Made in Italy, gli stranieri lo trovano sui social media

Il presente e il futuro del Made in Italy passano dai social, diventati il principale canale utilizzato dai consumatori stranieri per scoprire le eccellenze tricolori. A rivelarlo è “Made in Italy in the Social Media Age – Insights: Powered by Pulse Advertising”, studio internazionale condotto da Pulse Advertising in collaborazione con Eumetra su oltre 2.500 consumatori in cinque mercati chiave (Regno Unito, Germania, Francia, USA, Cina). Il 56% dei cinesi, il 44% degli americani, il 38% dei tedeschi, il 37% degli inglesi e il 35% dei francesi dipendono dai social come principale fonte per trovare prodotti e contenuti Made in Italy.
I dati mostrano una leadership inequivocabile in tutti i mercati analizzati – dichiara Paola Nannelli, Chief Sales Officer di Pulse Advertising (nella foto a sinistra) –. Anche nei mercati dove i media tradizionali restano forti, i social media occupano stabilmente la posizione n.1. Non è una tendenza: è la nuova realtà alla base del comportamento dei consumatori quando cercano prodotti Made in Italy”.
Il potenziale economico emerge ancora meglio da un’altra considerazione contenuta nella ricerca: la discovery social sembra essere direttamente correlata alla disponibilità a pagare prezzi premium, dichiarata dal 61% degli intervistati in Cina, dal 40% negli USA e dal 25-35% in Europa.

GIOVANI E INFLUENCER
La necessità di presidiare le piattaforme social è ancora più evidente con riguardo ai giovani, perché il 64,4% della fascia 15-25 anni utilizza Instagram ogni giorno, mentre addirittura il 70,9% fa la stessa cosa con Tik Tok. “I brand che ritardano la riallocazione dei budget rischiano di perdere i futuri acquirenti premium – avverte Alberto Stracuzzi, Direttore Ricerche di Mercato di Eumetra –. I dati generazionali mostrano lo schema dei prossimi dieci anni di consumo nel settore del lusso Made in Italy. Investire per primi crea vantaggi competitivi impossibili da replicare in seguito”.
Altro elemento fondamentale è il passaggio dalla creazione amatoriale a quella professionale, che apre nuove opportunità di partnership. Anche in questo caso i numeri sono inequivocabili: a creare contenuti è solo il 23% degli intervistati in Francia, mentre il 77% consuma contenuti professionali. La quota è ancora più bassa in altri Paesi: 15% in Germania, 18% negli USA, 12% in UK, 9% in Cina. Questa professionalizzazione si traduce in vantaggi strategici per i brand che collaborano con creator affermati e riconosciuti invece di puntare solo sulla reach organica.

ROTTA SULLA CINA
L’opportunità più convincente e immediata per i brand Made in Italy, secondo gli autori dello studio, è la Cina. Una valutazione legata alle dimensioni di quel mercato, dove il total trade vale 66 miliardi euro (+30% rispetto al 2022), il cross-border e-commerce cresce del 20% annuo, il live-shopping market è arrivato a 4,5 miliardi dollari nel 2024, con proiezioni a 24 miliardi entro il 2030.
Tra i vantaggi nel comportamento dei consumatori in Cina, la ricerca elenca il fatto che il 56% si fida delle raccomandazioni degli influencer (contro il 24% negli USA e il 15-20% in Europa); il 58% scopre il Made in Italy tramite i creator che segue; il 61% è disposto a pagare un premium price per prodotti italiani autentici.
L’Italia ha comunque un patrimonio in termine di immagine non trascurabile nei mercati analizzati, visto che un terzo dei consumatori negli USA (38%) e in Cina (32%) associa l’Italia esclusivamente al segmento del lusso, con il Regno Unito in linea con questa percezione premium (29%). Tra i marchi più citati emergono gerarchie chiare e anche sorprese: Armani e Ferrari restano ambasciatori globali del lusso italiano, mentre Barilla conquista una posizione di rilievo, soprattutto in Cina. Altri brand menzionati frequentemente sono Gucci, Dolce & Gabbana, Prada e Versace.

LE AZIONI DA METTERE IN CAMPO
Ma come dovrebbero muoversi le aziende e in particolare i Chief Marketing Officer per sfruttare i social in ottica export? La ricerca suggerisce una serie di azioni immediate. La prima è riallocare almeno il 35% dei budget dedicati alla discovery verso le piattaforme social, in linea con i comportamenti dei consumatori, destinando oltre il 55% ai mercati in cui la scoperta via social supera il 45%. I tassi di discovery sui social vanno poi verificati mensilmente per ottimizzare gli investimenti. Un secondo spazio di intervento è quello delle partnership con i creator: in Cina la priorità è collaborare con i mega-influencer sfruttando il vantaggio di fiducia del 56%, mentre nei Paesi occidentali bisogna costruire reti di creator professionali man mano che i mercati maturano.
Il terzo punto riguarda i consumatori di domani: è necessario dare priorità a TikTok e Instagram per intercettare i futuri acquirenti del lusso; adeguare i budget ai pattern di utilizzo quotidiano dei diversi social, con l’obiettivo di costruire strategie social-first, aggiudicandosi un vantaggio strategico sui concorrenti che restano legati ai canali tradizionali. La quarta e ultima azione suggerita consiste nel focalizzare le campagne premium sui mercati con alta discovery social, valorizzando il concetto di Made in Italy.
In sintesi, i brand tradizionali italiani dovrebbero trasformare i social media da centro di costo a driver di profitto. “Il Made in Italy rappresenta un patrimonio di valore straordinario a livello globale – conclude Claudio Burchi, Managing Director di Pulse Advertising Italia (nella foto in alto) – ma per sbloccarne il pieno potenziale di profitto serve un investimento immediato nei social media. Ritardare significa competere per i consumatori di ieri con i canali di ieri”.