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Flussi commerciali: calo dell’export a luglio 2016

“A luglio 2016 i flussi commerciali mostrano andamenti congiunturali divergenti, con un calo delle esportazioni (-0,6%) e un aumento delle importazioni (+0,5%). Il surplus commerciale è di 7,8 miliardi (+8,1 miliardi a luglio 2015).

La flessione congiunturale dell’export è la sintesi di un calo delle vendite verso i mercati Ue (-1,1%) e di un lieve aumento di quelle verso l’extra Ue (+0,2%). I prodotti energetici registrano una marcata diminuzione (-13,1%), mentre i beni di consumo durevoli (+1,6%) e i beni intermedi (+0,5%) risultano in crescita.

Nel trimestre maggio-luglio 2016, rispetto al trimestre precedente, l’aumento delle esportazioni (+0,7%) è determinato esclusivamente dall’area Ue (+1,6%). I prodotti energetici registrano l’espansione più consistente (+17,0%).

A luglio 2016 la marcata flessione tendenziale dell’export (-7,3%), di ampia intensità sia per l’area extra Ue (-8,8%) sia per l’area Ue (-6,1%), è significativamente condizionata dalla differenza nei giorni lavorativi (21 a luglio 2016 contro i 23 di luglio 2015). Al netto di questo effetto, si rileva una contenuta flessione tendenziale (-0,9%), sintesi di un calo dell’export per l’area extra Ue (-3,2%) e di un aumento per l’area Ue (+1,1%).

Le vendite di prodotti petroliferi raffinati (-31,7%) sono in forte diminuzione, mentre le esportazioni di mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi, (+4,5%) contrastano la diminuzione tendenziale dell’export.

A luglio 2016 le esportazioni verso Belgio (-26,4%), paesi MERCOSUR (-22,2%) e paesi OPEC (-17,5%) registrano un marcato calo tendenziale. Si segnala invece la crescita verso Cina (+4,7%) e Giappone (+4,0%).

A luglio 2016 la diminuzione tendenziale dell’import (-8,3%) è determinata sia dall’area extra Ue (-11,1%) sia da quella Ue (-6,3%).

Nei primi sette mesi dell’anno l’avanzo commerciale raggiunge 31,1 miliardi (+45,9 miliardi al netto dei prodotti energetici).

Nel mese di luglio 2016 l’indice dei prezzi all’importazione dei prodotti industriali diminuisce dello 0,3% rispetto al mese precedente e del 4,1% nei confronti di luglio 2015.

La riduzione dei prezzi all’importazione dipende principalmente dalle dinamiche del comparto energetico, al netto del quale l’indice registra un aumento dello 0,1% rispetto al mese precedente e una diminuzione dell’1,9% in termini tendenziali”.

(Fonte: www.istat.it, “Commercio con l’estero e prezzi all’import dei prodotti industriali”, 16 settembre 2016).

 

 

Brexit: export a rischio

In margine alla Brexit: “Auto, abbigliamento, forni, bruciatori, macchine di sollevamento, medicinali, motori e turbine, vini, mobili, accessori auto, macchine speciali per i settori industriali e calzature sono i principali beni che esportiamo nel Regno Unito. Tutti prodotti che fanno parte della grande famiglia del nostro ‘’made in Italy’ che, alla luce della decisione dei britannici di uscire dall’Ue, potrebbero subire una contrazione con effetti negativi per i rispettivi settori di appartenenza.

L’Ufficio studi della CGIA ha elencato le principali 35 voci di prodotto che caratterizzano il nostro export oltre Manica, che nel 2015 ha toccato un valore complessivo di 22,4 miliardi di euro, mentre le importazioni hanno raggiunto quota 10,5 miliardi. Pertanto, il saldo commerciale è stato positivo e pari a 11,9 miliardi di euro. Dalla CGIA segnalano che l’export verso Londra è stato pari al 5,4 per cento del totale e nell’ultimo anno le vendite nel Regno Unito sono aumentate del 7,4 per cento.

