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Simest, nuova riserva da 200 milioni per investimenti nei Balcani Occidentali

Simest, Società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti per l’internazionalizzazione delle imprese, annuncia l’operatività della nuova riserva da 200 milioni di euro per favorire gli investimenti italiani in un’area chiave per il Made in Italy come quella dei Balcani Occidentali (Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord – FYROM). Le risorse sono veicolate attraverso il Fondo di finanza agevolata 394/81 gestito in convenzione col Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

La liquidità è dedicata alle imprese con interesse diretto nell’Area, cioè a quelle imprese che esportano o importano dai Balcani Occidentali o che sono presenti – direttamente o tramite la filiera – in questa regione. Le condizioni prevedono un tasso d’interesse particolarmente agevolato (0,5% luglio ‘24) e una quota a fondo perduto fino al 10%. Inoltre, le imprese interessate ad accedere ai finanziamenti agevolati sono esentate dalla presentazione di garanzie. Le risorse potranno essere utilizzate per sei differenti tipologie d’investimento: inserimento sui mercati; transizione digitale ed ecologica con possibilità di destinare fino all’80% del finanziamento a spese per il rafforzamento patrimoniale; fiere ed eventi; e-commerce; certificazioni e consulenza; temporary export manager.

La nuova riserva va ad aggiungersi all’analoga misura, sempre da 200 milioni di euro, attivata nel luglio 2023 e andata completamente esaurita in favore di 455 investimenti nella regione.

Cresce la produzione di Parmigiano Reggiano, segnale positivo per il made in Italy

Il Parmigiano Reggiano è il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna: a confermarlo sono i nuovi dati forniti dal Consorzio in occasione della presentazione della 58esima Fiera del Parmigiano Reggiano a Casina che si terrà dal 2 al 5 agosto. Nel 2023 la produzione degli 83 caseifici di montagna della Dop infatti ha superato le 861.000 forme, con un aumento del +11% rispetto al 2016, anno in cui è stata inaugurata la politica del Consorzio di rilancio e valorizzazione della produzione di montagna. In crescita anche la produzione di latte, con oltre 419.000 tonnellate (+9,3% sul 2016). Inoltre, il Parmigiano Reggiano “Prodotto di Montagna”, la certificazione lanciata dal Consorzio nel 2016 per dare maggiore sostenibilità allo sviluppo di quest’area della zona di produzione e offrire ai consumatori garanzie aggiuntive legate all’origine e alla qualità del formaggio, nel 2022 ha raggiunto le 228.000 forme, con un aumento del +28% sul 2016.

Tutti forti segnali che la politica del Consorzio continua a invertire una tendenza alla decrescita che aveva colpito il comparto fino al 2014. Nel decennio 2000-2010, infatti, nei territori di montagna della zona di origine si è assistito alla chiusura di ben 60 caseifici e a una riduzione del 10% della produzione del latte. Deficit che è stato azzerato a partire dal 2014 grazie all’avvio del Piano di Regolazione Offerta che, tra le altre misure, ha previsto sia sconti specifici per produttori e caseifici situati in zone di montagna, sia il bacino “montagna” per le quote latte. Nel 2023, dunque, più del 21% della produzione totale si è concentrata negli 83 caseifici di montagna sparsi tra le province di Parma, Reggio Emilia, Modena e Bologna a sinistra del fiume Reno, che impiegano oltre 800 allevatori. Ciò ha reso possibile il mantenimento dell’agricoltura in zone altrimenti abbandonate e ha contribuito allo sviluppo di una società modernamente agricola e di un paesaggio riconoscibile e apprezzato sia dai suoi abitanti, sia dal circuito del turismo di qualità. Altro segnale positivo è rappresentato dai cambiamenti generazionali all’interno dei caseifici: l’età media dei produttori si è abbassata dai 57 anni di media prima del 2016 ai 30-40 di oggi, segnale che manifesta la fiducia che i giovani investono nel Parmigiano Reggiano.

La presentazione dei dati è avvenuta in un momento particolare per il Consorzio: il 27 luglio si sono festeggiati i 90 anni della fondazione dell’organismo che ha la funzione di tutelare, difendere e promuovere questo prodotto millenario, le cui radici affondano nel Medioevo, salvaguardandone la tipicità e pubblicizzandone la conoscenza nel mondo. Proprio questo è stato il giorno scelto dal Consorzio per sancire l’apertura dell’ufficio (corporation) negli Stati Uniti, primo mercato estero della Dop (avvenuta grazie alla collaborazione dello Studio Tarter Krinsky & Drogin per gli aspetti legali USA, dello Studio Funaro & Co. per gli aspetti fiscali USA, e dello Studio Bird & Bird per gli aspetti legali e fiscali crossborder), per avere una maggiore efficacia nelle operazioni di promozione e di tutela nel mercato a stelle e strisce.

