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Agroalimentare italiano, in aumento i prodotti riconosciuti dalla Ue

Prosegue la crescita delle eccellenze nel settore agroalimentare di qualità del cibo. Nel 2021 il settore si arricchisce di tre prodotti food: Olio di Roma di Indicazione geografica protetta (Igp) nel Lazio, la Pesca di Delia (sempre Igp) e il Pistacchio di Raffadali di Denominazione di origine protetta (Dop) le cui zone di produzione, in questi ultimi due casi, si estendono tra diversi comuni in Provincia di Caltanissetta e Agrigento in Sicilia.

Ma è nel 2020 che si è registrata un’impennata nelle certificazioni, quando nel mercato sono entrati 12 prodotti di cui: uno di Specialità tradizionale garantita, Stg (l’Amatriciana tradizionale), cinque prodotti Dop (Mozzarella di Gioia del Colle, Provola dei Nebrodi, Cappero delle Isole Eolie, Pecorino del Monte Poro e Colatura di Alici di Cetara) e sei Igp (Südtiroler Schüttelbrot/Schüttelbrot Alto Adige, Rucola della Piana del Sele, Limone dell’Etna, Pampepato di Terni/Panpepato di Terni, Olio lucano e Mele del Trentino).

Si conferma la predominanza del settore degli Ortofrutticoli e cereali che, di fatto, rimane quello con il maggior numero di riconoscimenti: nel 2021 si attestano a 118, di cui 38 Dop e 80 Igp. Segue il settore dei Formaggi con 56 prodotti e l’Olio extravergine di Oliva con 49 prodotti. A livello territoriale l’Emilia-Romagna è la regione con il maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, seguita dal Veneto, dalla Sicilia e dalla Lombardia.

In crescita gli operatori del food di qualità
Nel 2021 si registra rispetto al 2020 un aumento degli operatori soprattutto tra i produttori (+1,9%), i trasformatori restano invece pressoché stazionari (+0,2%). La crescita interessa soprattutto le regioni del Mezzogiorno (+2,8% per gli operatori e +2,9% per i produttori). Al Nord la variazione è di +1,6% sia per i produttori che per gli operatori, che al Centro hanno invece una situazione più stazionaria (entrambi +0,8%).

Più variegato è lo scenario dei trasformatori che comunque raggiungono l’incremento maggiore sempre nel Mezzogiorno (+2%), all’opposto nel Nord la variazione è negativa (-2%). Ad incidere positivamente sui risultati del Mezzogiorno troviamo il settore delle Carni fresche, dei Formaggi e dell’Olio extravergine di Oliva. A livello regionale, nelle aree meridionali del Paese si colloca il 40,5% dei produttori, di cui la quota più alta (19%) nella sola Sardegna, seguita dalla Sicilia (7,4%). Nel Nord opera il 37,7% dei produttori presenti in Italia (il 14,3% nel solo Trentino-Alto Adige), mentre nel Centro (21,8%) è particolarmente attiva la Toscana (14,3%).

Il forte legame tra il territorio di origine e i prodotti agroalimentari di qualità certificati dall’Unione europea si traduce nella tipicità e specializzazione del territorio stesso oltre che nella sua valorizzazione in determinati settori. È così che in Sardegna è presente soprattutto una tradizione lattiero casearia, con il 66,7% dei produttori che operano in questo settore e gestiscono il 67,2% degli allevamenti certificati della regione. Analogo discorso vale per la Valle D’Aosta-Vallée d’Aoste, dove tutti i produttori sono attivi nel settore dei Formaggi, che vede in Lombardia una quota del 66% e in Emilia Romagna del 52,5%.

La Toscana ha una spiccata vocazione nell’attività olivicola-olearia: l’86,2% dei produttori e il 96,5% della superficie investita coinvolta. La specializzazione olivicola-olearia è forte anche in Liguria e in Puglia (la quota di produttori del settore è, rispettivamente, del 94,3% e dell’87,4%), così come in Sicilia (59,8%), anche se in quest’ultima regione è rilevante anche la produzione ortofrutticola (38,8%). In Trentino Alto-Adige quasi il 90% dei produttori lavora nel settore ortofrutticolo al quale è dedicata quasi tutta la superficie certificata nella regione. Nel 2021 il 41,2% dei trasformatori si ripartisce tra l’Emilia-Romagna (18%), la Toscana (13,8%) e la Campania (9,4%). In Emilia-Romagna il 19,7% dei trasformatori è attivo nella Preparazione di carni, il 33,4% nel settore lattiero-caseario, mentre il 33,7% opera nel comparto degli ‘Altri settori’. In Toscana si conferma la forte specializzazione nel settore olivicolo-oleario anche per l’attività di trasformazione (molitore e/o imbottigliatore) svolta dal 62,7% delle imprese della regione. In Campania il 46,5% dei trasformatori opera nel settore delle Carni fresche.

