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Osservatorio Gea-Fondazione Edison: le 4A trainano il made in Italy. Gli Usa guardano al food

La nuova edizione dell’Osservatorio GEAFondazione Edison registra che l’Italian food ha rappresentato nel 2013 un importante driver di crescita dell’export.

Su una base di riferimento di 616 prodotti, infatti, l’Italia presenta 63 prodotti in cui è prima, seconda o terzaal mondo per migliore bilancia commerciale con l’estero, generando una bilancia totale attiva di 21,5 miliardi di dollari.

Insieme, le ‘4A’ del Made in Italy (Alimentari-vini; Abbigliamento-moda; Arredo-casa; Automazione-meccanica-gomma-plastica) confermano un andamento positivo toccando un nuovo record di 128 miliardi di euro.

Dall’analisi dei dati emerge, inoltre, che gli Stati Uniti sono in assoluto il terzo mercato di esportazione dell’Italia, dopo la Germania e la Francia, con un export complessivo italiano verso gli USA di 29,8 miliardi di euro ed un surplus di 17,3 miliardi, il più alto che l’Italia ha avuto nel 2014 negli scambi bilaterali.

Il mercato americano, in particolare, è sempre più focalizzato sul settore agro-alimentare e presenta il maggiore potenziale di crescita; basti considerare che nel 2014 il 10% circa dell’export italiano è stato proprio verso il mercato statunitense. I primi 10 casi provinciali-settoriali per più elevato export agro-alimentare verso gli USA nel 2014 sono: Firenze, Lucca, Grosseto, Milano e Perugia per gli olii e i grassi vegetali e animali; Modena per gli altri prodotti alimentari; Napoli per i prodotti da forno e farinacei; Salerno per la frutta e gli ortaggi lavorati e conservati; Sassari e Parma per i prodotti delle industrie lattiero casearie. I primi 10 casi provinciali-settoriali per export di vini e bevande verso gli USA nel 2014 sono: Trento, Milano, Cuneo, Firenze, Verona, Siena, Venezia, Treviso, Asti e Brescia. In totale sono 61 i prodotti agro-alimentari in cui l’Italia è risultata prima, seconda o terza al mondo per migliore bilancia commerciale con gli USA, per un controvalore di surplus commerciale bilaterale generato di 3,3 miliardi di dollari.

La relazione sempre più forte tra il mercato USA e l’Italian food è confermata da una ricerca di GEA Digital. Dallo studio, che si è focalizzato sul sentiment verso il food e l’Italian food in particolare, espresso dai consumatori nel mondo e negli Usa attraverso il traffico nel web, è emerso che il numero delle ricerche relative al food da parte degli utenti statunitensi è tre volte superiore al resto del mondo e che l’Italian food supera nelle ricerche online topic quali l’arte e la musica italiana.

consiglioPartendo dalla constatazione delle enormi potenzialità dell’Italian food negli Usa, Luigi Consiglio, Presidente di GEA (nella foto) , commenta: «I dati e le tendenze dimostrano che l’interesse per l’Italian food nel mondo è molto forte, in particolare negli Stati Uniti, un mercato estremamente vivace dove la domanda esprime l’attesa di un food più salutare. Oggi chi ritiene che il mercato USA sia maturo si sbaglia. Le opportunità per il Made in Italy ci sono e c’è un grande spazio per tutte le aziende dell’agro-alimentare che desiderano esportare ed investire negli USA. La battaglia politica che abbiamo vissuto finora non ha permesso di vedere le meraviglie del nostro sistema industriale. Per questo motivo Gea, insieme ad Harvard Business Review Italia, ha voluto ribaltare i luoghi comuni sull’industria italiana attraverso la creazione di un punto di osservazione annuale sull’eccellenze imprenditoriali italiane».

È stato così ideato il Premio “Eccellenze d’Impresa” GEA-Harvard Business Review Italia, che sarà attribuito per la seconda edizione il 27 Ottobre 2015.

