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Emergenza alluvione, Coop raccoglie oltre 2 mln di euro per la ricostruzione

2.190.736 euro: è questo il risultato complessivo della raccolta avviata dalle cooperative di consumatori a metà maggio all’indomani dell’alluvione. La raccoltasi è conclusa a fine giugno e ha visto partecipare oltre 81.000 donatori fra soci, dipendenti e clienti; a questi si sono aggiunti molti fornitori delle cooperative.

Il primo atto della raccolta è stato immediato e tutte le cooperative di consumatori si sono mosse all’unisono stanziando fin da subito 1 milione di euro e promuovendo al tempo stesso una campagna di solidarietà promossa in tutti i punti vendita con l’obiettivo di coinvolgere i propri soci e clienti sia alle casse che attraverso un conto corrente dedicato. La campagna si è affiancata a un’attività di sostegno fra tutti i dipendenti delle cooperative a favore dei colleghi di Coop Alleanza 3.0 e Coop Reno che hanno subito danni dall’emergenza attraverso la donazione di ore di lavoro e giorni di ferie. Il risultato sono stati 530.274 euro che saranno versati specificamente a tale scopo. Il resto dell’importante raccolta sarà destinato a un duplice obiettivo; da un lato sostenere le cooperative (agricole, di produzione e trasformazione etc) che hanno subito danni in conseguenza dell’alluvione e dall’altro contribuire a interventi di ricostruzione in accordo con le autorità interessate.

“Siamo soddisfatti dei risultati della campagna di solidarietà” dichiara Marco Pedroni, Presidente Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). “È una ulteriore dimostrazione di quanto il mondo delle cooperative di consumatori sappia rispondere in momenti di grande drammaticità; lo abbiamo fatto sempre anche in altre situazioni sia di emergenza internazionale che nel nostro Paese. Guardiamo ora con fiducia agli interventi di ricostruzione che grazie al contributo di soci, dipendenti, consumatori potranno attivarsi”.

Maura Latini nominata Presidente di Coop Italia

Cambiano gli assetti di governance delle due principali strutture nazionali del sistema Coop e vengono ratificate nuove nomine: queste le principali novità dell’Assemblea di Coop Italia svoltasi a Bologna il 21 giugno e della successiva Assemblea di Ancc-Coop (l’Associazione Nazionale delle Cooperative di Consumatori) che si svolgerà a Roma i prossimi 13 e 14 luglio.

Alla base delle decisioni prese e degli orientamenti per il futuro c’è la volontà di distinguere le funzioni del Consorzio Nazionale (Coop Italia) e dell’Associazione Nazionale (ANCC-Coop); Coop Italia rafforza i suoi compiti di struttura manageriale al servizio delle Cooperative sulle attività di negoziazione, sullo sviluppo del Prodotto Coop e sul Piano di Comunicazione; ANCC-Coop, oltre alle classiche funzioni di rappresentanza e di gestione dei contratti di lavoro, sarà luogo del confronto strategico per progetti comuni delle Cooperative e di stimolo e indirizzo ai diversi consorzi nazionali di Coop. Questa scelta comporta anche una distinzione tra il ruolo che i rappresentanti della proprietà svolgeranno in ANCC-Coop e quella che i dirigenti apicali svolgeranno in Coop Italia. Proprio con questo scopo si rinnova il Cda di Coop Italia con l’ingresso di nuovi consiglieri (direttori generali, amministratori delegati e figure analoghe delle principali cooperative) e in questa ottica cambiano le nomine votate dal Consiglio di Amministrazione appena eletto.

Maura Latini, già Amministratrice Delegata, assume il ruolo di Presidente affiancata da Maurizio Prandi Direttore Generale di Coop Reno in qualità di VicePresidente, mentre Domenico Brisigotti è nominato Direttore Generale. L’Assemblea di Coop Italia ha voluto ringraziare Marco Pedroni Presidente ANCC-Coop per l’importante lavoro svolto in Coop Italia negli ultimi 10 anni. L’Assemblea ha confermato la strategia per i prossimi anni che vede al centro un prodotto a marchio Coop come sintesi di qualità e convenienza che si affianca alle marche importanti, con l’obiettivo di sostenere i soci e i consumatori per la difesa del potere di acquisto. Questa strategia ha già iniziato a dare buoni risultati nel 2022 e in questa prima parte del 2023 con il forte aumento della quota a valore e a quantità del Prodotto Coop; nei primi 5 mesi del 2023 31,4% a valore (+4,6) e 36,1% a volume (+4,0), generando così il contenimento del costo del carrello della spesa. Le vendite Gdo di Coop nel 2022 sono state di oltre 14,0 miliardi di euro (+6,4% sull’anno precedente), i volumi totali (incluse le altre attività) raggiungono i 16,1 miliardi di euro (+12,4%). Nei primi mesi del 2023 le vendite Gdo Coop crescono del +12,8%.

“Sono grata per la fiducia in me riposta ma al tempo stesso sono consapevole che stiamo affrontando un periodo estremamente complesso che vede Coop in un mercato altamente competitivo e sfidante” ha commentato Maura Latini. “I nuovi assetti deliberati dalle cooperative di consumatori e assegnati alle strutture nazionali ci renderanno più efficienti e efficaci nella realizzazione dei progetti che ci daremo a partire dallo sviluppo tuttora in corso ma ancora da completare del Prodotto Coop e in generale per difendere il potere d’acquisto delle famiglie italiane”.

“Sono felice dell’incarico di Presidente di Coop Italia a Maura Latini e di Direttore Generale a Domenico Brisigotti, colleghi di grande valore con cui ho lavorato benissimo in tutti questi anni” sottolinea Marco Pedroni. “Sono scelte che significano anche continuità degli importanti progetti avviati. Continua il mio impegno in Coop in una Associazione Nazionale rafforzata per compiti e per presenza dei Presidenti delle Cooperative nell’organo di Presidenza”. 

Nell’ Assemblea dell’ANCC-Coop prevista a luglio Marco Pedroni è candidato alla Presidenza.  

La distribuzione moderna tutela il potere d’acquisto degli italiani

In un anno caratterizzato da molte criticità – dall’inflazione più alta degli ultimi trent’anni alla guerra in Ucraina, dal caro energia alle problematiche in alcune catene di approvvigionamento – la Distribuzione Moderna ha investito notevoli risorse per tutelare il potere d’acquisto degli italiani, trasferendo solo in parte i rincari della filiera sui consumatori. Le aziende distributive hanno assorbito una parte molto significativa di aumento dei prezzi per un valore di 3,9 miliardi di euro, consentendo un risparmio medio per famiglia fino a 77 euro al mese.