“Il Parmigiano Reggiano contribuisce a fortificare l’economia e a preservare l’unicità dell’Appennino emiliano. È il più importante prodotto Dop ottenuto in montagna, con più del 21% della produzione totale concentrata in ben 83 caseifici sui 292 consorziati. La differenza delle Dop rispetto a tante altre realtà economiche è che l’attività non può essere delocalizzata, e pertanto il fatturato diventa automaticamente “reddito” per la zona di origine. Se a ciò aggiungiamo che nel 2021 un turista straniero su due ha visitato il nostro Paese in funzione dell’enogastronomia, risulta lampante l’importanza della Dop per lo sviluppo del turismo esperienziale in questi luoghi. Per il Consorzio, sono il territorio e la comunità che lo abita il bene più prezioso e il nostro intento è quello di impegnarci sempre di più per preservarli ed essere un modello di sostenibilità ambientale, economica e sociale” ha dichiarato Nicola Bertinelli, Presidente del Consorzio.

“La produzione nelle zone di montagna è da sempre una delle caratteristiche salienti del Parmigiano Reggiano. È stato fondamentale che il Consorzio introducesse interventi per la diffusione e la valorizzazione del “Prodotto di Montagna”, e che continui a farlo anche negli anni a venire: queste aree soffrono di condizioni svantaggiate e maggiori costi di produzione, ma la permanenza di una solida produzione agricola-zootecnica rappresenta un pilastro economico e sociale di interesse non solo per la comunità locale, ma per tutti. Preso atto dei risultati raggiunti con il consolidamento della lavorazione del Parmigiano Reggiano nelle zone dell’Appennino, ora la sfida è riuscire a rafforzare il valore commerciale del “Prodotto di Montagna” e promuoverne il valore aggiunto, per avere un posizionamento nel mercato che riesca a rendere sostenibile tale produzione nel tempo” ha aggiunto Guglielmo Garagnani, Vicepresidente del Consorzio.

Americani innamorati della dieta mediterranea: vola l’export di formaggi, vino e olio

Volano le esportazioni negli Stati Uniti dei prodotti-simbolo dello stile alimentare italiano che negli ultimi dieci anni hanno fatto registrare aumenti in valore anche a tripla cifra: dal +67% dell’olio d’oliva al +193% della pasta. Il dato emerge da una recente analisi di Coldiretti su dati Istat elaborata per il Summer Fancy Food 2024 e diffusa in occasione dell’iniziativa al Farmers Market Grow Nyc di Union Square a New York, nella prima giornata dedicata alla Dieta mediterranea negli Usa, alla presenza del Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, dell’Amministratore Delegato di Filiera Italia Luigi Scordamaglia e del Direttore di Campagna Amica Carmelo Troccoli.

Nel più famoso mercato contadino della Grande Mela, insieme al Consorzio mozzarella di bufala campana Dop e a quello del Grana Padano Dop, gli agricoltori della Coldiretti si sono messi all’opera coinvolgendo le famiglie newyorchesi nella preparazione della pasta fatta in casa e nella conoscenza di alcune delle ricette della tradizione contadina che esaltano i prodotti del vero made in Italy. Una lezione di dieta mediterranea con la speciale partecipazione di Mimmo La Vecchia, uno degli storici casari italiani che, per la prima volta, ha portato a New York l’arte della vera mozzarella di bufala, facendo vedere dal vivo le diverse fasi di lavorazione di uno dei prodotti principali del nostro made in Italy promosso dal Consorzio di tutela.

Le vendite di pummarola&co. negli States sono praticamente triplicate (+133%) ma anche i formaggi, dal Parmigiano Reggiano dop al Grana Padano dop, sono quasi raddoppiate con +86%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat. E anche il vino è sempre più presente sulle tavole americane con un incremento del 63% in valore. Ma il prodotto simbolo resta l’olio d’oliva, con gli Stati Uniti che hanno scavalcato la Spagna al secondo posto tra i maggiori consumatori mondiali, con 375mila tonnellate, ed entro il 2030 potrebbero superare addirittura l’Italia.

