Far toccare con mano l’eccellenza agroalimentare Made in Italy: è quello che ha fatto SIPO, azienda italiana specializzata in prodotti ortofrutticoli di I e di IV gamma, che ha colto l’occasione della partecipazione al recente Macfrut per organizzare l’evento “Dal Campo alla Tavola … For Real!” al quale hanno preso parte buyers e importatori esteri provenienti da Europa e Paesi del Medio Oriente, oltre a giornalisti, nutrizionisti e addetti ai lavori.
Obiettivo: vedere da vicino e gustare le produzioni di SIPO in serra di melanzane, cetrioli, pomodori e la raccolta in campo aperto in piena lavorazione di lattughe ed ortaggi a foglia larga, in linea con la comunicazione aziendale focalizzata sulla passione per la terra. Durante l’evento è stato visitato anche lo stabilimento di SIPO sotto la guida di Massimiliano Ceccarini, General Manager, per illustrare agli ospiti il processo di cernita, mondatura, lavaggio, asciugatura e il confezionamento dei prodotti pronti per essere spediti.
“Abbiamo avviato un processo di internazionalizzazione che ci ha portato in aree contraddistinte da un elevato potere d’acquisto e da condizioni climatiche avverse alle produzioni agricole – ha dichiarato Massimiliano Ceccarini. Guardiamo con interesse destinazioni come Nord Europa, Scandinavia e Golfo Persico perché particolarmente sensibili al Made in Italy, all’arte culinaria italiana e al biologico. Tutti temi che si sposano con i nostri prodotti di prima gamma evoluta ricettati e con la linea bio”.
Giulia Pieri, chef vegana, con Massimiliano Ceccarini (a destra) e Roberto Bologna.
Al termine della visita guidata è stato preparato infine dalla Vegan Chef Giulia Pieri un pranzo speciale in una serra di cetrioli all’interno dell’agricola Roberto Bologna con i prodotti delle linee Sapori del mio Orto, Verdure di Romagna e Sapori Bio, i tre marchi di SIPO. Oltre alla fiera Macfrut, hanno contribuito all’evento le aziende agricole Bruschi e gli sponsor Poderi dal Nespoli (vini del territorio romagnolo), Panattrezzi (attrezzature per la panificazione), Papì (pane e pizza) e Vip Piada (piadina e crescioni vegan).
Un momento della tavola rotonda con Monica Maggioni, direttore di RaiNews24 (moderatrice) Claudio Marenzi, presidente Herno e presidente sistema Moda Italia, Francesco Pugliese, AD Conad, Giandomenico Auricchio, AD Gennaro Auricchio
Con un export in costante crescita (più 4,1 per cento nei primi cinque mesi dell’anno) ci si interroga su come Gdo ed e-commerce possano rappresentare opportunità di business per gli imprenditori italiani desiderosi di estendere il proprio export.
L’ha fatto il Comitato Leonardo in occasione del suo XIV Forum Annuale, appuntamento fisso per rappresentanti di istituzioni ed imprenditori, costituisce un’occasione importante per riflettere sullo stato attuale dell’internazionalizzazione del made in Italy e sulle prospettive di sviluppo per le imprese italiane in un momento economico delicato ma fondamentalmente già in ripresa.
Per l’occasione è stato presentato uno studio condotto da Kpmg Advisory che analizza quattro mercati europei (Francia, Regno Unito, Spagna, Germania) in cui i settori della Gdo e dell’e-commerce sono intensamente sviluppati.
La ricerca sottolineacome nei quattro mercati in esame le vendite complessive nel segmento e–commerce abbiano raggiunto nel 2014 un valore di circa 156 miliardi di euro, pari ad oltre l’80% di tutto l’e-commerce europeo.
Nello stesso anno, la Gran Bretagna si posiziona al primo posto in Europa con 62 miliardi di euro di vendite retail online grazie all’elevata diffusione di internet e della banda larga mobile e all’efficienza del sistema logistico. La Germania si colloca al secondo posto con circa 50 miliardi di euro investiti nel commercio elettronico, in particolare per l’acquisto di capi di abbigliamento, libri ed elettrodomestici per la casa. Il settore francese ha mostrato una crescita significativa delle vendite al dettaglio online con un fatturato pari a 36,4 miliardi di euro, rappresentando anche una leva importante per l’occupazione, mentre in Spagna l’e-commerce è stato uno dei pochi settori a sperimentare una crescita a doppia cifra negli ultimi anni. In particolare, nel mercato spagnolo il settore delle vendite al dettaglio online ha registrato un fatturato complessivo pari a 9,5 miliardi di euro nel 2014 e si prevede una crescita anche in futuro. Gli acquisti più comuni consistono in prodotti elettronici per la casa, abbigliamento/calzature e libri.