Il dato emerge dal Position Paper L’Italia di oggi e di domani: il ruolo sociale ed economico della Distribuzione Moderna, realizzato da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna, di cui è stata presentata un’anticipazione ieri a Milano nell’ambito della conferenza stampa dedicata al convegno che aprirà la fiera Marca by BolognaFiere 2023, in programma a Bologna il 18-19 gennaio. Il paper sarà presentato integralmente nel corso del convegno inaugurale di Marca mercoledì 18 gennaio a cui ha già confermato l’intervento in presenza il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, On. Francesco Lollobrigida, e, in videocollegamento, il Viceministro delle Imprese e del Made in Italy, On. Valentino Valentini.

L’analisi del paper delinea l’importanza fondamentale del settore distributivo italiano nella filiera agroalimentare: è responsabile dell’80% degli acquisti attraverso una rete di 25mila punti vendita e sui 600 miliardi di euro di fatturato complessivi della filiera (50 miliardi dei quali derivanti dall’export), 155 miliardi sono generati dalle aziende della Distribuzione Moderna, con un valore aggiunto diretto di 25,6 miliardi.

Nel complesso, la Distribuzione Moderna contribuisce al valore aggiunto italiano per oltre 52 miliardi di euro; questo dato include quello generato direttamente (25,6 miliardi), quello indiretto (21,3 miliardi), cioè derivante dalle filiere di fornitura e subfornitura, e il valore indotto (5,2 miliardi) generato dagli occupati nella Distribuzione Moderna e nelle filiere attivate.

Significativo anche il sostegno del settore all’occupazione in tutte le aree geografiche della Penisola, da Nord a Sud, dalle città ai piccoli centri, grazie alla presenza omogenea dei punti vendita su tutto il territorio nazionale. In particolare, nel Mezzogiorno il settore è al 4° posto per incidenza degli assunti, e in termini di lavoro femminile e giovanile registra rispettivamente un +32% e +67% degli occupati rispetto alla media nazionale. Complessivamente, con un aumento di oltre 58mila occupati dal 2013 al 2021 (6º settore economico su 245 in Italia per crescita occupazionale dal 2013), la Distribuzione Moderna ha circa 440mila occupati diretti (+3,1% vs 2019) e sostiene una rete di 3,3 milioni di addetti, considerando anche le filiere attivate.

“Negli ultimi anni, tra Pandemia e caro vita, la Distribuzione Moderna ha dimostrato di essere un asset strategico dell’economia del Paese, sia per il valore aggiunto che riesce a generare sia per il contributo occupazionale, in particolare di giovani e donne”, afferma Marco Pedroni, Presidente di ADM. “Ha dimostrato inoltre di essere un attore responsabile della filiera: nell’anno appena trascorso ha contribuito significativamente al contenimento della spinta inflattiva sui prodotti alimentari, assorbendo una parte dei rincari e tutelando così il potere d’acquisto delle famiglie a basso reddito, quelle su cui pesano maggiormente gli aumenti. Un ruolo di calmiere sociale che continua a svolgere per quanto possibile, ma che vista l’impennata inflattiva deve vedere l’impegno non solo di tutta le imprese del largo consumo, ma anche delle istituzioni. E’ innegabile la necessità di un’azione del Governo di sostegno dei consumi, a favore in particolare delle famiglie più fragili. Un Paese che vuole tornare a crescere è necessario adotti una adeguata politica di sostegno dei consumi che rappresentano oltre il 60% del PIL del Paese”.

Il Convegno sarà l’occasione per fare un punto sul mercato della Marca del Distributore (MDD), quest’anno anche grazie a una survey condotta tra alcuni dei principali business leader del settore e delle aziende MDD partner.

Dai dati elaborati emerge il ruolo determinante della MDD nel contenimento dei prezzi al consumo. Secondo le stime di The European House – Ambrosetti, sui dati messi a disposizione da IRI, a fine 2022 il fatturato della Marca del Distributore è pari a 12,8 miliardi di euro (+9,4% rispetto al 2021) con una quota di mercato del 20,8%, quasi raddoppiata rispetto al 2003. La MDD ha anche consentito un effetto di democratizzazione della spesa alimentare, coniugando la convenienza all’elevata qualità e a un approccio sempre più sostenibile, come confermato dal 72% dei consumatori (da survey IPSOS ai consumatori italiani, 2022).

“La MDD ha progressivamente conquistato la fiducia dei consumatori che la percepiscono come una risposta affidabile e soddisfacente alla ricerca di un buon rapporto qualità-prezzo – commenta Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti. Il progressivo apprezzamento ha favorito anche la crescita economica di molte medie e anche piccole aziende fornitrici, arrivando a determinare il 60% dell’incremento del fatturato dell’industria alimentare nel mercato domestico”.

Dall’analisi dei bilanci di 651 aziende espositrici a Marca, emerge che tra il 2013 e il 2021 le aziende MDD partner hanno avuto performance migliori rispetto alla media dell’industria alimentare e, secondo la survey realizzata da The European House – Ambrosetti e somministrata, in collaborazione con BolognaFiere, agli MDD partner espositori a Marca 2023, la tendenza si conferma per l’anno appena concluso: 7 aziende su 10 dichiarano un aumento di fatturato, di cui il 27,1% in un range tra il 10-20% e il 24,1% tra il 20-30%. Questo grazie anche alle relazioni di lungo periodo instaurate con le aziende della Distribuzione Moderna: oltre un terzo del campione dichiara di avere contratti di collaborazione superiori agli 8 anni.

La conferenza stampa è stata anche l’occasione per presentare il programma della diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere, organizzata in collaborazione con ADM e con il patrocinio della Regione Emilia-Romagna e della Camera di Commercio di Bologna. Marca by BolognaFiere è l’unica fiera dedicata alla marca commerciale in Italia, la grande vetrina dove si espongono i prodotti food e non food dell’eccellenza italiana a Marca del Distributore. La manifestazione è anche l’unica a livello internazionale a offrire un grande spazio espositivo alle 22 principali insegne della Distribuzione Moderna che siedono nel Comitato Tecnico Scientifico della fiera. Un’occasione importante per andare alla sostanza del business, toccare con mano i prodotti e chiudere i contratti tra aziende di qualità e i retailer interessati a proporre prodotti con il proprio marchio. La diciannovesima edizione di Marca by BolognaFiere si annuncia già in crescita, con oltre 900 espositori e centinaia di buyer di altissima qualità provenienti da tutto il mondo.

“Marca by BolognaFiere è la prima fiera dell’anno – afferma il Presidente di BolognaFiere, Gianpiero Calzolarie si sta ormai affermando come una delle fiere più importanti dell’agroalimentare. La sua formula molto smart e molto veloce, due giorni di business puro, continua a incontrare sempre più interesse nelle catene distributive e nelle aziende che producono. Siamo orgogliosi di offrire ogni anno la sede più autorevole dove stringere accordi tra chi compra e chi vende, favorire la crescita e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese grazie ai rapporti con le insegne della Distribuzione Moderna”.

