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Osservatorio Immagino, l’italianità arranca nel carrello della spesa

Non basta più mettere in etichetta la bandiera tricolore, il claim “made in Italy”, l’indicazione della regione di provenienza o la certificazione Igp per conquistarsi un posto nel carrello della spesa degli italiani. Benché siano la famiglia di prodotti alimentari più presente sugli scaffali di supermercati e ipermercati e quella che genera maggiori incassi per i retailer, gli alimenti che richiamano in etichetta la loro italianità hanno vissuto un 2024 statico, con vendite leggermente positive a valore ma in lieve calo a volume. A rilevare e misurare questa performance è la diciassettesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, lo studio semestrale che ha analizzato le abitudini di consumo degli italiani nel corso dell’intero anno 2024.
Ancora una volta il paniere “italiano” monitorato dall’Osservatorio Immagino conquista il primo posto per importanza nella spesa complessiva, con 27.978 referenze che nel 2024 hanno sviluppato un giro d’affari di oltre 11,6 miliardi di euro. Rispetto al 2023 le vendite sono avanzate di +1,2% a valore, ma sono diminuite di -0,7% in volume, penalizzate dall’andamento flat delle componenti di domanda e di offerta. Nemmeno l’aumento della pressione promozionale (31,3% contro il 30,4% del 2023) e l’incremento dei prezzi inferiore alla media del largo consumo (+1,9% rispetto a +3,2%) sono riusciti a rilanciare le vendite.

DALLA BANDIERA NAZIONALE AI “BOLLINI” UE
L’”indicatore” più diffuso di italianità individuato dall’Osservatorio Immagino (Tavola 1) è la bandiera nazionale, presente su 16.461 prodotti, che hanno chiuso un 2024 in crescita sia a valore che a volume (rispettivamente +2,5% e +0,2%). Invece, gli oltre 9 mila prodotti accompagnati dal claim “100% italiano” sono rimasti stabili come giro d’affari (+0,2%) a fronte di un calo di -1,5% dei volumi venduti. Indicatori tutti al negativo per le 5.717 referenze alimentari contrassegnate dal claim “prodotto in Italia”, che hanno perso il -1,8% a valore e il -3,6% a volume.
Il 2024 non è stato un anno facile nemmeno per le indicazioni geografiche europee che “premiano” le eccellenze della produzione agroalimentare italiana. Nell’Osservatorio Immagino i prodotti Dop, Doc e Docg alimentano un paniere da 4.888 referenze e 1,6 miliardi di euro di giro d’affari in super e ipermercati, che in 12 mesi ha mantenuto stabili i volumi (-0,1%) e segnato un +2,1% del fatturato, soprattutto grazie al contributo della componente di domanda (+1,3%) e all’inflazione, che ha determinato un aumento di +2,2% del prezzo medio. A brillare sono stati i 1.467 prodotti Dop, in crescita annua di +2,7% a volume e di +5,8% a valore per un totale di quasi 803 milioni di euro. Decisive sono state la spinta dell’offerta (+4,9%) e l’aumento dei prezzi (+3,1%).

IL BUSINESS DEI PRODOTTI REGIONALI
L’Italia è un puzzle di 20 regioni, non solo geograficamente ma anche come composizione della spesa alimentare. Sono 165 i prodotti presenti in super e ipermercati che riportano on pack il claim generico “regione/regionale” e nel 2024 hanno fatto un balzo in avanti di +9,0% a volume e di +12,3% a valore per un giro d’affari complessivo di 55 milioni di euro. Ben più ampio è il ruolo dei prodotti alimentari che evidenziano con orgoglio la loro appartenenza a una specifica regione italiana. Come ha fatto sin dalla sua prima edizione, l’Osservatorio Immagino ha stilato la classifica 2024 delle regioni italiane con la maggior presenza e il più alto giro d’affari in supermercati e ipermercati.
Il Trentino-Alto Adige mantiene la medaglia d’oro, conquistata già dalla prima edizione, con oltre 396 milioni di euro di incassi generati da 1.028 referenze, nonostante un trend annuo negativo (-0,8% a valore e -1,7% a volume). Seguono al secondo posto la Sicilia e al terzo il Piemonte. Tra le altre regioni spicca la Sardegna, che ha ottenuto un +4,2% a valore (per un totale di 216 milioni di euro) e un +6,8% a volume, trainata dalla componente di domanda e da alcune categorie merceologiche, quali latte Uht, vini Doc/Dogc, mozzarelle, latte fresco e specialità croccanti.
Brillante anche il 2024 degli 838 prodotti della Puglia, che hanno ottenuto un +13,0% a valore, superando i 207 milioni di euro di sell-out, e hanno espanso di +5,1% i volumi venduti. A trainare la crescita è stato il vino Igp/Igt (che da solo rappresenta il 25,5% del totale dei prodotti pugliesi), seguito dalle birre alcoliche, dalle altre paste filate fresche e dal vino Doc/Docg.