Carni fresche: un settore in crescita
Con 10.177 operatori presenti il settore delle Carni fresche segna nel 2021, rispetto al 2020, una crescita (+2,3%) che interessa sia i produttori (+2,1%) che i trasformatori (+2,6%). Tra la Sardegna e il Lazio si concentra il 61,3% degli operatori. Questo valore aumenta se si considerano i soli produttori che, in queste regioni, rappresentano il 67,1% del totale nazionale del settore e conducono il 66,8% degli allevamenti. Più varia è la situazione per i trasformatori articolati diffusamente sul territorio, in particolare tra la Campania (29,4%), la Toscana (16,6%) e le Marche (11,4%). Nel complesso, i trasformatori si attestano a 1.130 unità e gestiscono 2.311 impianti (con un rapporto medio di circa due impianti per impresa). In ordine per numero di produttori al primo posto troviamo l’Agnello di Sardegna, seguito dal Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale.

In calo la Preparazione di carni
La Preparazione di carni opera in una logica di filiera ramificata in cui lo stesso operatore può partecipare alla realizzazione di uno o più prodotti. Le aziende di questo comparto segnano una flessione rispetto al dato del 2020 (-4,5% per gli operatori) che, in misura variabile, interessa quasi tutti i prodotti di qualità del settore. Questa flessione diventa ancora più evidente se si guarda ai produttori (-6,6%). I prodotti a base di carne contano, nel 2021, 3.010 produttori con 3.620 allevamenti localizzati prevalentemente in Lombardia (40,9% dei produttori e 41,8% degli allevamenti), in Piemonte (23,6% e 22,7%) e in Emilia-Romagna (14,6% e 15,7%). Oltre il 40% delle imprese di trasformazione e degli impianti si concentra in Emilia-Romagna.

In lieve flessione il settore dei Formaggi
Come per la Preparazioni di carni, anche il settore dei Formaggi si sviluppa lungo un’articolata e densa rete di rapporti tra gli allevatori e i trasformatori in quanto il latte di un medesimo allevamento può essere destinato alla preparazione di formaggi diversi. Nel 2021 il settore può contare su 24.637 operatori, 23.644 produttori e 1.436 trasformatori. I primi prodotti di qualità per numero di operatori sono: Pecorino Romano, Pecorino Sardo e il Grana Padano. Rispetto al 2020 il settore segna una flessione dello 0,7% (sia per i produttori che, più in generale, per gli operatori) in tutte le ripartizioni geografiche considerate, con la sola eccezione delle Isole. Ed è proprio nelle Isole che si localizza il maggior numero di produttori (43,6% nella sola Sardegna) e di allevamenti. Seguono la Lombardia (con il 13,5% dei produttori) e l’Emilia-Romagna (11%). In quest’ultima regione, inoltre, è presente il maggior numero di trasformatori del settore (31,5% del totale nazionale) pari, in valore assoluto, a 453 imprese che, in media, gestiscono ognuna 1,5 impianti.

Forte dinamismo dei produttori nell’Ortofrutticolo e dei cereali
Caratterizzato dal maggior numero di riconoscimenti Dop e Igp, tra il 2020 e il 2021 il settore degli Ortofrutticoli e dei cereali segna un’importante crescita: gli operatori, infatti, registrano un incremento del 5,6% grazie al forte dinamismo dei produttori (+5,9%), mentre la superficie investita aumenta dell’8,2%. La dimensione media delle aziende agricole è di circa 4,6 ettari per unità produttiva. In calo, invece, i trasformatori (-2,1%), che subiscono una flessione più accentuata nelle aree del Nord-est (-4,9%) e del Sud (-4,4%). Oltre la metà dei produttori del settore si colloca nel Trentino-Alto Adige (51,4%), a seguire l’11,5% della Sicilia. Tra i prodotti più tipici del Trentino-Alto Adige si ricordano la Mela dell’Alto Adige o Südtiroler Apfel, le Mele del Trentino, la Mela della Val di Non, oltre che la Susina di Dro.

Oli extravergine di oliva: in aumento i soggetti della filiera
Nel confronto con l’anno precedente, il settore olivicolo oleario segna una crescita del 2,9% sia in termini di produttori che, più in generale, di operatori. I trasformatori (nel ruolo di molitori e/o imbottigliatori) aumentano del 3,4%, mentre gli impianti segnano una crescita del 5,3%: in media ciascun trasformatore gestisce 1,5 impianti. Considerata la lunga tradizione geografica di alcuni territori specializzati nella coltivazione dell’olivo e nella produzione olearia, la Toscana si conferma, anche nel 2021, la regione con il maggior numero di operatori presenti nel settore (42%), seguita dalla Puglia (16,3%) e dalla Sicilia (15,6%). La quota femminile interessa il 33% dei produttori e il 20,1% dei trasformatori.