Rapporto commercio estero agroalimentare: saldo a +47% nel 2014

Fa il punto dei flussi import-export del 2014 il Rapporto del Commercio estero agroalimentare. Il valore del saldo del commercio con l’estero si è attestato intorno ai 43 miliardi di euro (+47% rispetto all’anno precedente). Performance positiva iniziata nel 2012, quando ha avuta luogo un’inversione di tendenza rispetto alla dinamica negativa verificatasi nella bilancia commerciale italiana a partire dal 2004. Lo sottolinea in una nota Crea, il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria autore del rapporto.
Le esportazioni, pari a circa 35 miliardi di euro, sono cresciute, rispetto all’anno precedente, in misura superiore alla media dell’economia in generale (rispettivamente 2,7% contro il 2% delle esportazioni totali). Tale performance positiva è da attribuirsi all’aumento dei volumi esportati (4,6%) a fronte di una diminuzione del loro valore (-1,8%). Le importazioni si sono attestate su poco più di 41 miliardi di euro registrando una crescita del 2,9%, in controtendenza rispetto alla media dell’economia (-1,6%).

Verso il Sud America la crescita maggiore
Passando a considerare le aree geografiche, spiccano le esportazioni verso il Sud America, aumentate del 10,6%, e quelle verso il Nord America del 6% circa. Le esportazioni verso l’UE-28 hanno invece segnato una variazione più contenuta rispetto all’anno precedente, pari al 2%. Dal lato delle importazioni, è da sottolineare l’aumento del 42% circa degli acquisti dal Nord America, mentre diminuiscono del 21% circa le importazioni dai Paesi Terzi Mediterranei Africani.

Import: in su crostacei e olio Evo. Export: pasta e vini al top
Quali sono i prodotti che hanno aumentato maggiormente le importazioni? In crescita l’aggregato dei crostacei e molluschi congelati (+15,3%), e dell’olio di oliva vergine ed extravergine (+17,6%), spinto dalle note difficoltà climatiche dello scorso anno. I primi quattro prodotti esportati si confermano invece pasta, conserve di pomodoro, vini rossi e rosati Dop confezionati, prodotti dolciari a base di cacao, tutti bandiere del Made in Italy, ma si evidenzia la crescita degli spumanti di oltre il 27% in un anno, e quella di panelli, farine e mangimi (+22,9%).
La “bilancia per origine e destinazione” mette in evidenza il peso dei prodotti destinati al consumo alimentare diretto, in totale circa l’84% per le esportazioni e il 52% per le importazioni.
Dal punto di vista della “bilancia per specializzazione commerciale” emerge che il peso degli aggregati di importazione ed esportazione netta sul totale rimane praticamente invariato rispetto al 2013.

«Il Rapporto sul commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari – ha dichiarato Salvatore Parlato, Commissario Straordinario del CREA – è un appuntamento istituzionale di riflessione e approfondimento sulle evoluzioni degli scambi commerciali del sistema agroalimentare, nell’anno in cui ospitando Expo gli sguardi del mondo sono puntati sul nostro paese e sui suoi prodotti. Si è data particolare attenzione all’analisi delle voci per l’esportazione individuate con il termine Made in Italy, identificati dai consumatori all’estero come “tipici” del nostro paese, segnalando i principali mercati di destinazione dei prodotti e dei paesi clienti.
«Per quanto concerne i processi di internazionalizzazione – ha sottolineato Gianpaolo Bruno, Direttore dell’Ufficio per la pianificazione strategica, studi e rete estera dell’Agenzia ICE – il settore agro-alimentare sta assumendo una morfologia complessa, in cui i vantaggi competitivi sono sempre di più associati alla capacità delle imprese di presidiare le catene globali del valore, attraverso modalità di collaborazione strategica che raggruppino produttori di beni e servizi interdipendenti, anche dislocati in Paesi diversi, al fine di creare valore percepito per i consumatori finali»

Il vino va forte all’estero, ma la Gdo non convince tutti

Primo semestre positivo per il vino italiano, che secondo i dati Istat nei primi quattro mesi ha messo a segno un incremento delle esportazioni del 3,85% per un totale di quasi 1,189 miliardi di euro, anche se con una contrazione dei volumi di circa il 2%.

Grazie a questa performance, l’85% delle cantine italiane si è dichiarata soddisfatta dell’attuale andamento del mercato, come emerge dal quarto Osservatorio wine2wine di Vinitaly, che ha intervistato oltre 400 cantine tra maggio e giugno.