LE TIPICITÀ CITTADINE
Non sono solo le regioni a fare da “marchio di garanzia” dell’autenticità di un prodotto alimentare. Anche le tradizioni di molte città giocano un ruolo importante nel successo della cucina italiana. In quest’edizione dell’Osservatorio Immagino, per la prima volta, sono stati rilevati anche i claim on pack che fanno riferimento alle tradizioni di alcuni capoluoghi di provincia, come Bologna/bolognese, Genova/genovese, Napoli/napoletano e Roma/romano. I risultati? Sorprendenti. Ben 1.563 prodotti riportano in etichetta il riferimento a una città e nel 2024 hanno sviluppato quasi 579 milioni di euro di sell-out. La performance migliore l’hanno ottenuta la pasta fresca ripiena, i primi piatti pronti, i preparati per primi piatti e i formaggi grana e simili.

I dazi faranno crescere l’Italian Sounding negli USA

I dazi americani faranno crescere negli USA le imitazioni di cibi e bevande italiani. L’Italian Sounding, ovvero i prodotti agroalimentari che attraverso nomi o immagini evocano il Made in Italy senza essere stati realizzati in Italia, negli Stati Uniti aumenterà fino al 15% per effetto dei dazi e dagli attuali 7,5 miliardi di euro raggiungerà gli 8,6 miliardi, quasi 1,1 miliardi di euro in più. I dati sono stati illustrati durante la nona edizione del forum Food&Beverage organizzato da TEHA (The European House – Ambrosetti) a Bormio. “Oltre 6 miliardi di euro di alimenti e bevande Made in Italy dei 7,8 complessivi esportati negli USA – spiega Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di TEHA – sono prodotti che non hanno alternative sul mercato statunitense e perciò difficilmente sostituibili. Se questo può essere un vantaggio in termini di impatto sulle esportazioni, quando i dazi entreranno in vigore faranno crescere l’Italian Sounding, un mercato che colpisce soprattutto i prodotti non sostituibili e che oggi vale 69 miliardi di euro nel mondo, uno in più rispetto all’export agroalimentare italiano. Ciò significa che riducendo queste imitazioni l’export agroalimentare del nostro Paese potrebbe anche raddoppiare, specie negli Stati Uniti”.

L’EFFETTO TRUMP SULL’EXPORT TRICOLORE
I nuovi dazi americani potrebbero generare una riduzione potenziale di 1,3 miliardi di euro di export food italiano, considerando sia lo sforzo di revisione temporanea dei margini da parte delle aziende italiane sia l’elasticità della domanda al consumo. All’interno dell’Ue, il nostro Paese è il più esposto all’effetto dei dazi voluti dal presidente americano, anche perché gli Stati Uniti sono per noi il secondo Paese per esportazioni di cibi e bevande dopo la Germania (10,8 miliardi di euro). Per la Francia il peso dei dazi sarebbe di poco superiore al miliardo di euro (1,1 mld), inferiore per Spagna (0,7 mld) e Germania (0,5 mld). Tuttavia, data l’unicità dell’offerta Made in Italy, la stima realizzata da TEHA è di una contrazione effettiva di circa 300 milioni di euro di esportazione agroalimentare.

