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Dazi USA: i prodotti europei più colpiti. La stima di Nomisma

Dopo il pronunciamento da parte del WTO, le economie eropee hanno lanciato il loro allarme: il verdetto dell’organizzazione mondiale per il commercio, infatti, autorizza gli USA ad applicare dazi sulle importazioni EU, pari a circa 7,5 miliardi.

Ma in che misura sono coinvolti i paesi europei?

Per rispondere alla domanda, Nomisma Agroalimentare attraverso la ricostruzione dei valori di import al 2018 di tutti i singoli prodotti agroalimentari elencati (113) nella lista emanata dall’amministrazione americana (USTR) suddivisi tra Paesi interessati, ha individuato per i principali paesi Ue i settori che potrebbero essere maggiormente colpiti da questa nuova imposizione tariffaria.

Naturalmente fino al 18 ottobre, c’è sempre la speranza che la diplomazia intervenga prima che i dazi vengano confermati.

Partiamo dall’Italia: su un totale di import agroalimentare negli USA di origine italiana che nel 2018 è stato di 5,48 miliardi di dollari, l’ammontare che viene interessato dai nuovi dazi è di circa 482 milioni di dollari, vale a dire il 9%.

Il problema è che la gran parte di tale montante (quasi il 50%) riguarda i formaggi – in particolare Dop, come Parmigiano Reggiano, Grana Padano e Pecorino Romano. Vino, olio d’oliva e pasta non sono stati inseriti nella “black list” mentre il secondo prodotto più colpito sono i liquori, per i quali il dazio del 25% andrebbe ad interessare un valore di quasi 167 milioni di dollari.

I dazi Usa sui nostri formaggi Dop potrebbero avere impatti molto significativi su tutta la filiera lattiero-casearia collegata, alla luce dei forti legami che queste produzioni certificate hanno con il sistema degli allevamenti, sia a livello nazionale che territoriale: basti pensare al Pecorino Romano, prodotto per oltre il 90% in Sardegna che sostanzialmente dipende dal mercato degli Stati Uniti dove esporta oltre il 60% della propria produzione o al Grana Padano e al Parmigiano Reggiano che congiuntamente valorizzano il 40% di tutto il latte vaccino prodotto in Italia” evidenzia Denis Pantini, Direttore dell’Area Agroalimentare di Nomisma.

Nel caso della Francia, il dazio andrebbe a colpire principalmente il settore dei vini fermi su un valore di 1,3 miliardi di dollari (vale a dire il 20% dell’import agroalimentare di origine francese). In questo caso, Trump ha risparmiato sia lo Champagne che i formaggi transalpini mentre ha “bastonato”, al di fuori dell’agroalimentare, le esportazioni dei grandi aerei commerciali (10% di dazio su 3,5 miliardi di dollari di import), “casus belli” della disputa in corso tra le due sponde dell’Atlantico.

Per la Spagna, il valore dei propri prodotti inseriti nella lista incide per ben il 35% sul totale delle importazioni agroalimentari spagnole negli USA, con olio d’oliva e vino più penalizzati.

In merito al Regno Unito, la quasi totalità dei propri prodotti esportati negli Usa soggetti a nuovi dazi attiene agli spirits e, in particolare al whisky anche se nella lista viene specificato che l’import di questo prodotto sarà “tassato” solo in quota parte e non su tutto l’ammontare. Va comunque segnalato che, nel 2018, l’import americano di Scotch Whisky è stato di ben 1,6 miliardi di dollari che, unito agli altri prodotti di origine britannica inseriti nella lista, conducono ad una potenziale incidenza delle esportazioni soggette a nuovi dazi di oltre il 60% sul totale degli scambi agroalimentari.

Notizie più consolanti, infine, per la Germaniaper cui il valore dell’import soggetto a dazio è il più basso dei cinque top exporter considerati: v24 milioni di dollari, cioè il 19% del totale degli scambi agroalimentari verso gli Usa. Anche in questo caso, gli spirits rappresentano i prodotti più colpiti.