In flessione i produttori del comparto ‘Altri settori’
Questo comparto è costituito dall’aggregazione di più settori: Altri prodotti di origine animale, Aceti diversi dagli aceti di vino, Prodotti di panetteria, Spezie, Oli essenziali, Prodotti ittici, Sale e Paste alimentari e vede la presenza di una pluralità di prodotti di nicchia, che coinvolgono 2.564 operatori tra coltivatori, allevatori e pescatori, oltre che trasformatori. Questi ultimi sono 926, con 1.331 impianti. Rispetto al 2020, si assiste ad una flessione del 3,2% dei produttori, mentre tengono i trasformatori (+0,5%). Oltre il 45% dei produttori si localizza in Campania, segue il 27,4% del Lazio. Le aziende di trasformazione si concentrano, invece, tra l’Emilia-Romagna (49,4%) e l’Abruzzo (10,8%).

Distretti agroalimentari italiani, export per oltre 12 miliardi di euro

È stato pubblicato il Monitor dei distretti agro-alimentari italiani al primo semestre 2022, curato dalla Direzione Studi e Ricerche Intesa Sanpaolo. Dopo gli ottimi risultati del 2021, le esportazioni dei distretti agro-alimentari continuano a crescere anche nel primo semestre del 2022: i rincari energetici e le tensioni geopolitiche non sembrano avere effetti sulle vendite oltre confine dei prodotti agro-alimentari italiani, sempre più apprezzati all’estero come sinonimo di qualità e sicurezza. Nel complesso, i 51 distretti monitorati hanno totalizzato quasi 12,5 miliardi di export nel primo semestre del 2022, il 15% in più del 2021 e il 32,1% in più rispetto allo stesso periodo del 2019. L’evoluzione riflette quella dell’export agro-alimentare italiano nel suo complesso che, dopo il record del 2021 (oltre 50 miliardi di euro di esportazioni), segna nel primo semestre del 2022 una crescita del 18,9%.

Il risultato risente in parte della dinamica inflattiva: l’indice dei prezzi praticati sul mercato estero dall’industria alimentare italiana è cresciuto infatti nel primo semestre del 2022 del 10,8% rispetto allo stesso periodo del 2021, con punte del 22% per oli e grassi, mentre per le bevande l’incremento è stato più contenuto (+3,9%; +4,1% per i vini). Sulla seconda parte dell’anno pesano le incognite relative all’evoluzione dei costi energetici e dei consumi, e agli effetti dei cambiamenti climatici come siccità ed eventi estremi che stanno interessando molti settori produttivi dell’agricoltura e della trasformazione alimentare.

Massimiliano Cattozzi, responsabile Direzione Agribusiness Intesa Sanpaolo ha commentato: “Si conferma il successo all’estero dei prodotti agroalimentari italiani, anche in un contesto delicato come quello attuale. In questi mesi stiamo concentrando il lavoro dei professionisti della Direzione Agribusiness nel dialogo attento e continuo con le aziende del comparto agroalimentare proprio per supportarle nel far fronte alla carenza delle materie prime e alle dinamiche inflattive. In parallelo stiamo potenziando anche gli interventi per rendere concrete le transizioni green e digitale cogliendo le opportunità dei bandi del PNRR, così come l’accesso ai mercati esteri grazie ai nostri prodotti finanziari dedicati”.

I distretti della pasta e dolci sono quelli che hanno contribuito maggiormente alla crescita nel primo semestre del 2022, superando 1,9 miliardi di export in valore, (+23,4%), una filiera tra le più energivore che sta risentendo anche degli incrementi di prezzo di molte materie prime agricole (frumento in primis), trasferendo in parte i maggiori costi sostenuti sui listini. Tra i distretti della filiera, si distingue in particolare il comparto pasta dell’Alimentare di Parma, con 119 milioni di euro in più rispetto al primo semestre del 2021 (+27%) con crescite a doppia cifra anche per i Dolci di Alba e Cuneo (+12,7%), i Dolci e pasta veronesi (+16,3%), la Pasta di Fara (+36,5%) e i comparti pasta dell’Alimentare napoletano (+47,4%), dell’Alimentare di Avellino (+23,4%) e dell’Olio e pasta del barese (+40,6%).

