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Prodotti biologici fake, FederBio applaude all’indagine della Procura di Santa Maria Capua Vetere

Da sempre al fianco delle forze dell’ordine per combattere le truffe nel biologico, FederBio ringrazia la Procura di Santa Maria Capua Vetere, gli investigatori della Guardia di Finanza e dell’ICQRF del MASAF per la recente operazione che ha consentito di scoprire una rilevante frode nella commercializzazione di prodotti falsamente dichiarati biologici. L’indagine comprende note aziende, al momento sono sette le persone indagate, per cui sono scattate le misure cautelari. Otto le realtà coinvolte con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al falso ideologico e alla frode aggravata.

La più importante organizzazione del biologico italiano sottolinea che, se confermata, l’inchiesta può consentire di fare pulizia in comparti agroalimentari tipici del Made in Italy come le conserve a base di pomodoro e le mandorle.

Da anni FederBio è parte attiva nel segnalare alle autorità competenti situazioni a rischio frode, in particolare in alcuni comparti e territori critici come quelli che sono stati oggetto delle indagini da parte della Procura di Santa Maria Capua Vetere. La Federazione propone soluzioni concrete per migliorare il sistema dei controlli che integrano le moderne tecnologie digitali per garantire un monitoraggio, preciso e in tempo reale, delle tecniche di produzione e una vera tracciabilità anche nel caso di filiere complesse.

“In questa delicata situazione congiunturale, in cui anche il mercato dei prodotti biologici risente delle difficoltà delle famiglie italiane è ancora più importante garantire la massima trasparenza e rassicurare i consumatori sul rigore con cui vengono scoperti e perseguiti coloro che frodano – sottolinea Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio -. Episodi come questi nel casertano costituiscono un grave danno di concorrenza sleale per tutti i produttori biologici onesti, pregiudicando anche i cittadini che scelgono un’alimentazione sostenibile a base di prodotti bio. Recentemente abbiamo sollecitato il Governo affinché dia attuazione alla delega sulla riforma del sistema di certificazione dei prodotti biologici, e questa indagine dimostra come non ci sia più tempo da perdere”.

Export agroalimentare italiano alle stelle ma occorre tutela contro l’agropirateria

Con un aumento del 17%, è record storico per l’export agroalimentare italiano nel mondo che ha raggiunto i 60,7 miliardi di euro nel 2022 trainato dai prodotti simbolo della dieta mediterranea come vino, pasta e ortofrutta fresca che salgono sul podio dei prodotti italiani più venduti all’estero. I dati emergono dall’analisi della Coldiretti sulla base dei dati Istat sul commercio estero relativi al 2022 che evidenziano un balzo a doppia cifra per l’alimentare nonostante la guerra in Ucraina e le tensioni internazionali sugli scambi mondiali di beni e servizi.

A livello generale la Germania resta il principale mercato di sbocco dell’alimentare con un valore di 9,4 miliardi davanti agli Stati Uniti con 6,6 miliardi che superano di misura – sottolinea la Coldiretti – la Francia che si piazza al terzo posto 6,5 miliardi. Risultati positivi anche nel Regno Unito con 4,2 miliardi che evidenzia come l’export tricolore si sia rivelato più forte della Brexit, dopo le difficoltà iniziali legate all’uscita dalla Ue. Tra i prodotti il re dell’export tricolore si conferma il vino per un valore stimato vicino agli 8 miliardi di euro nel 2022, secondo le stime della Coldiretti, grazie ad una crescita a due cifre delle vendite all’estero. Al secondo posto si piazzano la pasta e gli altri derivati dai cereali con un volume di vendite all’estero che volano oltre i 7 miliardi di euro mentre al terzo ci sono frutta e verdura fresche con circa 5 miliardi e mezzo di euro di export, ma ad aumentare in modo consistente sono anche l’extravergine di oliva, oltre a formaggi e salumi.

L’andamento sui mercati internazionali potrebbe però ulteriormente migliorare – sottolinea la Coldiretti – con una più efficace tutela nei confronti della “agropirateria” internazionale il cui valore è salito a 120 miliardi, anche sulla spinta della guerra che frena gli scambi commerciali con sanzioni ed embarghi, favorisce il protezionismo e moltiplica la diffusione di alimenti taroccati che non hanno nulla a che fare con il sistema produttivo nazionale. In testa alla classifica dei prodotti più taroccati secondo la Coldiretti ci sono i formaggi partire dal Parmigiano Reggiano e dal Grana Padano con la produzione delle copie che ha superato quella degli originali, dal parmesao brasiliano al reggianito argentino fino al parmesan diffuso in tuti i continenti. Ma ci sono anche le imitazioni di Provolone, Gorgonzola, Pecorino Romano, Asiago o Fontina. Tra i salumi sono clonati i più prestigiosi, dal Parma al San Daniele, ma anche la mortadella Bologna o il salame cacciatore e gli extravergine di oliva o le conserve come il pomodoro San Marzano. Ma tra gli “orrori a tavola” non mancano i vini, dal Chianti al Prosecco – spiega Coldiretti – che non è solo la Dop al primo posto per valore alla produzione, ma anche la più imitata. Ne sono un esempio il Meer-secco, il Kressecco, il Semisecco, il Consecco e il Perisecco tedeschi, il Whitesecco austriaco, il Prosecco russo e il Crisecco della Moldova mentre in Brasile nella zona del Rio Grande diversi produttori rivendicano il diritto di continuare a usare la denominazione prosecco nell’ambito dell’accordo tra Unione Europea e Paesi del Mercosur. Una situazione destinata peraltro a peggiorare se l’Ue dovesse dare il via libera al riconoscimento del Prosek croato.

A pesare sul Made in Italy a tavola nel mondo ci sono anche il probabile arrivo delle prime richieste di autorizzazione alla messa in commercio di carne, pesce e latte sintetici alla minaccia delle etichette allarmistiche sul vino fino al semaforo ingannevole del Nutriscore che boccia le eccellenze tricolori. Si tratta di un sistema di etichettatura fuorviante, discriminatorio ed incompleto che – sottolinea la Coldiretti – finisce paradossalmente per escludere dalla dieta alimenti sani e naturali che da secoli sono presenti sulle tavole per favorire prodotti artificiali di cui in alcuni casi non è nota neanche la ricetta. I sistemi allarmistici di etichettatura a semaforo – continua la Coldiretti – si concentrano esclusivamente su un numero molto limitato di sostanze nutritive (ad esempio zucchero, grassi e sale) e sull’assunzione di energia senza tenere conto delle porzioni, escludendo paradossalmente dalla dieta ben l’85% in valore del Made in Italy a denominazione di origine.

“Il contributo della produzione agroalimentare Made in Italy alle esportazioni e alla crescita del Paese potrebbe essere nettamente superiore con un chiaro stop alla contraffazione alimentare internazionale” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sottolineando che “serve cogliere l’opportunità del Pnrr per modernizzare la logistica nazionale ed agire sui ritardi strutturali dell’Italia sbloccando tutte le infrastrutture per migliorare i collegamenti tra Sud e Nord del Paese, ma anche con il resto del mondo per via marittima e ferroviaria in alta velocità, con una rete di snodi composta da aeroporti, treni e cargo”.

Bio made in Italy, è boom nei Paesi scandinavi

Danimarca e Svezia, ottavo e nono mercato al mondo per vendite di prodotti bio, con un incremento rispettivamente del +183% e del +176% negli ultimi 10 anni e un tasso di penetrazione del bio dell’87%, sono tra i mercati più promettenti per il bio Made in Italy – come confermato anche dal panel di imprese alimentari e vitivinicole italiane intervistate da Nomisma. Il dato emerge dalla survey sui consumatori danesi e svedesi presentata in occasione del quarto forum Ita.Bio, la piattaforma online di dati e informazioni per l’internazionalizzazione del biologico Made in Italy curata da Nomisma e promossa da ICE Agenzia e FederBio.