Le opportunità per il made in Italy
Occorre fare una distinzione tra il comparto “non food” e quello del “food”, sottolinea la ricerca, per i quali vi sono canali ed interlocutori quasi sempre diversi. Per il primo, soprattutto per quanto riguarda i prodotti di fascia medio-alta, il canale preferenziale si conferma quello della Gdo, sia pure con le difficoltà ed i limiti che sono insiti nelle dimensioni aziendali e nelle politiche dei grandi gruppi con cui si trovano ad interloquire. Più complessa appare invece la strada dell’e-commerce, con i prodotti italiani che spesso si trovano in forte debito di competitività.
Per quanto riguarda il comparto “food”, le grandi catene di supermercati appaiono il veicolo distributivo migliore anche se una delle principali criticità è rappresentata dalle abitudini dei singoli paesi: in Spagna ed in Francia, ad esempio, la domanda di prodotti alimentari e vini italiani è modesta, rispetto alle dimensioni dei mercati, mentre negli altri paesi viene spesso privilegiato l’uso delle “private label”, con una forte perdita dell’identità di brand. Rimangono comunque interessanti le nicchie di mercato sensibili alla qualità del cibo e all’appeal del made in Italy, con ottime prospettive per gli esportatori di “specialità”. Nell’e-commerce le possibilità rimangono buone soprattutto per i prodotti brandizzati e di consolidata notorietà internazionale, mentre risultano penalizzati i prodotti freschi.
Dallo studio emerge infine che per i produttori italiani (operanti sia nel comparto “food” che “non food”) pronti ad affacciarsi in questi paesi è importante investire sia sul servizio del prodotto che sul marketing, con campagne di comunicazione, fiere ed eventi in loco. Appare inoltre opportuno intervenire sul posizionamento del brand, evidenziando fattori di distinzione e differenziazione dei prodotti, basati su qualità, capacità di innovazione e design. È anche evidente come, in un quadro in cui la Gdo diventa preponderante e il canale e-commerce si sviluppa sempre più, i produttori di fascia intermedia soffrono la mancanza di player italiani della grande distribuzione e dell’e-commerce attivi in continuità anche all’estero.
«Sul mercato mondiale – spiega il viceministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda – si stanno affacciando 800 milioni di nuovi consumatori in cerca di prodotti con un forte contenuto di qualità. È un’opportunità che dobbiamo cogliere, innovando profondamente il supporto governativo all’internazionalizzazione delle nostre imprese. Il piano straordinario per il made in Italy prevede, tra le altre cose, un’azione relativa al potenziamento degli strumenti di e-commerce per le PMI, per favorirne l’accesso al mercato e alle piattaforme digitali e una serie di accordi con le più importanti catene della grande distribuzione all’estero per inserire a scaffale un maggior numero di prodotti italiani, in particolare marchi di qualità appartenenti ad aziende di piccole dimensioni».
The new edition of the GEA–Fondazione Edison Observatory records that in 2013 Italian food represented an important driver in export growth.
On a base of reference of 616 products, in fact, Italy has 63 products in which it gains first, second or third place in the world for best foreign balance of trade, generating a total of 21.5 billion dollars.
Together, the ‘4 As’ of Made in Italy (Alimentari-vini/food-wine; Abbigliamento-moda/clothing-fashion; Arredo-casa/furnishings-home; Automazione-meccanica-gomma-plastica/Automation-mechanical-rubber-plastics) confirm a positive growth reaching a new record of 128 billion euros.
From an analysis of the data what emerges, furthermore, is that the United States is the third-largest export market for Italy, after Germany and France, with overall Italian exports to the USA of 29.8 billion euros and a surplus of 17.3 billion, the highest Italy had in 2014 in bilateral trade.