Per contributo alla crescita si distinguono i distretti vitivinicoli, che superano i 3,2 miliardi di euro di export in valori correnti, 361 milioni in più rispetto al primo semestre del 2021(+12,6%). Il distretto più importante in termini di valori esportati, con oltre un miliardo nei primi sei mesi del 2022, è quello dei Vini di Langhe, Roero e Monferrato, che ha registrato un progresso del 5,7% rispetto allo stesso semestre del 2021. Registrano un’ottima evoluzione anche i Vini del veronese (+11,6%) e i Vini dei colli fiorentini e senesi (+15,8%), ma la migliore performance viene dal Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene (+32,6%).

La filiera dei distretti agricoli cresce complessivamente del 4,3% nel primo semestre del 2022, con il maggior contributo dal distretto dell’Ortofrutta del Barese, che passa dai 126 milioni del primo semestre del 2021 a 262 milioni dello stesso periodo del 2022. Oltre all’Ortofrutta romagnola soffrono anche le Mele del Trentino, la Nocciola e frutta piemontese e il comparto agricolo dell’Ortofrutta e conserve del foggiano.

Crescite diffuse per i distretti delle conserve: le Conserve di Nocera hanno registrato un +18,9%; per le Marmellate e succhi di frutta del Trentino-Alto Adige +30,1% e per i comparti conserve dell’Alimentare napoletano +32,1% con l’Alimentare di Parma +25,8%. Unica eccezione il comparto conserve dell’Ortofrutta e conserve del foggiano che continua a perdere terreno sui mercati esteri (-6,4% nel primo semestre del 2022). Per i distretti delle carni e salumi, alla forte crescita dei Salumi del modenese (+22,8%) si contrappone il calo delle Carni di Verona (-12,1%) con boom di vendite sui mercati esteri per i Salumi di Reggio Emilia (+49,9%).

Anche tra i distretti del lattiero-caseario si registrano performance altalenanti. Il primo distretto per valori esportati, il Lattiero-caseario della Lombardia sud-orientale, dopo l’ottimo risultato del 2021 (+15,4%), chiude il primo semestre del 2022 con una crescita del 22,9%. Dinamica simile anche per la Mozzarella di Bufala Campana (+27,1%) e per il Lattiero-caseario Parmense (+16,1%) mentre si registra una contrazione per il Lattiero- caseario di Reggio Emilia (-3%) e per il Lattiero-caseario sardo (-5,5%).

Forte accelerazione per la filiera dell’olio (+33,9%), che si accompagna però a un elevato incremento dei prezzi sui mercati esteri per la produzione di oli e grassi (+22%). Il distretto dell’Olio toscano chiude il primo semestre del 2022 con un +32,3%. Molto positivi i risultati anche dell’Olio umbro (+35,9%) e del comparto olio dell’Olio e pasta del barese (+43,4%).

I due distretti del riso si muovono all’unisono: il Riso di Vercelli registra una crescita del 23,5% con stessa dinamica anche il Riso di Pavia (+39,7%).
Nella filiera del caffè, tutti i distretti proseguono il trend positivo del 2021: il distretto del Caffè, confetterie e cioccolato torinese (+22,2%), il Caffè di Trieste (+28,3%) e il Caffè e confetterie del napoletano (+17,2%).

Recupera i livelli pre-pandemia anche il distretto dell’Ittico del Polesine e del Veneziano (+19,1%; +8,4% rispetto al primo semestre del 2019).

Sono in crescita le esportazioni dei distretti agro-alimentari verso tutti i principali mercati di destinazione. Crescono i flussi verso la Germania, primo mercato di sbocco (+7,4% nel primo semestre del 2022), in incremento i flussi verso gli Stati Uniti (+14,7%), buoni risultati anche verso la Francia (+16,7%), riprendono a crescere anche le vendite sul mercato britannico (+15,8%), Continuano a incrementarsi le vendite verso le economie emergenti, che nel complesso raggiungono la soglia del 20% sul totale delle esportazioni distrettuali agro-alimentari.

Agroalimentare, 3 volte più forte dell’automotive franco-spagnolo

Con un valore aggiunto di 64,1 miliardi di euro, pari a tre volte quello dell’automotive di Francia e Spagna, il Food&Beverage del Belpaese si conferma un comparto fortissimo, che persino nel 2020 ha potuto vantare una crescita a 2 cifre, pari all’11,6%. Parola del Rapporto The European House – Ambrosetti sugli scenari e le sfide per il settore agroalimentare che saranno i temi portanti della quinta edizione del Forum ‘La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni’, che si terrà a Bormio il prossimo 4 e 5 giugno.

Ad animare il Forum saranno una serie di tavole rotonde alle quali parteciperanno importanti vertici dell’industria alimentare, ma anche politici, medici e sportivi. Già confermata la presenza di campioni del ciclismo come Ivan Basso e Alberto Contador e di miti dello sci come Deborah Compagnoni. Le parole chiave di questa edizione saranno infatti ‘alimentazione, salute e sport’.