Il trend è molto positivo soprattutto per le imprese del Nord-Est e dell’Italia meridionale, per quelle mediamente internazionalizzate (cioè presenti con i propri vini in 6-20 mercati) e per quelle con percentuali di export già superiori al 30%.

Grazie all’indebolimento dell’euro sul dollaro e all’andamento generale dell’economia, gli Stati Uniti sono il mercato del momento: il 76,2% delle cantine intervistate ha infatti dichiarato che quello americano è tra i tre mercati (con Canada e Regno Unito) che in questo momento stanno crescendo maggiormente. Questa opinione è condivisa sia dalle aziende che vendono i propri vini in meno di 10 mercati, sia in quelle maggiormente internazionalizzate. Controversi invece i giudizi su altri mercati come la Germania dove un terzo degli intervistati ha dichiarato una crescita delle vendite e un altro terzo una diminuzione. O la Cina dove le aziende più piccole sono positive e quelle più strutturate lo definiscono un mercato in calo.

Quanto ai canali di vendita, le cantine giudicano molto positivo (63,6% degli intervistati) il proprio rapporto con gli importatori, mentre divide il rapporto con la Gdo estera (molto positivo per il 47,3% ma allo stesso tempo particolarmente negativo per il 27,3%).

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In entrambi i casi c’è una correlazione diretta con la dimensione aziendale: le cantine con oltre 10 milioni di euro di fatturato e 1 milione di bottiglie prodotte sono soddisfatte degli importatori nell’85% dei casi, percentuale che scende fino al 41,2% per le cantine che producono fino a 150mila bottiglie. Andamento simile, ma con differenze meno marcate, per le vendite alla Gdo estera.Schermata 2015-07-01 alle 16.43.53

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Il prossimo appuntamento con il Vinitaly è fissato dal 10 al 13 aprile 2016 e sarà la cinquantesima edizione del Salone del vino di Verona.

Pastifico Maffei, pack limited edition d’artista orientato all’export

Il Pastificio Maffei di Barletta è  fra i brand “con i loro prodotti hanno scritto la storia del “Food Made in Italy” e, per questo motivo, ha uno spazio espositivo all’interno del Padiglione “Cibus è Italia”. Fondata negli anni Settanta da Savino Maffei l’azienda, grazie alla ricerca continua sul prodotto e all’innovazione dei processi produttivi, ma rimanendo fedele alla qualità, è diventata una solida realtà industriale, leader nel mercato italiano, producendo e commercializzando pasta fresca di semola di grano duro, all’uovo e gnocchi di patate.

In occasione di Expo e con uno sguardo proiettato allo sviluppo dei mercati internazionali lancia una limited edition con il nuovo pack a firma dello stilista Marco Coretti, che aveva già firmato nel 2013 un nuovo pack per Maffei.

Savino Maffei«Un’operazione che in un anno portò al raddoppio del fatturato», sottolinea Savino Maffei (nella foto a sinistra) che per il 2015 prevede un ulteriore aumento del 15% del fatturato. E le premesse ci sono tutte se si considera che dagli 8,4 milioni di chili di pasta fresca del 2011 l’azienda pugliese è salita ai 14,6 milioni del 2014, marcando in quattro anni “neri” per i consumi, un incremento superiore al 73%.

Con la limited edition, l’obiettivo sarà rafforzare l’identità del brand soprattutto all’estero, sotto l’impulso di Expo e in quei mercati quali Giappone, Stati Uniti, Canada e Romania, grazie ai quali «contiamo di aumentare il fatturato estero del 15% in un anno e del 40 in due anni», fa sapere Maffei, che anticipa: «Entro luglio lanceremo un nuova linea di produzione, l’undicesima, ma per il mercato estero; si affiancherà alle specialità regionali che portano addirittura il nome di un quartiere come Bari vecchia e ad altre tipiche del Belpaese come i maccheroni calabresi, le trofie liguri, le tagliatelle all’uovo, gli gnocchi di patate, oltre ai formati speciali e alle linee realizzate per le grandi insegne della distribuzione».