CONCORRENZA SLEALE IN GIAPPONE, BRASILE E GERMANIA
Sugli scaffali dei supermercati giapponesi e brasiliani più di 7 prodotti agroalimentari su 10 evocano il Made in Italy, ma solo 3 su 10 provengono davvero dall’Italia. Come emerge dall’analisi dedicata di TEHA, in Germania, Regno Unito e Stati Uniti, l’Italian Sounding rappresenta tra il 60 e il 67% dei prodotti tipici italiani. Viaggiano poco sopra il 50% nei Paesi Bassi, in Cina e in Australia mentre sono poco sotto il 50% le imitazioni dei prodotti italiani venduti nei supermercati di Canada e Francia. I prodotti più contraffatti sono nell’ordine ragù, parmigiano e grana, aceto balsamico, pesto, pizza, prosciutto, pasta di grano duro, prosecco, salame, ecc.
Le imitazioni sono anche più appetibili dei prodotti italiani originali perché i prezzi sono più bassi, a volte anche fino al 70% in meno come succede negli USA per l’olio di oliva, piuttosto che per la pasta (-54%), parmigiano e grana (-44%) e salumi (-40%).

IN CINA C’È DESIDERIO DI MADE IN ITALY
All’estero i consumatori che ci tengono ad acquistare veri prodotti agroalimentari italiani senza badare al prezzo sono soprattutto cinesi, seguiti da giapponesi, canadesi, tedeschi e australiani. Gli inglesi sono, invece, quelli che sembrano badare più al prezzo. I prodotti sui quali si cerca soprattutto la reale origine italiana sono specialmente l’olio d’oliva, l’aceto balsamico, il gorgonzola, la pasta di grano duro, il prosecco, ecc.
Da 4 anni TEHA – afferma Benedetta Brioschi, partner TEHA – elabora il «Manifesto per il contrasto all’Italian Sounding» composto da 8 raccomandazioni e una visione Paese. Sin dalla prima edizione abbiamo evidenziato la necessità di ridurre le barriere tariffarie e doganali, una direzione contraria alle attuali politiche protezionistiche in atto. Si potrebbe agire con nuovi accordi di libero scambio tra Unione Europea e Paesi internazionali e lavorando su rapporti bilaterali per le imprese agroalimentari”.

Osservatorio Immagino, meno prodotti italiani a scaffale e nel carrello della spesa

Scaffali di supermercati e ipermercati sempre meno italiani. Nell’arco di 12 mesi è diminuita di -2,0% l’offerta di prodotti alimentari confezionati che sull’etichetta richiamano la loro identità italiana o regionale. E sono calati anche i volumi venduti (-2,0%) mentre il giro d’affari è salito di +2,1%, avvicinandosi agli 11,4 miliardi di euro. A rivelarlo è l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha individuato 26.411 prodotti – tra le oltre 138 mila referenze analizzate, digitalizzate dal servizio Immagino di GS1 Italy Servizi – sulle cui etichette compare un claim, un’immagine o un’indicazione geografica (come Dop o Igp) che ne esprime l’essere italiani. Nei 12 mesi monitorati dall’Osservatorio Immagino tutti i claim e le indicazioni geografiche rilevati nel paniere dell’italianità hanno subìto un calo delle vendite in volume. L’unica eccezione è rappresentata dai 1.335 prodotti a Denominazione d’origine protetta (Dop), i soli a essere cresciuti non solo a valore (+3,5%) ma anche a volume (+2,1%), per un totale superiore a 723 milioni di euro di sell-out. Doppiamente negativo, invece, l’andamento per i 1.222 prodotti a Indicazione geografica protetta (Igp), che hanno perso il -0,5% a valore e il -2,2% a volume. Analogo il trend dei 932 vini a Indicazione geografica tipica (Igt), le cui vendite sono diminuite di -0,9% a valore e di -7,7% a volume.

E se l’affermazione dell’essere italiani resta affidata soprattutto alla presenza in etichetta della bandiera tricolore (16,3% dei prodotti, per un totale di 15.414 referenze), sempre più spazio è occupato da alimenti e bevande che rivendicano l’appartenenza alle varie tradizioni regionali. L’Osservatorio Immagino ne ha individuati 10.294 (10,9% del totale rilevato) che in super e ipermercati hanno incassato oltre 3 miliardi di euro. Rispetto all’anno precedente, il giro d’affari è lievemente aumentato (+0,7%) mentre i volumi sono diminuiti di -2,6%. La sostanziale stabilità degli incassi a fronte di un calo dei volumi venduti accomuna la maggior parte dei panieri regionali italiani. Fanno eccezione Puglia, Liguria, Veneto, Basilicata e Abruzzo, che hanno registrato una buona crescita del giro d’affari, nonché Molise, Valle d’Aosta e Sardegna che sono riuscite a far crescere le vendite anche a volume.