The American market, in particular, is increasingly focalised on the food sector and this presents the greatest potential for growth; suffice to consider that in 2014, about 10% of Italian exports were to the American market. The first 10 provincial-sectorial examples of highest food exports towards the USA in 2014 are: Florence, Lucca, Grosseto, Milan and Perugia for oils and vegetable & animal fats; Modena for other food products; Naples for baked and flour products; Salerno for fruit and veg that have been prepared and conserved; Sassari and Parma for the products of the dairy industries. The first 10 provincial-sectorial examples of highest wine and drink exports towards the USA in 2014 are: Trento, Milan, Cuneo, Florence, Verona, Siena, Venice, Treviso, Asti and Brescia. In total, 61 agriculture and food products in which Italy came first, second or third in the world for best balance of trade with the USA, for a bilateral commercial surplus of 3.3 billion dollars.
The increasingly strong relationship between the US market and Italian food has been confirmed by a GEA Digital study. From this, which focused on the feelings towards food, and Italian food in particular, expressed by consumers throughout the world and the USA through web traffic, what emerged is that the number of searches relating to food from US users is three times higher than the rest of the world and that Italian food beats other online topics such as Italian art and music.
Starting from an awareness of the enormous potential of Italian food in the USA, Luigi Consiglio, President of GEA (in the photo) , comments: «The data and trends demonstrate that interest in Italian food throughout the world is very strong, in particular in the United States, an extremely lively market, where the demand expresses the expectation of healthier food. Today anyone who says the US market is saturated is wrong. The opportunities for Made in Italy are there and there is a lot of space for all the food and agricultural industries who wish to export and invest in the USA. The political battle that has been fought up to now has not allowed us to see the wonders of our industrial system. For this reason GEA, along with the Harvard Business Review Italia, wanted to overcome the stereotypes about Italian industry through the creation of an annual overview of the entrepreneurial excellences of Italy».
Thus was conceived the GEA-Harvard Business Review Italia “Business Excellence” Prize, which will be awarded for the second time on 27 October 2015.
Chi vive a Milano non può non conoscerla, la pizza di Spontini: morbida, con la mozzarella che cola, venduta a fetta, grande o piccola. Dopo oltre mezzo secolo dall’apertura (la prima pizzeria, in via Spontini angolo Buenos Aires, debuttò nel 1953) e l’apertura di altri cinque punti vendita in città e di uno nella vicina Monza, la svolta. Il nuovo format, testato nel punto vendita di via Santa Redegonda, presso Piazza Duomo, è più veloce e “easy”: qui il trancio si consuma da asporto o in piedi presso un bancone, e cambiano anche i colori, dal tradizionale rosso dell’insegna a un nero e oro molto fashion. Obiettivo, dichiarato, è quello di esportare il format in tutto il mondo, prima tappa Tokyo Omotesando.
“Proporremo il nuovo format, Point, in franchising all’estero partendo da due locali a Tokyo e uno a Kuwait, per poi espanderci in Medio Oriente – spiega Massimo Innocenti, titolare di Spontini -. In Europa pensiamo invece a un’espansione diretta, e puntiamo ad avere un pdv in ogni capitale. L’obiettivo è aprire 60 locali nei prossimi dieci anni”.
Una realtà storica dunque e di successo che pensa all’espansione, puntando su un solo prodotto Made in Italy e di successo. Quali i punti di forza? “Proponiamo un prodotto unico, il trancio di pizza, a un prezzo giusto, con un servizio veloce e puntuale. Nel nostro locale di via Santa Redegonda l’anno scorso abbiamo servito 500mila persone, in piedi, e la location centrale ci ha dato grande visibilità anche presso la clientela straniera”.
Massimo Innocenti al Retail Food Service di Popai.
Immancabile la domanda su Expo: come si sta riflettendo sulla ristorazione in città? “Expo è stata una grande opportunità per la città che è stata messa a posto, penso al restyling della Darsena ad esempio. Però noi stiamo perdendo anche il 15/20% di fatturato: di giorno i turisti raramente si fermano in città, mentre i milanesi approfittano dell’apertura serale di Expo a 5 euro per andare a mangiare in uno delle centinaia di ristoranti interni”.
La nuova edizione dell’Osservatorio GEA–Fondazione Edison registra che l’Italian food ha rappresentato nel 2013 un importante driver di crescita dell’export.
