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Mapic Italy, confermata la ripresa dell’industria dei centri commerciali

Si è conclusa ieri l’edizione 2021 di Mapic Italy, l’evento più importante dedicato al mercato immobiliare commerciale in Italia, che ha visto tra i protagonisti il CNCC – Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali, quale Official & Content Partner dell’iniziativa. Un’occasione di confronto sul tema “People and Places: A New Chapter” rivolto alla community degli operatori del settore, con un’attenzione particolare, dopo oltre 18 mesi caratterizzati dalla pandemia, alle prospettive e alle sfide del mercato nel prossimo futuro, alla ridefinizione del retail mix delle location commerciali e alle tendenze di nuovi concept esperienziali.

Il presidente del CNCC, Roberto Zoia, intervenendo nel panel “Beyond retail property: what’s next?” ha ribadito l’ottimismo registrato nei mesi scorsi dall’industria dei centri commerciali, con fatturati che si stanno riprendendo e gradualmente allineando al livello pre-Covid, in un trend positivo che continuerà a migliorare se la situazione sanitaria resterà sotto controllo e vi sarà un progressivo ritorno alla normalità (rientro a scuola, negli uffici pubblici e privati, ecc.). Il cambiamento che sta caratterizzando i centri commerciali, sempre più destinazioni sociali, oltre che commerciali, è un aspetto che sta subendo un’accelerazione nei progetti di re-fitting delle strutture, ma si stava in realtà già consolidando prima dello shock che il retail ha avuto a causa dall’emergenza sanitaria. Un’evoluzione vera e propria, quella fotografata dal CNCC, che ruoterà attorno al servizio e all’esperienza e ad una dimensione focalizzata sul cliente e non sul prodotto, in cui il retail fisico e il commercio tradizionale non spariranno ma si arricchiranno con l’offerta omni-channel e in cui si vedrà un ulteriore rafforzamento del modello di innovazione aperto tipico di queste realtà, contraddistinto da una forte partnership tra proprietà, retailer, gestori e clienti.

Un altro fattore imprescindibile, messo in luce dall’Associazione, riguarda anche la sempre maggiore attenzione al territorio che i player dell’industria devono dedicare, creando dei modelli personalizzati di centri commerciali a seconda del bacino di riferimento, in quanto le differenze territoriali sono molto marcate, sia da un punto di vista di affluenza che di spesa. L’Osservatorio CNCC1, infatti, registra che a parità di chiusure e limitazioni dei mesi scorsi, le strutture presenti al Sud Italia si sono dimostrate più resilienti segnando un -25,5% del fatturato del primo semestre di quest’anno rispetto al 2019, mentre per lo stesso periodo di confronto si raggiunge un -29,7% al Centro e -30,3% al Nord. Inoltre, secondo il CNCC, emerge chiaramente come il segmento “salute & benessere” giocherà un ruolo centrale nel rinnovamento del merchandise mix. Il successo degli hub vaccinali organizzati in 23 centri commerciali nel nostro Paese, è l’esempio concreto di come queste strutture siano capaci non solo di adattarsi in tempi rapidissimi alle esigenze del momento, ma siano anche una valida alternativa, per operatori pubblici e privati, da tenere in considerazione per i bisogni dei cittadini, oltre che dei clienti.
“In questi due giorni di discussione e confronto con i principali stakeholder dell’industria dei centri commerciali, abbiamo avuto l’ennesima conferma del grande ottimismo e fermento a cui stiamo assistendo. Dopo mesi molto complicati, è stato particolarmente incoraggiante rilevare che l’industria ne sta uscendo rafforzata: infatti, come sintesi di questi due giorni di confronti tra i diversi operatori, abbiamo riscontrato un’unità d’intenti che sarà fondamentale per sostenere e realizzare tutti i progetti e le idee su cui lavoreremo. A partire dai prossimi mesi, ci aspettiamo importanti investimenti sul patrimonio immobiliare, relativi sia al merchandise mix, sia a interventi in un’ottica di sostenibilità a tutto tondo. L’impegno del CNCC verterà proprio nell’innestare questi investimenti all’interno del PNRR, perché siamo convinti che l’industria dei centri commerciali potrà essere un volano importantissimo per la ripartenza del Paese”.