‘E’ difficile prevedere cosa succederà. Nei prossimi 2 anni – ricorda il coordinatore dell’Ufficio studi della CGIA Paolo Zabeo – tra Londra e Bruxelles dovranno essere ratificati 54 accordi commerciali e, salvo sorprese, le transazioni ritorneranno ad essere soggette ai dazi doganali e al pagamento dell’Iva. Non è da escludere, inoltre, la possibilità che vengano introdotte alla dogana barriere non tariffarie che potrebbero ostacolare l’attività commerciale, imponendo agli esportatori livelli particolari di sicurezza e di certificazione dei prodotti. Pertanto, la trattativa tra il Regno Unito e l’Unione europea sarà lunga, complessa, estenuante e dagli esiti attualmente non prevedibili’.

La Brexit, ovviamente, ha scatenato un vero e proprio tsunami politico che rischia di travolgere tutto e tutti.

‘Se fino a qualche anno fa c’era la fila per entrare nell’Unione europea – dichiara il segretario della CGIA Renato Mason – ora, invece, in molti chiedono di andarsene. La responsabilità di questa metamorfosi è quasi del tutto ascrivibile agli euro burocrati che hanno intrapreso politiche economiche poco oculate, prolungando gli effetti della crisi e facendoci precipitare in una spirale deflazionistica molto preoccupante. Se dopo la Brexit si vuole evitare un effetto domino che travolga tutto bisogna cambiare registro; rilanciando le politiche di sviluppo in grado di riportare lavoro, crescita e benessere’.

A livello territoriale è il Nordest (7,9 miliardi di euro) la macro area più interessata dalle esportazioni in Gran Bretagna. Segue il Nordovest (7,8 miliardi) il Centro (3,6 miliardi) e il Mezzogiorno (2,7 miliardi). A livello regionale, invece, la parte del leone la fanno la Lombardia (5,3 miliardi di euro), il Veneto e l’Emilia Romagna (ciascuna con 3,4 miliardi di euro), il Piemonte (2,3 miliardi) e la Toscana (1,8 miliardi). Queste 5 regioni esportano più del 70 per cento del totale”. (Fonte: www.cgiamestre.com, “Brexit: ecco i principali prodotti esportati in UK”, 27 giugno 2016).

Brexit: Coldiretti, a rischio export prodotti Made in Italy, Gb primo mercato per lo spumante

Urne aperte in Gran Bretagna per decidere se rimanere o meno nel Unione Europea, e Coldiretti fa il punto della situazione nel caso vinca l’uscita. Sarebbero pesanti le conseguenze per l’agroalimentare italiano: il Regno Unito è infatti il quarto mercato di esportazione dei prodotti agroalimentari italiani. In particolare sarebbero colpiti alcuni prodotti, a partire dallo spumante, per cui nel 2016 l’isola di Albione è stato il primo sbocco commerciale,  con un aumento del 36% di bottiglie esportate nel primo trimestre che ha portato al sorpasso sugli Stati Uniti.

Per effetto della inevitabile svalutazione in caso di uscita dall’Ue, infatti, i rapporti commerciali sarebbero sconvolti. Un vero problema, dato che il saldo commerciale agroalimentare con l’Italia è decisamente positivo; la Gran Bretagna importa in un anno 3,2 miliardi di euro dall’Italia, con una tendenza progressiva all’aumento, mentre esporta verso il nostro Paese 701,9 milioni di euro, con le esportazioni che superano di 4,6 volte le importazioni. Ad essere maggiormente colpiti sarebbero i prodotti  piùrichiesti: lattiero caseari, ortofrutta e vino e spumanti.

 

Politiche comunitarie, le controverse etichette semaforo

Gli effetti riguarderebbero anche le politiche comunitarie: la Coldiretti ricorda che la Gran Bretagna riceve il 7% delle risorse destinate alla politica agricola dall’Unione Europea e si posiziona al sesto posto nella classifica dei maggiori beneficiari, nonostante sia al tredicesimo posto come numero di aziende agricole che sono circa 187mila. Inoltre storicamente la Gran Bretagna è il Paese che ha contrastato maggiormente le politiche di tutela qualitativa delle produzioni agricole a favore di una standardizzazione verso il basso.