 

Riso italiano a rischio: l’allarme dell’Ente nazionale risi

«C’è il rischio molto concreto che nel giro di due anni si perdano circa 50.000 ettari di superficie risicola italiana a riso indica»: l’allarme arriva da Paolo Carrà commissario dellEnte Nazionale Risi, che ha così spiegato la non partecipazione della rappresentanza italiana al Cluster del riso:  «La concorrenza di alcuni Paesi Asiatici (Cambogia e Myanmar) sta mettendo sotto pressione le nostre produzioni che rappresentano un patrimonio unico non solo per l’Italia ma per il mondo intero. Nel Cluster del riso sono presenti anche questi paesi, ed è per questo che non vi parteciiamo. Viceversa vogliamo utilizzare Expo 2015 per avviare un’intensa campagna di sensibilizzazione, che riaffermi il valore e la qualità del nostro prodotto. Abbiamo cosìproposto a tutti gli attori della filiera un progetto di lungo periodo che abbia al centro la qualità del prodotto», continua Carrà. «Expo 2015 rappresenta una grande opportunità per tutto il comparto e vogliamo che non sia una semplice vetrina, ma che ponga le basi per relazioni istituzionali e commerciali durature e coinvolga tutto il comparto. Per questo negli eventi che si susseguiranno fino ad ottobre proporremo un viaggio che coinvolgerà tutti i distretti che si dedicano alla coltura del riso, da Pavia a Novara, da Vercelli a Verona, da Mantova ad Oristano, da Alessandria a Biella».

Il primo evento si è tenuto nella terrazza del Padiglione CibusèItalia. Ne sono previsti altri cinque da giugno a ottobre.

L’Italia è il primo paese produttore di riso nell’Unione Europea. Con una superficie di 220.000 ettari e una produzione di 1,4 milioni di tonnellate di riso greggio l’Italia copre, rispettivamente, il 52% della superficie ed il 50% della produzione risicola europea. Il 92% della superficie risicola italiana è concentrata nelle Regioni Piemonte e Lombardia, in particolare nelle Province di Pavia, Vercelli e Novara.

La produzione italiana annua di riso lavorato si attesta a circa 1 milione di tonnellate che viene collocato per il 10% sui mercati extra Ue, per il 35% sul mercato italiano e per il 55% sul mercato dell’Unione europea.

In Italia figurano 4.100 produttori agricoli, 100 industrie di trasformazione e 75 pilerie. Il fatturato ottenuto dalla vendita di riso greggio da parte dei produttori è pari a circa 0,5 miliardi di euro. Il fatturato ottenuto dalla vendita di riso lavorato da parte delle industrie di trasformazione è pari a circa 1 miliardo di euro.

Primo trimestre buono per il sistema agroalimentare italiano (Ismea). Il caso della pasta

Partenza sprint per il settore agroalimentare italiano in questo primo scorcio di 2015, seppure in presenza di un quadro non privo di elementi di incertezza sia a livello nazionale che estero. Lo rivelano Ismea e Unioncamere nel consueto appuntamento con AgrOsserva, l’Osservatorio sull’agroalimentare italiano relativo al primo trimestre del 2015.

Particolarmente positivo il dato delle vendite all’estero di prodotti agricoli e di alimenti e bevande trasformati, con una crescita del 6,2% su base annua nel periodo gennaio-marzo 2015. La dinamica appare in forte accelerazione rispetto all’anno scorso – specie verso i mercati extra Ue – e nettamente più sostenuta se confrontata con l’andamento generale dell’export nazionale.

Confortanti segnali di ripresa, prosegue AgrOsserva, emergono anche dal lato della domanda interna dopo la fase di prolungata contrazione dei consumi alimentari delle famiglie registrata in particolare nel 2013 (-3,1%). Le rilevazioni Ismea-Nielsen indicano un incremento degli acquisti alimentari domestici dell’1,4% nel bimestre gennaio-febbraio 2015 sullo stesso periodo del 2014, dato che risulta in linea con le indicazioni Istat sulle vendite del commercio al dettaglio del settore. A influire sulla ripresa dei consumi, sottolinea l’Ismea, anche le scelte di politica fiscale finalizzate a restituire un maggiore potere d’acquisto alle famiglie italiane.