Export del cibo italiano alle stelle, è boom in Germania, UK e Stati Uniti

Le esportazioni di cibo Made in Italy crescono il doppio (+19%) del dato generale ad aprile e fanno segnare un nuovo storico record nonostante le tensioni internazionali, con guerre e blocchi che ostacolano i transiti commerciali. È quanto emerge da una recente analisi Coldiretti sui dati Istat relativi al commercio estero del quarto mese del 2024 nel confronto con lo stesso periodo dell’anno precedente.

Tra i principali Paesi acquirenti, la crescita più consistente si registra sul mercato statunitense, il primo sbocco extra Ue, con un aumento del 29% delle vendite di alimentari tricolori – rileva Coldiretti –, ma l’aumento è a doppia cifra anche in Gran Bretagna (+17%) e in Germania (con un +15%). L’agroalimentare nazionale si conferma pure e in Francia, dove si registra un +9%. Tra gli altri mercati, da segnalare la crescita del 17% in Cina e del 40% in Russia. Se si guarda il dato del quadrimestre, le esportazioni agroalimentari totale hanno raggiunto il valore di 22,6 miliardi di euro, portando in positivo il saldo commerciale rispetto alle importazioni.

Un risultato che potrebbe migliorare il record fatto segnare nel 2023, per un valore che ha superato i 64 miliardi di euro, secondo l’analisi Coldiretti. Per sostenere il trend di crescita dell’enogastronomia nazionale serve però rimuovere gli ostacoli commerciali ma anche agire sui ritardi strutturali dell’Italia e sbloccare tutte le infrastrutture che migliorerebbero i collegamenti tra sud e nord del paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo. L’obiettivo – conclude Coldiretti – è portare il valore annuale dell’export agroalimentare a 100 miliardi nel 2030.

Italian sounding, il mercato del falso made in Italy vale più dell’export

La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’italian sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). A rivelarlo sono i dati della ricerca di The European House – Ambrosetti, realizzata in occasione dell’ottavo forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, che inoltre evidenzia come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.

“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di italian sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)” spiega Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “La tutela del Made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”.

Come analizzato nel dettaglio da The European House-Ambrosetti, nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export food&beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di export agroalimentare di vero Made in Italy. “L’italian sounding è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House – Ambrosetti.

C’è anche chi cerca il Made In Italy autentico
In Cina, Giappone e Canada mediamente 7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da The European House – Ambrosetti, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.

Ragù, parmigiano e aceto balsamico sul podio delle imitazioni
Ragù (61,4% italian sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% italian sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% italian sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).

“L’italian sounding si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero. Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto” conclude Valerio de Molli.

La filiera agroalimentare italiana cresce e sfiora i 600 miliardi di euro

Continua a crescere il peso della filiera agroalimentare estesa (che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione) nell’economia italiana: vale ormai 586,9 miliardi di euro, l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano. Secondo i dati illustrati da The European House- Ambrosetti durante la presentazione dell’8° edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il food & beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che si terrà Bormio il prossimo 7 e 8 giugno, la filiera agroalimentare estesa nel 2022 ha attirato oltre 25 miliardi di euro di investimenti grazie al lavoro di 3,7 milioni di addetti.

“In un contesto di crisi permanente che ci accompagna dal 2020 tra emergenza sanitaria e tensioni internazionali, è la qualità della produzione agroalimentare Made in Italy il fattore che ha permesso al settore di continuare a crescere: siamo il primo Paese in Unione Europea per prodotti certificati (890 in totale), 326 dal mondo alimentare (valgono 8,9 miliardi di euro) e 564 dal settore vinicolo per oltre 11 miliardi di euro” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

Export in crescita
A fine 2023 le esportazioni agroalimentari italiane (agricoltura + prodotto trasformato) hanno raggiunto il valore record di 62,2 miliardi di euro, in media una crescita del 6,4% all’anno dal 2010 ad oggi e un incremento del 69% rispetto al 2015. Il settore del food and beverage contribuisce per 53,4 mld di euro, mentre il comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. “Nel 2010 l’agroalimentare incideva per l’8,2% sul totale delle esportazioni italiane, mentre nel 2023 ha sfiorato il 10% (9,9) in crescita di 1.7 punti percentuali negli ultimi 13 anni” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House-Ambrosetti. Numeri che posizionano oggi l’agroalimentare come primo settore manifatturiero in Italia per valore aggiunto generato con oltre 66 miliardi, più della produzione di macchinari e apparecchiature (43) e prodotti in metallo (37). Rispetto al PIL i 37 miliardi generati dall’agricoltura e i 29 da alimentare e bevande rappresentano il 3,8%, più di Germania (2,6%) e Regno Unito (2,1%), ma meno di Francia (4,5%) e Spagna, il paese con l’incidenza più alta: 5,2%.