Come discusso durante la sessione “Shopping centers: the new age”, dedicata alle analisi di CNCC, la leva del PNRR potrebbe, infatti, essere impiegata per rafforzare la vocazione sociale dei centri commerciali contribuendo a raggiungere gli obiettivi di almeno quattro Missioni del Piano. In tema di Digitalizzazione, 5G e banda ultra-larga i centri commerciali agiscono come poli di connettività a livello territoriale, soprattutto in quelle aree particolarmente svantaggiate dal punto di vista infrastrutturale. Per quanto riguarda invece la Rivoluzione verde e la transizione ecologica, il contributo delle strutture retail passa dall’efficientamento energetico e l’adeguamento sismico, oltre che dalla riduzione dell’impatto ambientale attraverso una gestione efficiente delle risorse, l’implementazione di nuove tecnologie per l’energia rinnovabile e promuovendo varie iniziative per incentivare la mobilità sostenibile (stazioni di ricarica, car sharing, ecc.). Inclusione e coesione saranno, invece, raggiunti con una rigenerazione urbana che passa anche dal sociale: i centri commerciali come nuove opportunità di socialità e cultura per le comunità locali in cui sono insediati (ad esempio con biblioteche comunali e campagne di sensibilizzazione), ma anche spazi di co-working liberamente accessibili e aree dedicate a scuole per l’infanzia e primarie. Infine, la Salute che dopo l’esperienza degli hub vaccinali nei centri commerciali potrà evolvere con nuove opportunità, ad esempio con la realizzazione di Case di Comunità che consentirebbero di rafforzare i servizi di assistenza sanitaria territoriale, aspetto chiave della riforma della pianificazione sanitaria.

L’impatto del Covid sui centri commerciali in Italia

La pandemia ha avuto effetti su diverse asset class immobiliari, tra cui il mondo del retail, nel quale tutte le categorie merceologiche hanno registrato evidenti flessioni delle vendite, seppure con performance diverse. Dai dati emersi dal nuovo Snapshot “L’impatto del Covid sui centri commerciali” realizzato dal Dipartimento di Ricerca di World Capital, rispetto al 2019 è la ristorazione a segnare la contrazione maggiore con -45,8%, seguita dall’abbigliamento e calzature (circa -34,5%), da attività di servizio (-33,9%), servizi sanitari e alla persona (-30,9%), cultura e tempo libero (-29,1%), beni per la casa (-15,9%) ed elettronica di consumo (-13,5%).

Focalizzandoci sugli effetti pandemici registrati nei centri commerciali italiani, il CNCC (Consiglio Nazionale Centri Commerciali), insieme a Confesercenti, Confcommercio, Confimprese, Federdistribuzione, Coop, Conad ha stimato che le perdite di fatturato in questo specifico segmento si aggirano attualmente intorno ai 400 milioni di euro a settimana, con un calo degli ingressi di circa il 50% rispetto ai mesi del 2020 precedenti alla pandemia.

Dando uno sguardo ai dati relativi all’indice di affluenza, le continue chiusure e severe restrizioni a cui tutti i centri commerciali d’Italia sono stati sottoposti hanno generato una contrazione dei trend rispetto al 2019.
Sempre rispetto al 2019, le regioni italiane che hanno registrato le performance più incoraggianti (registrate nel mese di aprile) sono l’Emilia-Romagna e il Lazio, che si assestano rispettivamente al -29,6% e al -29,7%, mentre quelle più colpite sono state la Sardegna, con un -58,3%, e la Campania, che segna un divario pari al -56,9%.