II numeri del Rapporto

L’industria agroalimentare si è quindi confermata, anche in tempo di crisi, un pilastro della nostra economia: lo scorso anno – rilevano le analisi The European House – Ambrosetti – ha generato un valore aggiunto pari a 64,1 miliardi di euro, di cui 31,2 mld generati dal settore F&B, in leggero calo dell’1,8% rispetto al 2019, e 32,9 mld provenienti dal comparto agricolo. Un andamento che ha accusato gli effetti della pandemia, ma segnando pur sempre una performance generale migliore rispetto al dato di contrazione avvertito sul Pil nazionale (- 8,9%).

“L’Italia è il 2° Paese in Europa per incidenza del settore agroalimentare sul PIL (3,8%), preceduto solo dalla Spagna (4,0%) e più alta di quella che si registra in Francia (3,0%) e Germania (2,1%)” – afferma Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti “Il settore agroalimentare si conferma al 1° posto tra le “4A” del Made in Italy, 1,9 volte l’automazione, 2,8 volte l’arredamento e 3,2 volte l’abbigliamento. Il settore Food&Beverage si è dimostrato il più resiliente alla crisi COVID-19 tra tutti i settori della manifattura italiana, con una riduzione del Valore Aggiunto pari a -1,8% nel 2020, rispetto al -8,9% del totale dell’economia italiana”.

Uno sguardo all’export

Le esportazioni dei prodotti agroalimentari italiani hanno segnato lo scorso anno una crescita dell’1,8%, raggiungendo un valore record di 46,1 miliardi di euro, Con le bevande che rappresentano la categoria più venduta al di fuori dei confini e generano oltre un quinto del fatturato (20,6%). Germania, Francia e Stati Uniti rimangono i Paesi di maggiore approdo dell’export made in Italy. Ma c’è ancora un bel margine di crescita, specialmente in confronto ai nostri peer europei. Basti pensare che l’export tedesco si attesta ai 75,2 mld, quello francese ai 62,5 miliardi mentre la Spagna si aggira intorno ai 58. Per non parlare poi di un immenso mercato di sbocco come quello cinese, verso cui però il nostro Paese è ancora piuttosto timido, come dimostra il fatto che per noi la Cina è solo al 20° nella classifica dei paesi di destinazione, mentre è al 6° posto per la Spagna, all’8° per la Francia.

Ultimo “caso” da valutare: gli esiti nel medio periodo della Brexit, da non sottostimare dal momento che, il Regno Unito, conta per il 12% sull’intero fatturato dai prodotti agroalimentari italiani commercializzati al di fuori dei confini nazionali.

 

Made in Italy, stagionali e biologici: ecco i prodotti che piacciono di più

Il Made in Italy è sempre più presente nelle abitudini di spesa degli italiani, al punto che più di uno su tre (41%) ama acquistare generi agroalimentari direttamente dal produttore locale: frutta, verdura, vino, formaggi, scelti perché garanzia di qualità, cura dei prodotti e, molte volte, in virtù di un rapporto di fiducia con il produttore stesso.

Lo evidenzia l’Osservatorio Reale Mutua1 dedicato all’agricoltura e alle nuove abitudini di acquisto degli italiani.

Non si tratta più, solo, di una spesa “alla vecchia maniera”: addirittura due italiani su tre (63%) si dicono propensi a utilizzare in misura crescente app e siti per l’acquisto online e la consegna a domicilio di questi prodotti. Un trend che probabilmente la pandemia ha contribuito ad accelerare e che potrà facilitare ancor di più l’accesso alle eccellenze del territorio.

Dal campo alla tavola, Made in Italy e produzione locale vanno di pari passo con l’attenzione alla sostenibilità. Una parola che per un connazionale su tre (31%) evoca una filiera agricola a basso impatto ambientale, anche grazie all’uso della tecnologia, mentre uno su cinque (22%) la associa al concetto di agricoltura a chilometro zero. Ma sostenibilità vuole anche dire stagionalità (18%), etichettatura biologica (12%) e per un ulteriore 11% il termine abbraccia valori sociali e indica una filiera equosolidale.

Non è un caso allora che gli italiani preferiscano i prodotti stagionali, perché più salutari (36%) e capaci di sostenere l’economia agricola dei territori (30%), con un minore impatto sull’ambiente (11%). E c’è anche chi li sceglie perché più buoni, dice, di quelli fuori periodo (12%).

Semaforo verde infine, tra le abitudini d’acquisto, anche per i prodotti dell’agricoltura biologica, altra area importante del Made in Italy, che vengono apprezzati soprattutto perché rispettano criteri di sostenibilità (44%) e fanno bene alla salute (22%).

