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Export formaggi in Giappone: nel 2024 +14% a volume e +11% a valore

Cresce l’export dei formaggi italiani in Giappone: nel 2024 le nostre produzioni casearie mettono a segno un +14% a volume e un + 11% a valore, a fronte di 12.700 tonnellate esportate nel 2024 – di cui il 40% è Dop – per un valore di 106,9 milioni di euro. Complessivamente l’export dei formaggi Dop e Igp nel Paese del Sol Levante totalizza 53,4 milioni di euro. A fare da traino sono Grana Padano Dop e Parmigiano Reggiano Dop, che insieme registrano un +12% a volume (quasi 2.000 tonnellate esportate per oltre 22 milioni di euro), e i grattugiati con un +87% (1.400 tonnellate esportate). Ma anche Mozzarella di Bufala Campana Dop e Gorgonzola Dop, rispettivamente con 800 e 510 tonnellate.

Lo fa sapere Afidop, Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp, in occasione della 50° edizione di Foodex Japan 2025, la più importante manifestazione fieristica agroalimentare in Giappone, in programma a Tokyo dall’11 al 14 marzo 2025. Per l’occasione l’associazione partecipa con i suoi formaggi Asiago Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Pecorino Romano Dop e Piave Dop alla serata “The Italian aperitivo”, organizzata il 13 marzo presso l’ambasciata italiana da ICE e Fiere di Parma. All’evento parteciperanno, tra gli altri, il presidente Afidop, Antonio Auricchio, e l’ambasciatore italiano in Giappone, Gianluigi Benedetti.

Il 2024 è stato un anno più che positivo: gli aumenti innescati dal deprezzamento dello Yen nei confronti delle valute straniere nel 2023 non hanno intaccato l’affezione dei giapponesi nei confronti dei nostri formaggi Dop – dichiara Antonio Auricchio, Presidente di Afidop –. Merito della nostra varietà di stili, consistenze e gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro versatilità in cucina e del fascino del Made in Italy, da sempre sinonimo di saperi antichi, e di una filiera che offre garanzie di qualità e autenticità. Benché il formaggio non sia parte integrante della cultura giapponese, grazie ai 5.000 ristoranti italiani a Tokyo e a piatti occidentali che spopolano nel Paese come la cacio e pepe, le nostre produzioni casearie stanno vivendo una crescita significativa in Giappone. Il consumo di formaggio è più che raddoppiato dal 1990 ad oggi superando le 300.000 tonnellate, con un trend crescente sui formaggi freschi. Per il futuro vediamo ampi margini di crescita”.

Olio, è allarme speculazioni per invasione del prodotto tunisino

L’invasione di olio tunisino a prezzi stracciati alimenta il rischio di speculazioni ai danni dei produttori nazionali, rendendo necessario alzare la guardia contro il pericolo frodi. A denunciarlo sono Coldiretti e Unaprol in riferimento al fatto che l’Italia diventato è il principale importatore di prodotto dalla Tunisia, con ben 1/3 del totale giunto nel nostro Paese nei primi due mesi di campagna olivicola, proprio in concomitanza con l’arrivo dell’olio nuovo nazionale. Oggi l’olio tunisino viene venduto sotto i 5 euro al litro, con una pressione al ribasso sulle quotazioni di quello italiano che punta a costringere gli olivicoltori nazionali a svendere il proprio al di sotto dei costi di produzione. Una concorrenza sleale, sia considerata l’alta qualità del prodotto Made in Italy, sia il fatto che nel Paese africano non vigono le stesse regole in materia di utilizzo di pesticidi e di rispetto delle norme sul lavoro vigente nell’Unione Europea. A favorire le importazioni dalla Tunisia è anche l’accordo stipulato dalla Ue che prevede l’importazione annuale, nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre, di 56.700 tonnellate di oli vergini d’oliva, nella cui categoria merceologica sono compresi olio extravergine d’oliva, olio vergine d’oliva e olio lampante, senza applicazione di dazi doganali.

“Per tutelare gli olivicoltori italiani occorre rivedere il periodo di applicazione dell’accordo tra Ue e Tunisia, restringendolo al periodo 1° aprile – 30 settembre ed evitando così che l’olio magrebino arrivi proprio in concomitanza di quello “nuovo” nazionale” sottolinea David Granieri, Presidente di Unaprol.