La classifica per giro d’affari sviluppato in supermercati e ipermercati vede confermato il podio dell’edizione precedente dell’Osservatorio Immagino: primo posto per il Trentino-Alto Adige (oltre 392 milioni di euro), secondo per la Sicilia (377 milioni di euro) e terzo per il Piemonte (319 milioni di euro). L’analisi dettagliata in merito ai prodotti italiani e la classifica completa delle regioni in etichetta sono disponibili nella sedicesima edizione dell’Osservatorio Immagino, scaricabile gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it.

Anche il petfood è sempre più free from, rich-in e tricolore

Cibi ricchi di proteine e vitamine oppure privi di coloranti e glutine, e a ridotto contenuto di zuccheri e calorie. E sempre più connotati come “italiani”: il menu di cani e gatti somiglia sempre più a quello dei loro proprietari perché rispecchia le tendenze dominanti nel mondo del food. A individuare e misurare questo trend è l’analisi contenuta nell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che dedica un approfondimento ai principali fenomeni in atto nel petfood nel canale supermercati e ipermercati: free from, rich-in e italianità. L’Osservatorio Immagino di GS1 Italy ha individuato 1.917 prodotti destinati all’alimentazione di cani e gatti che indicano in etichetta l’assenza di un componente, tra ingredienti, additivi e nutrienti: quest’ampio paniere “free from” accomuna oltre la metà dei prodotti petfood a scaffale e ha sfiorato i 645 milioni di euro di sell-out, in crescita annua di +6,8% a fronte di un calo di -1,7% dei volumi venduti. A dominare è il mondo della nutrizione gatto, che sviluppa il 63% del fatturato free from. I claim più importanti sono “senza coloranti” e “sugar free”, mentre il più dinamico per crescita del giro d’affari è “grain free/low grain” (+18,7%). E anche il gluten free sta conquistando spazio nel menu di cani e gatti: sono 172 i prodotti presentati come “senza glutine” e superano i 25 milioni di euro di vendite, in crescita annua di +10,1% grazie soprattutto al contributo della componente di domanda.
Numerica simile per i prodotti petfood del mondo rich-in, ossia quelli accomunati dall’avere in etichetta almeno un’indicazione sulla presenza di una sostanza benefica. L’Osservatorio Immagino di GS1 Italy ne ha contati 1.913: hanno superato i 557 milioni di euro di sell-out, in crescita annua di +4,9% contro un calo di -3,2% a volume. I claim più rappresentativi sono “vitamine” e “proteine”, ma le crescite maggiori a valore riguardano “prebiotici” (+19,6%), “ricco in/ricco di” (+16,9%) e “ingredienti naturali” (+15,6%). Terzo fenomeno rilevato dall’Osservatorio nel petfood è l’affermazione dell’italianità dei prodotti, richiamata sulle etichette di 523 referenze destinate alla nutrizione di cani e gatti. Un paniere che vale quasi 105 milioni di euro e che in un anno è cresciuto di +10,2% a valore e di +3,5% a volume, grazie soprattutto ai prodotti rivolti ai cani. La bandiera italiana è l’immagine più usata, seguita dal claim “prodotto in Italia/made in Italy”, entrambi in crescita annua sia a valore che a volume. Il top per aumento del giro d’affari è il claim “100% italiano” (+13,6%). La sedicesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy e lo speciale “Dieci anni del Servizio Immagino” sono scaricabili gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it.

