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Export: l’agroalimentare vale 67,5 miliardi di euro, il 10,8% del totale italiano

A fine 2024 le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy hanno raggiunto il livello record di 67,5 miliardi di euro, oltre 5 miliardi in più rispetto al 2023 e con una crescita media del 6,5% annuo dal 2010 a oggi. Per la prima volta le vendite all’estero del settore valgono quasi l’11% (10,8%) del totale export italiano. Durante la presentazione della nona edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” organizzato da TEHA (The European House – Ambrosetti) a Bormio (6-7 giugno), Valerio De Molli, Managing Partner e Ceo di TEHA si è soffermato a lungo sul tema dazi, proponendo un’analisi più ottimistica sulle potenziali conseguenze: “Il nostro export agroalimentare negli USA è aumentato del 17% solo nell’ultimo anno esponendoci potenzialmente a un impatto negativo del 20% del totale export, ma qualità e valore dei prodotti italiani fanno la differenza: oltre 6 miliardi di euro di Made in Italy dei 7,8 complessivi esportati negli USA non sono prodotti con alternative sul mercato domestico statunitense e perciò sostituibili, ne deriva che il danno generato dai dazi, se confermati anche dopo la sospensione, potrebbe costare all’Italia solo potenzialmente 1,3 miliardi di euro, ma limitarsi, in realtà, a 300 milioni di euro proprio perché quasi l’80% delle nuove imposte doganali andrebbe a colpire prodotti non sostituibili. Certamente fra questi hanno un peso rilevante i prodotti Dop e Igp, in primo luogo il vino, ma ci sono anche conserve di pomodoro, pasta, salse e farine”.

IL VINO OLTRE GLI 8 MILIARDI DI EURO, BOOM OLIO E CIOCCOLATO
Il vino italiano è il prodotto agroalimentare italiano più esportato con oltre 8 miliardi di euro di valore e una crescita del 5,5% nel solo 2024, seguono pasta e prodotti della panetteria che valgono 7,6 miliardi (+8,6% nell’ultimo anno). Secondo i dati elaborati da TEHA, grassi e oli vegetali italiani (4,1 mld di export) e cioccolato (3,4) hanno fatto registrare le crescite più significative del 2024: rispettivamente +27,2% e +17,8%. In positivo anche i prodotti lattiero-caseari (+9,1% per 6,5 miliardi di export), la frutta (+8,3%, 3,9 miliardi) e i piatti pronti trasformati (+6,2%, 4,1 mld), mentre aumenti più contenuti sono stati rilevati per le bevande ad esclusione del vino (+5% per 4,2 miliardi), cibo per animali (+3,3%, 3,1 mld) oltre che frutta e vegetali trasformati che valgono oggi 6 miliardi all’estero, in linea (+0,7%) con il 2023.

ITALIA LEADER PER ESPORTAZIONI DI POMODORI, PASTA E AMARI
In 15 categorie merceologiche del settore agroalimentare, l’Italia è leader di mercato nel mondo: tra queste i pomodori pelati dove rappresentiamo il 76,3% del mercato globale, la pasta italiana che ne vale quasi la metà (48%) o gli amari e distillati al 34,5%. I salumi italiani nei sette continenti raggiungono una quota del 29,9%, la bresaola del 29% e la passata di pomodoro del 24,1%. Tra le verdure lavorate, il 21,9% del mercato globale viene dal Bel Paese, così come il 9,4% di quello del sidro di mele. L’Italia è seconda al mondo per esportazione di castagne (25,2%), vino (20,7%), olio di oliva (17,4%) e caffè (15,8%). “La forza dei prodotti italiani nel mondo – sottolinea Benedetta Brioschi, Partner TEHA, nel presentare il prossimo Forum Food&Berverage di Bormio che vedrà la partecipazione di manager dell’industria agroalimentare italiana, della distribuzione e rappresentanti di associazioni e istituzioni del settore – risiede nei livelli di qualità che non hanno confronto in Europa: il valore medio delle nostre esportazioni agroalimentari è oggi di 254,5 euro per 100 kg di prodotto, superiore a Spagna (214 euro), Paesi Bassi (207), Germania (172) e Francia (131 euro /100Kg)”.

LOMBARDIA PRIMA PER FATTURATO AGROALIMENTARE
La Lombardia si conferma prima regione in Italia per fatturato agroalimentare con 50 miliardi di euro (19% del totale nazionale), il 41% in più rispetto al 2015, e detta la linea anche per l’export del comparto (10,9 miliardi). La Valtellina, dove si svolgerà la 9° edizione del Forum TEHA di Bormio, è una punta di diamante dell’enogastronomia italiana. Sondrio è l’undicesima provincia italiana su 107 per impatto economico delle produzioni certificate di cibo (260 milioni di euro) e la quarta per produzione di vino con 3,2 milioni di bottiglie ogni anno da 24 milioni di euro di valore complessivo. “Abbiamo scelto Bormio per realizzare uno dei più importanti eventi italiani nel settore agroalimentare – conclude De Molli – per valorizzare l’impegno di una comunità che puntando su qualità e tradizione produce un valore socioeconomico senza eguali per la Lombardia e un modello per l’intero Paese”.