L’ultima battaglia che oppone l’Ue alla Gran Bretagna è quella sulle etichette a semaforo. Allo scorso aprile risale il parere del Parlamento europeo sulla Relazione Kaufmann relativa al programma di controllo dell’adeguatezza e dell’efficacia della regolamentazione europea, nella quale si invita la Commissione a “riesaminare la base scientifica, l’utilità e la fattibilità ed eventualmente a eliminare il concetto di profili nutrizionali”, ovvero quelle soglie tecniche di determinati nutrienti “critici” (come grassi, grassi saturi, zuccheri, sale). Fino ad ora la Commissione non ha mai dato seguito alla loro definizione e ha di fatto tollerato la decisione della Gran Bretagna di far adottare il sistema “a semaforo” dal 98% dei supermercati inglesi. Si tratta di una informazione visiva sul contenuto di nutrienti con i bollini rosso, giallo o verde ad indicare il contenuto di nutrienti critici per la salute. La segnalazione sui contenuti di grassi, sali e zuccheri non si basa sulle quantità effettivamente consumate, ma solo sulla generica presenza di un certo tipo di sostanze. Con la conseguenza di escludere dalla dieta alimenti sani e promuovere, ad esempio le bevande gassate senza zucchero. Vittime illustri del sistema sono risultati il 60% delle produzioni Made in Italy, dal Prosciutto di Parma al Parmigiano Reggiano e Grana Padano, ma anche gli oli extravergine di oliva, la mozzarella o le nocciole

Amazon aiuta le Pmi a vendere in Europa con il Nuovo programma Paneuropeo

Punta sulle Piccole e medie imprese, che spesso hanno difficoltà ad approcciare il “libero” (per ora) mercato europeo, il colosso delle dotcom Amazon, che lancia il Programma Paneuropeo, un servizio che consentirà ai venditori del Marketplace di raggiungere in maniera più efficiente milioni di clienti Amazon in Europa.

Il programma assicurerà ai clienti tempi di consegna più rapidi e costi di spedizione inferiori: i venditori potranno inviare il proprio inventario a un singolo Centro di Distribuzione, dal quale i prodotti saranno inviati verso i vari Centri di Distribuzione europei tenendo conto del diverso livello di richiesta da parte dei clienti in ciascun Paese in modo da spedire i prodotti ai clienti finali dal più vicino Centro di distribuzione in cui i prodotti sono disponibili.

L’Ue sta da tempo lavorando sulle limitazioni imposte dalle aziende che di fatto chiudono il mercato dell’e-commerce europeo tramite i geoblocchi (vedi E-commerce, il mercato non è europeo: 4 siti su 10 applicano il geoblocco). In questo senso potrebbe risultare interessante per le Pmi il nuovo progetto: in effetti sono già decine di migliaia le piccole e medie imprese che utilizzano il Marketplace Amazon per la vendita e la Logistica di Amazon ha permesso di consegnare, nel 2015, più di un miliardo di prodotti ai clienti nel mondo. Inoltre, il numero di venditori europei che vendono prodotti almeno in un’altra nazione estera è aumentato di oltre il 50% nel 2015.

Il nuovo Programma Paneuropeo di Amazon permetterà inoltre ai venditori di rendere i propri prodotti disponibili attraverso il servizio Amazon Prime, beneficiando di un ulteriore strumento di supporto all’espansione del proprio business. Quanto ai costi, i venditori dovranno pagare unicamente le tariffe di gestione dell’ordine applicate nel Marketplace in cui il prodotto è stato ordinato, anche se il prodotto è stato spedito da un Centro di distribuzione estero. Non sono previste commissioni per la ripartizione dei prodotti nei diversi Centri di Distribuzione. Amazon dispone di 29 Centri di Distribuzione in 7 paesi europei e di un servizio di assistenza clienti che opera in 5 lingue.