 

 

Made in Italy sotto attacco, i dazi di Trump mettono a rischio 3,8 mld di export USA

L’ascesa sembrava inarrestabile per i prodotti agroalimentari italiani che hanno vissuto un 2016 eccezionale (vedi Meraviglioso Made in Italy, nel 2016 export alimentare a 38 mld e siamo primi nel vino), e invece no: la politica proibizionistica del neopresidente degli Stati Uniti Donald Trump ci ha messo lo zampino. Ed ora non è solo la Vespa, icona dell’Italian way of life, ma piuttosto sono 3,8 miliardi di esportazioni di made in Italy agroalimentari, che nel 2016 hanno segnato un +6%. È quanto emerge da uno studio della Coldiretti in occasione della diffusione delle indiscrezioni sulla lista di prodotti italiani ed europei sui quali l’amministrazione statunitense sta valutando di imporre dazi punitivi del 100%, E le esportazioni verso gli USA pesano parecchio: il 10% del totale dell ‘agroalimentari italiane nel mondo (38,4 miliardi) con il terzo posto tra i principali italian food buyer dopo Germania e Francia, ma prima della Gran Bretagna. Il vino risulta essere il prodotto più gettonato dagli statunitensi con 1,35 miliardi (+5% nel 2016), davanti a olio (499 milioni +10% nel 2016), formaggi (289 milioni, +2% nel 2016) e pasta (271 milioni, +4% nel 2016) secondo le analisi della Coldiretti: che ora rischieranno un crollo nelle vendite.

 

La lotta si gioca sulla sicurezza alimentare

Secondo Coldiretti un tale success sarebbe frutto anche dei primati qualitativi e di sicurezza alimentare dell’Italia, l’unico Paese al mondo con 4.965 prodotti alimentari tradizionali censiti, 289 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, e il divieto verso le coltivazioni Ogm e la carne agli ormoni.

Sullo sfondo, la presunzione statunitense di imporre ai cittadini europei la carne trattata con ormoni, che peraltro trova contrari il 98% degli italiani i quali non vogliono correre il rischio di consumarla secondo una indagine Coldiretti/IprMarketing.

Il divieto europeo di far entrare sul proprio mercato carne trattata con ormoni risale agli anni 80 ma nel 1996 gli Stati Uniti e il Canada hanno presentato il ricorso al Wto con il quale è iniziata una lunga battaglia con alti e bassi che sta portando ora gli Usa a definire una lista di prodotti da colpire. L’obiettivo  è individuare particolari prodotti e Stati membri dell’UE da assoggettare all’imposizione di dazi supplementari fino al 100% del loro valore come era già avvenuto in passato, dal 1999 al 2011, quando a farne le spese erano state conserve di pomodoro, carne suina, il formaggio francese Roquefort, acqua minerale, cioccolato e succhi di frutta.

 

 

Un diluvio di Italian sounding, formaggi e vini in primis

Il rischio di chiusura delle frontiere potrebbe portare a una proliferazione sul mercato statunitense del fenomeno dell’Italian sounding, che vale già 20 miliardi di euro, secondo la Coldiretti. Il 99% dei formaggi di tipo italiano sono in realtà realizzati in Wisconsin, California e New York, dal Parmesan al Romano senza latte di pecora, dall’Asiago al Gorgonzola fino al Fontiago, un improbabile mix tra Asiago e Fontina. Ma c’è anche il Chianti prodotto in California, mentre sempre negli States è possibile acquistare del Marsala Wine. Il fenomeno del falso vino “Made in Italy” trova un forte impulso anche dalle opportunità di vendita attraverso la rete dove è possibile acquistare da aziende statunitensi pseudo vino ottenuto da polveri miracolose contenute in wine-kit che promettono in pochi giorni di ottenere le etichette più prestigiose come Chianti, Valpolicella, Frascati, Primitivo, Gewurztraminer, Barolo, Verdicchio, Lambrusco o Montepulciano. Soggetti al “taroccamento” però ci sono anche altri prodotti, dai pomodori san Marzano all’olio d’oliva fino ai salumi.

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