Italia prima al mondo per quota castagne
Nonostante un lieve calo delle esportazioni dello 0,8%, il vino si conferma nell’ultimo anno il primo prodotto agroalimentare più venduto all’estero (7,8 mld euro) con una quota del 12,5% sul totale export agrifood. Alle spalle ci sono altri prodotti in buona crescita: i lavorati a base di farine, tra cui la pasta, che valgono 6,9 miliardi di fatturato all’estero, hanno registrato un +7,9% e hanno sorpassato i prodotti lattiero-caseari che si fermano a 6 miliardi (in crescita del 7,1%) oltre che frutta e vegetali trasformati (5,7 miliardi e crescita a doppia cifra nell’ultimo anno:+11,1%). L’export italiano è da primato mondiale per diverse categorie di prodotto: siamo primi per quota di mercato di pasta (45%), amari e distillati (42%), passata di pomodoro (27%), castagne (23%) e verdure lavorate dove l’Italia guida il mercato con il 20% di quota. La Penisola è anche al secondo posto nel mercato globale del vino (20%) dopo la Francia, della farina di riso (20%), delle nocciole (15%), delle mele (13%) e dei kiwi (12%). “L’Italia, oltre a essere tra i maggiori esportatori di prodotti agroalimentari è il primo Paese per valore unitario del prodotto che esporta tra i competitor europei: se nel 2023 il valore medio di un prodotto italiano è di 244 euro per 100kg, i prodotti spagnoli si fermano a 210 euro, quelli tedeschi a 168 euro per quintale e i francesi a 135 euro” ha sottolineato Benedetta Brioschi.

Volano formaggi e carni
Come emerge dai dati TEHA, quella del vino si conferma la filiera di produzione certificata italiana a maggior valore grazie a 11,3 miliardi di euro fatturati nel 2022 (+4,6%) e precede quella dei formaggi (5,2 miliardi) che cresce a doppia cifra: +11,6%. Molto importante anche l’incremento del fatturato di prodotti a base di carne (+7,5% a 2,3 miliardi di euro) così come quello di paste alimentari (+9,2% per 268 milioni in totale), carni fresche (5,0%, 103 milioni) e panetteria e pasticceria (+5,1%, 105 milioni). In negativo, invece, il settore dell’olio d’oliva con un fatturato in diminuzione del 4,0% a 85 milioni di euro e dell’aceto balsamico, in calo del 5,0%, ma a quota 387 milioni di euro.

Lombardia, la regione dei primati
Nel 2022, la filiera agroalimentare lombarda ha raggiunto un fatturato di 48 miliardi di euro, grazie a un aumento del 34% rispetto al 2015, confermandosi la prima regione in Italia per fatturato. Secondo i dati elaborati da The European House-Ambrosetti la regione si distingue anche nel settore delle produzioni certificate, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel 2022, aumentato del 15% rispetto al 2021. Eccellenza anche nell’export: nel 2023 ha raggiunto vendite all’estero per 10,4 miliardi di euro, registrando un incremento dell’84% rispetto al 2015 e dimostrando la sua capacità di competere su scala globale. L’agroalimentare occupa 126.000 lavoratori in Lombardia e supporta la generazione di un valore aggiunto della filiera sia a monte, con 27,5 miliardi di euro, sia a valle, con 21,5 miliardi di euro, confermando la sua posizione di regione leader nel settore. La regione è anche un punto di riferimento per la qualità delle sue produzioni, essendo la terza in Italia per numero di produzioni certificate, con 75 prodotti DOP e IGP con Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi classificate tra le prime 20 in Italia per il valore della produzione certificata.