 

Mdd, Italia 11esima in Europa con 31,8% di quota

Oggi i prodotti a marchio del distributore rappresentano quasi il 32% di quelli acquistati dagli italiani tra gli scaffali della distribuzione moderna del nostro Paese, con una quota di mercato in aumento di 3,5 punti percentuali negli ultimi cinque anni (dal 2019 al 2024) e hanno generato nel 2024 un fatturato di 26 miliardi di euro, in aumento del +2,4% sul 2023 e del +35,4% rispetto al 2019. Secondo il rapporto “Il ruolo guida della Distribuzione Moderna e della Marca del Distributore per la transizione sostenibile della filiera agroalimentare” a cura di TEHA (The European House – Ambrosetti), il nostro Paese sta progressivamente riducendo la distanza con la media europea, che oggi è pari al 35,8% di prodotti mdd sul totale e in aumento dello 0,5% nell’ultimo anno.

SVIZZERA, SPAGNA E PAESI BASSI AL TOP, NORVEGIA ULTIMA
Con il 31,8% di prodotti mdd sui nostri scaffali, l’Italia si posiziona all’11° posto tra i principali Paesi europei per quota di mercato dei prodotti “a marchio” in una classifica guidata da Svizzera (52,3% di quota di mercato), Spagna (45,6%) e Paesi Bassi (45,2%). Fra gli altri Regno Unito, Portogallo e Austria si attestano al 44%, la Germania al 41% e il Belgio al 39,8%. Al di sotto della media europea, insieme all’Italia, anche Francia (34,4%), Danimarca (34%), Svezia (30%) e, a seguire, Ungheria, Polonia, Grecia, Repubblica Ceca e Norvegia che chiude la classifica con il 21,4%. “Se la quota di mercato della mdd italiana si allineasse ai primi tre paesi UE, nel 2030 il fatturato supererebbe i 50 miliardi di euro generando un fatturato aggiuntivo cumulato di 58 miliardi di euro tra il 2024 e il 2030, con un impatto significativo dal punto di vista economico, sociale e di evoluzione nelle dinamiche d’acquisto degli italiani” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO, TEHA.

I PRODOTTI A MARCHIO DEL DISTRIBUTORE SOSTENGONO LA CRESCITA DELLA SOSTENIBILITÀ ECONOMICA, SOCIALE E AMBIENTALE
Dalla ricerca TEHA emerge con chiarezza come la marca del distributore sia sempre più una leva fondamentale per la crescita sostenibile dell’intero settore della distribuzione moderna e delle aziende che ne fanno parte: dal 2015 al 2023, le imprese con oltre l’80% di fatturato legato all’ MDD hanno avuto un incremento medio del giro d’affari dell’8,5%, creando così più occupazione (+5,5% tra il 2015 e il 2023) e generando un valore aggiunto del 9,3%. I prodotti “a marchio” inoltre hanno contribuito a far risparmiare alle famiglie italiane quasi 20 miliardi di euro tra il 2020 e il 2024, favorendo l’accesso a prodotti alimentari sani a prezzi contenuti. Non solo: nel 2024, le aziende della distribuzione moderna hanno recuperato 14.000 tonnellate di cibo grazie alla collaborazione con Banco Alimentare. Sul fronte ambientale, per ogni euro di fatturato il settore distributivo ha ridotto le emissioni di CO2 del 30% tra il 2013 e il 2022, stimolando innovazioni nella filiera alimentare e guidando le imprese coinvolte verso una maggiore sostenibilità.

“La transizione sostenibile è il cuore della nostra visione per il futuro del Paese – ha dichiarato Mauro Lusetti, Presidente ADM. La distribuzione moderna e, in particolare, l’offerta dei prodotti a marca del distributore si affermano come una leva strategica per la crescita economica delle aziende italiane, ma contribuiscono altresì al rafforzamento del benessere sociale, promuovendo occupazione stabile e garantendo un accesso più equo ai consumi. Guardiamo al futuro con la consapevolezza che la sostenibilità, nelle sue dimensioni economica, sociale e ambientale, debba essere integrata con l’innovazione tecnologica, in un processo che continui a generare efficienza, a offrire maggiore servizio ai clienti e a generare un impatto positivo sul sistema economico e sociale. Le imprese del retail moderno, che già guidano il 58% delle aziende partner verso pratiche più sostenibili, sono sempre più impegnate a essere un modello virtuoso, capace di coniugare sviluppo, inclusione e responsabilità”.