IL RUOLO DELL’EXPORT NEL BIO MADE IN ITALY
Molto positiva la performance dell’export agroalimentare bio: nel 2022 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto i 3,4 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del +16% (anno terminante a giugno) rispetto all’anno precedente. Il riconoscimento del bio made in Italy sui mercati internazionali è testimoniato anche della crescita di lungo periodo (+181% rispetto al 2012, un valore quasi triplicato) e dalla quota di export sul paniere Made in Italy, con un peso del 6% sull’export agroalimentare italiano totale nel 2022. La gran parte delle esportazioni riguarda il food ma è rilevante anche il ruolo del vino.

I NUMERI CHIAVE DEL BIO IN SCANDINAVIA
Tutti i numeri del bio in Scandinavia sono positivi. La Danimarca è l’ottavo mercato al mondo per valore delle vendite di prodotti bio sul mercato interno con 2.240 milioni di euro e una quota di vendite bio sul totale della spesa alimentare pari a ben il 13% (quasi raddoppiata rispetto al 2010). Segue a pochissima distanza la Svezia – nono consumatore mondiale di prodotti bio – con un valore di 2.193 milioni di euro e un peso del bio che sfiora quasi il 9%. Per non parlare della spesa pro-capite per prodotti bio: 384 euro in Danimarca e 212 euro in Svezia che fanno sì che i due Paesi si collochino ai vertici della classifica mondiale, rispettivamente al secondo e quinto posto.

IL CONSUMATORE BIO IN SCANDINAVIA (DANIMARCA & SVEZIA)
I dati della consumer survey originale realizzata Nomisma confermano un forte interesse per il bio in Scandinavia: quasi 9 famiglie su 10 hanno consumato un prodotto alimentare o una bevanda a marchio biologico nel corso del 2022. Tra gli altri fattori che fanno della Scandinavia un mercato ad alto potenziale per il bio ci sono, da un lato, la quota di heavy user (il 40% delle famiglie acquista bio in ogni spesa o quasi) e, dall’altro, la centralità della caratteristica bio come driver di scelta, tanto che 1 consumatore su 5 dichiara di considerare il marchio bio come primo criterio di scelta quando acquista prodotti alimentari, quota che aumenta per alcune categorie di prodotti come ortofrutta fresca, olio extra-vergine di oliva, alimenti per bambini e formaggi.

Dalla survey di Nomisma risulta anche che la sostenibilità ambientale e sociale rappresenta la principale motivazione dei consumatori scandinavi alla base della scelta di prodotti biologici e coinvolge quasi ben la metà degli user. Gli ulteriori motivi che guidano gli acquisti di prodotti bio tra i consumatori di Svezia e Danimarca sono la sicurezza per la salute e le qualità e le proprietà nutrizionali differenti rispetto ai prodotti convenzionali.

Il marchio biologico non è l’unico attributo che conta nella scelta dei prodotti da mettere nel carrello e il consumatore richiede coerenza e sostenibilità a 360°. A conferma di ciò, ben il 28% degli user bio ritiene importante che la confezione sia eco-friendly o che il prodotto sia stato fatto rispettando l’ambiente (minori emissioni di CO2, zero sprechi, uso di energia rinnovabile ecc …).

“Supportare i protagonisti dell’agroalimentare biologico italiano è il primo obiettivo della piattaforma Ita.Bio dove Nomisma rappresenta la struttura di market intelligence in grado di monitorare dimensioni, trend e opportunità dei principali mercati internazionali” dichiara Silvia Zucconi, Responsabile Market Intelligence Nomisma S.p.A. “Il forum è stato dedicato ai Paesi scandinavi, mercati dove il bio italiano ha un’importante opportunità di sviluppo: la Danimarca è prima per quota di consumi bio sul totale (12%) con un consumo pro capite che sfiora i 400 euro, la sostenibilità è primo driver di scelta dei prodotti agroalimentari – precedendo l’interesse verso prezzo e convenienza, l’Italia è il primo Paese a cui i consumatori riconoscono alta qualità delle produzioni alimentari – premesse che unite al supporto del desk dedicato attivato da ICE Agenzia e FederBio rappresentano formidabili opportunità per le imprese italiane”.

IL MADE IN ITALY BIO PER IL CONSUMATORE SCANDINAVO
Nel confronto internazionale, l’Italia si posiziona al primo posto tra i Paesi che producono i prodotti bio di maggiore qualità: a pensarla così è il 38% degli user bio. Nel caso della Svezia, il nostro Paese si contende la leadership con la Danimarca: in tal caso la quota di user che indica l’Italia quando pensa ai prodotti bio di maggiore qualità è pari al 37%. A ulteriore conferma dell’ottima reputazione del bio italiano, per ben 6 consumatori scandinavi su 10 i prodotti alimentari bio Made in Italy hanno una qualità superiore rispetto ai prodotti di altri Paesi mentre per 7 consumatori 10 il bio italiano ha un percepito maggiore anche sul fronte delle garanzie di tracciabilità e di metodi produttivi rispettosi dell’ambiente. Grazie a questa ottima percezione, i prodotti bio italiani trovano larga diffusione in Scandinavia: il 65% delle famiglia ha acquistato un prodotto alimentare made in Italy a marchio biologico nel corso del 2022 e il 30% li ha acquistati almeno una volta a settimana.

Quali sono i prodotti più promettenti per il bio Made in Italy?
Olio extra vergine d’oliva, formaggi, conserve di pomodoro, salumi, formaggi e vino sono i prodotti italiani a marchio bio più acquistati dai consumatori scandinavi ma anche le categorie per i quali il consumatore è più interessato al binomio bio-made in Italy.

IL RUOLO DEL VINO BIO
Dal rapporto presentato da Nomisma risulta anche che il vino è uno dei prodotti bio più diffusi sul mercato scandinavo. Se ci si focalizza sul mercato svedese – sulla base dei dati del Systembolaget, il monopolio svedese che gestisce le vendite di bevande alcoliche (vino incluso) – ben un quarto delle vendite di vino è costituito proprio da vini a marchio bio per un valore di 600 milioni di euro nell’ultima rilevazione. In tale scenario, l’Italia è leader assoluto con un peso sul totale delle vendite di vino bio del 42% sia a valore che a volume nel 2021; un successo da ricondurre in primis all’ottimo posizionamento di alcuni territori quali Veneto (grazie al Prosecco che rappresenta la denominazione a marchio bio più venduta in Svezia), Sicilia e Puglia.

«Il vino italiano gode di un’ottima reputazione sul mercato scandinavo e l’Italia figura al primo posto tra i Paesi che producono i vini di maggiore qualità. Tale forte apprezzamento nei confronti del vino made in Italy trova riscontro anche con riferimento al biologico: ben il 38% degli wine user beve vino a marchio bio di origine italiana e il 20% lo fa con cadenza settimana. E le opportunità per le aziende vitivinicole italiane sono ancora ampie su tale importante mercato, al punto che quasi la metà dei consumatori sarebbe interessato a provare un nuovo vino italiano a marchio bio mentre in un terzo dei casi sarebbe disposto a spendere un differenziale di prezzo superiore al 5% rispetto ad un vino italiano non bio” afferma Emanuele Di Faustino, Responsabile Industria, Servizi e Retail Nomisma S.p.A.

IL POTENZIALE DEL MADE IN ITALY BIO
Nessun ostacolo per il binomio bio e made in Italy neanche per il futuro: il 30% dei consumatori si dice interessato all’acquisto di un prodotto alimentare italiano a marchio bio, quota che sale al 46% in merito al vino. Gli indecisi sarebbero attratti, oltre che da promozioni e prezzi bassi, anche da brand famosi, da informazioni sul basso impatto ambientale e dalla presenza di confezioni eco-sostenibili. Più della metà degli attuali non user vino, infatti, non ha ancora mai provato il bio italiano perché non lo trova in assortimento mentre in 1 caso su 5 non ne conosce ancora le caratteristiche distintive. Le stesse motivazioni del mancato acquisto riguardano anche i prodotti alimentari: il 26% di chi non consuma food bio made in Italy dichiara di non conoscerne le caratteristiche distintive e, in 1 caso su 10, non li trova nei punti vendita abituali.