Cresce il fatturato dell’industria alimentare, un asset per l’economia italiana

Per il 93% degli italiani l’industria alimentare è sinonimo di sviluppo sociale ed economico, per il 94% invece il Made in Italy è uno dei principali ambasciatori dell’italianità nel mondo e un traino per l’economia grazie all’export (53 miliardi di valore nel 2023): sono solo un paio delle evidenze emerse dalla ricerca realizzata da Federalimentare-Censis “L’industria alimentare tra Unione europea e nuove configurazioni globali”, presentata in occasione dell’Assemblea Pubblica di Federalimentare.

Oggi l’industria alimentare è al primo posto dei settori manifatturieri per valore del fatturato e al secondo posto sia per numero di imprese che di addetti, con un valore pari a 193 miliardi di euro, cioè il 15,6% del totale del fatturato dei settori industriali. Nel periodo 2013-2023 il fatturato di alimentari e bevande è aumentato del 31,3%. Il settore si compone di 60,4 mila imprese aumentate dell’1,5% nel 2013-2023; di un totale di quasi 464 mila addetti, +12% nello stesso periodo. In Italia la spesa delle famiglie per prodotti alimentari e bevande vale 195 miliardi di euro e risulta pari al 15,2% del totale spesa delle famiglie per consumi, quota più alta di Paesi omologhi come Francia, Spagna, Germania e Paesi Bassi.

Nel 2023 il valore delle esportazioni dell’industria alimentare e delle bevande è stato pari a 53,4 miliardi di euro con un incremento del 57,3% nel 2013-2023 e del 148,5% nel 2003-2013. Una crescita impetuosa, che connota l’industria alimentare come uno dei best performer della nostra economia. I dati 2023 relativi alla distribuzione del valore totale dell’export di prodotti alimentari e bevande tra le aree geografiche di destinazione segnalano che il 56,2% è andato nei mercati dei 27 Paesi della Ue e il 14,9% in quelli dei Paesi europei non Ue. Anche nell’export si materializza la possenza del Made in Italy: nel 2023 il suo valore è stato pari a oltre 380 miliardi di euro, più di due terzi del totale del valore dell’export italiano nell’anno indicato.

Gli italiani si aspettano molto anche dall’UE: l’84,9% è convinto che occorra innalzare barriere alle merci che arrivano da Paesi con regole sanitarie, sociali e di sicurezza inadeguate rispetto a quelle imposte alle imprese UE. Oltre l’89% degli italiani ritiene che l’Unione Europea dovrebbe affiancare le imprese dei Paesi membri nel loro sforzo per diventare più competitive rispetto a quelle dei Paesi non Ue. L’Europa è per una consistente maggioranza di italiani un valore, anche se molto deve cambiare a cominciare dalla sua azione in ambito economico, di rapporto con le industrie, come quella alimentare, che generano tanto valore e che troppo spesso sono costrette a fare dei percorsi accidentati per scelte e regolamentazioni europee.

“L’industria alimentare italiana può e vuole dare un grande contributo all’agenda di sviluppo del Paese. Oltre a garantire la sicurezza alimentare in Italia, abbiamo una grande opportunità di crescita sui mercati internazionali. Le imprese hanno fondamentali solidi, e sanno come produrre alimenti unici e inimitabili. Ma per continuare la traiettoria di crescita, occorre anche un impegno delle istituzioni, europee e italiane, a livello strutturale. A tal proposito vorremmo una Europa che favorisse il talento imprenditoriale del nostro comparto con iniziative legislative e regolatorie che ne promuovano la competitività a livello internazionale” ha commentato Paolo Mascarino, Presidente di Federalimentare.

Al Cibus, che si svolge in questi giorni a Parma, è stata presentata anche l’ultima ricerca dell’Osservatorio Packaging del Largo Consumo curato da Nomisma. Al centro del focus la presentazione dei risultati dell’indagine sui comportamenti di consumo degli italiani, sempre più attenti ai temi della salute, della nutrizione e della sostenibilità, con una particolare affondo sul ruolo svolto dal packaging in questa partita. Nello specifico, per il 46% dei connazionali sono la corretta alimentazione e il giusto stile alimentare a incidere in maniera positiva o negativa sul proprio stato di salute fisica e mentale. Per 1 italiano su 2 il motivo principale che spinge a seguire un’alimentazione sana, salutare ed equilibrata è il sentirsi bene con se stessi, mentre per il 42% dei rispondenti è legato alla prevenzione di malattie o disturbi di salute, o al mantenersi in forma (41%). A conferma di tali trend, in Italia la domanda di prodotti alimentari free from è in costante crescita (tasso medio annuo del +5% a valore), trainata dai prodotti sugar free e con pochi zuccheri. Inoltre gli italiani sono sempre più interessati anche ai prodotti rich-in dove su tutti primeggiano gli alimenti e le bevande arricchite da proteine (+20% in valore e +8% in volumi la variazione a giugno 2023 rispetto all’anno precedente).