 

Ridurre gli orari di apertura per risparmiare sui costi energetici

Una riduzione degli orari di apertura dei punti vendita: potrebbe passare anche da qui la strategia di contenimento dei consumi energetici a cui l’intero Paese è chiamato. A parlare di questa ipotesi è stato Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop, a margine della presentazione del Rapporto Coop 2022. L’idea a quanto pare raccoglierebbe consensi trasversali nel settore della grande distribuzione, ma per essere messa in pratica ha bisogno di un’iniziativa da parte del Governo, perché le imprese faticherebbero da sole a trovare un accordo. “Tornare alle chiusure domenicali sarebbe però un errore – ha precisato Pedroni. Per i supermercati non sarebbe un grandissimo problema, ma per molti consumatori sì. Inoltre, chiudere la domenica porrebbe un problema occupazionale molto serio, perché le imprese si sono strutturate per offrire questo servizio: pensate non solo alla Gdo, ma agli esercizi presenti nei centri commerciali che hanno nella domenica il primo giorno in termini di vendite. Cosa diversa sarebbe se il Governo stabilisse con un intervento temporaneo un numero di ore massimo di apertura, lasciando poi la flessibilità di adattare questo orario massimo alle esigenze del singolo negozio”.

Rivedere la catena del freddo, evitando l’eccesso di banchi frigo, ridurre l’illuminazione quando il negozio è chiuso e adottare i sistemi a Led aiuta sicuramente a contenere i consumi, “ma per quanto il lavoro sul risparmio energetico possa essere importante – ha osservato Pedroni – il taglio dei nostri costi energetici può arrivare al 20% massimo. Le imprese della distribuzione non sono considerate energivore, ma nella pratica lo sono ed è necessario un intervento di sostegno, perché anche questo contribuirebbe a tenere un po’ più bassa l’inflazione per i consumatori”.

Altro tema sottoposto dalla Gdo all’attenzione della politica è la rimodulazione dell’Iva sui prodotti di largo consumo, portandola all’aliquota minima per i prodotti che compongono il paniere fondamentale acquistato dalle famiglie. Una misura simile comporterebbe ovviamente dei costi, che secondo il Presidente di Coop Italia potrebbero essere coperti almeno in parte utilizzando l’extragettito derivante sempre dall’Iva a causa dell’inflazione.

Qualunque sia il Governo che guiderà il nostro Paese credo che dovrà mettere al centro l’emergenza primaria delle famiglie italiane – ha affermato Pedroni – promuovendo una politica di ridistribuzione dei redditi a beneficio della maggioranza, affrontando il nodo energetico con misure che permettano alle imprese di rimanere sul mercato e ai cittadini di non pagare costi insostenibili”.

Rincari dei listini e dei costi energetici, gli effetti sulla Gdo

Cosa può esserci di peggio per la Gdo del 2022, cioè di un anno in cui i listini rincarano, i costi energetici triplicano, ma si fatica a trasferire a valle gli aumenti nel timore di perdere volumi? Forse una sola cosa: il 2023. Nel corso della presentazione del Rapporto Coop 2022, Marco Pedroni, Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) ha dichiarato di attendersi per i prossimi mesi un’ulteriore crescita dell’inflazione, seppure a ritmi un po’ inferiori di quelli registrati finora. Il che vorrebbe dire complicare ulteriormente uno scenario da brividi per la grande distribuzione. Vediamo perché.

I prezzi dei beni alimentari venduti dall’industria alle catene della Gdo sono cresciuti del +14,9% rispetto allo scorso anno (var % tendenziale luglio-agosto 2022-2021), mentre l’inflazione alla vendita nello stesso periodo ha fatto segnare un valore di poco superiore al +9,2%. Il differenziale fra il prezzo all’acquisto e quello alla vendita segna -5,7% ed è a carico della grande distribuzione. Davvero impressionanti i rialzi dei prezzi all’acquisto dei prodotti basici, sui quali l’impennata delle materie prime incide molto: l’olio di semi segna +40,9%, quello di oliva +33,1% e ancora la pasta +30,9%, la farina +25,4%.

I discount non sono molto lontani dal recuperare quasi tutto l’aumento dei prezzi di acquisto – ha detto Pedroni – mentre il resto della distribuzione è partita dopo e noi di Coop particolarmente dopo”. Tradotto in numeri, lo scorso luglio il tasso di inflazione dei prezzi al consumo era del +14,4% nel discount contro il +9,1% dei super.

Capitolo costi energetici sopportati dalla Gdo: nel 2019 erano pari a 1.512 milioni di euro e pesavano l’1,7% sul fatturato; nel 2022 arriveranno a 5.022 milioni di euro, per un’incidenza del 4,7% sul fatturato che salirà al 5,2% nel 2023. Il Rapporto Coop sottolinea come questo incremento è tanto più preoccupante se si considera che il retail alimentare è un settore strutturalmente a bassa redditività, dove piccole variazioni dei margini possono seriamente compromettere la tenuta dei conti economici. In base ai dati Mediobanca, il valore aggiunto trattenuto in media dalle imprese della Gdo nel 2021 è stato pari al 14,7%, l’Ebitda del 5,3% e l’Ebit del 2,6%. Allo stesso modo, ogni 100 euro spesi dal consumatore l’utile netto per i retailer è stato appena superiore ad 1,5 euro.

Ma quali sono i risultati dei punti vendita Coop in una situazione così complessa? “I canali hanno performance diverse – ha dichiarato Maura Latini, Amministratore Delegato di Coop Italia – anche se tutti hanno beneficiato di un andamento positivo nei mesi estivi. In generale, l’iper perde volumi per via delle sue difficoltà strutturali, purtroppo accentuate dall’aumento del costo dei carburanti, che ostacola lo spostamento dei clienti. Il supermercato tiene, con un recupero importante dal lancio del nostro progetto sul prodotto Coop a cui si è aggiunta la positività del mercato nella stagione calda. Nel complesso, registriamo una crescita dell’1% a volume”.

Coop ha annunciato lo scorso maggio un piano che una volta a regime (entro il 2024) includerà circa 5.000 nuovi prodotti a marchio, che innoveranno l’offerta del 50%. “I primi dati non solo ci danno ragione – ha affermato Latini – ma riconfermano la straordinaria forza del nostro prodotto. Da giugno a metà agosto, abbiamo rilasciato circa 1.000 nuovi prodotti. Una valutazione sulla base delle vendite a valore è difficile per via dell’inflazione e quindi guardiamo ai pezzi. Ebbene, in una categoria che definirei ‘tranquilla’ o quasi in leggera flessione, come le merendine, in cui abbiamo rinnovato la nostra offerta completamente, abbiamo registrato da giugno a metà agosto un +30% nei volumi venduti di prodotto Coop e +5% di quota. Se prendo una categoria completamente diversa, cioè gli aperitivi, dove l’innovazione è stata di segmento, di offerta e di assortimento, i volumi del prodotto Coop sono cresciuti del +88% e la quota del +9%”.