L’arrivo di olio straniero low cost alimenta peraltro anche il rischio frodi – ricordano Coldiretti e Unaprol -, con il prodotto estero spacciato per italiano. Da qui la richiesta dell’istituzione di un sistema telematico di registrazione e tracciabilità unico a livello europeo per proteggere l’olio extravergine d’oliva e garantire trasparenza lungo tutta la filiera produttiva, come scritto in una recente lettera al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare.

L’olio d’oliva rappresenta un comparto strategico per il Made in Italy agroalimentare, grazie all’impegno delle circa 400mila aziende agricole nazionali per garantire un prodotto dagli standard elevatissimi, con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo, secondo l’analisi Coldiretti. L’Italia ha la leadership in Europa per il maggior numero di oli extravergini a denominazione in Europa (43 Dop e 7 Igp).

Dieta mediterranea, un patrimonio italiano da tutelare

La dieta mediterranea vince la sfida delle diete 2025. Ad annunciarlo è la Coldiretti sulla base del nuovo best diets ranking elaborato dai media statunitense U.S. News & World’s Report’s, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori. La dieta mediterranea ha fatto registrare un punteggio di 4,8 su 5, davanti alla dash contro l’ipertensione (seconda con 4,6) e alla flexitariana, che si basa su prodotti di origine vegetale ma senza escludere del tutto la carne, terza con 4,5. Nella top five seguono la mind, che previene e riduce il declino cognitivo (4,4), e la mayo clinic (4,0) un programma di dodici settimane che enfatizza frutta, verdura e cereali integrali. La dieta mediterranea aiuta a prevenire molte patologie come il diabete, l’obesità e la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari e osteoarticolari o i tumori.

Facile da seguire, la dieta incoraggia un consumo moderato di grassi sani, come l’olio d’oliva, e limita i grassi malsani, come i grassi saturi. È anche benefica per la salute cardiovascolare, poiché è stata associata a una riduzione della pressione sanguigna, del colesterolo e del peso corporeo, nonché a miglioramenti generali della salute del cuore e a un abbassamento dei tassi di malattie cardiache e ictus. L’abbondanza di frutti di mare nutrienti, noci, semi, olio extravergine, fagioli, verdure a foglia verde e cereali integrali nella dieta mediterranea offre anche numerosi vantaggi per il cervello. In particolare, gli antociani contenuti nelle bacche, nel vino e nel cavolo rosso sono considerati particolarmente benefici per la salute. I suoi benefici furono studiati dallo scienziato americano Ancel Keys che visse per quarant’anni a Pioppi, frazione del Comune di Pollica, oggi “capitale” della dieta mediterranea.

Un patrimonio del Made in Italy messo a rischio dalla diffusione dei cibi ultra-trasformati che mette a rischio la salute, soprattutto delle giovani generazioni, e alimenta l’obesità, come sostenuto unanimemente dalla scienza medica. Un fenomeno che va fermato – sottolinea Coldiretti – aumentando le ore di educazione alimentare nelle scuole e mettendo in campo campagne di sensibilizzazione per far conoscere i pericoli associati all’assunzione sistematica e continuativa di cibo spazzatura, come chiesto dall’82% dei genitori italiani, secondo un’indagine Coldiretti/Censis. In particolare serve definire forme di etichettatura per evidenziare che un determinato prodotto appartiene alla categoria degli ultra-trasformati e vietarne del tutto l’uso nelle mense scolastiche e nei distributori automatici negli edifici pubblici.

Exploit per la piadina romagnola Igp: 62 milioni di euro nel 2023, +6,2%

La piadina romagnola Igp piace sempre di più: a dirlo è il Rapporto Ismea-Qualivita 2024 sulla Dop Economy presentato nei giorni scorsi a Roma. Secondo i dati riferiti all’anno 2023, la piadina romagnola Igp oltrepassa per la prima volta la soglia dei 60 milioni di euro in valore, toccando quota 62 milioni con un +6,2% sull’anno precedente. Si tratta di una crescita costante che nell’ultimo triennio ha visto incrementare la piadina certificata del +17%, passando dai 53 milioni del 2021 ai 62 milioni del 2023.

Il Rapporto evidenzia come la piadina romagnola Igp non solo si conferma leader in Romagna dei prodotti certificati ma occupa anche il secondo posto nazionale nella voce “Altre categorie Dop e Igp”, quella relativa ai prodotti panificati, pasta, pasticceria e cioccolato. Meglio di lei fa solo la pasta di Gragnano Igp. Riguardo invece alla sua categoria, dei panificati, si conferma leader nel settore con i suoi 62 milioni di euro, sui 115 milioni totali. Infine, per quanto riguarda il contesto regionale, il “pane della Romagna” ribadisce il quinto posto assoluto dietro solo ai colossi Parmigiano Reggiano Dop, Prosciutto di Parma Dop, Aceto Balsamico di Modena Igp e Mortadella di Bologna Igp.