“Negli ultimi 10 anni, le esportazioni di biologico made in Italy sono letteralmente esplose (+ 181%), facendo diventare l’Italia il principale esportatore di alimenti bio a livello internazionale dopo gli USA. I Paesi Scandinavi sono mercati dove la richiesta di prodotti biologici made in Italy è in crescita, prodotti che uniscono attenzione alla sostenibilità con la qualità elevata delle produzioni agroalimentari italiane e incorporano valori culturali, sociali e ambientali riconosciuti e apprezzati in tutto il mondo. La piattaforma Ita.Bio, nata dalla collaborazione fra l’Agenzia ICE e FederBio con il supporto del Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale, intende supportare le imprese anzitutto fornendo informazioni e conoscenza dei mercati indispensabili per potervi operare e mettendo a disposizione una piattaforma integrata di iniziative promozionali. Anche attraverso questa iniziativa FederBio conferma il proprio impegno per supportare lo sviluppo del settore biologico italiano e la sua internazionalizzazione” dichiara Paolo Carnemolla, Segretario Generale di FederBio.

“In Scandinavia l’attenzione ai prodotti biologici è molto elevata e le vendite di prodotti bio superano il valore di 2 milioni di euro sia in Svezia che in Danimarca. L’export italiano nel settore è in costante crescita negli ultimi anni ed ha superato i 3 miliardi di euro nel 2022; i nostri prodotti biologici godono di un’ottima reputazione sul mercato scandinavo e di quote di mercato rilevanti, sia nel settore agroalimentare che in quello del vino. Il Focus Nomisma Svezia/Danimarca rappresenta un’ottima occasione per illustrare trend e dinamiche del settore, al fine di approfondire la conoscenza dei due mercati ed evidenziarne le opportunità commerciali. L’ufficio ICE di Stoccolma può sostenere nel modo più efficace le imprese italiane nel cogliere al meglio tali opportunità e rafforzare la loro presenza sul mercato scandinavo, con la propria offerta di servizi personalizzati ed attività promozionali dedicate” dichiara infine Andrea Mattiello, direttore dell’ufficio ICE di Stoccolma.

Agroalimentare italiano, in aumento i prodotti riconosciuti dalla Ue

Prosegue la crescita delle eccellenze nel settore agroalimentare di qualità del cibo. Nel 2021 il settore si arricchisce di tre prodotti food: Olio di Roma di Indicazione geografica protetta (Igp) nel Lazio, la Pesca di Delia (sempre Igp) e il Pistacchio di Raffadali di Denominazione di origine protetta (Dop) le cui zone di produzione, in questi ultimi due casi, si estendono tra diversi comuni in Provincia di Caltanissetta e Agrigento in Sicilia.

Ma è nel 2020 che si è registrata un’impennata nelle certificazioni, quando nel mercato sono entrati 12 prodotti di cui: uno di Specialità tradizionale garantita, Stg (l’Amatriciana tradizionale), cinque prodotti Dop (Mozzarella di Gioia del Colle, Provola dei Nebrodi, Cappero delle Isole Eolie, Pecorino del Monte Poro e Colatura di Alici di Cetara) e sei Igp (Südtiroler Schüttelbrot/Schüttelbrot Alto Adige, Rucola della Piana del Sele, Limone dell’Etna, Pampepato di Terni/Panpepato di Terni, Olio lucano e Mele del Trentino).

Si conferma la predominanza del settore degli Ortofrutticoli e cereali che, di fatto, rimane quello con il maggior numero di riconoscimenti: nel 2021 si attestano a 118, di cui 38 Dop e 80 Igp. Segue il settore dei Formaggi con 56 prodotti e l’Olio extravergine di Oliva con 49 prodotti. A livello territoriale l’Emilia-Romagna è la regione con il maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, seguita dal Veneto, dalla Sicilia e dalla Lombardia.

In crescita gli operatori del food di qualità
Nel 2021 si registra rispetto al 2020 un aumento degli operatori soprattutto tra i produttori (+1,9%), i trasformatori restano invece pressoché stazionari (+0,2%). La crescita interessa soprattutto le regioni del Mezzogiorno (+2,8% per gli operatori e +2,9% per i produttori). Al Nord la variazione è di +1,6% sia per i produttori che per gli operatori, che al Centro hanno invece una situazione più stazionaria (entrambi +0,8%).

Più variegato è lo scenario dei trasformatori che comunque raggiungono l’incremento maggiore sempre nel Mezzogiorno (+2%), all’opposto nel Nord la variazione è negativa (-2%). Ad incidere positivamente sui risultati del Mezzogiorno troviamo il settore delle Carni fresche, dei Formaggi e dell’Olio extravergine di Oliva. A livello regionale, nelle aree meridionali del Paese si colloca il 40,5% dei produttori, di cui la quota più alta (19%) nella sola Sardegna, seguita dalla Sicilia (7,4%). Nel Nord opera il 37,7% dei produttori presenti in Italia (il 14,3% nel solo Trentino-Alto Adige), mentre nel Centro (21,8%) è particolarmente attiva la Toscana (14,3%).

Il forte legame tra il territorio di origine e i prodotti agroalimentari di qualità certificati dall’Unione europea si traduce nella tipicità e specializzazione del territorio stesso oltre che nella sua valorizzazione in determinati settori. È così che in Sardegna è presente soprattutto una tradizione lattiero casearia, con il 66,7% dei produttori che operano in questo settore e gestiscono il 67,2% degli allevamenti certificati della regione. Analogo discorso vale per la Valle D’Aosta-Vallée d’Aoste, dove tutti i produttori sono attivi nel settore dei Formaggi, che vede in Lombardia una quota del 66% e in Emilia Romagna del 52,5%.

La Toscana ha una spiccata vocazione nell’attività olivicola-olearia: l’86,2% dei produttori e il 96,5% della superficie investita coinvolta. La specializzazione olivicola-olearia è forte anche in Liguria e in Puglia (la quota di produttori del settore è, rispettivamente, del 94,3% e dell’87,4%), così come in Sicilia (59,8%), anche se in quest’ultima regione è rilevante anche la produzione ortofrutticola (38,8%). In Trentino Alto-Adige quasi il 90% dei produttori lavora nel settore ortofrutticolo al quale è dedicata quasi tutta la superficie certificata nella regione. Nel 2021 il 41,2% dei trasformatori si ripartisce tra l’Emilia-Romagna (18%), la Toscana (13,8%) e la Campania (9,4%). In Emilia-Romagna il 19,7% dei trasformatori è attivo nella Preparazione di carni, il 33,4% nel settore lattiero-caseario, mentre il 33,7% opera nel comparto degli ‘Altri settori’. In Toscana si conferma la forte specializzazione nel settore olivicolo-oleario anche per l’attività di trasformazione (molitore e/o imbottigliatore) svolta dal 62,7% delle imprese della regione. In Campania il 46,5% dei trasformatori opera nel settore delle Carni fresche.

Carni fresche: un settore in crescita
Con 10.177 operatori presenti il settore delle Carni fresche segna nel 2021, rispetto al 2020, una crescita (+2,3%) che interessa sia i produttori (+2,1%) che i trasformatori (+2,6%). Tra la Sardegna e il Lazio si concentra il 61,3% degli operatori. Questo valore aumenta se si considerano i soli produttori che, in queste regioni, rappresentano il 67,1% del totale nazionale del settore e conducono il 66,8% degli allevamenti. Più varia è la situazione per i trasformatori articolati diffusamente sul territorio, in particolare tra la Campania (29,4%), la Toscana (16,6%) e le Marche (11,4%). Nel complesso, i trasformatori si attestano a 1.130 unità e gestiscono 2.311 impianti (con un rapporto medio di circa due impianti per impresa). In ordine per numero di produttori al primo posto troviamo l’Agnello di Sardegna, seguito dal Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale.