Su una base di riferimento di 616 prodotti, infatti, l’Italia presenta 63 prodotti in cui è prima, seconda o terzaal mondo per migliore bilancia commerciale con l’estero, generando una bilancia totale attiva di 21,5 miliardi di dollari.
Insieme, le ‘4A’ del Made in Italy (Alimentari-vini; Abbigliamento-moda; Arredo-casa; Automazione-meccanica-gomma-plastica) confermano un andamento positivo toccando un nuovo record di 128 miliardi di euro.
Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che gli Stati Uniti sono in assoluto il terzo mercato di esportazione dell’Italia, dopo la Germania e la Francia, con un export complessivo italiano verso gli USA di 29,8 miliardi di euro ed un surplus di 17,3 miliardi, il più alto che l’Italia ha avuto nel 2014 negli scambi bilaterali.
Il mercato americano, in particolare, è sempre più focalizzato sul settore agro-alimentare e presenta il maggiore potenziale di crescita; basti considerare che nel 2014 il 10% circa dell’export italiano è stato proprio verso il mercato statunitense. I primi 10 casi provinciali-settoriali per più elevato export agro-alimentare verso gli USA nel 2014 sono: Firenze, Lucca, Grosseto, Milano e Perugia per gli olii e i grassi vegetali e animali; Modena per gli altri prodotti alimentari; Napoli per i prodotti da forno e farinacei; Salerno per la frutta e gli ortaggi lavorati e conservati; Sassari e Parma per i prodotti delle industrie lattiero casearie. I primi 10 casi provinciali-settoriali per export di vini e bevande verso gli USA nel 2014 sono: Trento, Milano, Cuneo, Firenze, Verona, Siena, Venezia, Treviso, Asti e Brescia. In totale sono 61 i prodotti agro-alimentari in cui l’Italia è risultata prima, seconda o terza al mondo per migliore bilancia commerciale con gli USA, per un controvalore di surplus commerciale bilaterale generato di 3,3 miliardi di dollari.
La relazione sempre più forte tra il mercato USA e l’Italian food è confermata da una ricerca di GEA Digital. Dallo studio, che si è focalizzato sul sentiment verso il food e l’Italian food in particolare, espresso dai consumatori nel mondo e negli Usa attraverso il traffico nel web, è emerso che il numero delle ricerche relative al food da parte degli utenti statunitensi è tre volte superiore al resto del mondo e che l’Italian food supera nelle ricerche online topic quali l’arte e la musica italiana.
Partendo dalla constatazione delle enormi potenzialità dell’Italian food negli Usa, Luigi Consiglio, Presidente di GEA (nella foto) , commenta: «I dati e le tendenze dimostrano che l’interesse per l’Italian food nel mondo è molto forte, in particolare negli Stati Uniti, un mercato estremamente vivace dove la domanda esprime l’attesa di un food più salutare. Oggi chi ritiene che il mercato USA sia maturo si sbaglia. Le opportunità per il Made in Italy ci sono e c’è un grande spazio per tutte le aziende dell’agro-alimentare che desiderano esportare ed investire negli USA. La battaglia politica che abbiamo vissuto finora non ha permesso di vedere le meraviglie del nostro sistema industriale. Per questo motivo Gea, insieme ad Harvard Business Review Italia, ha voluto ribaltare i luoghi comuni sull’industria italiana attraverso la creazione di un punto di osservazione annuale sull’eccellenze imprenditoriali italiane».
È stato così ideato il Premio “Eccellenze d’Impresa” GEA-Harvard Business Review Italia, che sarà attribuito per la seconda edizione il 27 Ottobre 2015.
Fa il punto dei flussi import-export del 2014 il Rapporto del Commercio estero agroalimentare. Il valore del saldo del commercio con l’estero si è attestato intorno ai 43 miliardi di euro (+47% rispetto all’anno precedente). Performance positiva iniziata nel 2012, quando ha avuta luogo un’inversione di tendenza rispetto alla dinamica negativa verificatasi nella bilancia commerciale italiana a partire dal 2004. Lo sottolinea in una nota Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria autore del rapporto. Le esportazioni, pari a circa 35 miliardi di euro, sono cresciute, rispetto all’anno precedente, in misura superiore alla media dell’economia in generale (rispettivamente 2,7% contro il 2% delle esportazioni totali). Tale performance positiva è da attribuirsi all’aumento dei volumi esportati (4,6%) a fronte di una diminuzione del loro valore (-1,8%). Le importazioni si sono attestate su poco più di 41 miliardi di euro registrando una crescita del 2,9%, in controtendenza rispetto alla media dell’economia (-1,6%).