Richiesta in crescita per prodotti a marchio distributore, la ricerca di ADM

Si consolida e cresce l’importanza dei prodotti a Marca del Distributore anche a fronte dell’aumento inflattivo che si è generato nel post pandemia, ulteriormente influenzato dalle conseguenze della guerra in Ucraina. Sugli scaffali della Distribuzione Moderna sono circa 70mila i prodotti contrassegnati dal logo dell’insegna distributiva, prodotti di qualità e dal prezzo conveniente, con un posizionamento mediamente del 20-25% in meno dei prodotti a marca industriale.

Il 43% degli italiani ha dichiarato di aver acquistato nel 2021 in prevalenza prodotti a marca del distributore (MDD). Risulta infatti dalla ricerca che nel 2021 la Marca del Distributore ha consolidato un percorso di crescita significativo in atto da quasi 20 anni: 11,7 miliardi di euro di fatturato (più che triplicato dal 2003) e una quota di mercato pari al 19,8%. Le previsioni del protrarsi delle tensioni inflattive per tutto l’anno 2022 rendono probabile un ulteriore aumento delle vendite dei prodotti MDD, già stimati in crescita da The European House – Ambrosetti al 24% di quota di mercato nel 2030 con 15 miliardi di euro di fatturato. Questi alcuni dei dati salienti emersi dal Convegno di apertura di MarcabyBolognaFiere, la manifestazione organizzata da ADM – Associazione Distribuzione Moderna e da BolognaFiere Group.

È quanto emerso durante il Convegno dall’intervento a due voci sulla “Marca del Distributore e consumatore nella società che cambia” risultato del position paper di The European House – Ambrosetti e della ricerca di IPSOS che si proponeva di indagare la MDD dal punto di vista del consumatore anche alla luce dei cambiamenti in atto nella società italiana.

La ricerca è stata articolata in due momenti – una community online con 45 partecipanti acquirenti MDD e una indagine quantitativa su un campione di 1.500 individui, rappresentativi dei responsabili acquisti per macro-area geografica, genere ed età – e ha mostrato che la Marca del Distributore ha un elevato livello di riconoscibilità tra i consumatori italiani tanto che 1 su 4 dichiara di scegliere il proprio punto vendita abituale proprio per l’offerta dei prodotti MDD. Il 95% dei consumatori italiani conosce almeno una Marca del Distributore e il 78% conosce anche le MDD con nome di fantasia. I prodotti più acquistati sono gli alimentari confezionati, i surgelati, seguiti da prodotti per la cura della casa, la cura della persona, le bevande non alcoliche, gli alimentari freschi, i prodotti per animali, e altro.

Modalità di acquisto che confermano la capacità della Marca del Distributore di rispondere ai nuovi bisogni della società italiana, caratterizzata da tre driver: polarizzazione della condizione economica delle famiglie (“accessibilità” della MDD), da cambiamenti socio-demografici quali denatalità, invecchiamento, famiglie monocomponenti (scelta di prodotti “ready to eat”), crescente attenzione alla sostenibilità e al benessere (a titolo di esempio, la quota di mercato dei prodotti BIO a Marca del Distributore ha raggiunto nel 2021 il 44,1%).

La MDD si è evoluta nel tempo, con un’offerta ad alto contenuto qualitativo, di innovazione, sostenibilità, salute e benessere, riconosciuta anche dal consumatore che ne apprezza la capacità di rendere accessibile la qualità: 81% degli italiani ritiene che ci sia stato un progressivo miglioramento nell’offerta della MDD negli ultimi 10 anni. In particolare, il 55% ritiene che la MDD sia attenta ai temi legati all’ambiente e alla sostenibilità, il 50% pensa che la MDD sia attenta ai temi etici e sociali.

Emergono infatti nell’apprezzamento della Marca del Distributore, valori quali la capacità di presidiare ricette ed eccellenze dei territori italiani (rispettivamente 66% e 63%), la valorizzazione dei produttori locali (59%), una risposta adeguata ai bisogni crescenti di salubrità (59%). Il 95% dei consumatori dichiara di conoscere almeno una Marca Insegna, il 90% dei consumatori che acquista prodotti MDD risulta inoltre interessato ad avere informazioni rispetto al produttore, mentre il numero medio di marche conosciute è più alto nel Nord-Ovest che nel resto d’Italia.

È stato analizzato da The European House – Ambrosetti il contributo della Marca del Distributore alla crescita e al rafforzamento della dimensione industriale e competitiva della sua filiera di fornitura: una rete di 1.500 aziende MDD partner con cui la Distribuzione Moderna instaura relazioni di collaborazione di lungo periodo (nel 50% dei casi superiore agli 8 anni). L’analisi dei bilanci su un campione rappresentativo di 610 aziende MDD partner negli ultimi 8 anni (2013-2020), suddiviso in tre cluster in base alla quota di fatturato generato con la produzione di prodotti a Marca del Distributore, dimostra che le aziende della filiera alimentare che fanno Marca del Distributore hanno performance economiche, occupazionali e reddituali migliori delle altre aziende del settore alimentare. La performance media annua nel periodo 2013-2020 aumenta al crescere della quota di fatturato generato con la Marca del Distributore.

Marco Pedroni, Presidente di ADM – Associazione Distribuzione Moderna ha sottolineato l’importanza della MDD nella difesa del potere d’acquisto dei consumatori e per l’economia italiana: “Entrambe le ricerche confermano il valore generato dalla Distribuzione Moderna che ha saputo rappresentare sia durante la crisi pandemica che nella drammatica fase attuale un presidio di sicurezza e di quotidianità. I consumatori apprezzano e riconoscono l’offerta della MDD. Al tempo stesso la MDD è un volano di amplificazione dell’incredibile offerta alimentare che caratterizza il nostro Paese. Con la MDD si può dimostrare che qualità, ampiezza della gamma e convenienza sono assolutamente compatibili”.

Sulla evoluzione nel tempo della MDD e sui prossimi percorsi di sviluppo, Valerio De Molli, Managing Partner & CEO di The European House – Ambrosetti ha dichiarato:
“Mai avremmo potuto ipotizzare che, nello stesso momento storico, ci sarebbe stata la convergenza di cinque fattori di rischio: la pandemia globale, lo scoppio della guerra, l’esplosione dei costi energetici e logistici, l’interruzione di alcune filiere di approvvigionamento e l’impennata dell’inflazione, con forte pressione sui redditi disponibili delle famiglie. In questo contesto di grande incertezza, la Marca del Distributore svolge un importante ruolo sociale, grazie al sostegno al potere d’acquisto delle famiglie italiane. Come emerge dallo studio, l’acquisto di prodotti a Marca del Distributore ha abilitato, solo nel 2021, un risparmio complessivo pari a 2,1 miliardi di Euro, pari a circa 100 Euro per famiglia, a fronte di un’offerta di qualità e ad altro contributo di innovazione e sostenibilità”.