Export: l’agroalimentare vale 67,5 miliardi di euro, il 10,8% del totale italiano

A fine 2024 le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il livello record di 67,5 miliardi di euro, oltre 5 miliardi in più rispetto al 2023 e con una crescita media del 6,5% annuo dal 2010 a oggi. Per la prima volta le vendite all’estero del settore valgono quasi l’11% (10,8%) del totale export italiano. Durante la presentazione della nona edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” organizzato da TEHA (The European House – Ambrosetti) a Bormio (6-7 giugno), Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di TEHA si è soffermato a lungo sul tema dazi, proponendo un’analisi più ottimistica sulle potenziali conseguenze: “Il nostro export agroalimentare negli USA è aumentato del 17% solo nell’ultimo anno esponendoci potenzialmente a un impatto negativo del 20% del totale export, ma qualità e valore dei prodotti italiani fanno la differenza: oltre 6 miliardi di euro di Made in Italy dei 7,8 complessivi esportati negli USA non sono prodotti con alternative sul mercato domestico statunitense e perciò sostituibili, ne deriva che il danno generato dai dazi, se confermati anche dopo la sospensione, potrebbe costare all’Italia solo potenzialmente 1,3 miliardi di euro, ma limitarsi, in realtà, a 300 milioni di euro proprio perché quasi l’80% delle nuove imposte doganali andrebbe a colpire prodotti non sostituibili. Certamente fra questi hanno un peso rilevante i prodotti Dop e Igp, in primo luogo il vino, ma ci sono anche conserve di pomodoro, pasta, salse e farine”.

IL VINO OLTRE GLI 8 MILIARDI DI EURO, BOOM OLIO E CIOCCOLATO
Il vino italiano è il prodotto agroalimentare italiano più esportato con oltre 8 miliardi di euro di valore e una crescita del 5,5% nel solo 2024, seguono pasta e prodotti della panetteria che valgono 7,6 miliardi (+8,6% nell’ultimo anno). Secondo i dati elaborati da TEHA, grassi e oli vegetali italiani (4,1 mld di export) e cioccolato (3,4) hanno fatto registrare le crescite più significative del 2024: rispettivamente +27,2% e +17,8%. In positivo anche i prodotti lattiero-caseari (+9,1% per 6,5 miliardi di export), la frutta (+8,3%, 3,9 miliardi) e i piatti pronti trasformati (+6,2%, 4,1 mld), mentre aumenti più contenuti sono stati rilevati per le bevande ad esclusione del vino (+5% per 4,2 miliardi), cibo per animali (+3,3%, 3,1 mld) oltre che frutta e vegetali trasformati che valgono oggi 6 miliardi all’estero, in linea (+0,7%) con il 2023.

ITALIA LEADER PER ESPORTAZIONI DI POMODORI, PASTA E AMARI
In 15 categorie merceologiche del settore agroalimentare, l’Italia è leader di mercato nel mondo: tra queste i pomodori pelati dove rappresentiamo il 76,3% del mercato globale, la pasta italiana che ne vale quasi la metà (48%) o gli amari e distillati al 34,5%. I salumi italiani nei sette continenti raggiungono una quota del 29,9%, la bresaola del 29% e la passata di pomodoro del 24,1%. Tra le verdure lavorate, il 21,9% del mercato globale viene dal Bel Paese, così come il 9,4% di quello del sidro di mele. L’Italia è seconda al mondo per esportazione di castagne (25,2%), vino (20,7%), olio di oliva (17,4%) e caffè (15,8%). “La forza dei prodotti italiani nel mondo – sottolinea Benedetta Brioschi, Partner TEHA, nel presentare il prossimo Forum Food&Berverage di Bormio che vedrà la partecipazione di manager dell’industria agroalimentare italiana, della distribuzione e rappresentanti di associazioni e istituzioni del settore – risiede nei livelli di qualità che non hanno confronto in Europa: il valore medio delle nostre esportazioni agroalimentari è oggi di 254,5 euro per 100 kg di prodotto, superiore a Spagna (214 euro), Paesi Bassi (207), Germania (172) e Francia (131 euro /100Kg)”.