Verso il Sud America la crescita maggiore Passando a considerare le aree geografiche, spiccano le esportazioni verso il Sud America, aumentate del 10,6%, e quelle verso il Nord America del 6% circa. Le esportazioni verso l’UE-28 hanno invece segnato una variazione più contenuta rispetto all’anno precedente, pari al 2%. Dal lato delle importazioni, è da sottolineare l’aumento del 42% circa degli acquisti dal Nord America, mentre diminuiscono del 21% circa le importazioni dai Paesi Terzi Mediterranei Africani.
Import: in su crostacei e olio Evo. Export: pasta e vini al top Quali sono i prodotti che hanno aumentato maggiormente le importazioni? In crescita l’aggregato dei crostacei e molluschi congelati (+15,3%), e dell’olio di oliva vergine ed extravergine (+17,6%), spinto dalle note difficoltà climatiche dello scorso anno. I primi quattro prodotti esportati si confermano invece pasta, conserve di pomodoro, vini rossi e rosati Dop confezionati, prodotti dolciari a base di cacao, tutti bandiere del Made in Italy, ma si evidenzia la crescita degli spumanti di oltre il 27% in un anno, e quella di panelli, farine e mangimi (+22,9%). La “bilancia per origine e destinazione” mette in evidenza il peso dei prodotti destinati al consumo alimentare diretto, in totale circa l’84% per le esportazioni e il 52% per le importazioni. Dal punto di vista della “bilancia per specializzazione commerciale” emerge che il peso degli aggregati di importazione ed esportazione netta sul totale rimane praticamente invariato rispetto al 2013.
«Il Rapporto sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari – ha dichiarato Salvatore Parlato, Commissario Straordinario del CREA – è un appuntamento istituzionale di riflessione e approfondimento sulle evoluzioni degli scambi commerciali del sistema agroalimentare, nell’anno in cui ospitando Expo gli sguardi del mondo sono puntati sul nostro paese e sui suoi prodotti. Si è data particolare attenzione all’analisi delle voci per l’esportazione individuate con il termine Made in Italy, identificati dai consumatori all’estero come “tipici” del nostro paese, segnalando i principali mercati di destinazione dei prodotti e dei paesi clienti. «Per quanto concerne i processi di internazionalizzazione – ha sottolineato Gianpaolo Bruno, Direttore dell’Ufficio per la pianificazione strategica, studi e rete estera dell’Agenzia ICE – il settore agro-alimentare sta assumendo una morfologia complessa, in cui i vantaggi competitivi sono sempre di più associati alla capacità delle imprese di presidiare le catene globali del valore, attraverso modalità di collaborazione strategica che raggruppino produttori di beni e servizi interdipendenti, anche dislocati in Paesi diversi, al fine di creare valore percepito per i consumatori finali»
Primo semestre positivo per il vino italiano, che secondo i dati Istat nei primi quattro mesi ha messo a segno un incremento delle esportazioni del 3,85% per un totale di quasi 1,189 miliardi di euro, anche se con una contrazione dei volumi di circa il 2%.
Grazie a questa performance, l’85% delle cantine italiane si è dichiarata soddisfatta dell’attuale andamento del mercato, come emerge dal quarto Osservatorio wine2wine di Vinitaly, che ha intervistato oltre 400 cantine tra maggio e giugno.
Il trend è molto positivo soprattutto per le imprese del Nord-Est e dell’Italia meridionale, per quelle mediamente internazionalizzate (cioè presenti con i propri vini in 6-20 mercati) e per quelle con percentuali di export già superiori al 30%.
Grazie all’indebolimento dell’euro sul dollaro e all’andamento generale dell’economia, gli Stati Uniti sono il mercato del momento: il 76,2% delle cantine intervistate ha infatti dichiarato che quello americano è tra i tre mercati (con Canada e Regno Unito) che in questo momento stanno crescendo maggiormente. Questa opinione è condivisa sia dalle aziende che vendono i propri vini in meno di 10 mercati, sia in quelle maggiormente internazionalizzate. Controversi invece i giudizi su altri mercati come la Germania dove un terzo degli intervistati ha dichiarato una crescita delle vendite e un altro terzo una diminuzione. O la Cina dove le aziende più piccole sono positive e quelle più strutturate lo definiscono un mercato in calo.