Nando Pagnoncelli, Presidente di Ipsos Italia, ha illustrato la ricerca sottolineando come: “I consumatori hanno percepito un progressivo miglioramento della MDD negli ultimi 10 anni e le riconoscono oggi di aver ‘democratizzato la qualità’, rendendo accessibili a molti – per prezzo e facile reperibilità – prodotti precedentemente confinati in un ambito di ‘specialità’ elitario od occasionale. La MDD, grazie ad una offerta percepita come più ampia, più qualificata e specializzata, ha aumentato la propria vicinanza, anche emotiva, ad un consumatore sempre più ‘laico’, più autonomo nella valutazione della qualità dei prodotti, più oculato nella ricerca della migliore qualità al miglior prezzo”.

Stefano Patuanelli, Ministro delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha dichiarato: “Quello dell’agricoltura è uno dei settori più colpiti dalla crisi che stiamo attraversando. Auspico che a livello europeo si possa identificare un percorso comunitario di crescita che favorisca la tutela della produzione e implementare gli investimenti in nuove tecnologie necessari a rispondere alle esigenze di quel consumatore evoluto che la ricerca presentata oggi ci ha mostrato già maturo nel compiere scelte d’acquisto consapevoli”.

GDO, è partito il braccio di ferro sui listini

I primi ritocchi dei listini finiranno nel carrello della spesa con l’autunno, poi il nuovo anno potrebbe portare rincari anche a due cifre per alcuni generi alimentari. A chiedere gli aumenti l’industria di marca che proprio in queste settimane sta incontrando le catene della GDO per definire volumi e prezzi di vendita per il 2022. Per la pasta, secondo quanto risulta al Sole 24 Ore, i produttori chiedono aumenti del 20%, per le farine del 15%, le merendine +12%, salumi +4%, fazzoletti di carta e carta igienica +7%, conserve di pomodoro +15%, piselli ed altri legumi 17%, l’olio 20%, i prodotti lattiero caseari +8% e via di seguito.

Una pioggia di rincari chiesti dopo un decennio di inflazione zero o, per alcuni comparti merceologici, di deflazione. Perché quest’anno a ritoccare i listini all’insù sono praticamente tutti i produttori ed è una situazione che, secondo le stime degli addetti ai lavori, potrebbe spingere nel 2022 i prezzi del carrello della spesa del 2-4%. È il sommarsi di molte concause dagli aumenti dell’energia ai trasporti, alle materie prime base senza dimenticare la speculazione che sfrutta la situazione ritardando lo scarico di navi cariche di grano, mais, soia e semi di girasole puntando sui rincari.

«Serve un grande senso di responsabilità di tutti gli attori della filiera e come Selex non intendiamo scaricare sui consumatori aumenti così importanti – dice Maniele Tasca, direttore generale del Gruppo – ma si rischia una forte pressione sui margini delle aziende della GDO. Se ci saranno rincari che l’industria non può assorbire sarà accettabile un aumento dei listini ma temporaneo perché le insegne saranno in grande difficoltà nel trasferire questi aumenti».

Giorgio Santambrogio, Ceo di Gruppo VèGè, punta l’indice contro la speculazione: «Siamo contro le speculazioni che alcuni fornitori fanno e siamo disposti a sederci al tavolo per studiare come ripartire tra catene e industria i rincari – spiega l’AD. Bisogna innanzitutto collaborare con industria di marca perché non è equo che la GDO debba assorbire i rincari non potendo scaricarli sui clienti».

Un’altra possibile area d’intervento è lavorare sull’efficienza della filiera. Patrizio Podini, fondatore e presidente di MD, teme una speculazione che si autoalimenta creando rarefazione delle materie prime con «aumenti esagerati, fuori da ogni regola – premette. Lancio un appello al Governo e all’Antitrust per intervenire sugli aumenti ingiustificati dei prezzi con controlli e verifiche. C’è poi il caro bolletta elettrica quasi raddoppiata in un anno, un costo diventato insopportabile».

Guarda alle conseguenze Marco Pedroni, presidente Coop Italia e Associazione nazionale cooperative di consumatori. «Si rischia un’inflazione da costi sui consumatori che potrebbe essere un freno formidabile alla ripresa del Paese. Il problema non riguarda solo la distribuzione ma ricade su tutti i comparti produttivi: agricoltura, industria, distribuzione – avverte Pedroni. È un tema urgente che deve essere assunto dall’esecutivo e dalle politiche economiche che si potranno intraprendere. Sarebbe importante in questo momento un’azione forte di sostegno dei consumi, anche attraverso le leve fiscali. E poi su iniziativa del Governo, sarebbe utile istituire un tavolo comune per non lasciare sole le singole imprese. Sono convinto che tutti, produttori e distributori, debbano prendere la responsabilità di limitare in modo significativo gli aumenti di prezzo sui consumatori».

Fonte: Il Sole 24 Ore

Rapporto Coop 2021: consumi e stili di vita degli italiani di oggi e domani

Presentata l’anteprima digitale del “Rapporto Coop 2021 – Economia, Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio Studi di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori) con la collaborazione scientifica di Nomisma, il supporto di analisi di Nielsen e i contributi originali di Gfk, Gs1-Osservatorio Immagino, Iri Information Resources, Mediobanca Ufficio Studi, Npd, Crif, Tetra Pak Italia. L’edizione 2021 del Rapporto è tutta orientata a descrivere la situazione della nuova realtà post Covid e per fare questo, oltre alle fonti di solito utilizzate, si è avvalsa di due diverse survey intitolate “Reshaping the future” e condotte entrambe nello scorso mese di agosto.

La prima ha coinvolto un campione di 1.500 italiani rappresentativo della popolazione over 18 (18-75 anni). La seconda si è rivolta ad un panel della community del sito di italiani.coop e ha coinvolto 1.000 opinion leader e market maker fruitori delle passate edizioni del Rapporto. Tra questi sono stati selezionati 470 ruoli apicali (imprenditori, amministratori delegati e direttori, liberi professionisti) in grado di anticipare più di altri le tendenze future del Paese. A tutti va il nostro ringraziamento.