LOMBARDIA PRIMA PER FATTURATO AGROALIMENTARE
La Lombardia si conferma prima regione in Italia per fatturato agroalimentare con 50 miliardi di euro (19% del totale nazionale), il 41% in più rispetto al 2015, e detta la linea anche per l’export del comparto (10,9 miliardi). La Valtellina, dove si svolgerà la 9° edizione del Forum TEHA di Bormio, è una punta di diamante dell’enogastronomia italiana. Sondrio è l’undicesima provincia italiana su 107 per impatto economico delle produzioni certificate di cibo (260 milioni di euro) e la quarta per produzione di vino con 3,2 milioni di bottiglie ogni anno da 24 milioni di euro di valore complessivo. “Abbiamo scelto Bormio per realizzare uno dei più importanti eventi italiani nel settore agroalimentare – conclude De Molli – per valorizzare l’impegno di una comunità che puntando su qualità e tradizione produce un valore socioeconomico senza eguali per la Lombardia e un modello per l’intero Paese”.

 

Export formaggi in Giappone: nel 2024 +14% a volume e +11% a valore

Cresce l’export dei formaggi italiani in Giappone: nel 2024 le nostre produzioni casearie mettono a segno un +14% a volume e un + 11% a valore, a fronte di 12.700 tonnellate esportate nel 2024 – di cui il 40% è Dop – per un valore di 106,9 milioni di euro. Complessivamente l’export dei formaggi Dop e Igp nel Paese del Sol Levante totalizza 53,4 milioni di euro. A fare da traino sono Grana Padano Dop e Parmigiano Reggiano Dop, che insieme registrano un +12% a volume (quasi 2.000 tonnellate esportate per oltre 22 milioni di euro), e i grattugiati con un +87% (1.400 tonnellate esportate). Ma anche Mozzarella di Bufala Campana Dop e Gorgonzola Dop, rispettivamente con 800 e 510 tonnellate.

Lo fa sapere Afidop, Associazione Formaggi Italiani Dop e Igp, in occasione della 50° edizione di Foodex Japan 2025, la più importante manifestazione fieristica agroalimentare in Giappone, in programma a Tokyo dall’11 al 14 marzo 2025. Per l’occasione l’associazione partecipa con i suoi formaggi Asiago Dop, Gorgonzola Dop, Grana Padano Dop, Pecorino Romano Dop e Piave Dop alla serata “The Italian aperitivo”, organizzata il 13 marzo presso l’ambasciata italiana da ICE e Fiere di Parma. All’evento parteciperanno, tra gli altri, il presidente Afidop, Antonio Auricchio, e l’ambasciatore italiano in Giappone, Gianluigi Benedetti.

Il 2024 è stato un anno più che positivo: gli aumenti innescati dal deprezzamento dello Yen nei confronti delle valute straniere nel 2023 non hanno intaccato l’affezione dei giapponesi nei confronti dei nostri formaggi Dop – dichiara Antonio Auricchio, Presidente di Afidop –. Merito della nostra varietà di stili, consistenze e gusto dei nostri prodotti, ma anche della loro versatilità in cucina e del fascino del Made in Italy, da sempre sinonimo di saperi antichi, e di una filiera che offre garanzie di qualità e autenticità. Benché il formaggio non sia parte integrante della cultura giapponese, grazie ai 5.000 ristoranti italiani a Tokyo e a piatti occidentali che spopolano nel Paese come la cacio e pepe, le nostre produzioni casearie stanno vivendo una crescita significativa in Giappone. Il consumo di formaggio è più che raddoppiato dal 1990 ad oggi superando le 300.000 tonnellate, con un trend crescente sui formaggi freschi. Per il futuro vediamo ampi margini di crescita”.

Olio, è allarme speculazioni per invasione del prodotto tunisino

L’invasione di olio tunisino a prezzi stracciati alimenta il rischio di speculazioni ai danni dei produttori nazionali, rendendo necessario alzare la guardia contro il pericolo frodi. A denunciarlo sono Coldiretti e Unaprol in riferimento al fatto che l’Italia diventato è il principale importatore di prodotto dalla Tunisia, con ben 1/3 del totale giunto nel nostro Paese nei primi due mesi di campagna olivicola, proprio in concomitanza con l’arrivo dell’olio nuovo nazionale. Oggi l’olio tunisino viene venduto sotto i 5 euro al litro, con una pressione al ribasso sulle quotazioni di quello italiano che punta a costringere gli olivicoltori nazionali a svendere il proprio al di sotto dei costi di produzione. Una concorrenza sleale, sia considerata l’alta qualità del prodotto Made in Italy, sia il fatto che nel Paese africano non vigono le stesse regole in materia di utilizzo di pesticidi e di rispetto delle norme sul lavoro vigente nell’Unione Europea. A favorire le importazioni dalla Tunisia è anche l’accordo stipulato dalla Ue che prevede l’importazione annuale, nel periodo 1° gennaio – 31 dicembre, di 56.700 tonnellate di oli vergini d’oliva, nella cui categoria merceologica sono compresi olio extravergine d’oliva, olio vergine d’oliva e olio lampante, senza applicazione di dazi doganali.