“Con il protrarsi delle continue chiusure dettate della pandemia anche gli shopping mall hanno arrestato la loro crescita. Ad oggi, gli ultimi dati affermano come, rispetto al 2019, il comparto abbia fatto registrare un -15%. Tuttavia, vista la situazione di forte crisi globale, il segno meno risulta essere tutto sommato incoraggiante. Il nostro settore ha mostrato una forte resilienza, con i gestori e gli operatori che hanno affrontato il periodo più difficile della crisi senza arrendersi – ha commentato Roberto Zoia, Presidente del CNCC. Il trend emergente sarà quello di espandere sempre più lo share funzionale delle piattaforme commerciali rendendole dei veri e propri Hub territoriali con una propria identità; insistendo sempre più sul commercio di esperienza.”

“La ripresa delle attività commerciali e la riapertura dei negozi durante i weekend contribuiranno sicuramente a dare maggior respiro al settore del retail – dichiara Andrea Faini, CEO di World Capital. Un’asset class di grande appeal per gli investitori, che nel 2019 (primi 3 Q) si classificava al terzo posto della graduatoria delle tipologie di beni immobiliari che attirano maggiori investimenti con un volume pari a 7,2 miliardi di euro, ovvero +40% rispetto allo stesso periodo 2018. Focalizzandoci sul segmento dei centri commerciali, tale settore rappresenta in Italia una grande fonte occupazionale, annoverando al suo interno 700.000 lavoratori.”

Settima edizione del FutureBrand Index, la pandemia cambia i pesi

I risultati del FutureBrand Index 2021, lo studio annuale sulla percezione delle prime 100 aziende globali della classifica di PwC, svela cambiamenti drastici nella percezione delle aziende dall’inizio della pandemia. Oggi, è innanzitutto la disposizione verso l’innovazione e l’impegno a favore del benessere delle persone di quelle aziende a impattare sulla loro percezione. Ne risultano grossi cambiamenti ai vertici dell’Index di quest’anno: solo Apple mantiene il suo posto tra i brand della Top Five, seguita da ASML, Prosus NV, Danahere Nextra Energy. La fortuna delle aziende del settore Tech e Healthcare registrato dall’Index 2021 sottolinea il diffuso bisogno di connessione e il desiderio di migliorare la qualità della vita dopo un anno che ha messo a dura prova il mondo intero.
 
I principali insight
 

1. Guardare oltre la pandemia: Il FutureBrand Index di quest’anno dimostra come le aziende che vedono crescere la propria percezione, sono quelle che danno la priorità all’innovazione capace di produrre un impatto positivo sul benessere delle persone e innescare cambiamenti rilevanti. Ciò si traduce in una grossa opportunità per le aziende di creare piattaforme e infrastrutture attraverso cui la vita umana può prosperare e puntare al futuro.

2. I brand della Top Five:ASML Holdings (#1), Apple (#2), Prosus NV (#3), Danaher (#4) and Nextera Energy (#5).

3.
I 5 brand che salgono di più: SaudiAramco (#28, su di 63 posizioni), Tata Consultancy (#20, su di 45 posizioni), LVMH (#29, su di 37 posizioni), Berkshire Hathaway (#50, su di 33 posizioni), China Mobile (#45, su di 27 posizioni).

4.
La tecnologia la fa da padrona: il settore della tecnologia domina il FutureBrand Index con ben 3 aziende tra i primi 5 brand: ASML, Apple e Prosus NV.

5.
Il settore dell’Healthcare continua la sua ascesa: il settore dell’Healthcare continua a crescere con Pfizer e UnitedHealth Group spinti in avanti dalla pandemia.

6.
Un rinnovato interesse per il “pleasurefactor”: in un anno di incertezze e di crisi, sentirsi bene e godere di piaceri semplici e immediati è stato fondamentale per i consumatori. I brand del lusso come Apple e LVMH hanno capitalizzato su questo aspetto, ma lo hanno fatto anche Amazon e P&G.