Un mondo multipolare, una obbligata rivoluzione verde
Dopo la peggiore crisi di tutti i tempi, la migliore ripresa di sempre. Le variazioni del Pil mondiale tutte al rialzo si attestano su un +6% nel 2021 ma continuano in positivo anche negli anni a venire (+4,9% nel 2022 e +3,5% nel 2023). Corre più veloce di tutti la Cina in un mondo multipolare in cui gli Usa sembrano abdicare al loro storico ruolo di potenza egemone e offrono anche all’Europa la chance di diventare soggetto stabilizzatore nella costruzione dei nuovi equilibri geopolitici tra i molti protagonisti regionali emergenti. In Europa e nel mondo, l’Italia vive una seconda giovinezza; cresce più in fretta delle aspettative (il balzo in avanti del Pil potrebbe sfiorare il 6%), trascinata dall’export che ha già superato i livelli pre Covid e dalla riconversione digitale della propria manifattura. Gode, soprattutto, di un nuovo e inatteso momento di favore internazionale grazie ai recenti, molteplici successi sportivi e musicali, ma anche alla buona gestione della pandemia e soprattutto all’effetto autorevolezza generato dalla premiership di Mario Draghi. Durante gli Europei di calcio le ricerche on line associate alla parola “Italia” sono cresciute di un +211% e l’Italia resta in testa alle wish destination mondiali. Soprattutto, il 60% della business community internazionale si dichiara convinto di una maggiore attrattività del Paese nei prossimi 3 anni e il 48% lo ritiene una possibile destinazione dei propri investimenti futuri. Anche per questi nuovi riconoscimenti, l’86% degli intervistati si dichiara orgoglioso di essere italiano. E cresce anche la fiducia degli italiani nell’Europa e nell’Ue (oggi al 44% tra i valori più bassi nell’Ue ma il più alto fra gli italiani da marzo 2011, quindi negli ultimi 10 anni). Il ritorno alla crescita (in Italia e nel mondo) ripropone con forza la stringente necessità di una grande rivoluzione verde a livello globale (44 sono i paesi che si sono impegnati con leggi, protocolli, documenti nel 2021 rispetto ai 22 di appena 2 anni fa);sembra, anzi, oramai esaurirsi il tempo a disposizione, tanto da far temere nuove tensioni geopolitiche dovute alla diminuzione delle risorse naturali disponibili (lo teme l’80% degli executive intervistati). Lo scetticismo (il 77% del campione executive) nella possibilità di raggiungere gli obiettivi prefissati in fatto di inquinamento e cambiamento climatico va di pari passo con la consapevolezza che proprio il rispetto dell’ambiente e l’innovazione sono oramai le priorità irrinunciabili dello sviluppo futuro. La consapevolezza è ampia non solo tra i manager. Il 79% degli italiani si dichiara infatti, preoccupato del riscaldamento globale eil 75% degli executive affida lo sviluppo futuro all’innovazione tecnologica e digitale e sono gli scienziati e i medici a tornare in cima ai modelli di riferimento degli italiani (rispettivamente con il 49% e il 32% del campione).

Le inquietudini del presente e la nuova forma del futuro
“Io penso positivo” è comunque il nuovo mood post pandemia per quasi 7 italiani su 10 e, messo da parte il rancore, torna la fiducia nel prossimo (lo afferma il 41% rispetto al 19% di quattro anni fa), a partire dalla famiglia e dagli affetti più stretti. Nel rinnovato clima di benevolenza vengono assorbite con più elasticità anche le differenze. Così i nostri connazionali si definiscono pro eutanasia e aborto, accoglienti con i rifugiati e tra i più LGBT+ friendly del continente. E pur posizionandosi tra gli ultimi Paesi in Europa quanto a parità di genere, il 42% degli italiani mostra consapevolezza di questo triste primato. Sono proprio le donne ad essere le più convinte delle proprie capacità (già oggi sono più istruite degli uomini) e ritengono di essere la prima potenzialità inespressa di cui dovrebbe approfittare il Paese per il suo rilancio (tra gli italiani lo sostiene il 42% delle donne contro un ben più modesto 18% di uomini). Ma il nuovo “think positive” degli italiani dipende dalla rinnovata consapevolezza “delle cose importanti della vita” (45% degli intervistati) piuttosto che da un concreto cambiamento delle proprie condizioni di vita. Restano, infatti, profonde le ferite fisiche e mentali della pandemia, l’inquietudine da long Covid ha generato ansia, insonnia, depressione e disturbi alimentari. (si stima in 10 miliardi il costo totale solo per il trattamento delle sindromi depressive generate dalla pandemia). Inoltre, si moltiplicano le povertà, sono 27 milioni gli italiani che ancora nel 2021 hanno vissuto rinunce e disagi quotidiani, 18 milioni coloro che ne prevedono il perdurare nel tempo e 5 milioni coloro che temono il protrarsi di sacrifici, anche in ambito alimentare Anche per questo, al crescente ottimismo degli italiani e alla nuova fascinazione estera per il nostro Paese, non corrisponderà nell’immediato una altrettanto rapida ripresa dei consumi. Secondo la maggioranza degli esperti, l’Italia raggiungerà i livelli pre Covid solo nel 2023 (lo afferma il 43% degli executive ) e infatti nel 2022 il 28% degli italiani prevede di avere un livello di spesa ancora inferiore rispetto al 2019: sono soprattutto cassaintegrati, giovani e donne. D’altronde in quell’auspicato rimbalzo in avanti del nostro Paese, a rimanere al palo è proprio l’occupazione (è troppo lenta la sua crescita, nel primo semestre 2021 fa segnare un +1,8%) e anche se le previsioni sono migliorative bisognerà vedere che lavoro sarà: secondo il campione il rischio è che a crescere saranno soprattutto la sottoccupazione (59%), il lavoro in nero (50%), i gap generazionali (51%). E comunque nella speranza di affrancarsi presto dalle restrizioni del Covid, l’Italia e gli italiani escono dalla “bolla” che li ha imprigionati dall’inizio dello scorso anno e danno finalmente nuova forma al loro futuro, accelerando i cambiamenti e scegliendo nuove priorità. Dopo l’home working praticato durante la pandemia, il 69% degli smart worker (9 milioni di persone) vuole sperimentare i nuovi equilibri tra lavoro e vita privata permessi dall’hybrid work; è ibrida anche la mobilità (157mila e-bike vendute nel primo semestre dell’anno e continuano a crescere le immatricolazioni per auto ibride e elettriche). La digitalizzazione è diventata una abitudine e mette a proprio agio il 65% degli italiani a cominciare dall’e-commerce che pur rallentando continua la sua crescita (+18% nel 2021 rispetto al +45% di un anno fa). Anche dopo la pandemia, resta l’home nesting degli italiani. La casa non è più uno spazio di servizio, ma la nuova comfort area della vita quotidiana. Sono 1,2 milioni gli italiani che vogliono comprare casa e molti di più quelli che approfittando dei nuovi incentivi la vogliono ristrutturare (8 milioni) nel prossimo anno, 6 su 10 le famiglie che pensano di cambiare arredamento nei prossimi 3/5 anni; contemporaneamente, si riduce anche la forza attrattiva delle grandi metropoli e le città di piccole dimensioni/i borghi diventano i luoghi ideali di residenza per 1 italiano su 3 (sorprende più di tutti quel 67% di giovani che intende rimanere a vivere nei comuni delle aree interne dove attualmente risiede).