Agroalimentare italiano al top: cresce export per pasta, frutta, salse e formaggi

La qualità e il gusto hanno permesso ai prodotti alimentari italiani di diventare un simbolo del Made in Italy, ampiamente apprezzato e diffuso sulle tavole di tutto il mondo. Non è infatti un caso che le vendite estere di agroalimentare rappresentino oltre il 10% dell’export italiano totale. Ancora più significativa è la performance registrata negli ultimi cinque anni, quando sono cresciute a un tasso annuo composto (CAGR) dell’8,9%, superando il ritmo dell’export italiano nel suo complesso (+6,1%).

Lo scorso anno le esportazioni di agroalimentare hanno registrato ancora una volta un valore record pari a €64,4 miliardi, con un aumento del 6% circa. La spinta è arrivata soprattutto da alimentari e bevande (+6,8%), che compongono circa il 60% delle vendite del settore, ma non è mancato il supporto dei prodotti agricoli (+4,7%). Anche il 2024 è iniziato con un segnale positivo, grazie a un incremento del 12,9% registrato a gennaio rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le prospettive per l’anno completo sono di un’espansione che si attesterà su livelli relativamente e fisiologicamente inferiori se confrontati con quegli degli scorsi anni ma comunque sostenuti.

Le bevande – composte in prevalenza da vino – sono il principale comparto di export con una quota del 19%, malgrado nel 2023 abbiano registrato una crescita sotto la media (+2,5%). A trainare, invece, la performance delle esportazioni di agroalimentare sono stati altri prodotti tipici del Made in Italy tra cui: pasta e (soprattutto) prodotti da forno (+8,6%), latte e formaggi (+10,3%), preparazioni di ortaggi e frutta (+12,5%) e altre preparazioni alimentari (+13%), in cui rientrano salse e conserve (+21,8%). Sono rimaste stabili le vendite di grassi e oli, nonostante il marcato aumento dell’olio di oliva (+14,7%), mentre hanno riportato un rialzo contenuto quelle di frutta (+4,9%) e carni (+2,8%).

Le destinazioni dell’agroalimentare italiano
In termini di geografie di sbocco, le vendite italiane di agroalimentare sono dirette principalmente verso i mercati europei e quello statunitense. Questo aspetto riflette da un lato il brand Made in Italy ormai consolidato in queste geografie, dall’altro l’elevato potere d’acquisto dei consumatori, oltre che – nel caso delle destinazioni europee – fattori di prossimità che favoriscono anche le esportazioni di quei prodotti caratterizzati da difficoltà di conservazione per periodi prolungati quali, ad esempio, i latticini. La Germania si conferma ancora una volta la prima destinazione per il settore, avendo accolto lo scorso anno oltre €10 miliardi di agroalimentare italiano (pari al 16% del totale) e avendo segnato una crescita significativa – seppur leggermente sotto la media – negli ultimi cinque anni (+7,3%). In termini di comparti, il Paese è un grande consumatore di bevande, pasta e prodotti da forno, frutta e ortaggi. In particolare, circa un terzo di tutto l’export italiano di questi ultimi due è destinato al mercato tedesco.

Segue la Francia con un peso dell’11% sul totale del settore e una crescita in linea con quella complessiva dell’ultimo quinquennio (+8,7%). Tra i prodotti maggiormente richiesti da Parigi si segnalano pasta e prodotti da forno, latte e latticini, nonché le bevande. Quasi un quinto di tutti i prodotti delle industrie lattiero-casearie esportati dall’Italia è diretto al mercato francese. Gli Stati Uniti, con €6,7 miliardi di prodotti agroalimentari italiani importati, sono la terza geografia di sbocco per il settore; il comparto di gran lunga più rilevante è quello delle bevande (€2,7 miliardi nel 2023), sebbene risultino significative anche le vendite di pasta e prodotti da forno e oli e grassi. In ottica prospettica, grandi mercati in cui l’export italiano nell’ultimo quinquennio ha registrato buone performance, continuano a mostrare incrementi marcati in termini di spesa delle famiglie per beni alimentari.