 

Per Coldiretti con il “muro” dell’Austria a rischio 10 miliardi di export agroalimentare

A rischio 10 miliardi di esportazioni agroalimentari italiane: è la conseguenza, secondo Coldiretti, della chiusure della frontiera tra Italia e Austria. Perché è questo il valore dell’export Made in Italy che ogni anno attraversa il valico del Brennero, principale porta di accesso al mercato nord europeo.

L’allarme viene da una analisi della Coldiretti sugli effetti sulla libera circolazione delle merci dell’avvio dei lavori della barriera al Brennero.

Da qui passano le merci dirette in Germania, il principale acquirente dei prodotti agroalimentari italiani (per un valore di 6,5 miliardi nel 2015), ma anche nella stessa Austria (1,3 miliardi) e nei Paesi del Nord Europa come la Polonia (690 milioni), la Svezia (613 milioni), la Danimarca (531 milioni) e la Norvegia (254 milioni di Euro). Le esportazioni riguardano soprattutto prodotti ortofrutticoli freschi che sono deperibili e rischiano di essere maggiormente danneggiati dai ritardi con l’arrivo dell’estate, ma ad essere colpiti sono anche i formaggi, i salumi ed i vini.

“Si teme – spiega la Coldiretti – che il caos nei trasporti possa far salire i tempi e i costi della logistica, ma anche che ad avvantaggiarsene siano Paesi concorrenti europei come Francia e Spagna. Un rischio dopo che è stato raggiunto il record storico nelle esportazioni agroalimentari italiane che hanno raggiunto i 36,9 miliardi di euro nel 2015”.

36,9 miliardi: il valore del settore alimentare cresce e batte la crisi grazie anche all’export

36,9 miliardi: tanto vale oggi il settore alimentare grazie ad un aumento dell’export pari all’8%. E per il 2020 gli obiettivi sono ancora più ambiziosi: 50 miliardi di euro è la previsione del Governo.

Il successo del comparto alimentare (133 miliardi di fatturato e 58mila imprese) è indubbio.

Tante le dinamiche sottese a queste performances, come rivela il libro “Strategie e performance dell’industria alimentare”, edito da McGraw-Hill e frutto di un lavoro in team dell’Università Cattolica.

Per la prima volta è stata indagata la performance economico-aziendale del settore, attraverso la rielaborazione dei dati di bilancio di 448 imprese ed un questionario rivolto a 120 di esse, caratterizzate da maggiore competitività.

“All’inizio dell’indagine intuivamo che il settore alimentare aveva risposto bene alla crisi, ma l’obiettivo era proprio quello di scoprire le cause di questa tenuta – ha dichiarato il professor Lorenzo Ornaghi, Presidente dell’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali dell’Università Cattolica – Immaginavamo di dover analizzare sicuramente ragioni di ordine economico, ma la nostra attenzione si è focalizzata anche nel capire chi fossero gli imprenditori, i loro percorsi personali, la loro capacità di far tesoro delle esperienze dei fondatori e, non da ultimo, le modalità con le quali affrontano il tema della successione nella guida dell’impresa”.

La ricerca

La prima fase ha visto l’analisi dei principali dati di bilancio delle imprese nei sette anni dal 2007 al 2013. In particolare, l’analisi si è focalizzata su: Ricavi, EBITDA/Vendite (margine lordo), ROA (Return on Assets), Posizione finanziaria netta (PFN), Mezzi propri/Mezzi di terzi, liquidità primaria.
La seconda fase della ricerca si è basata sulla somministrazione di un questionario alle 120 imprese caratterizzate da maggiore competitività e rappresentative dei diversi comparti.

«L’internazionalizzazione – ha spiegato Fabio Antoldi, Direttore del Centro di ricerca per lo Sviluppo imprenditoriale (CERSI) dell’Università Cattolica e autore del libro insieme a Daniele Cerrato e Antonio Campati –  denota inequivocabilmente il Dna delle imprese di successo, un processo non recente e che si sta allargando: stanno comparendo nuove direttrici di export che sono prevalentemente Stati Uniti, Canada e mercati asiatici. A ciò si associa spesso una notevole capacità innovativa, incrementale non radicale, che si manifesta soprattutto nel packaging, nei nuovi formati e nel lancio di nuovi prodotti. Mediamente le imprese d’eccellenza presentano tre, quattro innovazioni all’anno, puntando sulla qualità, ma anche sulla tradizione perché si tratta per la maggior parte di aziende familiari dove le generazioni che si susseguono garantiscono una certa continuità”.