Quanto alle prospettive per il resto dell’anno, la debolezza dell’euro continuerà a giocare un ruolo determinante assieme alle ricadute positive sull’economia nazionale che ci si attende dall’Expo. Tuttavia, precisa il rapporto Agrosserva, fattori di incertezza nel quadro internazionale provengono dagli sviluppi non più scontati della politica monetaria in Usa, a seguito di una probabile revisione peggiorativa delle stime di crescita dell’economia statunitense e dalla forte decelerazione del Pil in Cina. L’evoluzione del quadro macroeconomico di breve termine potrebbe inoltre risentire degli sviluppi della vicenda greca in Europa, della forte instabilità nell’area mediorientale e nordafricana e del protrarsi dell’embargo russo.

Tornando alle dinamiche di questo primo trimestre del 2015, l’agricoltura ha contribuito a rilanciare il Pil del Paese, che in base alla stima preliminare dell’Istat ha registrato un aumento dello 0,3% su base congiunturale.

Una conferma della positiva evoluzione del settore proviene anche dall’incremento degli indici di fiducia dell’agricoltura e dell’industria alimentare elaborati da Ismea, che riflettono un maggiore ottimismo tra le imprese, eccezione fatta per il comparto della zootecnia da latte su cui pesano le incognite del post quote.

La pasta trionfa, ma…

Sempre l’Ismea rileva che le esportazioni di pasta made in Italy,  con un balzo in avanti del 4%, hanno superato nel 2014 la soglia di 2 milioni di tonnellate, per un giro d’affari complessivo di oltre 2,2 miliardi di euro.
La pasta pesa oggi il 7% circa del valore dell’export dell’intero agroalimentare, e negli ultimi 15 anni, osserva l’Ismea, ha registrato un trend delle spedizioni all’estero in continua e rapida ascesa. Nel caso della pasta di semola secca –  che rappresenta oltre l’80% dell’intero comparto –  le esportazioni sono cresciute, a partire dal 2001, mediamente ad un ritmo del 2,3% annuo in volume e del 5% in valore, con uno stop solo nel 2008, quando la fiammata dei listini del grano duro determinò una drastica riduzione dei quantitativi immessi sui circuiti internazionali (-5% circa) per via degli alti livelli di prezzo raggiunti.

Non mancano tuttavia le preoccupazioni, come ha recentemente evidenziato l’Aidepi, l’Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane, che sottolinea l’attacco della concorrenza sui mercati internazionali (a volte sleale) e la debolezza dei pastifici italiani, oggi ridotti a non più di 120 dagli oltre 500 negli anni Settanta. Tanto da convincere il Governo, come annunciato nelle settimane scorse a Ipack Ima, a dar vita a una Cabina di regia con il Mnistero delle politiche agricole e il Ministero dello sviluppo economico per sostenere l’export della pasta italiana.

Paolo Barilla Presidente AIDEPI
Paolo Barilla Presidente AIDEPI

Tre, essenzialmente, gli obiettivi della Cabina di regia.

1) Favorire processi di aggregazione dell’offerta della materia prima, anche al fine di aumentare le garanzie sugli stock complessivi.

2) Individuare strategie di valorizzazione della capacità produttiva inespressa del settore, di potenziamento delle esportazioni e di redistribuzione sull’intera filiera del valore aggiunto creato.
Tramite accordi di filiera, verranno previste strategie di sostegno alle coltivazioni di grano duro di qualità e di potenziamento della competitività della pasta italiana rispetto agli emergenti competitor stranieri a difesa e valorizzazione della pasta come simbolo del Made in Italy alimentare, esportabile a livello nazionale a tutti i settori.

3) Attrazione dei fondi comunitari destinati al settore nella programmazione 2014-2020 e di ulteriori fondi nazionali e comunitari per iniziative promozionali a supporto della produzione e dell’esportazione della pasta completa infine – insieme all’identificazione di progetti per l’innovazione industriale sulla Bioeconomia nell’ambito del master-plan “Agenda Italia 2015” –  il quadro degli obiettivi del progetto.

«La pasta – ha dichiarato il presidente di Aidepi Paolo Barilla – è un settore rilevante dell’economia italiana, ma rischiamo di cedere il passo ad aziende non italiane, che, supportate da politiche di governo incentivanti, hanno compresso la marginalità dei profitti e turbato la tenuta delle aziende pastarie italiane. Varie sono le concause del fenomeno, ma certamente la generalizzata crisi dei consumi, la stretta creditizia e l’elevata capacità produttiva installata inespressa, pari al 33% circa.”