Quanto ai canali di vendita, le cantine giudicano molto positivo (63,6% degli intervistati) il proprio rapporto con gli importatori, mentre divide il rapporto con la Gdo estera (molto positivo per il 47,3% ma allo stesso tempo particolarmente negativo per il 27,3%).
In entrambi i casi c’è una correlazione diretta con la dimensione aziendale: le cantine con oltre 10 milioni di euro di fatturato e 1 milione di bottiglie prodotte sono soddisfatte degli importatori nell’85% dei casi, percentuale che scende fino al 41,2% per le cantine che producono fino a 150mila bottiglie. Andamento simile, ma con differenze meno marcate, per le vendite alla Gdo estera.
Il prossimo appuntamento con il Vinitaly è fissato dal 10 al 13 aprile 2016 e sarà la cinquantesima edizione del Salone del vino di Verona.
Il Pastificio Maffei di Barletta è fra i brand “con i loro prodotti hanno scritto la storia del “Food Made in Italy” e, per questo motivo, ha uno spazio espositivo all’interno del Padiglione “Cibus è Italia”. Fondata negli anni Settanta da Savino Maffei l’azienda, grazie alla ricerca continua sul prodotto e all’innovazione dei processi produttivi, ma rimanendo fedele alla qualità, è diventata una solida realtà industriale, leader nel mercato italiano, producendo e commercializzando pasta fresca di semola di grano duro, all’uovo e gnocchi di patate.
In occasione di Expo e con uno sguardo proiettato allo sviluppo dei mercati internazionali lancia una limited edition con il nuovo pack a firma dello stilista Marco Coretti, che aveva già firmato nel 2013 un nuovo pack per Maffei.
«Un’operazione che in un anno portò al raddoppio del fatturato», sottolinea Savino Maffei (nella foto a sinistra) che per il 2015 prevede un ulteriore aumento del 15% del fatturato. E le premesse ci sono tutte se si considera che dagli 8,4 milioni di chili di pasta fresca del 2011 l’azienda pugliese è salita ai 14,6 milioni del 2014, marcando in quattro anni “neri” per i consumi, un incremento superiore al 73%.
Con la limited edition, l’obiettivo sarà rafforzare l’identità del brand soprattutto all’estero, sotto l’impulso di Expo e in quei mercati quali Giappone, Stati Uniti, Canada e Romania, grazie ai quali «contiamo di aumentare il fatturato estero del 15% in un anno e del 40 in due anni», fa sapere Maffei, che anticipa: «Entro luglio lanceremo un nuova linea di produzione, l’undicesima, ma per il mercato estero; si affiancherà alle specialità regionali che portano addirittura il nome di un quartiere come Bari vecchia e ad altre tipiche del Belpaese come i maccheroni calabresi, le trofie liguri, le tagliatelle all’uovo, gli gnocchi di patate, oltre ai formati speciali e alle linee realizzate per le grandi insegne della distribuzione».
«C’è il rischio molto concreto che nel giro di due anni si perdano circa 50.000 ettari di superficie risicola italiana a riso indica»: l’allarme arriva da Paolo Carrà commissario dell‘Ente Nazionale Risi, che ha così spiegato la non partecipazione della rappresentanza italiana al Cluster del riso: «La concorrenza di alcuni Paesi Asiatici (Cambogia e Myanmar) sta mettendo sotto pressione le nostre produzioni che rappresentano un patrimonio unico non solo per l’Italia ma per il mondo intero. Nel Cluster del riso sono presenti anche questi paesi, ed è per questo che non vi parteciiamo. Viceversa vogliamo utilizzare Expo 2015 per avviare un’intensa campagna di sensibilizzazione, che riaffermi il valore e la qualità del nostro prodotto. Abbiamo cosìproposto a tutti gli attori della filiera un progetto di lungo periodo che abbia al centro la qualità del prodotto», continua Carrà. «Expo 2015 rappresenta una grande opportunità per tutto il comparto e vogliamo che non sia una semplice vetrina, ma che ponga le basi per relazioni istituzionali e commerciali durature e coinvolga tutto il comparto. Per questo negli eventi che si susseguiranno fino ad ottobre proporremo un viaggio che coinvolgerà tutti i distretti che si dedicano alla coltura del riso, da Pavia a Novara, da Vercelli a Verona, da Mantova ad Oristano, da Alessandria a Biella».