L’ambiente e la salute siedono a tavola
Specchio e metafora dei cambiamenti degli italiani, il cibo esce profondamente trasformato dalla pandemia e si colora di verde. 1 italiano su 2 ha cambiato le proprie consuetudini alimentari, chi indulgendo nel conforto alimentare (sono il 23% coloro che hanno preso peso – in media + 5,8 kg) e chi approfittandone per una dieta più equilibrata e salutare (15% quelli che hanno perso peso in media –7,1 kg). Se solo il 18% non si riconosce in alcuna cultura alimentare e il 24% fa riferimento solo alla dieta mediterranea, oltre la metà degli italiani si riconosce anche o esclusivamente in altre identità alimentari (bio, veg&veg, gourmet, iperproteici e low carbs), ma la vera novità del 2021 è la comparsa della nuova tribù dei climatariani, ovvero di coloro (1 italiano su 6) che dichiarano di adeguare il proprio regime alimentare per ridurre l’impatto ambientale. E comunque l’ambiente diventa riferimento di molti italiani; l’88% associa al cibo il concetto di sostenibilità che significa per il 33% avere un metodo di produzione rispettoso, per un altro 33% attenzione agli imballaggi, per il 21% è sinonimo di origine e filiera e per il 9% di responsabilità etica. Così, il 13% sta riducendo il consumo di carne (i cosiddetti reducetariani), si preferiscono prodotti locali e di stagione, i veg sono consumati anche da chi cerca solo una alternativa proteica alla carne e raddoppiano le vendite di proposte vegane di nuova generazione (le bevande, le besciamelle, i piatti pronti). E non è un caso che gli italiani riconoscano nel riscaldamento climatico il principale fattore di cambiamento del cibo del futuro, sia prevedendone una maggiore scarsità a causa del climate change (26%), sia immaginando che per salvare il clima occorrerà cambiare la nostra alimentazione (32%). Per gli italiani un aiuto verrà dalla scienza e dalla tecnologia (26%) e in questo senso tra le new entry sulle tavole degli italiani da qui a 10 anni ci sono cibi vegetali con il sapore di carne, a base di alghe, farina di insetti e anche la carne coltivata in vitro. In realtà la food revolution è già in corso. Gli investimenti nel solo 2020 in cibi e bevande di prossima generazione ammontano a 6,2 miliardi.

Un altro grande driver di scelta, anch’esso potenziato dall’effetto pandemia, è sicuramente la ricerca attraverso il cibo di un maggior benessere e l’83% dei nostri connazionali si dichiara disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti con qualità certificata (dopo di noi l’80% dei cinesi e solo dopo europei e statunitensi). Non cessa d’altronde il successo di segmenti di mercato come il free-from, il rich-in, gli stessi dove è spesso il prodotto a marchio a rispondere meglio e con maggiore rapidità dei brand leader. Il crescente benessere spiega anche la maggiore attenzione che gli italiani prestano all’etichetta; così le indicazioni sull’origine e la provenienza del cibo sono determinanti per l’acquisto per il 39% degli italiani, per il 28% lo sono i valori nutrizionali e a seguire il metodo di produzione (per il 26%). In sostanza, gli italiani sembrano prestare attenzione crescente ai contenuti intrinseci dei prodotti e sempre meno delegano le loro scelte ad una incondizionata fiducia verso il brand e sono sempre meno disposti a pagare per i contenuti di pura immagine. Un fenomeno questo del progressivo declino della marca che continua da tempo, reso evidente non solo dall’avvento dei discount (oggi il 20% delle vendite Gdo) ma anche dalla crisi negli altri canali della distribuzione moderna (dal 2013 ad oggi la perdita di quota delle grandi marche è pari a un -9%) controbilanciato dalla Mdd (un +9% nello stesso lasso di tempo) e anche dai piccoli produttori (+3%), evidentemente più rapidi nell’intercettare le nuove mutevoli esigenze dei consumatori.

Tensioni e aspettative a casa della grande distribuzione
Come gli italiani, gli operatori della filiera alimentare vedono un futuro più rosa ma con accenti diversi fra industria e distribuzione. Se infatti entrambe hanno beneficiato della nuova centralità del cibo durante il lockdown, restano ampie le differenze sui rispettivi livelli di profittabilità, con l’industria alimentare che mantiene performance di redditività doppie rispetto alla distribuzione. Non a caso quasi 1 su 2 tra i manager della grande distribuzione intervistati nella survey di agosto prevede uno strutturale peggioramento dei risultati economici e/o di dover reinventare il proprio modello di business minacciato dalla coda lunga della recessione pandemica sui redditi delle famiglie, dall’affermazione dei discount che non conosce tregua (l’85% ne prevede un ulteriore incremento delle vendite) e dall’intensificarsi della tensione competitiva fra le insegne. Al centro delle strategie future per il 45% del campione occorre riprogettare i punti vendita, magari perseguendo una integrazione della rete fisica con i nuovi canali virtuali (39%) e lavorando per una riqualificazione del personale (34%). Solo dopo arrivano gli investimenti per potenziare le vendite online, un canale in crescita, ma anche dopo l’exploit del 2020 (+121%) l’e-grocery resta un segmento piccolo delle vendite alimentari complessive (poco sopra il 2% del totale Gdo). Peraltro, dopo una crescita nel primo semestre 2021 del 46% molti operatori ritengono nei prossimi 12-18 mesi che la progressione si fermerà o arretrerà (48%) o che sarà inferiore al 20% (per il 43%). Nello scenario immediato, ad essere più preoccupante per la Gdo è la dinamica dei prezzi all’acquisto e alla vendita. Vi è il concreto rischio che il retail alimentare resti schiacciato tra la diminuzione dei prezzi al consumo (-0,7% la deflazione del prezzo dei prodotti alimentari nel primo semestre 2021) e l’annunciato aumento dei prezzi delle materie prime e dei listini dei fornitori industriali. Un risiko da cui non sarà facile uscire.

COOP
“Lo scenario delineato nel Rapporto 2021 ci restituisce l’immagine di un’Italia indubbiamente trasformata dalla pandemia con aspetti positivi che incoraggiano, ma anche con segnali che rivelano ancora l’esistenza di pesanti incognite e di forti disuguaglianze. Il post Covid per molte persone coincide con il tempo delle rinunce su aspetti importanti dell’esistenza, i consumi sembrano essere l’ultimo dei comparti che ripartirà –commenta Maura Latini, amministratrice delegata di Coop Italia. In questo scenario un’organizzazione come Coop ha una grande responsabilità, quella di riuscire a trovare convergenze fra ciò che offriamo, e penso ai nostri prodotti, la qualità che ci sta dentro e l’accessibilità del prezzo. Responsabilità che è acuita, se possibile, dal progressivo declino della marca industriale. Toccherà ai retailer interpretare le esigenze dei vari segmenti di mercato. E’ su questo punto di equilibrio che concentriamo il nostro modo di essere Cooperative di Consumatori. Per quanto riguarda il prodotto a marchio, stiamo parlando di più di 5000 prodotti, quasi 3 miliardi di fatturato. Più di altri lavoriamo su versanti che anche dalla lettura del Rapporto Coop si rivelano sempre più urgenti come il grande tema della sostenibilità intesa come ambiente ma anche come etica. Siamo stati i primi a promuovere l’allevamento senza antibiotici e gli unici per ora a espellere il glifosato dalla coltivazione dei nostri prodotti freschi. Per citare un dato, la nostra scelta del non impiegare antibiotici in allevamento nelle filiere Coop con i nostri oltre 100 milioni di avicoli coinvolti complessivamente è stato uno degli acceleratori principali per portare il comparto dell’avicolo ad una riduzione complessiva degli antibiotici di quasi il 90% a livello nazionale nell’ultimo decennio. Non basta essere primi per numeri bisogna essere primi per azioni virtuose, noi intendiamo continuare così a muoverci, avendo come grande leva i nostri prodotti a marchio e le relazioni costruttive con i nostri fornitori partners. Aggiungo una ulteriore puntualizzazione sul tema dei prezzi e su questo voglio essere molto chiara. Si è appena avviata con gli inizi di settembre una nuova fase di negoziazione con l’industria di marca, sono già state avanzate richieste di rialzo. Lo voglio dire con chiarezza non sempre sono giustificate e noi non accetteremo rialzi che non hanno una rispondenza fattuale”.