In calo la Preparazione di carni
La Preparazione di carni opera in una logica di filiera ramificata in cui lo stesso operatore può partecipare alla realizzazione di uno o più prodotti. Le aziende di questo comparto segnano una flessione rispetto al dato del 2020 (-4,5% per gli operatori) che, in misura variabile, interessa quasi tutti i prodotti di qualità del settore. Questa flessione diventa ancora più evidente se si guarda ai produttori (-6,6%). I prodotti a base di carne contano, nel 2021, 3.010 produttori con 3.620 allevamenti localizzati prevalentemente in Lombardia (40,9% dei produttori e 41,8% degli allevamenti), in Piemonte (23,6% e 22,7%) e in Emilia-Romagna (14,6% e 15,7%). Oltre il 40% delle imprese di trasformazione e degli impianti si concentra in Emilia-Romagna.

In lieve flessione il settore dei Formaggi
Come per la Preparazioni di carni, anche il settore dei Formaggi si sviluppa lungo un’articolata e densa rete di rapporti tra gli allevatori e i trasformatori in quanto il latte di un medesimo allevamento può essere destinato alla preparazione di formaggi diversi. Nel 2021 il settore può contare su 24.637 operatori, 23.644 produttori e 1.436 trasformatori. I primi prodotti di qualità per numero di operatori sono: Pecorino Romano, Pecorino Sardo e il Grana Padano. Rispetto al 2020 il settore segna una flessione dello 0,7% (sia per i produttori che, più in generale, per gli operatori) in tutte le ripartizioni geografiche considerate, con la sola eccezione delle Isole. Ed è proprio nelle Isole che si localizza il maggior numero di produttori (43,6% nella sola Sardegna) e di allevamenti. Seguono la Lombardia (con il 13,5% dei produttori) e l’Emilia-Romagna (11%). In quest’ultima regione, inoltre, è presente il maggior numero di trasformatori del settore (31,5% del totale nazionale) pari, in valore assoluto, a 453 imprese che, in media, gestiscono ognuna 1,5 impianti.

Forte dinamismo dei produttori nell’Ortofrutticolo e dei cereali
Caratterizzato dal maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, tra il 2020 e il 2021 il settore degli Ortofrutticoli e dei cereali segna un’importante crescita: gli operatori, infatti, registrano un incremento del 5,6% grazie al forte dinamismo dei produttori (+5,9%), mentre la superficie investita aumenta dell’8,2%. La dimensione media delle aziende agricole è di circa 4,6 ettari per unità produttiva. In calo, invece, i trasformatori (-2,1%), che subiscono una flessione più accentuata nelle aree del Nord-est (-4,9%) e del Sud (-4,4%). Oltre la metà dei produttori del settore si colloca nel Trentino-Alto Adige (51,4%), a seguire l’11,5% della Sicilia. Tra i prodotti più tipici del Trentino-Alto Adige si ricordano la Mela dell’Alto Adige o Südtiroler Apfel, le Mele del Trentino, la Mela della Val di Non, oltre che la Susina di Dro.

Oli extravergine di oliva: in aumento i soggetti della filiera
Nel confronto con l’anno precedente, il settore olivicolo oleario segna una crescita del 2,9% sia in termini di produttori che, più in generale, di operatori. I trasformatori (nel ruolo di molitori e/o imbottigliatori) aumentano del 3,4%, mentre gli impianti segnano una crescita del 5,3%: in media ciascun trasformatore gestisce 1,5 impianti. Considerata la lunga tradizione geografica di alcuni territori specializzati nella coltivazione dell’olivo e nella produzione olearia, la Toscana si conferma, anche nel 2021, la regione con il maggior numero di operatori presenti nel settore (42%), seguita dalla Puglia (16,3%) e dalla Sicilia (15,6%). La quota femminile interessa il 33% dei produttori e il 20,1% dei trasformatori.

In flessione i produttori del comparto ‘Altri settori’
Questo comparto è costituito dall’aggregazione di più settori: Altri prodotti di origine animale, Aceti diversi dagli aceti di vino, Prodotti di panetteria, Spezie, Oli essenziali, Prodotti ittici, Sale e Paste alimentari e vede la presenza di una pluralità di prodotti di nicchia, che coinvolgono 2.564 operatori tra coltivatori, allevatori e pescatori, oltre che trasformatori. Questi ultimi sono 926, con 1.331 impianti. Rispetto al 2020, si assiste ad una flessione del 3,2% dei produttori, mentre tengono i trasformatori (+0,5%). Oltre il 45% dei produttori si localizza in Campania, segue il 27,4% del Lazio. Le aziende di trasformazione si concentrano, invece, tra l’Emilia-Romagna (49,4%) e l’Abruzzo (10,8%).

Piaceri Italiani, oltre 300 eccellenze made in Italy selezionate da Crai

È online da pochissimi giorni il nuovo sito www.piaceri-italiani.it, dedicato alla linea di prodotti premium “Piaceri Italiani” sviluppati dal Gruppo CRAI. Le pagine consentono un vero e proprio viaggio nel gusto attraverso le oltre 300 referenze accuratamente selezionate da CRAI tra quelle più rappresentative dell’eccellenza del nostro Paese. Un rilevante sviluppo dell’ecosistema della linea, frutto di una strategia finalizzata a sostenere l’alto di gamma e a favorire un contatto diretto con i consumatori più attenti alla qualità e alla tradizione.

Grazie a una struttura lineare e curata, il sito favorisce l’esperienza dell’utente alla scoperta del racconto di Piaceri Italiani. La home page presenta i due “Piaceri del mese”, mentre la ricca gamma di prodotti è suddivisa nelle categorie Dispensa, Fresco, Freddo e Bevande. Semplice e intuitivo, il sito è stato studiato per favorire una piacevole e coinvolgente esperienza di navigazione.

Un’attenzione particolare è stata dedicata alla scelta delle immagini, che hanno ovviamente un ruolo fondamentale per raccontare “le storie dietro al gusto”. Un vero e proprio viaggio nella tradizione da Nord a Sud attraverso i prodotti “Piaceri Italiani” che sono interpretati in modo iconico grazie anche al lavoro creativo dell’agenzia pubblicitaria Mosquito.

“Il sito di Piaceri Italiani aggiunge un’importante tappa al percorso di rafforzamento dell’alto di gamma che abbiamo già intrapreso. Investiamo nella bontà dei prodotti del nostro paese, che hanno reso la cucina italiana conosciuta in tutto il mondo. Grazie al sito possiamo arricchire il racconto della tradizione gastronomica del nostro Paese, avvicinando la filiera italiana dei produttori e i consumatori” afferma Mario La Viola, Direttore Marketing, Format, Rete e Sviluppo di CRAI.

Per celebrare il lancio del sito, insieme alla casa di produzione Ince Media è stata realizzata per la prima volta una esilarante mini web-serie di 24 episodi in cui vengono presentate 24 ricette in modo unico con protagonisti i bravissimi comici e attori Roberto Ciufoli e Alessandro Betti (nei panni dell’irresistibile Chef Tobia Montesi) insieme al seguitissimo Chef Hiro. Online sui canali digital (Sito web, Facebook, Instagram, YouTube) a partire da primi di novembre, la serie si concluderà all’inizio del prossimo anno.