“La nostra ricerca evidenzia come il Made in Italy e le produzioni agroalimentari del territorio siano sempre più apprezzati nei comportamenti di acquisto e divengano spesso oggetto di una specifica ricerca,”commenta Michele Quaglia, Direttore Commerciale e Brand di Gruppo. “Noi siamo da sempre vicini al mondo dell’agricoltura e, oltre alle evidenze del nostro Osservatorio, da poco abbiamo lanciato un’iniziativa specifica, AGRIcoltura100, insieme al nostro partner storico Confagricoltura. Il progetto vuole promuovere il ruolo dell’agricoltura nella crescita sostenibile e nel percorso di rilancio del Paese, premiando le imprese che hanno adottato soluzioni o promosso iniziative per migliorare la sostenibilità ambientale, sociale ed economica loro e della comunità in cui operano. Questo ci permetterà di analizzare in modo ancora più approfondito le dinamiche del rischio agricolo e quindi di sviluppare soluzioni sempre più innovative con cui affiancare le aziende del settore. Auspichiamo davvero la ripresa di un comparto così importante per il Paese.”

 

1 Indagine CAWI condotta dall’istituto di ricerca Nextplora su un campione rappresentativo della popolazione italiana per quote d’età, sesso ed area geografica.

Rapporto Ismea-Qualivita: export si conferma traino per Dop e Igp

Al primo posto il Grana Padano DOP, seguito dal Parmigiano-Reggiano DOP e, in terza posizione, dalla Mela Alto Adige IGP. Sono i top seller della speciale classifica elaborata da Qualivita, che misura le performance economiche dei 269 prodotti italiani a denominazione di origine.

Seguono Prosciutto di Parma DOP, Pecorino Romano DOP, Aceto Balsamico di Modena IGP, Gorgonzola DOP, Mozzarella di Bufala Campana DOP, Speck Alto Adige IGP, Mela Val di Non DOP, Prosciutto di San Daniele DOP, Mortadella Bologna IGP, Bresaola della Valtellina IGP, Taleggio DOP e Toscano IGP.

Entrando nel dettaglio, il Grana Padano guida la classifica 2014 con circa 885 milioni di euro di fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale, 530 milioni all’export e il 30% della sua produzione che varca i confini nazionali. Poco distanziato è il Parmigiano Reggiano DOP: 809 milioni di euro il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 460 milioni all’export. Anche in questo caso il 30% della produzione viene esportato. Terza classificata la Mela Alto adige IGP, principalmente riguardo alla quantità percentuale exportata (pari al 61%) ha comunque buone performance economiche.

Significativi i risultati anche del Prosciutto di Parma DOP (4°): 500 milioni di euro per il fatturato alla produzione nazionale, 1,5 miliardi al consumo nazionale e 241 milioni all’export. Il Pecorino Romano (4° pari merito) primeggia soprattutto per la quantità di produzione certificata esportata.

prodotti dop e igp

Il Rapporto sulle produzioni agroalimentari italiane Dop, Igp e Stg, pubblicato da Ismea e Qualivita segnala una flessione del fatturato delle Dop e Igp, anche se cresce l’export, che si conferma fattore di traino.

Produzione in calo
Nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%. Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Passando ad analizzare i valori di mercato, si osserva un giro di affari potenziale di 13 miliardi di euro di fatturato al consumo – di cui 9 registrati sul mercato nazionale – e di 6,6 miliardi di euro di fatturato alla produzione – di cui 2,4 miliardi sono il fatturato all’export alla dogana (+ 5%).

Per numero di registrazioni, l’Italia si conferma leader con 269 prodotti (161 DOP, 106 IGP, 2 STG); seguono la Francia con 219, la Spagna con 180, il Portogallo con 125, la Grecia con 101. Per quanto riguarda la Germania, il numero totale delle sue denominazioni scende notevolmente a causa della cancellazione della categoria delle acque minerali. Si conferma anche nel 2014 il ruolo attivo dei Paesi dell’Europa dell’Est, che continuano ad aumentare il numero di prodotti registrati.

Il numero totale di denominazioni in Europa al 30 Novembre 2014 è di 1249, suddivise in 583 DOP (46,7% sulle denominazioni totali), 617 IGP (49,4% delle denominazioni) e 49 STG (che continuano ad avere un ruolo marginale con il 3,9%)

Molti prodotti, pochi vincitori
Le criticità dei prodotti a denominazione sta nei numeri rilevati dal rapporto Ismea-Qualiivita, che non cambiano i rapporti interni ai 269 prodotti. Vale a dire che osservando il fatturato alla produzione generato dai singoli prodotti, si continua a rilevare una forte concentrazione dei valori su poche denominazioni.

