Jobs Act, le proposte di Federdistribuzione per rispondere alla crisi

Diventato legge il Jobs Act, ora saranno i decreti attuativi a dare consistenza all’ossatura della nuova legge sul lavoro. Con formidabile tempismo, Federdistribuzione ha organizzato oggi a Roma il convegno Lavoro & Jobs Act. Proposte per rispondere alla crisi cui hanno partecipato deputati e senatori delle rispettive Commissioni Lavoro, il segretario generale del Ministero del Lavoro.

Il tema della flessibilità del lavoro è stato al centro del dibattito per un settore, quello della Distribuzione moderna organizzata, in cui la remunerazione del personale assorbe il 72% del Valore Aggiunto complessivamente generato.

«Il Jobs Act può rappresentare – afferma Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – una grande opportunità e, secondo la nostra visione, deve orientarsi nella stesura dei decreti attuativi in tre direzioni: quella delle semplificazioni, definendo regole chiare e norme certe; quella dell’impatto sui costi, non determinando alcun onere addizionale per le imprese e intervenendo con incentivazioni mirate; quella della flessibilità, che deve essere la massima possibile in ingresso, in uscita ma soprattutto durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, essendo proprio la flessibilità il vero fattore di contrasto della precarietà».

La DMO rappresenta il 59% di tutti i consumi alimentari e non alimentari (nel 2013 127 Miliardi su un totale di 214 Miliardi) e occupa in Italia 450.000 persone. Un’indagine effettuata da Price Waterhouse Coopers nel 2014 presso le imprese associate a Federdistribuzione fornisce il quadro di questa occupazione: nel 2013 il 91% dei contratti è a tempo indeterminato (era l’87% nel 2006), il 5% a tempo determinato e il 3% è costituito da contratti di apprendistato (il restante 1% sono forme residuali, quali lo stage, il contratto di collaborazione a progetto, ecc). La popolazione femminile è il 58% dell’occupazione totale e i contratti part time sono il 46% della totalità. Tra il 2006 e il 2013 gli investimenti in formazione per addetto (Full Time Equivalent) sono più che raddoppiati. Secondo i dati emersi dall’ultima rilevazione effettuata dall’istituto Trade Lab sui bilanci delle imprese distributive del 2013, risulta che il costo del lavoro rappresenta l’11,2% del fatturato (il medesimo indicatore nel 2007 era pari al 10,3%).

«Per le nostre imprese il capitale umano è un fattore essenziale nel garantire il miglior funzionamento nei processi gestionali e nella relazione con i clienti, e noi vogliamo valorizzarlo al massimo – dichiara Giovanni Cobolli Gigli, Presidente di Federdistribuzione – Abbiamo però bisogno di un mercato del lavoro più moderno e adeguato ai nuovi bisogni delle imprese che stanno adattandosi al contesto di crisi e organizzandosi per riuscire a cogliere i primi segnali di ripresa».

Più nel dettaglio le proposte di Federdistribuzione sono relative a

–       recuperare la centralità delle politiche attive del lavoro quali strumenti – omogenei sul territorio nazionale – in grado di creare le condizioni per l’occupazione e quindi di indirizzare la formazione verso competenze che consentano mobilità e flessibilità, accrescendo le possibilità di incrocio tra domanda ed offerta di lavoro;

–       semplificare e razionalizzare le norme e procedure che gravano sul lavoro strutturandole in testi unici per materia chiari ed esaustivi e riducendo gli adempimenti a carico di cittadini ed imprese attraverso investimenti in strumenti informatici dal certo ritorno;

–       avere forme contrattuali ed una disciplina dei rapporti di lavoro che sappiano orientare le aziende alla scelta di contratti a tempo indeterminato sia per convenienza di costo che per una maggiore e ragionevole flessibilità in uscita. In tale ambito il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti può essere un complemento normativo del contratto a tempo indeterminato;

–       adeguare l’attuale rigido concetto di mansione e demansionamento all’allungamento della vita lavorativa e alla necessaria flessibilità delle prestazioni durante lo svolgimento del rapporto di lavoro;

–       introdurre il compenso orario minimo, in assenza di contratti collettivi, come strumento che possa contrastare situazioni di concorrenza sleale;

–       favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro per sostenere la genitorialità mettendo a disposizione servizi che facilitino il lavoro e non la diminuzione delle prestazioni: evitando quindi di creare soggetti più deboli sul mercato del lavoro.

Nel corso del convegno è stato presentato anche uno studio comparato (scarica l’executive summary) delle riforme del mercato del lavoro Germania, Francia, Spagna e Italia. Commentando lo studio, il Prof. Michele Tiraboschi, Coordinatore Scientifico di Adapt che l’ha condotto, ha affermato che «I positivi esiti degli interventi di riforma di fine anni Novanta e inizio Duemila (Pacchetto Treu e Legge Biagi) sono stati annullati dalla crisi economica, alla quale l’Italia non ha contrapposto interventi strutturali della stessa portata. Molto più efficaci sono state le misure approvate in Francia, Germania e Spagna. In Francia e Germania le riforme del mercato del lavoro negli anni 2008-2014 sono state concertate, guidate da disegni di lungo periodo e non ristrette alle sole regole del lavoro. In Spagna e in Italia, diversamente, le recenti riforme del mercato del lavoro hanno avuto soprattutto una logica emergenziale, copiosa decretazione d’urgenza e un diverso ruolo delle forze sociali nel processo di azione legislativa. Se però in Spagna la continuità di Governo ha portato all’approvazione di modifiche di assoluto rilievo al tradizionale diritto del lavoro, in Italia l’instabilità politica ha determinato l’approvazione di quattro riforme in quattro anni, spesso in contraddizione tecnica e “filosofica” fra loro e l’esito del Jobs Act rischia di essere davvero una Fornero bis che ci lascia ancora a metà del guado».