Questa forza strutturale del comparto rende possibile l’obiettivo dei 50 miliardi di euro di export da raggiungere entro il 2020, come ha sottolineato Luigi Scordamaglia, Presidente di Federalimentare:

“C’è un percorso di continuità che parte dalla ricerca fatta da Ornaghi sulle principali imprese italiane dell’industria alimentare, passa attraverso la grande vetrina di Expo 2015 che si è rivelata un palcoscenico unico per il nostro modello agroalimentare ed una piattaforma unica d’incontri di affari, grazie alla presenza d’imprese straniere, top buyer, investitori da tutto il mondo, distributori e fornitori, e arriva fino a Cibus 2016.
La prossima edizione di Cibus rappresenterà, quindi, l’occasione di consolidare e rilanciare l’eredità di Expo e sarà una nuova occasione di business, l’obiettivo è chiaro: 50 miliardi di export entro il 2020, un obiettivo possibile anche grazie all’apertura verso nuovi mercati dove esportiamo non solo il Made in Italy, ma quello che definiamo Made with Italy, il know how italiano ed il modo efficiente e sostenibile di produrre eccellenze”.

Il caporalato minaccia l’export dei pomodori Made in Italy

Un’ombra si allunga sull’industria del pomodoro italiana. Da noi non è una novità, ma ora, che la filiera del pomodoro sia fortemente segnata da episodi di caporalato e toccata dalle agromafie lo denuncia anche uno studio dell’Ethical Trading Initiative, associazione che raccoglie aziende, sindacati e Ong con lo scopo di promuovere il rispetto dei diritti dei lavoratori nel mondo. Nel loro ultimo rapporto sotto il mirino è finita la raccolta e l’imballaggio dei pomodori in Italia, che risulta in un “colossale e sistematico” sfruttamento del lavoro dei migranti. I quali guadagnano secondo ETI il 40% meno del salario minimo. Non solo: mentre i lavoratori agricoli “ufficiali” nel nostro Paese sono 116mila, l’Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, valuta che tra legali e illegali a lavorare nei campi italiani siano in 500mila. L’Osservatorio Placido Rizzotto stima che siano 400mila i lavoratori agricoli a rischio caporalato, l’80% immigrati, e che 100mila lavoratori migranti illegali da Paesi non UE abbiano subito un duro sfruttamento e condizioni di vita spaventose. Lo scopo di ETI è chiaro: spingere i distributori a mappare i fornitori delle aree più a rischio e valutare i salari e le ore di lavoro. Non solo: devono anche valutare se le loro condizioni di acquisto influenzino in qualche modo le condizioni cui sono sottoposti i lavoratori.

«Il pomodoro è il gioiello della corona dell’agricoltura italiana. È il prodotto maggiormente esportato e l’Italia è il terzo produttore mondiale di pomodori lavorati. Il lavoro degli stranieri è considerato fondamentale per consentire all’agricoltura italiana di competere sui mercati globali, ma nella corsa al profitto le leggi del lavoro sono costantemente ignorate» ha detto Nick Kightley, consigliere ETI per l’alimentazione e l’agricoltura.

Il messaggio alla GDO britannica è diretto: “se vogliono che la loro catena di distribuzione sia pulita, possono e dovrebbero agire”. Il BRC, British Retail Consortium, l’associazione dei retailer britannici che importano dall’Italia il 60% dei pomodori lavorati, ha già preso posizione: «Prendiamo molto sul serio ogni accusa di trasgressioni all’eticità del lavoro da parte dei nostri fornitori. Il benessere dei lavoratori è di capitale importanza per i retailer membri del British Retail Consortium che stanno lavorando molto per migliorare le pratiche nella loro catena di produzione e distribuzione nel mondo. I membri della BRC studieranno il rapporto di ETI e prenderanno le azioni che riterranno appropriate. Ci auguriamo che le autorità facciano in modo di assicurare che le leggi per il lavoro etico vengano rispettate».