Nel 2013 la quota delle prime dieci DOP e IGP è pari all’81% del fatturato. Inoltre si registra per questo valore un calo dell’1,7%, generatosi a causa esclusivamente della flessione del mercato interno (-5,2%) che sconta ancora le conseguenze della crisi dei consumi. Per lo stesso motivo, il fatturato al consumo sul mercato nazionale registra una flessione del 3,8%. In termini assoluti, nel 2013 la produzione certificata nel suo complesso – pari a 1,27 milioni di tonnellate – è diminuita del 2,7%.

Questa flessione è stata determinata però principalmente dal calo produttivo degli ortofrutticoli e cereali (-7%), mentre i formaggi e i prodotti a base di carne hanno registrato una sostanziale stabilità, mostrando di fatto un consolidamento del livello della loro produzione. In lieve flessione (-0,9%) il certificato degli aceti balsamici, mentre risulta in controtendenza il dato delle carni fresche (+14,4%) che è in aumento ormai da un triennio. Sale anche la produzione certificata degli oli extravergini di oliva (+2,1%) dopo il calo del 2012.

Proprio nel comparto degli oli d’oliva (e degli ortofrutticoli) il rapporto Ismea-Qualivita rileva un’asimmetria nel peso sul totale in termini di numero di denominazioni e di fatturato. Tale asimmetria deriva dal fatto che, nonostante il grande numero di riconoscimenti, soltanto poche denominazioni sviluppano apprezzabili valori di mercato, mentre la gran parte dei prodotti realizzano fatturati estremamente limitati.

Per quanto riguarda i comparti, gli ortofrutticoli e cereali si confermano a livello europeo la prima categoria per numero di prodotti con il 27,3% del totale (341 prodotti), seguito a forte distanza dai formaggi con il 17,8% (223 prodotti), dai prodotti a base di carne con 12,4% (155 prodotti), dalle carni fresche 11,8% (147 prodotti) e dagli oli e grassi con 10% (125 prodotti).

La cartina al tornasole di questa situazione è il livello di concentrazione dei comparti.

Quello dei formaggi, che rappresentano il principale comparto delle DOP e IGP, con un’incidenza nel 2013 tra il 54 e il 58 % circa, rispettivamente sul fatturato al consumo nazionale e sul fatturato alla produzione, comprensivo dell’export, continua a essere molto concentrato: i primi due prodotti, Grana Padano DOP e Parmigiano Reggiano DOP, rappresentano il 71% del valore totale alla produzione, i primi cinque quasi il 90% e i primi dieci circa il 97%. Nei prodotti a base di carne, i primi cinque per fatturato alla prima fase di scambio (nell’ordine: Prosciutto di Parma DOP e Prosciutto San Daniele DOP, Bresaola della Valtellina IGP, Mortadella Bologna IGP e Speck Alto Adige IGP) rappresentano oltre l’89% del valore totale. Per mon parlare degli ortofrutticoli nei quali le due principali mele coprono in termini di fatturato alla produzione quasi il 78% dei 451 milioni di euro complessivi (di cui 194 realizzati sui mercati esteri).

Questioni aperte
Secondo il presidente di Ismea Ezio Castiglione «Il sistema italiano dei prodotti agroalimentari a denominazione protetta mantiene un buono stato di salute. L’export, ancora in crescita sostenuta, resta tuttavia l’unico elemento trainante. Continua invece a drenare fatturato il mercato interno, anche se i consumi, in una situazione quest’anno un po’ meno critica, stanno tendendo gradualmente a stabilizzarsi. Il più 5% delle vendite all’estero – ha proseguito Castiglione – conferma il successo del Brand Italia oltre confine, dove gli spazi di crescita restano ampi e incoraggianti.

Sfruttare i potenziali significa però agire con maggiore determinazione sulle leve aziendali, in particolare sulla competitività, in un mercato reso nel frattempo più trasparente dal Pacchetto Qualità che, con la protezione ‘ex officio’,  impone agli Stati Ue la tutela delle denominazioni d’origine contro i falsi. Cruciale sarà anche l’esito dei negoziati nell’ambito dell’accordo bilaterale con gli Usa. L’inserimento della tutela dei marchi di origine tra i punti fondamentali della trattativa rappresenta un importante passo in avanti: bisognerà adesso tradurlo nei testi attuativi».