Il primo evento si è tenuto nella terrazza del Padiglione CibusèItalia. Ne sono previsti altri cinque da giugno a ottobre.
L’Italia è il primo paese produttore di riso nell’Unione Europea. Con una superficie di 220.000 ettari e una produzione di 1,4 milioni di tonnellate di riso greggio l’Italia copre, rispettivamente, il 52% della superficie ed il 50% della produzione risicola europea. Il 92% della superficie risicola italiana è concentrata nelle Regioni Piemonte e Lombardia, in particolare nelle Province di Pavia, Vercelli e Novara.
La produzione italiana annua di riso lavorato si attesta a circa 1 milione di tonnellate che viene collocato per il 10% sui mercati extra Ue, per il 35% sul mercato italiano e per il 55% sul mercato dell’Unione europea.
In Italia figurano 4.100 produttori agricoli, 100 industrie di trasformazione e 75 pilerie. Il fatturato ottenuto dalla vendita di riso greggio da parte dei produttori è pari a circa 0,5 miliardi di euro. Il fatturato ottenuto dalla vendita di riso lavorato da parte delle industrie di trasformazione è pari a circa 1 miliardo di euro.
Partenza sprint per il settore agroalimentare italiano in questo primo scorcio di 2015, seppure in presenza di un quadro non privo di elementi di incertezza sia a livello nazionale che estero. Lo rivelanoIsmea e Unioncamere nel consueto appuntamento con AgrOsserva, l’Osservatorio sull’agroalimentare italiano relativo al primo trimestre del 2015.
Particolarmente positivo il dato delle vendite all’estero di prodotti agricoli e di alimenti e bevande trasformati, con una crescita del 6,2% su base annua nel periodo gennaio-marzo 2015. La dinamica appare in forte accelerazione rispetto all’anno scorso – specie verso i mercati extra Ue – e nettamente più sostenuta se confrontata con l’andamento generale dell’export nazionale.
Confortanti segnali di ripresa, prosegue AgrOsserva, emergono anche dal lato della domanda interna dopo la fase di prolungata contrazione dei consumi alimentari delle famiglie registrata in particolare nel 2013 (-3,1%). Le rilevazioni Ismea-Nielsen indicano un incremento degli acquisti alimentari domestici dell’1,4% nel bimestre gennaio-febbraio 2015 sullo stesso periodo del 2014, dato che risulta in linea con le indicazioni Istat sulle vendite del commercio al dettaglio del settore. A influire sulla ripresa dei consumi, sottolinea l’Ismea, anche le scelte di politica fiscale finalizzate a restituire un maggiore potere d’acquisto alle famiglie italiane.
Quanto alle prospettive per il resto dell’anno, la debolezza dell’euro continuerà a giocare un ruolo determinante assieme alle ricadute positive sull’economia nazionale che ci si attende dall’Expo. Tuttavia, precisa il rapporto Agrosserva, fattori di incertezza nel quadro internazionale provengono dagli sviluppi non più scontati della politica monetaria in Usa, a seguito di una probabile revisione peggiorativa delle stime di crescita dell’economia statunitense e dalla forte decelerazione del Pil in Cina. L’evoluzione del quadro macroeconomico di breve termine potrebbe inoltre risentire degli sviluppi della vicenda greca in Europa, della forte instabilità nell’area mediorientale e nordafricana e del protrarsi dell’embargo russo.
Tornando alle dinamiche di questo primo trimestre del 2015, l’agricoltura ha contribuito a rilanciare il Pil del Paese, che in base alla stima preliminare dell’Istat ha registrato un aumento dello 0,3% su base congiunturale.
Una conferma della positiva evoluzione del settore proviene anche dall’incremento degli indici di fiducia dell’agricoltura e dell’industria alimentare elaborati da Ismea, che riflettono un maggiore ottimismo tra le imprese, eccezione fatta per il comparto della zootecnia da latte su cui pesano le incognite del post quote.