Il successo della pasta all’estero, che fa da volano al consumo di prodotti tipici del primo piatto all’italiana (pomodoro, olio, formaggio) evidenzia, secondo l’Ismea,  “la dicotomia strutturalmente esistente tra la fase agricola nazionale e quella industriale”, in linea con con l’andamento generale del sistema agroindustriale nazionale, poiché l’Italia è strutturalmente dipendente dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime agricole ma è esportatore netto per un’ampia gamma di prodotti lavorati.

La strutturale dicotomia esistente tra la fase agricola – caratterizzata da un’offerta fortemente polverizzata, da un incostante livello qualitativo e da una sempre più incerta redditività – e quella della trasformazione industriale – che, invece, necessita di un costante approvvigionamento di granella, sia in termini quantitativi sia qualitativi – può essere mitigata attivando un processo di integrazione tra le due fasi, suggerisce l’Ismea.

Appare auspicabile, quindi, sostenere processi di aggregazione dell’offerta attraverso l’adozione dei contratti di filiera allo scopo di conseguire una maggiore stabilità nei rapporti contrattuali e una maggiore redditività a favore di tutti gli operatori coinvolti.

Ed è proprio questo uno degli obiettivi della Cabina di regia.

Export alimentare: anche la gdo si muove e Coop comincia dalla Cina

Per decenni si è detto che la Gdo italiana avrebbe dovuto espandersi all’estero, ma che le imprese non avevan o una dimensione tale da fare il grande salto e confrontarsi con i big internazionali. Poi sono arrivati loro in Italia.

Qualcuno se n’è andato, altri stanno medicando le  ferite. Altri arriveranno. Oggi però nel 2015, se rimane la difficoltà di piantare bandiere all’estero, tra le opportunità dell’e-commerce e l’interesse che in quasi tutti i paesi del mondo viene riservato al cibo italiano, le cose sono un po’ cambiate. Lo ha sottolineato recentemente a Fruit Innovation con forza il presidente dell’Ice Riccardo Monti: «Dall’estero vi è una domanda gigantesca per i prodotti della filiera agroalimentare italiana. Noi oggi siamo leader riconosciuti nella qualità, dobbiamo diventarlo nella quantità».

Maurizio Martina (Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con delega ad  Expo Milano 2015), Carlo Calenda (Vice Ministro dello Sviluppo Economico) e Riccardo Monti (Presidente dell’ICE – Istituto per il Commercio Estero).
Maurizio Martina (Ministro delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali con delega ad Expo Milano 2015), Carlo Calenda (Vice Ministro dello Sviluppo Economico) e Riccardo Monti (Presidente dell’ICE – Istituto per il Commercio Estero).

È l’obiettivo dei 50 miliardi di fatturato all’export per il 2020, dai 33 miliardi attuali,  che si è dato il Governo. «Un obiettivo alla portata – ha  affermato il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina – che può contare anche su un logo unico dell’agroalimentare made in Italy”, presentato ieri a Expo. Il segno unico è rappresentato da una bandiera italiana con tre onde che richiamano il concetto di crescita e di sviluppo e dalla scritta The Extraordinary Italian Taste. Il piano seleziona tre fasce: i mercati consolidati, gli emergenti e i nuovi. E proprio a giugno partirà la prima campagna rivolta a Stati Uniti e Canada per un investimento di 30 milioni di euro sui 150 milioni complessivamente previsti.