“I prodotti della nostra Marca ci chiamano a un doppio impegno sia nei confronti dei produttori che dei consumatori, che ci assumiamo con grande responsabilità in un momento storico come quello che stiamo attraversando. Selezioniamo per la linea “Piaceri Italiani” solo i migliori prodotti: il sito ci consente di raccontare in assoluta trasparenza quell’attenzione alla sostenibilità e al territorio che sono per noi una vera e propria mission e per chi ci sceglie – sia un fornitore o un cliente – valori in cui riconoscersi” commenta Pietro Poltronieri, direttore MDD di CRAI Secom.

La linea Piaceri Italiani è composta da circa 300 prodotti e presidia le principiali categorie merceologiche come:

Drogheria Alimentare: dalle lenticchie al dolcetto, passando per la salsa di pomodoro, l’olio extravergine e i grissini. Una gamma caratterizzata da una ricca scelta per ogni occasione.

Fresco e freschissimo: prodotti appena fatti, subito confezionati, per portare in tavola tutta la fragranza e il sapore dei migliori prodotti della tradizione. Dagli affettati, ai formaggi e pasta fresca da cucinare.

Banco taglio: un’accurata selezione di formaggi e salumi, in prevalenza DOP e IGP, con la promessa di offrire sempre il meglio.

Bevande: una selezione di liquori da fine pasto che affianca i migliori classici, come mirto e limoncello, a chicche meno conosciute e assolutamente da scoprire.

Surgelati: una gamma ricca, in cui trovare sia le classiche eccellenze come gelati e dessert, sia le tipiche specialità salate provenienti dalle diverse regioni italiane.

Osservatorio Immagino, l’italianità nel carrello trionfa con Docg e Doc

Nel 2021 la corsa del fenomeno dell’italianità nel carrello della spesa si è stabilizzata, dopo anni di espansione. I 23.944 prodotti su cui l’Osservatorio Immagino ha rilevato un’icona, un claim, un riferimento alla provenienza da un preciso territorio italiano o un’indicazione geografica europea hanno chiuso l’anno con oltre 8,9 miliardi di euro di sell-out tra ipermercati e supermercati. Rispetto al 2020, il giro d’affari è rimasto stabile al -0,1%, con una diminuzione della domanda (-2,7%) a fronte di un’offerta che, invece, ha continuato a espandersi (+2,5%). Nonostante questo scenario di sostanziale stabilità delle vendite, quello dell’italianità resta il fenomeno più pervasivo tra quelli individuati dall’Osservatorio Immagino, poiché accomuna il 26,8% delle referenze rilevate e contribuisce per il 27,5% al giro d’affari complessivo del paniere Immagino. Il marker dell’italianità più presente sulle etichette dei prodotti è la bandiera tricolore, che è stata rilevata su oltre 13 mila prodotti (15,5%) del totale che hanno realizzato oltre 5 miliardi di euro di sell-out, ossia il 16,0% del totale del paniere Immagino. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 hanno perso il -1,3% del giro d’affari, zavorrati dalla contrazione del -3,8% della componente pull a cui si è rivolta una componente push in crescita annua del +2,5%.

Uova, mozzarelle, crescenze, surgelati vegetali e farine sono state tra le categorie in calo, soprattutto per l’effetto rimbalzo sulla domanda, dopo le crescite del 2020. Al contrario nel 2021 sono aumentati affettati, bevande base thè, pizze surgelate e avicunicoli di quarta lavorazione, in tutti i casi per un maggior utilizzo della bandiera italiana sulle confezioni. In flessione anche il business del “100% italiano”, che ha un’incidenza dell’8,0% sulla numerica rilevata e contribuisce per l’11,5% al valore complessivo delle vendite del paniere rilevato. Nel 2021 il giro d’affari dei 7.126 prodotti con questo claim in etichetta ha fatto registrare una flessione del -1,8%, attestandosi a 3,7 miliardi di euro. Un risultato legato soprattutto al calo della domanda, arretrata del -7,0% rispetto al 2020, e a cui si è contrapposta la crescita del +5,3% dell’offerta. Tra i prodotti sono risultati in crescita merendine, affettati, avicunicoli di quarta lavorazione e latte Uht, mentre a calare sono stati mozzarelle, formaggi a pasta filata e uova. Terzo claim di questo paniere, sia per incidenza sulla numerica dei prodotti sia per valore delle vendite, è “prodotto in Italia”: nel 2021 le 6.748 referenze su cui è stato rilevato hanno realizzato 1,4 miliardi di euro di sell-out, in calo del -0,6% rispetto al 2020.

A determinarlo è stato il calo dell’offerta, con la riduzione del -3,0% dell’uso del claim in etichetta. Invece la domanda è risultata in aumento del +2,4%. Tra le categorie in crescita troviamo piatti pronti surgelati, pesce surgelato panato, uova di Pasqua, uva e verdure di quarta gamma. Tra quelle in calo affettati, paste filate e olio extravergine di oliva. La performance migliore del 2021 nel paniere dell’italianità l’hanno messa a segno gli oltre 4 mila prodotti che evidenziano in etichetta di aver ottenuto la Doc (Denominazione di origine controllata), la Dop (Denominazione di origine protetta) o la Docg (Denominazione di origine controllata e garantita): nell’arco di 12 mesi il loro giro d’affari è aumentato del +4,0% arrivando a 1,3 miliardi di euro. Un risultato a cui hanno contribuito sia la componente push (+2,2%) sia quella pull (+1,9%), entrambe in espansione. Scorporando i trend delle singole indicazioni europee, spicca il ruolo trainante della Docg, che ha ottenuto nell’anno un aumento del +13,2% del giro d’affari, arrivato a sfiorare i 291 milioni di euro. Molto forte la domanda (+7,7%) e dinamica l’offerta (+5,5%).

Decisamente sopra media anche il trend del paniere Doc (+6,4%), arrivato a 486 milioni di euro di sellout, spinto da un’offerta e da una domanda aumentate di circa tre punti percentuali. Tra le categorie in crescita di tutto il paniere Doc, Dop e Docg spiccano gli spumanti charmat secchi, gli spumanti classici e i vini; tra quelle in calo soprattutto i formaggi grana e simili, a cui si deve in gran parte il risultato annuo negativo del paniere Dop (-2,1%), che, penalizzato dalla contrazione sia della domanda sia dell’offerta, si è fermato a 567 milioni di euro di sell-out. Sostanzialmente stabili, invece, sono risultate le vendite dei 1.946 prodotti contrassegnati dalla Igp (Indicazione geografica protetta) o dalla Igt (Indicazione geografica tipica): nel 2021 hanno perso lo 0,3% del giro d’affari, ammontato a 594 milioni di euro. Verdure di quarta gamma, cipolle, patate e affettati sono stati i prodotti in crescita, mentre mele, pasta di semola e vini quelli in diminuzione.

Le regioni italiane in etichetta
Ha continuato a crescere anche nel 2021 l’interesse per i prodotti del food & beverage che esprimono tradizioni e peculiarità territoriali. In supermercati e ipermercati è aumentato l’assortimento di referenze sulle cui etichette è esplicitata la provenienza da una specifica regione italiana. L’Osservatorio Immagino ne ha individuate 9.852 (11,0% della numerica complessiva) che hanno sviluppato oltre 2,7 miliardi di euro di vendite, ossia il +3,2% rispetto al 2020, contribuendo per l’8,3% sul giro d’affari complessivo del food rilevato. La valorizzazione della provenienza regionale ha preso spazio sull’offerta, aumentata del +2,6%, e ha beneficiato di una domanda in lieve crescita (+0,6%). Passando alla consueta classifica delle regioni che hanno sviluppato il maggior giro d’affari con i loro prodotti, ancora una volta la prima posizione spetta al Trentino-Alto Adige, con 968 prodotti (1,1% del totale) e oltre 359 milioni di euro di vendite (1,1% di quota). Leadership rafforzata nel 2021 grazie a una crescita del +2,1% del sell-out, sostenuta dall’aumento delle vendite soprattutto di spumante, latte fresco, vini Doc e Docg, speck. Seconda per giro d’affari (326 milioni di euro) è la Sicilia, con 1.109 prodotti. I principali sono stato i vini Doc e Docg, i sughi pronti, le arance e le birre, ma quelli che hanno più contribuito alla crescita annua del +3,5% delle vendite sono stati le birre, la limonata, la pasta fresca ripiena e i prodotti da forno da ricorrenza. Terza regione in ordine di importanza per giro d’affari è il Piemonte, con 301 milioni di euro generati da 1.251 prodotti. Rispetto al 2020, le vendite sono aumentate del +1,4%. Le categorie più importanti in termini di valore sono stati i vini rossi Doc e Docg, la terza lavorazione bovina (hamburger), la crescenza, la robiola e il primo sale, mentre quelle a maggior crescita nel 2021 la terza lavorazione bovina (macinato), le uova di Pasqua (> 30 g farcite/bigusto), lo spumante charmat dolce e l’acqua minerale non gassata (101-150 cl).