Nomi per ora non ne sono stai fatti ma la questione, se non è proprio un fulmine a ciel sereno, è sicuramente una campanello d’allarme per i produttori italiani, che rischia di minacciare seriamente una parte importante, nonché simbolica, della nostra industria agroalimentare.

 

Bollino etico arma spuntata

Una soluzione avrebbe dovuto venire dal “bollino etico”, il sistema pubblico di certificazione etica del lavoro che fa capo all’Inps, nato nel settembre scorso. In tre mesi però solo 207 aziende hanno ottenuto il riconoscimento su 669 domande presentate e un potenziale di 200mila imprese interessate.

Il 60% dei derivati da pomodori italiani è destinato ai mercati internazionali. La produzione totale italiana nel 2015 secondo Coldiretti sarà di 5,2 milioni di tonnellate di pomodoro fresco (+ 7% sul 2014) con un fatturato di 3 miliardi di euro, 8mila produttori agricoli e 10mila addetti nell’industriale in 110 aziende e 54 Organizzazioni dei Produttori.

Forse, oltre a denunciare il pomodoro contraffatto cinese, sarebbe il momento di guardare nei campi di casa nostra… in un periodo peraltro “d’oro” che ha visto un aumento delle esportazioni per le conserve di pomodoro italiane del 20% delle vendite in valore negli USA, nel 2015 primo Paese di destinazione fuori dall’Ue. Ma ancora per quanto?

Partita la campagna del Mipaaf a sostegno dei prodotti Dop e Igp nella Gdo

È partita la campagna istituzionale del Ministero delle Politiche agricole di promozione per aumentare la conoscenza e sostenere il consumo dei prodotti Dop e Igp. L’iniziativa, che coinvolge anche i punti vendita della Grande distribuzione organizzata che hanno aderito all’iniziativa, rientra nel quadro di azioni che il Mipaaf ha messo in campo per i prodotti di qualità certificata DOP IGP, protagonisti anche nell’ambito di Expo Milano 2015. Proprio a Expo è stato firmato un accordo con la Gdo (nello specifico con Federdistribuzione, Ancc-Coop, Ancd-Conad) con lo scopo di rilanciare i consumi dei prodotti a denominazione. Il protocollo di intesa garantisce, tra l’altro, una migliore informazione dei consumatori e favorisce una più facile individuazione dei prodotti Dop e Igp presso i punti vendita.

«Con 839 prodotti certificati dall’Unione europea – commenta il ministro Maurizio Martina – siamo leader assoluti nel campo della qualità. Un patrimonio che vogliamo continuare a valorizzare al meglio, attraverso azioni coordinate e strategiche per far crescere ancora un settore che vale già oggi più di 13,5 miliardi e coinvolge circa 150.000 imprese. La campagna di informazione, frutto anche del lavoro del Tavolo permanente istituito per la prima volta dal Ministero tra le associazioni della grande distribuzione organizzata e le associazioni dei Consorzi, ha l’obiettivo di rafforzare il comparto dei prodotti a indicazione geografica anche nel mercato interno. In questi 20 mesi abbiamo lavorato molto su 3 fronti cruciali come quello delle relazioni diplomatiche, della promozione dei prodotti e della lotta al falso Made in Italy agroalimentare.
Nella promozione – spiega ancora Martina – per la prima volta parte un’azione coordinata con la Gdo per mettere in evidenza i prodotti di qualità certificata nei punti vendita, in coordinamento proprio con il nostro spot istituzionale».

https://youtu.be/DRnghOjW8V4

Sul fronte della lotta alla contraffazione sono state superate 700 operazioni a contrasto dei falsi Dop e Igp, tanto nel territorio comunitario quanto sulla rete, e sono stati stipulati anche accordi con player mondiali del web come Alibaba ed eBay per dare al ‘brand geografico’ lo stesso livello di tutela dei più grandi marchi commerciali. «Tradotto in numeri – ha spiegato il ministro – significa ad esempio aver bloccato flussi di commercio di falso Parmigiano per 99.000 tonnellate al mese, ovvero 11 volte la produzione mensile di quello autentico».