“Da oggi l’agroalimentare italiano – ha spiegato il Ministro Maurizio Martina – sarà più forte e più riconoscibile sui mercati internazionali. Finalmente abbiamo un segno distintivo unico che aiuterà consumatori e operatori a identificare subito le attività di promozione dei nostri prodotti. Partiamo da Expo Milano 2015 per sfruttare questa straordinaria occasione di visibilità e proseguiremo con le azioni previste dal nostro piano di internazionalizzazione sui mercati strategici. Nei prossimi tre anni investiremo oltre 70 milioni di euro per la promozione, imparando a fare squadra e a non disperdere in mille rivoli le risorse. Con il segno unico distintivo vogliamo fare un’operazione di riconoscibilità, creare un filo conduttore che leghi tutte le attività di promozione del vero prodotto italiano sullo scenario internazionale. Il nostro obiettivo è essere al fianco delle imprese che in questi anni hanno messo in campo energie, capacità di fare, passione, aziende che hanno consentito all’Italia di registrare una crescita del 70% dell’export agroalimentare negli ultimi 10 anni. Abbiamo chiuso il 2014 con 34,4 miliardi di euro, nel primo trimestre del 2015 siamo a oltre 8,7 miliardi di euro e il nostro obiettivo è arrivare a 36 miliardi a fine anno. Anche sfruttando bene l’Esposizione Universale di Milano possiamo farcela e puntare all’obiettivo di quota 50 miliardi di export nel 2020”.

Anche la Gdo può fare la sua parte. Infatti qualcosa si sta muovendo, proprio nella direzione di utilizzare le tante ricchezze dei giacimenti agroalimentari italiani per sviluppare business all’estero. Non sono mancati esempi in passato, tanto che Crai è presente in Svizzera e a Malta con 160 punti vendita. Le modalità sono diverse, ma i due maggiori gruppi italiani, Coop e Conad, si sono finalmente mossi.

La Cooperativa di dettaglianti è approdata in Cina a febbraio con una formula mista che prevede per ora cinque punti vendita e una rete di vending machine con un’ampia selezione di prodotti acquistabili anche via internet.

Appena partito è invece il progetto di Coop Italia che ha creato una specifica società – Coop Italian food – per sviluppare contatti con retailer internazionali o distributori di prodotti italiani all’estero,  ai quali proporre i prodotti a marchio e quelli delle piccole aziende fornitrici, come afferma il presidente di Coop nell’intervista.

Il primo episodio di questa nuova avventura è in Cina: è stata costituita, secondo quanto risulta a inStoremag, ItalMenu, società con sede a Hong Kong la cui attività è importare e distribuire i prodotti a marchio Coop di importazione e distribuzione nei canali retail e horeca. Con Ice sono previste tre settimane di iniziative promozionali tra giugno e luglio in 40 punti vendita della catena ParknShop, che fa capo al gruppo Hutchison Whampoa.

Tonno in scatola, +5% nel 2014. Piace a giovani e sportivi

Aumenta il consumo di tonno in scatola: nel 2014, secondo le elaborazioni dell’ANCIT (Associazione Nazionale Conservieri Ittici) su dati Istat, ha segnato un +5%. Pratico ed economico, adatto a un consumo veloce, il tonno in scatola è un prodotto presente, secondo una ricerca DOXA/ANCIT, nel 94% delle case italiane.

Il valore del settore del tonno in scatola nel 2014 è stato di 1,1 miliardi di euro. La produzione, stabile rispetto al 2013, si è attestata a 67.300 tonnellate mentre il consumo da parte degli italiani ha toccato quota 144.500 tonnellate (+5% rispetto al 2013) pari a circa 2,3 kg pro capite.
Nello stesso arco di tempo le esportazioni hanno raggiunto le 20.655 tonnellate (+14%), confermando un crescente interesse per il nostro prodotto all’estero, mentre le importazioni si sono attestate 97.880 tonnellate (+17%). L’Italia si conferma così come uno dei più importanti mercati al mondo per il consumo e come secondo produttore europeo, dopo la Spagna.

“Il 2014 è stato un anno positivo per l’industria italiana del tonno in scatola che ha evidenziato ancora una volta la sua natura anticiclica – afferma Vito Santarsiero Presidente dell’ANCIT – . Oggi gli italiani stanno virando sempre più spesso verso quei prodotti alimentari, come il tonno, in grado di coniugare gusto, salute e allo stesso tempo risparmio: parliamo infatti di un alimento che, grazie all’impegno dell’Industria di trasformazione italiana, fornisce proteine ad un costo tra i più convenienti.”