“Quest’anno festeggiamo i dieci anni dall’ottenimento dell’Igp e questi dati ci spingono a proseguire nella direzione della valorizzazione del prodotto simbolo della Romagna – spiega Alfio Biagini, Presidente del Consorzio di Promozione e Tutela della Piadina Romagnola –. In dieci anni la produzione di piadina romagnola certificata è passata dalle iniziali 6.778 tonnellate nel 2014 alle 25.675 tonnellate dello scorso anno. È evidente che parliamo di un percorso condiviso con il territorio nella consapevolezza che tutelare la piadina romagnola significa valorizzare un intero patrimonio di valori fatto di storia, tradizione e cultura racchiusi in un unico prodotto”.

Simest, nuova riserva da 200 milioni per investimenti nei Balcani Occidentali

Simest, Società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti per l’internazionalizzazione delle imprese, annuncia l’operatività della nuova riserva da 200 milioni di euro per favorire gli investimenti italiani in un’area chiave per il Made in Italy come quella dei Balcani Occidentali (Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord – FYROM). Le risorse sono veicolate attraverso il Fondo di finanza agevolata 394/81 gestito in convenzione col Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

La liquidità è dedicata alle imprese con interesse diretto nell’Area, cioè a quelle imprese che esportano o importano dai Balcani Occidentali o che sono presenti – direttamente o tramite la filiera – in questa regione. Le condizioni prevedono un tasso d’interesse particolarmente agevolato (0,5% luglio ‘24) e una quota a fondo perduto fino al 10%. Inoltre, le imprese interessate ad accedere ai finanziamenti agevolati sono esentate dalla presentazione di garanzie. Le risorse potranno essere utilizzate per sei differenti tipologie d’investimento: inserimento sui mercati; transizione digitale ed ecologica con possibilità di destinare fino all’80% del finanziamento a spese per il rafforzamento patrimoniale; fiere ed eventi; e-commerce; certificazioni e consulenza; temporary export manager.

La nuova riserva va ad aggiungersi all’analoga misura, sempre da 200 milioni di euro, attivata nel luglio 2023 e andata completamente esaurita in favore di 455 investimenti nella regione.

Cresce la produzione di Parmigiano Reggiano, segnale positivo per il made in Italy

Il Parmigiano Reggiano è il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna: a confermarlo sono i nuovi dati forniti dal Consorzio in occasione della presentazione della 58esima Fiera del Parmigiano Reggiano a Casina che si terrà dal 2 al 5 agosto. Nel 2023 la produzione degli 83 caseifici di montagna della Dop infatti ha superato le 861.000 forme, con un aumento del +11% rispetto al 2016, anno in cui è stata inaugurata la politica del Consorzio di rilancio e valorizzazione della produzione di montagna. In crescita anche la produzione di latte, con oltre 419.000 tonnellate (+9,3% sul 2016). Inoltre, il Parmigiano Reggiano “Prodotto di Montagna”, la certificazione lanciata dal Consorzio nel 2016 per dare maggiore sostenibilità allo sviluppo di quest’area della zona di produzione e offrire ai consumatori garanzie aggiuntive legate all’origine e alla qualità del formaggio, nel 2022 ha raggiunto le 228.000 forme, con un aumento del +28% sul 2016.

Tutti forti segnali che la politica del Consorzio continua a invertire una tendenza alla decrescita che aveva colpito il comparto fino al 2014. Nel decennio 2000-2010, infatti, nei territori di montagna della zona di origine si è assistito alla chiusura di ben 60 caseifici e a una riduzione del 10% della produzione del latte. Deficit che è stato azzerato a partire dal 2014 grazie all’avvio del Piano di Regolazione Offerta che, tra le altre misure, ha previsto sia sconti specifici per produttori e caseifici situati in zone di montagna, sia il bacino “montagna” per le quote latte. Nel 2023, dunque, più del 21% della produzione totale si è concentrata negli 83 caseifici di montagna sparsi tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna a sinistra del fiume Reno, che impiegano oltre 800 allevatori. Ciò ha reso possibile il mantenimento dell’agricoltura in zone altrimenti abbandonate e ha contribuito allo sviluppo di una società modernamente agricola e di un paesaggio riconoscibile e apprezzato sia dai suoi abitanti, sia dal circuito del turismo di qualità. Altro segnale positivo è rappresentato dai cambiamenti generazionali all’interno dei caseifici: l’età media dei produttori si è abbassata dai 57 anni di media prima del 2016 ai 30-40 di oggi, segnale che manifesta la fiducia che i giovani investono nel Parmigiano Reggiano.