La pasta trionfa, ma…
Sempre l’Ismea rileva che le esportazioni di pasta made in Italy, con un balzo in avanti del 4%, hanno superato nel 2014 la soglia di 2 milioni di tonnellate, per un giro d’affari complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro. La pasta pesa oggi il 7% circa del valore dell’export dell’intero agroalimentare, e negli ultimi 15 anni, osserva l’Ismea, ha registrato un trend delle spedizioni all’estero in continua e rapida ascesa. Nel caso della pasta di semola secca – che rappresenta oltre l’80% dell’intero comparto – le esportazioni sono cresciute, a partire dal 2001, mediamente ad un ritmo del 2,3% annuo in volume e del 5% in valore, con uno stop solo nel 2008, quando la fiammata dei listini del grano duro determinò una drastica riduzione dei quantitativi immessi sui circuiti internazionali (-5% circa) per via degli alti livelli di prezzo raggiunti.
Non mancano tuttavia le preoccupazioni, come ha recentemente evidenziato l’Aidepi, l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, che sottolinea l’attacco della concorrenza sui mercati internazionali (a volte sleale) e la debolezza dei pastifici italiani, oggi ridotti a non più di 120 dagli oltre 500 negli anni Settanta. Tanto da convincere il Governo, come annunciato nelle settimane scorse a Ipack Ima, a dar vita a una Cabina di regia con il Mnistero delle politiche agricole e il Ministero dello sviluppo economico per sostenere l’export della pasta italiana.
Paolo Barilla Presidente AIDEPI
Tre, essenzialmente, gli obiettivi della Cabina di regia.
1) Favorire processi di aggregazione dell’offerta della materia prima, anche al fine di aumentare le garanzie sugli stock complessivi.
2) Individuare strategie di valorizzazione della capacità produttivainespressa del settore, di potenziamento delle esportazioni e di redistribuzione sull’intera filiera del valore aggiunto creato. Tramite accordi di filiera, verranno previste strategie di sostegno alle coltivazioni di grano duro di qualità e di potenziamento della competitività della pasta italiana rispetto agli emergenti competitor stranieri a difesa e valorizzazione della pasta come simbolo del Made in Italy alimentare, esportabile a livello nazionale a tutti i settori.
3) Attrazione dei fondi comunitari destinati al settore nella programmazione 2014-2020 e di ulteriori fondi nazionali e comunitari per iniziative promozionali a supporto della produzione e dell’esportazione della pasta completa infine – insieme all’identificazione di progetti per l’innovazione industriale sulla Bioeconomia nell’ambito del master-plan “Agenda Italia 2015” – il quadro degli obiettivi del progetto.
«La pasta – ha dichiarato il presidente di Aidepi Paolo Barilla – è un settore rilevante dell’economia italiana, ma rischiamo di cedere il passo ad aziende non italiane, che, supportate da politiche di governo incentivanti, hanno compresso la marginalità dei profitti e turbato la tenuta delle aziende pastarie italiane. Varie sono le concause del fenomeno, ma certamente la generalizzata crisi dei consumi, la stretta creditizia e l’elevata capacità produttiva installata inespressa, pari al 33% circa.”
Il successo della pasta all’estero, che fa da volano al consumo di prodotti tipici del primo piatto all’italiana (pomodoro, olio, formaggio) evidenzia, secondo l’Ismea, “la dicotomia strutturalmente esistente tra la fase agricola nazionale e quella industriale”, in linea con con l’andamento generale del sistema agroindustriale nazionale, poiché l’Italia è strutturalmente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime agricole ma è esportatore netto per un’ampia gamma di prodotti lavorati.
La strutturale dicotomia esistente tra la fase agricola – caratterizzata da un’offerta fortemente polverizzata, da un incostante livello qualitativo e da una sempre più incerta redditività – e quella della trasformazione industriale – che, invece, necessita di un costante approvvigionamento di granella, sia in termini quantitativi sia qualitativi – può essere mitigata attivando un processo di integrazione tra le due fasi, suggerisce l’Ismea.
Appare auspicabile, quindi, sostenere processi di aggregazione dell’offerta attraverso l’adozione dei contratti di filiera allo scopo di conseguire una maggiore stabilità nei rapporti contrattuali e una maggiore redditività a favore di tutti gli operatori coinvolti.
Ed è proprio questo uno degli obiettivi della Cabina di regia.
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