7.
Le aziende B2B sono diventate brand: le aziende B2B che la precedente edizione del FutureBrand Index posizionava in basso come, per esempio, ASML e Danaher, sono risalite,mentre i marchi del Tech e del Pharma, che fin qui hanno operato dietro le quinte, diventano nomi “familiari”.
 
Jon Tipple, Global Chief Strategy Officer FutureBrand, ha detto: “La ricerca di quest’anno mette in evidenza un importante cambiamento nelle modalità con cui le aziende lavorano e concentrano i propri sforzi sui consumatori. In un anno per nulla facile, le aziende che rivestono un ruolo cruciale per le nostre vite hanno prevedibilmente dominato il FutureBrand Index. Abbiamo visto società farmaceutiche come, per esempio, Pfizer schizzare letteralmente in su grazie alla considerazione dei consumatori che le reputano determinanti per il loro futuro e impegnate a lavorare nell’interesse dell’umanità. Nel frattempo, i consumatori hanno ricercato anche il fattore “’feelgood’: in un arco temporale di 12 mesi in cui tanto ci è stato tolto, i brand del lusso come Apple e LVMH hanno ottenuto straordinari risultati”.
 
Giunto al settimo anno, il Future Brand Index è uno studio globale sulla percezione che rivede la posizione delle aziende della Top 100 per capitalizzazione stilata annualmente da PwC, riorganizzandole in base alla forza con cui sono percepite anziché rispetto alla loro forza finanziaria. Lo studio si basa su un impianto di ricerca rigoroso e coinvolge un campione di oltre 3.000 professionisti in tutto il mondo, esperti a vari livelli di almeno 7 delle 100 aziende in classifica nell’anno in corso.
 
Dati salienti per settore
 
Tecnologia:
 Il Tech ha fatto molto bene: tre dei primi 5 brand in ascesa dell’edizione 2021 provengono da questo settore. Tuttavia, a parte Apple, i marchi di tecnologia di consumo hanno perso posizioni nel FutureBrand Index, mentre le aziende che giocano un ruolo fondamentale dietro le quinte della tecnologia e su cui facciamo affidamento,hanno scalato posizioni. Ciò è probabilmente dovuto alla loro risposta alla pandemia e al bisogno delle società e delle economie di tecnologia per sopravvivere a lockdown e quarantene.
 
A discrezione del consumatore:
LVMH ha beneficiato dell’aumento della spesa dei consumatori in beni di lusso e dello shopping online, salendo di 29 posizioni nell’Index. I beni di consumo e i servizi che si affidano alla vendita al dettaglio fisico hanno ovviamente sofferto durante la pandemia: Walmart ha perso 34 posizioni e McDonald’s 32.
 
Beni di consumo:
I beni di consumo di base hanno beneficiato dei lockdown: PepsiCo e P&G ottengono i migliori risultati della categoria con 24 e 22 posizioni rispettivamente.
 
Come negli anni precedenti, il “piacere” resta l’attributo più rilevante di questa categoria, la cosa non sorprende in un anno in cui le nostre fonti di piacere sono rimaste confinate a alle nostre quattro mura domestiche.
 
Healthcare:
Le aziende del settore Healthcare hanno continuato a seguire la tendenza positiva registrata dal FutureBrand Index 2020, oggi sono percepite come indispensabili per l’innovazione che ci guiderà nel futuro.
Pfizer guadagna di 15 posizioni grazie al successo del vaccino e della consapevolezza globale del ruolo svolto dalle aziende farmaceutiche nel garantire la nostra capacità di operare in una società post-pandemica.
 
Servizi finanziari:
Quest’anno, il settore ha ottenuto il punteggio più alto dal 2014, è la conseguenza del crescente bisogno di fare affidamento sulle istituzioni finanziarie quando il lavoro e le attività vacillano, i redditi implodono e i posti di lavoro si contraggono.