La presentazione dei dati è avvenuta in un momento particolare per il Consorzio: il 27 luglio si sono festeggiati i 90 anni della fondazione dell’organismo che ha la funzione di tutelare, difendere e promuovere questo prodotto millenario, le cui radici affondano nel Medioevo, salvaguardandone la tipicità e pubblicizzandone la conoscenza nel mondo. Proprio questo è stato il giorno scelto dal Consorzio per sancire l’apertura dell’ufficio (corporation) negli Stati Uniti, primo mercato estero della Dop (avvenuta grazie alla collaborazione dello Studio Tarter Krinsky & Drogin per gli aspetti legali USA, dello Studio Funaro & Co. per gli aspetti fiscali USA, e dello Studio Bird & Bird per gli aspetti legali e fiscali crossborder), per avere una maggiore efficacia nelle operazioni di promozione e di tutela nel mercato a stelle e strisce.

“Il Parmigiano Reggiano contribuisce a fortificare l’economia e a preservare l’unicità dell’Appennino emiliano. È il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna, con più del 21% della produzione totale concentrata in ben 83 caseifici sui 292 consorziati. La differenza delle Dop rispetto a tante altre realtà economiche è che l’attività non può essere delocalizzata, e pertanto il fatturato diventa automaticamente “reddito” per la zona di origine. Se a ciò aggiungiamo che nel 2021 un turista straniero su due ha visitato il nostro Paese in funzione dell’enogastronomia, risulta lampante l’importanza della Dop per lo sviluppo del turismo esperienziale in questi luoghi. Per il Consorzio, sono il territorio e la comunità che lo abita il bene più prezioso e il nostro intento è quello di impegnarci sempre di più per preservarli ed essere un modello di sostenibilità ambientale, economica e sociale” ha dichiarato Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio.

“La produzione nelle zone di montagna è da sempre una delle caratteristiche salienti del Parmigiano Reggiano. È stato fondamentale che il Consorzio introducesse interventi per la diffusione e la valorizzazione del “Prodotto di Montagna”, e che continui a farlo anche negli anni a venire: queste aree soffrono di condizioni svantaggiate e maggiori costi di produzione, ma la permanenza di una solida produzione agricola-zootecnica rappresenta un pilastro economico e sociale di interesse non solo per la comunità locale, ma per tutti. Preso atto dei risultati raggiunti con il consolidamento della lavorazione del Parmigiano Reggiano nelle zone dell’Appennino, ora la sfida è riuscire a rafforzare il valore commerciale del “Prodotto di Montagna” e promuoverne il valore aggiunto, per avere un posizionamento nel mercato che riesca a rendere sostenibile tale produzione nel tempo” ha aggiunto Guglielmo Garagnani, Vicepresidente del Consorzio.

Americani innamorati della dieta mediterranea: vola l’export di formaggi, vino e olio

Volano le esportazioni negli Stati Uniti dei prodotti-simbolo dello stile alimentare italiano che negli ultimi dieci anni hanno fatto registrare aumenti in valore anche a tripla cifra: dal +67% dell’olio d’oliva al +193% della pasta. Il dato emerge da una recente analisi di Coldiretti su dati Istat elaborata per il Summer Fancy Food 2024 e diffusa in occasione dell’iniziativa al Farmers Market Grow Nyc di Union Square a New York, nella prima giornata dedicata alla Dieta mediterranea negli Usa, alla presenza del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, dell’Amministratore Delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia e del Direttore di Campagna Amica Carmelo Troccoli.

Nel più famoso mercato contadino della Grande Mela, insieme al Consorzio mozzarella di bufala campana Dop e a quello del Grana Padano Dop, gli agricoltori della Coldiretti si sono messi all’opera coinvolgendo le famiglie newyorchesi nella preparazione della pasta fatta in casa e nella conoscenza di alcune delle ricette della tradizione contadina che esaltano i prodotti del vero made in Italy. Una lezione di dieta mediterranea con la speciale partecipazione di Mimmo La Vecchia, uno degli storici casari italiani che, per la prima volta, ha portato a New York l’arte della vera mozzarella di bufala, facendo vedere dal vivo le diverse fasi di lavorazione di uno dei prodotti principali del nostro made in Italy promosso dal Consorzio di tutela.