Al quarto posto della classifica per valore delle vendite in supermercati e ipermercati si conferma l’Emilia-Romagna, una delle poche regioni ad aver chiuso il 2021 con una contrazione, e anche significativa, delle vendite (-4,2%), ammontate a quasi 289 milioni di euro, inficiate dal calo delle vendite delle categorie più importanti, come gli affettati (prosciutto crudo) e le merendine. Ai primi posti per sellout anche vini rossi Doc e Igp, brandy, burro e passate di pomodoro. Anno molto positivo il 2021 per il mercato dei prodotti made in Veneto, le cui vendite sono aumentate del +9,1% in 12 mesi, arrivando a 279 milioni di euro ed evidenziando la miglior performance annua tra tutte le 20 regioni monitorate. E sono state le categorie più rilevanti per giro d’affari, ossia Prosecco e vini Doc e Docg (sia rossi che bianchi), a mostrare i maggiori trend di crescita. La Toscana ha uno dei panieri regionali più ricchi di prodotti (1.170 referenze) che nel 2021 hanno sviluppato 242 milioni di euro di sell-out, confermandola al sesto posto nella classifica nazionale. Nel corso dell’anno il giro d’affari del paniere toscano è aumentato del +0,4%.

Vini rossi Doc, Docg, Igp e Igt, ma anche passate di pomodoro, ceci e zuppe, sono stati tra le categorie principali mentre le crescite più significative sono state evidenziate da vini rossi Doc e Docg, vini bianchi Igp e Igt, e prodotti di pasticceria. Sopra media la crescita del giro d’affari dei 533 prodotti presentati in etichetta come collegati alla Lombardia: grazie a uno scatto in avanti del +3,8%, il loro fatturato è arrivato a quasi 163 milioni di euro. Le categorie più importanti sono state lo spumante classico non millesimato, le crescenze e i vini rossi Doc e Docg, mentre quelle più in espansione sono state gli spumanti classici e la pasta fresca.

Significativo miglioramento del business generato in supermercati e ipermercati dai 607 prodotti con l’indicazione Sardegna in etichetta. Nel 2021 hanno generato 160 milioni di euro di vendite, in crescita del +5,3% rispetto ai 12 mesi precedenti. Se i prodotti più rappresentativi restano latte Uht, vini Doc e Docg, mozzarelle e altri liquori base frutta, quelli che hanno contribuito maggiormente all’aumento del sell-out sono stati i vini bianchi Doc e Docg Italiano, i formaggi grana e simili grattugiati e il latte Uht. Sul podio delle prime tre regioni più performanti del 2021 è salita la Puglia, grazie a una crescita delle vendite in valore del +8,3%, che le ha portate a 142 milioni di euro. In questo paniere di 690 prodotti, i più “pesanti” in termini di fatturato sono stati vini rossi, taralli, mozzarelle, burrata e ceci. I maggiori contributi alla crescita li hanno forniti burrata, taralli, mozzarelle e vini rossi. Al decimo posto della classifica nazionale per regioni nel 2021 è salita l’Umbria, che ha visto aumentare il suo giro d’affari del +3,3% su base annua, arrivando a quasi 115 milioni di euro generati da 243 referenze. Presente soprattutto sulle etichette di acque minerali, passate di pomodoro e vini, ha ottenuto i migliori aumenti delle vendite in acque non gassate, vini Doc, Docg, Igp e Igt, e birre.

Sono stati 394 i prodotti individuati dall’Osservatorio Immagino che riportavano on pack l’indicazione Campania. Nel 2021 hanno realizzato 107 milioni di euro di sell-out, in calo del -0,2% rispetto all’anno precedente. Mozzarella di bufala, vini, pizza surgelata e pasta di semola sono stati i prodotti che hanno maggiormente contribuito al sell-out. Brillante annata il 2021 per i 247 prodotti presentati in etichetta come provenienti dalla Calabria. Grazie al miglioramento del +8,7% del giro d’affari, sono stati il secondo paniere regionale per crescita assoluta e sono arrivati a 102 milioni di euro di incassi. Tra i prodotti più rappresentativi si sono segnalati gli amari, il tonno e le cipolle rosse. Le migliori performance sono state quelle di amari, cipolle rosse e clementine.

Di segno opposto il 2021 dei prodotti targati Lazio: hanno accusato una diminuzione del -1,3% del giro d’affari, ammontato a 84 milioni di euro, a causa dei cali delle vendite di latte e panna freschi, di vini Doc, Docg, Igp e Igt e di passate di pomodoro. Positivo il bilancio annuo del paniere del Molise (+2,5% sul 2020), arrivato a 77 milioni di euro di giro d’affari e il prodotto più rappresentativo (ossia la pasta di semola) in crescita. Ottima performance per le Marche, i cui 273 prodotti hanno fatturato 61 milioni di euro (+6,7% sul 2020), trainati dai vini Doc, Docg, Igp e Igt. Ancora meglio il bilancio del paniere della Liguria, che ha messo a segno una crescita annua in valore del +7,7%. 40 i milioni di euro di sell-out generati dai 204 prodotti di questo paniere, con acqua minerale, vino bianco, secondi piatti surgelati e focacce tra i best seller. Sono stati 21 i milioni di euro raggiunti nel 2021 dalle vendite dei prodotti della Basilicata (+6,8%). Negative le performance di altri due panieri regionali: l’Abruzzo ha perso il -4,1% delle vendite dei suoi 172 prodotti, scese a circa 39 milioni di euro, a causa soprattutto della contrazione dei suoi vini Doc e Docg. Invece il Friuli-Venezia Giulia ha visto diminuire il sell-out annuo del -2,6% (42 milioni di euro il totale 2021), a causa del calo delle vendite di mozzarelle, latte, vini rossi Doc e Docg, e burro. Chiude la classifica la Valle d’Aosta, con 29 prodotti per 8 milioni di euro di sell-out, in sostanziale stabilità sul 2020 (+0,3%).

Il fenomeno dell’italianità nel carrello della spesa

Nel 2021 la corsa del fenomeno dell’italianità nel carrello della spesa si è stabilizzata, dopo anni di espansione. I 23.944 prodotti su cui l’Osservatorio Immagino ha rilevato un’icona, un claim, un riferimento alla provenienza da un preciso territorio italiano o un’indicazione geografica europea hanno chiuso l’anno con oltre 8,9 miliardi di euro di sell-out tra ipermercati e supermercati.

Rispetto al 2020, il giro d’affari è rimasto stabile al -0,1%, con una diminuzione della domanda (-2,7%) a fronte di un’offerta che, invece, ha continuato a espandersi (+2,5%). Nonostante questo scenario di sostanziale stabilità delle vendite, quello dell’italianità resta il fenomeno più pervasivo tra quelli individuati dall’Osservatorio Immagino, poiché accomuna il 26,8% delle referenze rilevate e contribuisce per il 27,5% al giro d’affari complessivo del paniere Immagino. Il marker dell’italianità più presente sulle etichette dei prodotti è la bandiera tricolore, che è stata rilevata su oltre 13 mila prodotti (15,5%) del totale che hanno realizzato oltre 5 miliardi di euro di sell-out, ossia il 16,0% del totale del paniere Immagino. Rispetto all’anno precedente, nel 2021 hanno perso il -1,3% del giro d’affari, zavorrati dalla contrazione del -3,8% della componente pull a cui si è rivolta una componente push in crescita annua del +2,5%.