È il caso, ad esempio, di Stati Uniti, Cina e Germania, i maggiori importatori al mondo di prodotti agroalimentari (grazie anche, soprattutto per i primi due Paesi, a popolazioni numerose), in cui la spesa per questo tipo di beni è attesa crescere rispettivamente del 4,2%, 6,9% e 4,1% all’anno in media. Vi sono poi mercati ancora relativamente poco presidiati dall’export italiano ma che hanno mostrato grande dinamicità negli ultimi anni e che risultano interessanti in ottica prospettica grazie a una spesa per prodotti agroalimentari attesa in forte incremento. Si tratta ad esempio di Vietnam (+10,2% all’anno in media tra 2024 e 2028), India (+9,3%) e Corea del Sud (+8,4%) in Asia, ma anche del Messico (+8,4%) in America Latina e della Polonia (+8,7%) in Europa.

Le eccellenze regionali
Le peculiarità di ciascuna regione consentono all’Italia di vantare una varietà unica nella produzione di prodotti agroalimentari che si riflette in un’alta qualità, apprezzata e riconosciuta anche oltre confine. Nel 2023 l’Emilia-Romagna si è confermata la principale regione esportatrice di prodotti agroalimentari, con un peso del 18,2% sul totale delle vendite italiane oltreconfine, grazie alla forte vocazione all’export di alimentari e bevande, in particolare dei prodotti delle industrie lattiero-casearie e della carne lavorata e conservata. Seguono Lombardia (16,2%), Veneto (14,9%) e Piemonte (13,8%), grazie a una dinamica positiva delle bevande. Inoltre, contrariamente a quanto avviene per le altre regioni, è interessante sottolineare come le vendite dei prodotti agricoli assumano una particolare rilevanza per la Puglia, la Liguria e la Sicilia, dove raggiungono oltre il 40% sul totale.

Amazon e le istituzioni firmano un accordo per la tutela del Made in Italy

Promuovere e tutelare l’autenticità dei prodotti Made in Italy, contrastando fenomeni di contraffazione a danno delle aziende italiane e dei consumatori: è quanto previsto dal Protocollo d’Intesa tra il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI), il Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), il Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste (MASAF) e Amazon, che prevede una stretta collaborazione tra le parti per sensibilizzare le aziende e i consumatori sui rischi della contraffazione e sugli strumenti di tutela disponibili, oltre a iniziative congiunte di formazione e supporto alle Pmi italiane per l’internazionalizzazione attraverso il canale e-commerce.

Agenzia ICE e Amazon si impegnano inoltre a rinnovare l’accordo che permetterà a ulteriori 300 aziende di aprire il proprio account sulle vetrine Amazon internazionali dedicate al Made in Italy e targate ICE, ricevendo una consulenza strategica dedicata tramite i programmi Incubator e attraverso uno specifico supporto logistico e legale negli Stati Uniti. Le vetrine target dell’accordo sono quelle di Francia, Germania, Spagna, Regno Unito, Paesi Bassi, Svezia, Polonia e Stati Uniti.

Per l’occasione, Amazon ha rinnovato il suo impegno nel sostenere l’export delle imprese italiane che vendono sul suo negozio online. Amazon ha annunciato di avere già superato l’iniziale impegno assunto nel 2022 di supportare le piccole e medie imprese italiane che vendono sul suo negozio digitale con l’obiettivo di aiutarle a raggiungere 1.2 miliardi di euro di vendite all’estero entro il 2025. Ad oggi, infatti, le vendite all’estero di tutti i partner di vendita – incluse sia le aziende che vendono tramite Amazon Marketplace, in qualità di partner di vendita terzi, sia le aziende partner di vendita di Amazon Retail, in qualità di vendor – sono pari a oltre 3 miliardi di euro e l’azienda annuncia la sfida di supportare le realtà italiane che hanno scelto Amazon come finestra verso il mondo aiutandole a raggiungere 4 miliardi di euro di vendite all’estero, sempre entro il 2025.