Le vendite di pummarola&co. negli States sono praticamente triplicate (+133%) ma anche i formaggi, dal Parmigiano Reggiano dop al Grana Padano dop, sono quasi raddoppiate con +86%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. E anche il vino è sempre più presente sulle tavole americane con un incremento del 63% in valore. Ma il prodotto simbolo resta l’olio d’oliva, con gli Stati Uniti che hanno scavalcato la Spagna al secondo posto tra i maggiori consumatori mondiali, con 375mila tonnellate, ed entro il 2030 potrebbero superare addirittura l’Italia.

Export del cibo italiano alle stelle, è boom in Germania, UK e Stati Uniti

Le esportazioni di cibo Made in Italy crescono il doppio (+19%) del dato generale ad aprile e fanno segnare un nuovo storico record nonostante le tensioni internazionali, con guerre e blocchi che ostacolano i transiti commerciali. È quanto emerge da una recente analisi Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero del quarto mese del 2024 nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente.

Tra i principali Paesi acquirenti, la crescita più consistente si registra sul mercato statunitense, il primo sbocco extra Ue, con un aumento del 29% delle vendite di alimentari tricolori – rileva Coldiretti –, ma l’aumento è a doppia cifra anche in Gran Bretagna (+17%) e in Germania (con un +15%). L’agroalimentare nazionale si conferma pure e in Francia, dove si registra un +9%. Tra gli altri mercati, da segnalare la crescita del 17% in Cina e del 40% in Russia. Se si guarda il dato del quadrimestre, le esportazioni agroalimentari totale hanno raggiunto il valore di 22,6 miliardi di euro, portando in positivo il saldo commerciale rispetto alle importazioni.

Un risultato che potrebbe migliorare il record fatto segnare nel 2023, per un valore che ha superato i 64 miliardi di euro, secondo l’analisi Coldiretti. Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve però rimuovere gli ostacoli commerciali ma anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra sud e nord del paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. L’obiettivo – conclude Coldiretti – è portare il valore annuale dell’export agroalimentare a 100 miliardi nel 2030.

Italian sounding, il mercato del falso made in Italy vale più dell’export

La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’italian sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). A rivelarlo sono i dati della ricerca di The European House – Ambrosetti, realizzata in occasione dell’ottavo forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, che inoltre evidenzia come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.

“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di italian sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)” spiega Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “La tutela del Made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”.

Come analizzato nel dettaglio da The European House-Ambrosetti, nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export food&beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di export agroalimentare di vero Made in Italy. “L’italian sounding è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House – Ambrosetti.

C’è anche chi cerca il Made In Italy autentico
In Cina, Giappone e Canada mediamente 7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da The European House – Ambrosetti, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.

Ragù, parmigiano e aceto balsamico sul podio delle imitazioni
Ragù (61,4% italian sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% italian sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% italian sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).

“L’italian sounding si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero. Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto” conclude Valerio de Molli.

La filiera agroalimentare italiana cresce e sfiora i 600 miliardi di euro

Continua a crescere il peso della filiera agroalimentare estesa (che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione) nell’economia italiana: vale ormai 586,9 miliardi di euro, l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano. Secondo i dati illustrati da The European House- Ambrosetti durante la presentazione dell’8° edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il food & beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che si terrà Bormio il prossimo 7 e 8 giugno, la filiera agroalimentare estesa nel 2022 ha attirato oltre 25 miliardi di euro di investimenti grazie al lavoro di 3,7 milioni di addetti.

“In un contesto di crisi permanente che ci accompagna dal 2020 tra emergenza sanitaria e tensioni internazionali, è la qualità della produzione agroalimentare Made in Italy il fattore che ha permesso al settore di continuare a crescere: siamo il primo Paese in Unione Europea per prodotti certificati (890 in totale), 326 dal mondo alimentare (valgono 8,9 miliardi di euro) e 564 dal settore vinicolo per oltre 11 miliardi di euro” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