 

Under 25 e sportivi i grandi fan del tonno

Un’indagine commissionata dall’Associazione Nazionale Conservieri Ittici alla Doxa ha fotografato il vissuto e la conoscenza degli italiani rispetto al tonno in scatola. Scopriamo che questo alimento piace soprattutto agli under 25 e alle famiglie dove ci sono i bambini.
I consumatori totali di tonno sono il 94% della popolazione e quasi un italiano su due (43%) lo mangia ogni settimana, soprattutto perché è facile, veloce da preparare e versatile. Ma anche in virtù dei suoi valori nutrizionali, come le proteine nobili e gli omega 3. Tra gli italiani che praticano sport – circa il 50% del campione analizzato – 7 su 10 lo inseriscono nella “top five” degli alimenti cui non saprebbero rinunciare (insieme a carni bianche, legumi, yogurt e bresaola).
E il piatto a base di tonno preferito dagli italiani? Al primo posto troviamo gli spaghetti con il tonno, seguito a ruota da insalata di riso e insalata di tonno, due cardini del cibo light e fast tipico della bella stagione. Quanto agli ingredienti con cui abbinarlo, tonno mai senza… pomodoro: per 1 italiano su 3 (31%) è questo è l’ingrediente con cui viene più utilizzato in cucina. Subito dietro troviamo pasta (27%), riso (16%), uova (9%), peperoni (4%) e infine carciofi (3%).

Tirelli (Popai) sulla retorica del successo del cibo italiano nel retail internazionale

In margine al convegno Internazionalizzazione: nuove opportunità distributive per un mercato sempre più globale, organizzato da Popai Italia in collaborazione con Tuttofood e Ice alla fiera dell’ambientare chiusa da pochi giorni, abbiamo posto alcune domande a Daniele Tirelli, presidente dell’associazione che si occupa di retail a 360°.

Tirelli, grande conoscitore delle dinamiche dei rapporti tra distribuzione e industria e del mondo distributivo internazionale, in particolare americano, risponde ad alcune domande sul tema del successo del cibo italiano a livello internazionale e smonta quella che si potrebbe definire la retorica dell’export, ricordando che bisogna sempre confrontarsi con il mercato globale e con i suoi assiomi.

Perché un prodotto che in Italia ha una sua riconoscibilità, in un altro mercato rappresenta una specialità che poi va comunicata e supportata con adeguati azioni di marketing in uno stretto rapporto con i retailer.

 

 

Dagli USA la conferma del valore del cibo italiano: intervista a Pray di Kroger

Sono stati oltre 78 mila i visitatori dell’edizione di Tuttofood che si è chiusa oggi, con un incremento del 40,8% rispetto alla precedente edizione e del 78,7% per quanto riguarda i visitatori esteri.

Rilevante è il fatto che  2.100 top buyer internazionali selezionati hanno incontrato i 2.838 espositori, di cui 433 esteri, in rappresentanza di 7.000 marchi, in 11.790 appuntamenti prefissati tramite l’agenda online Expo Matching Program. Tanto da far dire al neo amministratore delegato di Fiera Milano Corrado Peraboni che “Tuttofood è ‘lo’ strumento per eccellenza per l’ulteriore internazionalizzazione dell’agroalimentare italiano. Grazie a Tuttofood, moltissime aziende medio-piccole di qualità hanno avuto accesso a mercati dove molto difficilmente avrebbero potuto farsi conoscere in altro modo. L’obiettivo dei 50 miliardi di export è sempre più alla portata del sistema food e noi stiamo facendo la nostra parte”.

Una survey qualitativa condotta proprio sui top buyer internazionali durante la manifestazione rivela che i prodotti italiani sono richiesti nel mondo, oltre che per l’appeal della nostra enogastronomia, anche perché hanno reputazione di prodotti naturali, sicuri e di qualità. Tra i mercati emergenti, indiani e cinesi sono i più sensibili al valore aggiunto di ingredienti all-Italian mentre i consumatori medio-orientali apprezzano soprattutto la naturalità. La ricerca della specialità originale e poco nota è invece il pallino di americani e nordeuropei.

Questo forte interesse per il cibo italiano è confermato da questa testimonianza di Kennet Pray, director di Kroger (2619 supermercati e 786 conveniente store negli Stati Uniti) per il quale i food lover americani sono fortemente atterrati dal cibo italiano, che è accessibile e semplice e, soprattutto la clientela upscale è alla costante ricerca di specialità di qualità.

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