“Per tutelare gli olivicoltori italiani occorre rivedere il periodo di applicazione dell’accordo tra Ue e Tunisia, restringendolo al periodo 1° aprile – 30 settembre ed evitando così che l’olio magrebino arrivi proprio in concomitanza di quello “nuovo” nazionale” sottolinea David Granieri, Presidente di Unaprol.

L’arrivo di olio straniero low cost alimenta peraltro anche il rischio frodi – ricordano Coldiretti e Unaprol -, con il prodotto estero spacciato per italiano. Da qui la richiesta dell’istituzione di un sistema telematico di registrazione e tracciabilità unico a livello europeo per proteggere l’olio extravergine d’oliva e garantire trasparenza lungo tutta la filiera produttiva, come scritto in una recente lettera al Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare.

L’olio d’oliva rappresenta un comparto strategico per il Made in Italy agroalimentare, grazie all’impegno delle circa 400mila aziende agricole nazionali per garantire un prodotto dagli standard elevatissimi, con un patrimonio di 250 milioni di piante e 533 varietà di olive, il più vasto tesoro di biodiversità del mondo, secondo l’analisi Coldiretti. L’Italia ha la leadership in Europa per il maggior numero di oli extravergini a denominazione in Europa (43 Dop e 7 Igp).

Dieta mediterranea, un patrimonio italiano da tutelare

La dieta mediterranea vince la sfida delle diete 2025. Ad annunciarlo è la Coldiretti sulla base del nuovo best diets ranking elaborato dai media statunitense U.S. News & World’s Report’s, noto a livello globale per la redazione di classifiche e consigli per i consumatori. La dieta mediterranea ha fatto registrare un punteggio di 4,8 su 5, davanti alla dash contro l’ipertensione (seconda con 4,6) e alla flexitariana, che si basa su prodotti di origine vegetale ma senza escludere del tutto la carne, terza con 4,5. Nella top five seguono la mind, che previene e riduce il declino cognitivo (4,4), e la mayo clinic (4,0) un programma di dodici settimane che enfatizza frutta, verdura e cereali integrali. La dieta mediterranea aiuta a prevenire molte patologie come il diabete, l’obesità e la sindrome metabolica, le malattie cardiovascolari e osteoarticolari o i tumori.

Facile da seguire, la dieta incoraggia un consumo moderato di grassi sani, come l’olio d’oliva, e limita i grassi malsani, come i grassi saturi. È anche benefica per la salute cardiovascolare, poiché è stata associata a una riduzione della pressione sanguigna, del colesterolo e del peso corporeo, nonché a miglioramenti generali della salute del cuore e a un abbassamento dei tassi di malattie cardiache e ictus. L’abbondanza di frutti di mare nutrienti, noci, semi, olio extravergine, fagioli, verdure a foglia verde e cereali integrali nella dieta mediterranea offre anche numerosi vantaggi per il cervello. In particolare, gli antociani contenuti nelle bacche, nel vino e nel cavolo rosso sono considerati particolarmente benefici per la salute. I suoi benefici furono studiati dallo scienziato americano Ancel Keys che visse per quarant’anni a Pioppi, frazione del Comune di Pollica, oggi “capitale” della dieta mediterranea.