Export in crescita
A fine 2023 le esportazioni agroalimentari italiane (agricoltura + prodotto trasformato) hanno raggiunto il valore record di 62,2 miliardi di euro, in media una crescita del 6,4% all’anno dal 2010 ad oggi e un incremento del 69% rispetto al 2015. Il settore del food and beverage contribuisce per 53,4 mld di euro, mentre il comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. “Nel 2010 l’agroalimentare incideva per l’8,2% sul totale delle esportazioni italiane, mentre nel 2023 ha sfiorato il 10% (9,9) in crescita di 1.7 punti percentuali negli ultimi 13 anni” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House-Ambrosetti. Numeri che posizionano oggi l’agroalimentare come primo settore manifatturiero in Italia per valore aggiunto generato con oltre 66 miliardi, più della produzione di macchinari e apparecchiature (43) e prodotti in metallo (37). Rispetto al PIL i 37 miliardi generati dall’agricoltura e i 29 da alimentare e bevande rappresentano il 3,8%, più di Germania (2,6%) e Regno Unito (2,1%), ma meno di Francia (4,5%) e Spagna, il paese con l’incidenza più alta: 5,2%.

Italia prima al mondo per quota castagne
Nonostante un lieve calo delle esportazioni dello 0,8%, il vino si conferma nell’ultimo anno il primo prodotto agroalimentare più venduto all’estero (7,8 mld euro) con una quota del 12,5% sul totale export agrifood. Alle spalle ci sono altri prodotti in buona crescita: i lavorati a base di farine, tra cui la pasta, che valgono 6,9 miliardi di fatturato all’estero, hanno registrato un +7,9% e hanno sorpassato i prodotti lattiero-caseari che si fermano a 6 miliardi (in crescita del 7,1%) oltre che frutta e vegetali trasformati (5,7 miliardi e crescita a doppia cifra nell’ultimo anno:+11,1%). L’export italiano è da primato mondiale per diverse categorie di prodotto: siamo primi per quota di mercato di pasta (45%), amari e distillati (42%), passata di pomodoro (27%), castagne (23%) e verdure lavorate dove l’Italia guida il mercato con il 20% di quota. La Penisola è anche al secondo posto nel mercato globale del vino (20%) dopo la Francia, della farina di riso (20%), delle nocciole (15%), delle mele (13%) e dei kiwi (12%). “L’Italia, oltre a essere tra i maggiori esportatori di prodotti agroalimentari è il primo Paese per valore unitario del prodotto che esporta tra i competitor europei: se nel 2023 il valore medio di un prodotto italiano è di 244 euro per 100kg, i prodotti spagnoli si fermano a 210 euro, quelli tedeschi a 168 euro per quintale e i francesi a 135 euro” ha sottolineato Benedetta Brioschi.

Volano formaggi e carni
Come emerge dai dati TEHA, quella del vino si conferma la filiera di produzione certificata italiana a maggior valore grazie a 11,3 miliardi di euro fatturati nel 2022 (+4,6%) e precede quella dei formaggi (5,2 miliardi) che cresce a doppia cifra: +11,6%. Molto importante anche l’incremento del fatturato di prodotti a base di carne (+7,5% a 2,3 miliardi di euro) così come quello di paste alimentari (+9,2% per 268 milioni in totale), carni fresche (5,0%, 103 milioni) e panetteria e pasticceria (+5,1%, 105 milioni). In negativo, invece, il settore dell’olio d’oliva con un fatturato in diminuzione del 4,0% a 85 milioni di euro e dell’aceto balsamico, in calo del 5,0%, ma a quota 387 milioni di euro.

Lombardia, la regione dei primati
Nel 2022, la filiera agroalimentare lombarda ha raggiunto un fatturato di 48 miliardi di euro, grazie a un aumento del 34% rispetto al 2015, confermandosi la prima regione in Italia per fatturato. Secondo i dati elaborati da The European House-Ambrosetti la regione si distingue anche nel settore delle produzioni certificate, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel 2022, aumentato del 15% rispetto al 2021. Eccellenza anche nell’export: nel 2023 ha raggiunto vendite all’estero per 10,4 miliardi di euro, registrando un incremento dell’84% rispetto al 2015 e dimostrando la sua capacità di competere su scala globale. L’agroalimentare occupa 126.000 lavoratori in Lombardia e supporta la generazione di un valore aggiunto della filiera sia a monte, con 27,5 miliardi di euro, sia a valle, con 21,5 miliardi di euro, confermando la sua posizione di regione leader nel settore. La regione è anche un punto di riferimento per la qualità delle sue produzioni, essendo la terza in Italia per numero di produzioni certificate, con 75 prodotti DOP e IGP con Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi classificate tra le prime 20 in Italia per il valore della produzione certificata.

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