“Ci lasciamo alle spalle un 2020 impegnativo che è stato affrontato da Coop con determinazione e comunque un anno che ha generato un miglioramento importante nella gestione caratteristica delle grandi e medie Cooperative, con un ritorno all’utile in quasi tutte – sottolinea Marco Pedroni Presidente di Coop Italia e di Ancc-Coop (Associazione Nazionale Cooperative di Consumatori). Continueremo a percorrere questa strada di miglioramento economico delle nostre cooperative in un 2021 che inevitabilmente con la riapertura dei consumi fuori casa rallenterà le vendite. Prevediamo di chiudere l’anno con un fatturato retail in linea con quello del 2020. Confermiamo la nostra volontà di essere un presidio e un punto di riferimento per tutti gli italiani qualunque sia la loro condizione sociale. Il nostro obiettivo è fornire un cibo buono, sicuro e sostenibile per tutti, accessibile a tutte le fasce di reddito. Abbiamo preso impegni importanti con le istituzioni europee; impegni non di facciata e tutti volontari come l’adesione alla “Pledging Campaign” volta a promuovere l’utilizzo della plastica riciclata e al “Codice di Condotta Responsabile” che ci spinge verso obiettivi sfidanti e da rendicontare in materia di cibo salutare e sostenibile. E poi c’è il PNRR e la grande occasione che un buon indirizzo di queste risorse può generare, a partire dal sostegno della domanda dei redditi più bassi. Si profila infatti una situazione in cui la domanda interna resta bassa, mentre si rischia di far pagare al consumatore i forti aumenti delle materie prime e dell’energia. L’inflazione da costi esterni può avere effetti depressivi importanti sulla congiuntura economica. C’è bisogno, come anche il Rapporto Coop mostra, di dirottare risorse e politiche più incisive a favore dei consumi agendo per esempio sulla defiscalizzazione di prodotti sostenibili e c’è bisogno di una legislazione di scopo per la riconversione dei centri commerciali. Stiamo parlando di superfici estese da riqualificare e da recuperare anche in funzioni diverse da quelle commerciali, per ruoli multifunzionali e di servizio (pubblico e privato) per la comunità; interventi di questo tipo sono anche utili a frenare l’espansione edilizia e il consumo di suolo che in Italia continuano a crescere, a dispetto delle direttive dell’Unione Europea”.

Coop: l’Assemblea conferma e rafforza la strategia dell’insegna

Nel corso dell’Assemblea di Coop sono stati illustrati e discussi i principali risultati del gruppo nel 2018, con vendite complessive di 14,8 miliardi di euro, di cui 13,4 miliardi relative alle attività GDO.

Per quanto riguarda Coop Italia, il bilancio del Consorzio ha fatto registrare un fatturato di 741 milioni di euro e un utile di 1,087 milioni, dopo aver realizzato vantaggi per le cooperative per oltre 215 milioni di euro derivanti dalla negoziazione con i fornitori svolta per conto delle cooperative associate. Questo ha permesso di stabilizzare o di ridurre i prezzi alla vendita per i consumatori.

Si è inoltre deciso di rafforzare la strategia di Coop che prevede forti investimenti su tutti i principali temi ambientali e della sicurezza alimentare: riduzione e riciclo delle plastiche, miglioramenti degli imballaggi, introduzione dell’agricoltura di precisione nell’ortofrutta Coop, eliminazione di ulteriori 4 diserbanti tra cui il glifosato, riduzione fino all’eliminazione degli antibiotici nell’allevamento degli animali, potenziamento delle filiere agroalimentari Coop per la sicurezza dei prodotti e per l’etica delle produzioni. Coop è l’unica catena della distribuzione italiana, e una delle 50 imprese italiane, che ha aderito alla Pledging Campaign dell’Unione Europea per la riduzione delle plastiche.

Nel complesso si tratta di impegni molto significativi dell’intero sistema Coop sia di carattere organizzativo che economico, con un investimento complessivo nel prossimo triennio stimato in oltre 80 milioni di euro.

“L’Assemblea di Coop Italia –dichiara Marco Pedroni– è un ulteriore passo al cambiamento interno per rafforzare la competitività di Coop, per coniugare buoni risultati economici con la nostra distintività valoriale. L’ambiente e la difesa del potere d’acquisto dei nostri soci e consumatori sono gli impegni fondamentali di Coop. E’ questa la sfida che condividiamo con tutti i soci del consorzio nazionale in un contesto economico dove persistono incertezze e criticità”. 

Coop Italia: Maura Latini è il nuovo AD, Pedroni confermato presidente

Coop Italia: l’Assemblea rinnova la governance del consorzio nazionale. Confermato nel ruolo di Presidente Marco Pedroni, reggiano, al timone di Coop Italia dal 2013 e prima in Coop Consumatori Nordest (oggi Coop Alleanza 3.0) dal 1992. Sarà affiancato in qualità di Vice Presidente da Antonio Bomarsi, l’attuale Presidente di Coop Centro Italia.

Cresce e si rafforza il ruolo di Maura Latini, già direttore generale di Coop Italia dal 2013, nominata ora Amministratore Delegato. La sua è una lunga carriera tutta svolta all’interno di Coop occupando via via posizioni sempre più importanti.

In Unicoop Firenze, la cooperativa da cui proviene, Maura Latini inizia giovanissima come stagionale a 15 anni durante le vacanze scolastiche, alla fine della scuola viene assunta come cassiera in una superette e diviene presto responsabile del punto vendita, partecipa all’apertura del primo Ipercoop di Montecatini come capo settore, successivamente è direttore di diversi Ipercoop, viene nominata direttore della divisione ipermercati di Unicoop Firenze, poi direttore commerciale della cooperativa, il ruolo commerciale più importante in un’impresa cooperativa. L’arrivo in Coop Italia è del 2010 in qualità di Vice Presidente, con allora Presidente Vincenzo Tassinari.

 

 

 

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