Apre oggi a Monaco di Baviera il primo negozio europeo di Eataly

È nello storico edificio di Schrannenhalle il primo store europeo di Eataly, in apertura oggi: 4600 metri quadrati all’insegna del “Mangia meglio, vivi megli”, organizzato su due piani con ristoranti, pizzeria Rossopomodoro, mercato con oltre 10 mila referenze tutte nell’area dell’eccellenza alimentare italiana.

La formula è quella consolidata dell’insegna creata da Oscar Farinetti e dai suoi uomini. Di nuovo c’è la partnership siglata da Eataly Distribuzione con Signa Retail per sviluppare il concept in Germanoia, Austria e nella Svizzera tedesca, avendo dato vita a Eataly Distribution Deutschland GmbH. Signa Retail, non è un partner qualsiasi, perché ad esso fanno capo catene di ristoranti operanti nel mercato tedesco (Le Buffet), insegne come Karstadt Warenhaus, The KaDeWe Group e Karstadt Sports e le attività di real estate nei tre Paesi.

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«Eataly è il più dinamico concept di retail food in Europa – afferma il Ceo di Karstadt e Signa Retail Stephan Fanderl – e dopo l’apertura di Monaco abbiamo in programma almeno altri cinque punti vendita entro il 2021. Intendiamo anche valutare se alcuni aspetti individuali del concept di Eataly possono trovare attuazione in spazi più piccoli.Ciò significa che il Gruppo KaDeWe e Karstadt Warenhaus stanno valutando il potenziale di Eataly, se possa essere complementare oppure sostituivo al format di ristorazione Le Buffet».

La scelta di Monaco di Baviera per la prima realizzazione europea, furoi dall’Italia, come ulteriore tappa dell’espansione internazionale, è stata per Eataly una scelta naturale. «I tedeschi amano il cibo italiano e gli abitanti di Monaco considerano la loro città come quella più a nord d’Italia. Come sempre quando apriamo negozi fuori dall’Italia ricerchiamo la partnership con operatori locali affidabili e di qualità. Lo stesso è stato con Signa Retail per i nostri piani di sviluppo nei Paesi di lingua tedesca», è il commento del Ceo di Eataly Luca Baffigo Filangieri.

L’operazione è soggetta all’approvazione delle autorità competenti.

Per le mele VIP Val Venosta La Spagna si conferma mercato strategico

In occasione di Fruit Attraction, la più importante Fiera del settore ortofrutticolo della Spagna, il Direttore Commerciale di VI.P, l’Associazione delle Cooperative Ortofrutticole della Val Venosta, Fabio Manesco (nella foto), ha commentato i dati relativi all’ultima stagione di vendita.

«Nella stagione 2014-2015 VI.P è riuscita a mantenere un sostanziale equilibrio tra le diverse destinazioni, come previsto dalla propria pianificazione. Nello specifico, il 50% del prodotto è venduto sul mercato nazionale ed il restante 50% orientato all’estero.

La Spagna continua a rappresentare il 7-8% della produzione, con volumi assoluti in aumento del 10% c.a. rispetto alla stagione precedente – afferma Zanesco – e le destinazioni europee principali, nonché mercati strategici di riferimento, si confermano Germania, Scandinavia, Penisola Iberica ed Est-Europa.

La maggior parte delle vendite è riconducibile alla varietà per eccellenza, la Golden Delicious, per seguire con gli oltre 2/3 legati al marchio proprio e il 15/20% imputabili alle rosse e bicolore come la Red Delicious, la Kanzi, la Gala e la Pinova che stiamo ulteriormente sviluppando per implementare l’intera gamma. Infine – conclude Zanesco – diventano sempre più interesanti aree come Nord-Africa e Medio Oriente, per le quali si stanno delineando strategie stabili e numerose opportunità future».

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