Uova, mozzarelle, crescenze, surgelati vegetali e farine sono state tra le categorie in calo, soprattutto per l’effetto rimbalzo sulla domanda, dopo le crescite del 2020. Al contrario nel 2021 sono aumentati affettati, bevande base thè, pizze surgelate e avicunicoli di quarta lavorazione, in tutti i casi per un maggior utilizzo della bandiera italiana sulle confezioni. In flessione anche il business del “100% italiano”, che ha un’incidenza dell’8,0% sulla numerica rilevata e contribuisce per l’11,5% al valore complessivo delle vendite del paniere rilevato. Nel 2021 il giro d’affari dei 7.126 prodotti con questo claim in etichetta ha fatto registrare una flessione del -1,8%, attestandosi a 3,7 miliardi di euro.

Un risultato legato soprattutto al calo della domanda, arretrata del -7,0% rispetto al 2020, e a cui si è contrapposta la crescita del +5,3% dell’offerta. Tra i prodotti sono risultati in crescita merendine, affettati, avicunicoli di quarta lavorazione e latte Uht, mentre a calare sono stati mozzarelle, formaggi a pasta filata e uova. Terzo claim di questo paniere, sia per incidenza sulla numerica dei prodotti sia per valore delle vendite, è “prodotto in Italia”: nel 2021 le 6.748 referenze su cui è stato rilevato hanno realizzato 1,4 miliardi di euro di sell-out, in calo del -0,6% rispetto al 2020. A determinarlo è stato il calo dell’offerta, con la riduzione del -3,0% dell’uso del claim in etichetta.

Invece la domanda è risultata in aumento del +2,4%. Tra le categorie in crescita troviamo piatti pronti surgelati, pesce surgelato panato, uova di Pasqua, uva e verdure di quarta gamma. Tra quelle in calo affettati, paste filate e olio extravergine di oliva. La performance migliore del 2021 nel paniere dell’italianità l’hanno messa a segno gli oltre 4 mila prodotti che evidenziano in etichetta di aver ottenuto la Doc (Denominazione di origine controllata), la Dop (Denominazione di origine protetta) o la Docg (Denominazione di origine controllata e garantita): nell’arco di 12 mesi il loro giro d’affari è aumentato del +4,0% arrivando a 1,3 miliardi di euro. Un risultato a cui hanno contribuito sia la componente push (+2,2%) sia quella pull (+1,9%), entrambe in espansione. Scorporando i trend delle singole indicazioni europee, spicca il ruolo trainante della Docg, che ha ottenuto nell’anno un aumento del +13,2% del giro d’affari, arrivato a sfiorare i 291 milioni di euro. Molto forte la domanda (+7,7%) e dinamica l’offerta (+5,5%).

Decisamente sopra media anche il trend del paniere Doc (+6,4%), arrivato a 486 milioni di euro di sellout, spinto da un’offerta e da una domanda aumentate di circa tre punti percentuali. Tra le categorie in crescita di tutto il paniere Doc, Dop e Docg spiccano gli spumanti charmat secchi, gli spumanti classici e i vini; tra quelle in calo soprattutto i formaggi grana e simili, a cui si deve in gran parte il risultato annuo negativo del paniere Dop (-2,1%), che, penalizzato dalla contrazione sia della domanda sia dell’offerta, si è fermato a 567 milioni di euro di sell-out. Sostanzialmente stabili, invece, sono risultate le vendite dei 1.946 prodotti contrassegnati dalla Igp (Indicazione geografica protetta) o dalla Igt (Indicazione geografica tipica): nel 2021 hanno perso lo 0,3% del giro d’affari, ammontato a 594 milioni di euro. Verdure di quarta gamma, cipolle, patate e affettati sono stati i prodotti in crescita, mentre mele, pasta di semola e vini quelli in diminuzione.

WWG, Colmar e studenti dello IULM per un made in Italy sostenibile

Imprese e università stringono un’alleanza al fine di rendere ancora più sostenibile l’industria del made in Italy attraverso la condivisione di idee, la comprensione reciproca e il cambiamento delle forme di lavoro e pensiero. Ecco come nasce il progetto di open innovation della software house WWG che, per festeggiare i 10 anni di collaborazione con il marchio sportswear italiano Colmar, ha scelto di promuovere l’ecosostenibilità dei processi produttivi dell’azienda del made in Italy insieme agli studenti di  Strategic Communication rall’Università IULM di Milano.

Il percorso, cchiamato “Fieldwork”, permetterà a cinque team di studenti, di mettere in pratica nel campo del lavoro le competenze acquisite durante gli studi universitari, trasformandole in vere e proprie soluzioni e proposte di sviluppo aziendale sostenibile che potranno impattare concretamente sul futuro di una grande azienda.

Tra i principali obbiettivi della partnership, su cui Colmar vuole mettere in atto la propria crescita a livello di sostenibilità grazie ai risultati della campagna di open innovation, vi sono il miglioramento delle strutture, la promozione di una cultura green, la riduzione dell’impatto dei propri prodotti, grazie all’utilizzo di tessuti innovativi biodegradabili. Per assicurare la buona riuscita del progetto formativo curriculare i tre attori in gioco hanno messo a punto un brief dettagliato, stilato un calendario d’incontri a intervalli regolari per rendere sempre più efficace la collaborazione e messo in campo coach di livello internazionale per condividere una metodica agile di gestione dei progetti. Ma non è tutto: un sistema di gestione per obiettivi secondo il sistema degli OKR (Objective & Key Results) verrà fornito per migliorare le performance dei team in modo da testare, misurare e valutare rapidamente le idee.

Il pensiero a supporto del progetto

Ma qual è la visione che sta dietro alla nascita di questo progetto? “Suggerisco di considerare l’innovazione aperta come una filosofia o una mentalità che tutte le aziende possono sperimentare – ha spiegato l’ideatore del progetto Mohamed Deramchi, CEO di WWG – In passato abbiamo organizzato hackathon in università, iniziative di crowdsourcing e, più in generale, attività affini a tutto ciò che può aiutare i processi d’innovazione. In questo caso si collegano le risorse interne, quelle esterne e si trovano insieme delle opportunità. È la classica win-win situation che si deve sfruttare, soprattutto in tempi di crisi. Si possono gestire così progetti innovativi anche con budget minimi. Mi piace parlare di frugal marketing, ovvero fare qualcosa di grande partendo da poche risorse a disposizione”.