Amazon inoltre mette a disposizione delle imprenditrici e degli imprenditori italiani un evento gratuito di formazione dal titolo “Accademia Virtuale Accelera con Amazon, Come vendere su Amazon e Vetrina Made in Italy”, che si terrà online il prossimo 23 aprile, dalle ore 14:00 alle ore 15.30. Durante il webinar, gli esperti di Amazon spiegheranno come vendere sullo store digitale in pochi passaggi e come utilizzare al meglio gli strumenti offerti, come ad esempio la vetrina Made in Italy. “I Made in Italy Days sono tra le nostre più importanti iniziative di promozione dell’eccellenza italiana in tutto il mondo: oltre il 50% delle vendite dell’edizione dell’anno scorso sono derivate dall’estero, e auspichiamo risultati positivi anche quest’anno”, ha commentato Anna Bortolussi, General Manager Brand Owner and Seller Success, Amazon EU. “Strumenti come la vetrina Made in Italy, che oggi conta più di 2 milioni di prodotti a livello internazionale, e il percorso formativo gratuito Accelera con Amazon, aiutano le aziende a sviluppare il loro business in un’ottica di digitalizzazione e internazionalizzazione”.

Agroalimentare italiano sotto scacco del cibo straniero: l’allarme di Coldiretti

Il 2023 ha segnato un record storico degli arrivi di cibo straniero che hanno raggiunto la quota di 65 miliardi di euro, in aumento del 5% rispetto all’anno precedente. A denunciarlo è la Coldiretti sulla base dei dati Istat sul commercio estero delle regioni italiane, sottolineando che si tratta di prodotti spesso provenienti da Paesi che non rispettano le regole di sicurezza alimentare e ambientale.

Coldiretti sostiene che si possa parlare di un vero e proprio attacco al patrimonio agroalimentare dell’Italia favorito dalle follie europee che stanno facendo calare la produzione agricola nazionale spingendo il deficit alimentare del Paese che è arrivato a produrre appena il 36% del grano tenero che le serve, il 53% del mais, il 51% della carne bovina, il 56% del grano duro per la pasta, il 73% dell’orzo, il 63% della carne di maiale e i salumi, il 49% della carne di capra e pecora mentre per latte e formaggi si arriva all’84% di autoapprovvigionamento.

Il prodotto simbolo di questa invasione è il grano. In Italia, nel 2023, sono più che raddoppiate, per un totale di ben oltre il miliardo di chili, le importazioni di cereale dal Canada trattato con glifosato secondo modalità vietate a livello nazionale. Ma se il Paese dell’acero resta il primo fornitore, la vera invasione che ha segnato il 2023 è quella di grano russo e turco aumentati rispettivamente del +1004% e del +812% secondo un’analisi pubblicata dal Centro Studi Divulga. Un fenomeno mai registrato nella storia del nostro Paese e che ha fatto calare in maniera significativa le quotazioni del prodotto italiano.

Aumentano anche gli arrivi di frutta e verdura dall’estero, in ascesa del 14% in quantità con punte del 39% per le patate, con una vera e propria invasione di prodotto francese, tedesco ed egiziano, Paese quest’ultimo che ha più che raddoppiato le importazioni in Italia, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.

A pesare, rimarca ancora Coldiretti, sono anche gli accordi commerciali agevolati che portano in Italia prodotti coltivati spesso con l’uso di pesticidi vietati nell’Unione Europea che fanno concorrenza sleale a quelli nostrani, deprimono i prezzi pagati ai produttori e rappresentano una minaccia per la salute dei cittadini. Si va dal riso asiatico che viene coltivato utilizzando il triciclazolo, potente pesticida vietato nell’Unione Europea dal 2016, ma che entra in Italia grazie al dazio zero, alle lenticchie canadesi, anch’esse fatte seccare con il glifosato, che rappresentano i 2/3 del totale importato nel nostro Paese.

Ci sono poi le arance egiziane, oggetto di notifiche dal Rassf, il sistema di allerta rapido dell’Ue, per la presenza di Clorpirifos un pesticida bandito nell’Unione Europea dal 2020; le nocciole turche su cui pesa anche l’accusa del Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti di essere coltivate con lo sfruttamento del lavoro minorile; i limoni argentini coltivati usando pesticidi tra cui propiconazolo, vietato dal 2019. Senza dimenticare il concentrato di pomodoro cinese che costa la metà di quello tricolore grazie allo sfruttamento dei prigionieri politici e fa abbassare le quotazioni del prodotto nazionale.

Coldiretti chiede dunque un netto stop all’ingresso di prodotti provenienti da Paesi fuori i confini Ue che non rispettano gli standard garantendo il principio di reciprocità delle regole: “si tratta di concorrenza sleale, che mette a rischio la salute dei cittadini e la sopravvivenza delle imprese agricole” afferma il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini.

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