Cosa ci ha lasciato in eredità il 2020? Il report di Osservatorio Non Food

Niente è più come prima. La pandemia ha sparigliato le carte e riaperto i giochi nel mondo dei prodotti non alimentari di largo consumo, determinando acquisti in pesante calo in alcuni settori merceologici e formati distributivi, ma anche spingendo lo sviluppo di altri prodotti e canali commerciali. Impossibile, quindi, pensare al futuro del Non Food senza approfondire, con la giusta distanza e la necessaria base numerica, quel che è successo in Italia nell’anno clou della pandemia. A riepilogarlo, raccontarlo e “misurarlo” è l’Osservatorio Non Food 2021 di GS1 Italy, che offre un patrimonio informativo unico perché rappresenta l’intero universo dei consumi extra alimentari sia sul fronte della domanda sia dell’offerta, dall’andamento degli acquisti all’evoluzione della rete commerciale, fisica e virtuale.

«Il 2020 è stato un anno caratterizzato dal protrarsi dell’emergenza legata al Coronavirus, che, attraverso chiusure forzate e timori sanitari, ha modificato molte abitudini di consumo soprattutto per i prodotti non alimentari» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Il Non Food ha subito un forte rallentamento in quasi tutti i comparti, ma alcune famiglie di prodotti hanno visto un’accelerazione delle vendite, altri una reale rinascita. Anche le modalità di acquisto sono cambiate. L’e-commerce è diventato il canale preferenziale, benché i negozi fisici siano rimasti un punto di riferimento insostituibile per molte tipologie di prodotti non alimentari. Alla luce di quanto accaduto nel 2020, qualcosa andrà ripensato nel grande mondo del Non Food, perché la realtà mutata con cui il consumatore ha dovuto fare i conti durante la pandemia ha lasciato una traccia profonda, spesso arricchita anche da una nota di soddisfazione, esperienziale e personale, nel confrontarsi con le nuove tecnologie digitali».

Le novità dell’edizione 2021 dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy
L’Osservatorio Non Food offre una visione unica di un anno di pervasiva discontinuità, qual è stato il 2020, perché integra, sistematizza e correla le rilevazioni effettuate da diverse fonti con la ricerca sul punto di vista del consumatore svolte da Metrica/TradeLab. Per monitorare in modo sempre più efficace il ruolo della distribuzione moderna (specializzata e non) nei 13 principali comparti merceologici del comparto non alimentare monitorati, la nuova release dell’Osservatorio Non Food di GS1 Italy ha potenziato il monitoraggio dei canali di vendita, rendendo visibile separatamente il canale degli acquisti online, e ha ampliato il censimento della rete dei gruppi della distribuzione moderna specializzata non alimentare. Maggiore spazio è stato dedicato all’approfondimento dell’e-commerce ed è stata introdotta l’analisi sull’utilizzo dei social network da parte delle principali insegne della distribuzione non alimentare come strumento di comunicazione. L’edizione 2021, la diciannovesima da quando è nato quest’Osservatorio, non poteva non approfondire l’impatto dell’emergenza Covid-19 sui consumatori. Per questo è stata condotta un’analisi del sentiment degli shopper di prodotti non alimentari finalizzata a monitorare i comportamenti di acquisto e di scelta del canale commerciale, e a comprendere se e quanto queste dinamiche stiano diventando strutturali.

2020: meno consumi, più povertà
Dopo anni di dinamica positiva, seppur molto lenta, i consumi delle famiglie (dato Istat a valori correnti) hanno registrato una pesante flessione (-11,8%) che sintetizza la grave crisi economica determinata dalle conseguenze della pandemia.