Alberto Mattiacci, processore alla Sapienza di Roma evidenzia a sua volta come il valore del sistema IG poggi su tre pilastri connessi: il contributo del food a formare l’identità del Paese e dei suoi cittadini, il rilevante peso che riveste nell’economia nazionale e la salubrità che conferisce alla popolazione. «Questi pilastri – evidenzia il docente – vanno consolidati, attraverso programmi, rispettivamente, di tutela, valorizzazione e controllo, così da innescare un ulteriore circuito virtuoso di sviluppo. In tale scenario, i temi aperti da risolvere attengono la ancora bassa e frammentaria consapevolezza e conoscenza delle DO da parte dei consumatori e gli ancora insufficienti sforzi distributivi (sia come penetrazione che merchandising) e comunicativi»

In particolare il rapporto rileva che il budget dichiarato che viene investito in comunicazione si aggira intorno ai 30 milioni di euro, per il 76% speso dal comparto dei formaggi a DO e per il 15% dei prodotti a base di carne a DO. La scelta preminente tra i media rimane quella della televisione, seguita dalla partecipazione a fiere (nazionali ed estere) e dalla stampa. Marginali gli investimenti sul web.

Da segnalare come i Consorzi di tutela non si avvicinino ancora alla comunicazione social, probabilmente la migliore soluzione comunicativa in termini di rapporto costi-efficacia. Solo il 43% degli organismi di tutela dichiara, infatti, di gestire un canale social per valorizzare la propria IG.

 

Fabrizio Gomarasca

Euler Hermes. 15 miliardi di euro addizionale dall’export nel 2015

Buone prospettive per l’export dell’agroalimentare nel 2015, con il vino che vola verso i 6 miliardi di vendite in tutto il mondo. In occasione della presentazione dei dati dell’International Trade Observatory, Euler Hermes, società del Gruppo Allianz e leader mondiale dell’assicurazione crediti, ha analizzato le opportunità e i rischi delle nuove vie dell’export made in Italy.

Con i principali indicatori economici in contrazione, l’export rappresenta ancora una volta il pilastro da cui ripartire (+1,6% nel 2014 e + 2,0% nel 2015).

Italia: in fondo al tunnel c’è la ripresa

Il 2014 si chiuderà con il PIL in contrazione dello 0,3% a causa della debole domanda interna e di un credit crunch che stenta ad allentare la sua morsa sulle imprese. Il problema finanziario è estremamente visibile su due indicatori elaborati da Euler Hermes quali i giorni di incasso di un credito (DSO) e le insolvenze aziendali. Per il primo, secondo Euler Hermes i giorni di incasso di un credito per le imprese private saranno in media 100 nel 2014, ben lontani dagli standard dei 60 giorni definiti dalla Direttiva Europea. Le difficoltà e i tempi lunghi per incassare un credito si riflettono sulla crescita delle insolvenze aziendali, che raggiungeranno il picco di 15.500 casi nel 2014 (+10% vs 2013), settimo anno consecutivo di incremento.

 

«Dopo 3 anni di recessione, il 2015 dovrebbe essere l’anno della ripresa seppur lieve. Le nuove misure recentemente adottate dal Governo insieme alla vivacità dell’export e alla ripresa dei consumi interni contribuiranno al ritorno del PIL in terreno positivo (+0,3%)», ha affermato Ludovic Subran, Chief Economist Euler Hermes

Export: il driver costante dell’Italia 

Con una piattaforma di beni e servizi altamente diversificata, nel 2015 l’export italiano si appresta ad agganciare una domanda addizionale di prodotti made in Italy quantificata in €15 miliardi. Proveniente per due terzi dai Paesi extra UE, sarà sostenuta dall’indebolimento dell’euro nei confronti del dollaro e a beneficiarne saranno principalmente la meccanica, la chimica e il tessile.

Nell’ultimo triennio è stata registrata una crescita del 26% delle coperture sui mercati internazionali, con incrementi ancor più elevati verso Cina, Arabia Saudita e Tunisia.

Il rapporto analizza le opportunità dell’export per i singoli settori. Per quanto riguarda l’agroalimentare, i volumi export sono attesi in stabilizzazione anche nel 2015 a circa € 33 miliardi. L’attuale embargo della Russia non dovrebbe avere un peso rilevante sui volumi export in quanto l’Italia potrà contare ancora sui partner storici Germania, Francia e USA e le economie emergenti dell’Est Europa. Tra i settori con ottime performance sui mercati internazionali si segnala il vino, che nel 2015 dovrebbe raggiungere i 6 miliardi di fatturato export (+ 11% vs 2014).

Infografic Export_Euler Hermes[1]

Crescite a due cifre previste per l’export di macchine tessili, mentre quello degli altri settori dovrebbe attestarsi tra il 3,5% di mobili e arredo e il 7,5% delle macchine agricole.

«Puntare sul brand made in Italy ma anche ridurre in misura significativa il gap con i principali competitor sui mercati internazionali, questa è la ricetta per garantire all’export delle oltre 200.000 aziende italiane tassi di crescita sostenuti nel lungo termine», ha concluso Subran.

 

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