mese precedente e del 4,1% nei confronti di luglio 2015.

La riduzione dei prezzi all’importazione dipende principalmente dalle dinamiche del comparto energetico, al netto del quale l’indice registra un aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente e una diminuzione dell’1,9% in termini tendenziali”.

(Fonte: www.istat.it, “Commercio con l’estero e prezzi all’import dei prodotti industriali”, 16 settembre 2016).

 

 

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