2020: un anno “bipolare” per l’universo Non Food. Chi scende, chi sale
Nel 2020 i 13 comparti monitorati dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy – che esclude i servizi Non Food e alcuni comparti minori compresi dall’Istat – hanno ottenuto 93,5 miliardi di euro di vendite, in calo di -9,5% rispetto al 2019. Questo risultato ha interrotto bruscamente l’andamento positivo, seppure lento, degli anni precedenti e il trend crescente di medio periodo, che, fino al 2019, aveva rispecchiato un clima di fiducia titubante, ma comunque positivo, grazie al processo di sostituzione di alcuni prodotti caratterizzati da tecnologie e design innovativi. Nel 2020 questo fenomeno di “upgrading” tecnologico domestico si è fermato e la rinuncia agli acquisti ha accomunato ben 11 dei 13 comparti merceologici rilevati nell’Osservatorio Non Food. Gli unici due ad aver chiuso il 2020 con una crescita delle vendite sono stati l’edutainment (il settore che raccoglie tutti i prodotti destinati alla formazione e all’intrattenimento, come film, libri, videogiochi e supporti musicali), avanzato di +9,4% sul 2019, e l’elettronica di consumo (che raccoglie telefonia, hardware, elettrodomestici, fotografia, multimedia storage) che ha ottenuto un +6,3% rispetto all’anno precedente. Tra gli 11 comparti merceologici in calo annuo, la forbice della riduzione del sell-out è stata piuttosto ampia, spesso a due cifre, con valori che vanno dal -2,0% dei prodotti di automedicazione al -17,5% degli articoli per lo sport. Il crollo più pesante del 2020 è stato quello di abbigliamento e calzature: non solo perché ha avuto il maggior calo percentuale degli acquisti (-26,5%) di tutto il Non Food, ma anche perché ha perso il maggior incasso in termini assoluti, vista la sua leadership storica per giro d’affari. Nel 2020 l’elettronica di consumo ha superato il mondo dell’abbigliamento e calzature diventando il comparto più importante nel Non Food per valore delle vendite.

2020: Factory Outlet, e-commerce e prossimità: la rete vendita si riconfigura
A fine 2020 la distribuzione moderna non alimentare contava in Italia 29 mila punti vendita appartenenti a poco meno di 300 gruppi (specializzati e despecializzati) presenti in 20 differenti comparti merceologici. L’Osservatorio Non Food li ha raccolti in sei tipologie di agglomerati commerciali, di cui cinque hanno chiuso l’anno con una rete vendita in calo: agglomerati centrali urbani, centri commerciali, parchi commerciali, aree urbane periferiche, nei luoghi di passaggio e di traffico (come stazioni e aeroporti). Unico agglomerato ad aver chiuso il 2020 con un aumento del numero dei negozi sono i Factory Outlet (+0,7%). Nel 2020 l’e-commerce ha avuto un balzo importante, avvicinando anche molti consumatori tradizionali che non avevano mai usato il canale virtuale. Le vendite via web sono risultate in crescita, sia per giro d’affari che per quota di mercato, in 12 dei 13 comparti analizzati dall’Osservatorio Non Food (unica eccezione i prodotti per la fotografia). Il risultato più eclatante è stato quello nell’elettronica di consumo dove l’e-commerce è stato il canale di vendita a maggior crescita annua in termini di fatturato (+55,5%) e di market share (26,0%).

L’altro fenomeno commerciale del Non Food nel 2020 è stata la forte crescita delle forme di distribuzione alternativa: le vendite a domicilio o per corrispondenza e di quelle realizzate nei distributori automatici e nell’e-commerce sono aumentate a valore del 13,9% rispetto al 2019.
Nel 2020 un consumatore su due ha affermato di aver cambiato permanentemente le proprie abitudini di spesa in seguito alla pandemia: se ne sono avvantaggiati soprattutto le forme di commercio di prossimità e l’e-commerce. I lockdown hanno fortemente penalizzato i centri commerciali, ora chiamati a riposizionarsi come luoghi di ristoro ed entertainment e non solo di shopping. La ricerca di comodità e convenienza, che restano driver importanti nel Non Food, uniti alla ricerca di una qualità accessibile, gioca a favore dei Factory Outlet e dei parchi commerciali. Così come il perdurare dello smart working, con la maggior presenza dei consumatori nei centri minori e nelle periferie urbane, può rappresentare un’occasione di rilancio per le polarità commerciali extraurbane.

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