Un patrimonio del Made in Italy messo a rischio dalla diffusione dei cibi ultra-trasformati che mette a rischio la salute, soprattutto delle giovani generazioni, e alimenta l’obesità, come sostenuto unanimemente dalla scienza medica. Un fenomeno che va fermato – sottolinea Coldiretti – aumentando le ore di educazione alimentare nelle scuole e mettendo in campo campagne di sensibilizzazione per far conoscere i pericoli associati all’assunzione sistematica e continuativa di cibo spazzatura, come chiesto dall’82% dei genitori italiani, secondo un’indagine Coldiretti/Censis. In particolare serve definire forme di etichettatura per evidenziare che un determinato prodotto appartiene alla categoria degli ultra-trasformati e vietarne del tutto l’uso nelle mense scolastiche e nei distributori automatici negli edifici pubblici.

Exploit per la piadina romagnola Igp: 62 milioni di euro nel 2023, +6,2%

La piadina romagnola Igp piace sempre di più: a dirlo è il Rapporto Ismea-Qualivita 2024 sulla Dop Economy presentato nei giorni scorsi a Roma. Secondo i dati riferiti all’anno 2023, la piadina romagnola Igp oltrepassa per la prima volta la soglia dei 60 milioni di euro in valore, toccando quota 62 milioni con un +6,2% sull’anno precedente. Si tratta di una crescita costante che nell’ultimo triennio ha visto incrementare la piadina certificata del +17%, passando dai 53 milioni del 2021 ai 62 milioni del 2023.

Il Rapporto evidenzia come la piadina romagnola Igp non solo si conferma leader in Romagna dei prodotti certificati ma occupa anche il secondo posto nazionale nella voce “Altre categorie Dop e Igp”, quella relativa ai prodotti panificati, pasta, pasticceria e cioccolato. Meglio di lei fa solo la pasta di Gragnano Igp. Riguardo invece alla sua categoria, dei panificati, si conferma leader nel settore con i suoi 62 milioni di euro, sui 115 milioni totali. Infine, per quanto riguarda il contesto regionale, il “pane della Romagna” ribadisce il quinto posto assoluto dietro solo ai colossi Parmigiano Reggiano Dop, Prosciutto di Parma Dop, Aceto Balsamico di Modena Igp e Mortadella di Bologna Igp.

“Quest’anno festeggiamo i dieci anni dall’ottenimento dell’Igp e questi dati ci spingono a proseguire nella direzione della valorizzazione del prodotto simbolo della Romagna – spiega Alfio Biagini, Presidente del Consorzio di Promozione e Tutela della Piadina Romagnola –. In dieci anni la produzione di piadina romagnola certificata è passata dalle iniziali 6.778 tonnellate nel 2014 alle 25.675 tonnellate dello scorso anno. È evidente che parliamo di un percorso condiviso con il territorio nella consapevolezza che tutelare la piadina romagnola significa valorizzare un intero patrimonio di valori fatto di storia, tradizione e cultura racchiusi in un unico prodotto”.

Simest, nuova riserva da 200 milioni per investimenti nei Balcani Occidentali

Simest, Società del Gruppo Cassa Depositi e Prestiti per l’internazionalizzazione delle imprese, annuncia l’operatività della nuova riserva da 200 milioni di euro per favorire gli investimenti italiani in un’area chiave per il Made in Italy come quella dei Balcani Occidentali (Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina, Albania, Montenegro, Macedonia del Nord – FYROM). Le risorse sono veicolate attraverso il Fondo di finanza agevolata 394/81 gestito in convenzione col Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

La liquidità è dedicata alle imprese con interesse diretto nell’Area, cioè a quelle imprese che esportano o importano dai Balcani Occidentali o che sono presenti – direttamente o tramite la filiera – in questa regione. Le condizioni prevedono un tasso d’interesse particolarmente agevolato (0,5% luglio ‘24) e una quota a fondo perduto fino al 10%. Inoltre, le imprese interessate ad accedere ai finanziamenti agevolati sono esentate dalla presentazione di garanzie. Le risorse potranno essere utilizzate per sei differenti tipologie d’investimento: inserimento sui mercati; transizione digitale ed ecologica con possibilità di destinare fino all’80% del finanziamento a spese per il rafforzamento patrimoniale; fiere ed eventi; e-commerce; certificazioni e consulenza; temporary export manager.

La nuova riserva va ad aggiungersi all’analoga misura, sempre da 200 milioni di euro, attivata nel luglio 2023 e andata completamente esaurita in favore di 455 investimenti nella regione.

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