Sulla stessa linea d’onda anche gli altri componenti del team di Fieldwork. “Colmar non ha mai perso il carattere della grande famiglia, ancorata al proprio territorio, ma orientata al futuro. Vorremmo raccontare questo progetto non solo per dare risalto alle nostre linee di abbigliamento, ma soprattutto per comunicare l’impegno dell’azienda nel campo della sostenibilità ambientale – spiega Stefano Colombo, Sales & Marketing Director di Colmar – Il focus sarà sempre più sulla promozione di iniziative e temi green. Siamo molto curiosi di lavorare con gli studenti IULM che sicuramente troveranno i migliori strumenti e canali per promuovere questa iniziativa”. Un progetto che mira all’importante obbiettivo di far incontrare in maniera ancora più concreta e fruttuosa il mondo dell’istruzione con quello del lavoro: “Da sempre l’Ateneo IULM punta a unire il sapere con il saper fare, coinvolgere i nostri studenti in progetti reali commissionati dalle imprese è per noi parte integrante del processo formativo – ha sottolineato la prof.ssa Daniela Corsaro, docente associato di Marketing & Sales e Delegato del Rettore alle Relazioni Didattica-Imprese allo IULM –  Il Fieldwork con WWG e Colmar rappresenta un’opportunità unica per i nostri studenti sia al fine di cimentarsi su un tema centrale oggi come quello della sostenibilità, sia per apprendere una modalità di lavoro agile, fondamentale in contesti di mercato sempre più connotati da risorse scarse ma che, al contempo, richiedono una crescente velocità d’azione”.

e-commerce russo ai tempi del Coronavirus: le opportunità per il food italiano

E’ boom dell’e-commerce alimentare in Russia e per il food made in Italy –  secondo le stime dell’Associazione del Commercio Elettronico Russo – si quadruplicano le opportunità. In Russia, infatti, a causa del coronavirus, il mercato del food  online potrebbe raddoppiare nel 2020, rispetto all’anno precedente quando si era attestao intorno ai 124 miliardi di rubli.

Da circa una settimana la Federazione Russa ha richiesto ai cittadini di Mosca l’autoisolamento per evitare il propagarsi del Covid-19. Seguono in questi giorni la città di San Pietroburgo e poi a ruota le altre regioni di tutto il territorio.

Così commenta Giulio Gargiullo esperto di digital marketing per il mercato russo:” Il commercio elettronico russo gode di ottima salute e i russi sono acquirenti molto attivi. Secondo Morgan Stanley il commercio elettronico in Russia raggiungerà un giro d’affari di 31 miliardi di dollari nel 2020 e un picco di 52 miliardi di dollari nel 2023 con un’impressionante crescita dunque del 170%”.

In questo momento particolare si aprono molte opportunità di business per i produttori alimentari italiani che vogliano vendere in Russia. Soprattutto piccole e medie realtà possono approfittare per vendere prodotti alimentari italiani tipici. I russi da anni sono abituati  ad apprezzare e ad acquistare prodotti italiani e hanno scoperto diversi prodotti legati alle diverse regioni d’Italia. Non sto parlando di export, ma di vendere prodotti italiani a privati con scontrino medio-alto ad un pubblico che in questo momento apprezza l’acquisto di prodotti ricercati da gustare o da cucinare direttamente a casa. Questo è un momento d’oro per tanti piccoli negozi o produttori italiani che hanno visto ridurre il proprio fatturato, oppure a quelle attività che intendono ampliare il proprio mercato beneficiando di acquirenti dall’estero”

 

Made in Italy: un brand che continua a crescere a doppia cifra

Made in Italy: continua la crescita  a doppia cifra anno dopo anno, grazie ad una solida presenza sulla scena mondiale.

È quanto emerge dalla classifica BrandZTM Top 30 Most Valuable Italian Brands 2019 stilata da WPP e Kantar, secondo cui i marchi italiani hanno aumentato il loro valore del 14% negli ultimi 12 mesi raggiungendo i 96,9 miliardi di dollari, nonostante il clima di incertezza economica e politica.

Gucci si distingue come il marchio italiano di maggior valore e in maggiore crescita, raggiungendo i 24,4 miliardi di dollari di brand value, valore in crescita del 50% rispetto allo scorso anno.

Tra i primi 5 marchi della classifica si trovano TIM, con 9,41 miliardi di dollari di valore complessivo, Enel (7,94 miliardi di dollari), Kinder (6,79 miliardi di dollari) e Ferrari (4,75 miliardi di dollari).

Altri quattro brand presenti nella Top 30 hanno visto crescere il valore del loro brand di oltre il 20%. Si tratta di Ferrari (+36%, 4,75 miliardi di dollari), Fiat (+23% con 1,39 miliardi di dollari), Campari (+23% con 591 milioni di dollari) e Fendi (+22% con 1,88 miliardi di dollari).

La novità della Top 30 italiana del 2019 è Fastweb (27° in classifica con un valore di 891 milioni di dollari), brand percepito dai consumatori come particolarmente innovativo nel settore delle telecomunicazioni grazie alle sue connessioni veloci e alle offerte trasparenti per i consumatori.

Il Brand Italia oltre confine

L’analisi di Kantar ha confermato la presenza eccezionalmente forte dei marchi italiani sulla scena mondiale, con dieci brand nella Top 30 che presentano un’esposizione oltre confine superiore al 90% (come combinazione di fatturato, volumi venduti e profittabilità).

BrandZ ha inoltre evidenziato che i brand con esposizione oltre confine superiore al 50% hanno aumentato il valore del marchio di circa il 20% anno su anno, mentre il valore di quelli con una  presenza  all’estero inferiore è rimasto invariato.

Nella nostra classifica vediamo molte “Industry Heroes”, aziende che rappresentano un modello di business tipicamente italiano che sta ottenendo risultati straordinari sulla scena mondiale” ha commentato Massimo Costa, Country Manager WPP Italia. “Dall’analisi emerge un gruppo di imprese agili e interconnesse, guidate da un forte spirito imprenditoriale, che dettano il ritmo di crescita e innovazione nel loro business “.

La Top 30 italiana di BrandZ evidenzia le straordinarie opportunità di crescita per le imprese italiane che vogliono investire nei propri brand” afferma David Roth, WPP. “Andare oltre i confini del mercato di riferimento di un marchio richiede ambizione e coraggio, e i marchi leader italiani si distinguono da quelli degli altri paesi per resilienza e innovazione, e per la capacità di saper offrire una straordinaria consumer experience“.

La creatività aiuta

L’Innovazione in Italia è il principale fattore di crescita per il brand. I marchi  percepiti come fortemente innovativi hanno aumentato il loro valore del 17% rispetto a una crescita dell’1% dei brand che lo sono meno.

 

Oltre ai settori come l’alimentare, l’automotive e la moda, dove l’Italia è universalmente riconosciuta come leader mondiale, il nostro studio dimostra come i marchi italiani raggiungano risultati eccezionali anche in settori come l’energia, l’oil & gas e le crociere, con grandi aziende come Enel, A2A, Eni, MSC e Costa Crociere” ha dichiarato Federico Capeci, CEO Insights Division, Kantar Italia. “L’innovazione potrebbe svolgere un ruolo chiave per generare ulteriore crescita. In questo senso, anche piccoli ma significativi cambiamenti potrebbero essere la soluzione per molti brand, a patto di supportarli con una comunicazione chiara e dirompente“.

La forza del lusso e del food

Il settore del lusso  porta il maggior contributo al valore del ranking (quasi il 40%), trainato da Gucci, Prada e Armani. Ed è anche la categoria che maggiormente opera oltre confine: i sette marchi in classifica hanno esposizioni all’estero mediamente superiori al 90% (Gucci, Prada, Armani, Fendi, Bottega Veneta, Salvatore Ferragamo, Bulgari).

Dopo il lusso, il settore alimentare occupa il secondo posto per  valore del brand. La presenza di Kinder (numero 4), Nutella (numero 8), Ferrero Rocher (numero 11) Barilla (numero 26), Lavazza (29) e Campari (30) dimostra l’efficacia degli imprenditori italiani che hanno saputo trasformare i propri marchi in giganti internazionali della categoria.

Il settore TLC,  terzo  nel ranking, è sempre più competitivo in Italia, con una crescita della industry del 12%, con marchi come TIM, Wind, e l’unico nuovo brand entrato nella Top 30 di quest’anno – Fastweb.

L’energia segue con due marchi, Enel e A2A, che rappresentano insieme il 9% del valore della Top 30.

Due marchi anche per l’automotive: rappresentano entrambi l’Italia nel mondo, anche se in modi diversi. Per i consumatori, Ferrari (numero 5) è sinonimo di audacia, passione, esclusività, energia e potere mentre Fiat (numero 20) è considerata il volto più accessibile e friendly dell’industria automobilistica italiana.

 

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