Mdd, una leva di crescita per l’Italia: raggiunti 26 miliardi nel 2024 (+2,4%)

Nel 2024 i prodotti a marchio del distributore hanno raggiunto i 26 miliardi di euro (DMO+discount) di fatturato (+2,4% rispetto al 2023 e +35,4% sul 2019) e cumulati in un’unica azienda sarebbe la quarta in Italia. I dati emergono dall’analisi “Il ruolo guida della Distribuzione Moderna e della Marca del Distributore per la transizione sostenibile della filiera agroalimentare” a cura di TEHA (The European House – Ambrosetti). La ricerca analizza il valore degli impatti economici, sociali e ambientali per il Paese della distribuzione moderna che, proprio attraverso la MDD, si dimostra sempre più guida e riferimento negli standard di sostenibilità per interi comparti e per le aziende della filiera che producono e collaborano con il settore. “La transizione sostenibile non è più una scelta, ma una responsabilità” ha dichiarato Mauro Lusetti, Presidente ADM – Associazione Distribuzione Moderna. “Il nostro settore sta dimostrando con i fatti come crescita economica, sociale e tutela ambientale possano andare di pari passo. Investiamo in innovazione, creiamo lavoro, riduciamo gli sprechi e sosteniamo il risparmio delle famiglie italiane garantendo prodotti di qualità accessibili a tutti. Questo impegno è e continuerà a essere la nostra priorità strategica per il futuro del Paese”.

OLTRE L’80% DEI CONSUMI ALIMENTARI ITALIANI PASSA DALLA DISTRIBUZIONE MODERNA.
Più di 8 italiani su 10 fanno riferimento oggi alla distribuzione moderna per la propria spesa alimentare: il 65% tra supermercati e ipermercati, mentre il 16% preferisce il discount. Il restante 20% circa di consumatori frequenta mercati rionali (6,2%), si reca direttamente dal produttore (4,8%) o fa i propri acquisti in gastronomia (4,7%). “La distribuzione moderna – ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner e CEO, TEHA – genera in Italia 208 miliardi di euro di valore aggiunto, il 10% del PIL tra il valore diretto (oltre 27 miliardi) e la filiera indiretta (181 miliardi). Un settore chiave che da anni coniuga la sostenibilità nella sua accezione più ampia alla crescita ascoltando le esigenze del mercato: secondo una nostra ricerca recente tre quarti degli italiani intervistati sono stati disposti a spendere fino al 20% in più per un prodotto sostenibile”.

SOSTENIBILITÀ ECONOMICA: PIÙ PRODOTTI MDD, PIÙ FATTURATO, OCCUPAZIONE E VALORE
Secondo l’analisi TEHA per ADM (Associazione Distribuzione Moderna) le aziende il cui giro d’affari deriva per oltre l’80% dai prodotti a marchio del distributore, tra 2015 e 2023, hanno avuto un incremento medio annuo di fatturato dell’8,5%, meglio della media dell’industria alimentare (+3,9%). Analogamente chi aumenta l’offerta in MDD ha creato più occupati (+5,5% all’anno tra il 2015 e il 2023 per chi ha un’offerta di MDD oltre l’80%) e valore aggiunto (+9,3%). “La marca del distributore – ha commentato Lusetti – si dimostra, nel contesto della distribuzione moderna, una leva di crescita per il tessuto economico del Paese: è un acceleratore per i ricavi e per gli investimenti delle piccole imprese che contemporaneamente stimola le scelte sostenibili”.

SOSTENIBILITÀ SOCIALE: OLTRE 3 MILIONI DI OCCUPATI, LA MDD HA FATTO RISPARMIARE ALLE FAMIGLIE 20 MILIARDI IN 5 ANNI
La distribuzione moderna impiega direttamente 447 mila persone e considerando la filiera sostiene oltre 2,9 milioni di posti di lavoro. Secondo i dati TEHA i contratti a tempo indeterminato rappresentano l’89% dei rapporti di lavoro con un’alta incidenza di donne (65%) e under 30 (20%). Negli ultimi anni l’inflazione alimentare ha raggiunto picchi del 13,5% mettendo in sofferenza i bilanci familiari soprattutto delle famiglie a basso reddito. Grazie ai prodotti a marca del distributore, però, sono stati generati quasi 20 miliardi (19,8) di euro di risparmi complessivi per le famiglie dal 2020 al 2024, grazie a prezzi rimasti mediamente più bassi rispetto ai prodotti di marca, consentendo un accesso più democratico a stili alimentari sani e sostenibili. “Sempre nell’ottica della sostenibilità, nel 2024 – ha sottolineato il Presidente di ADM – sono state recuperate 14 mila tonnellate di cibo nel 2024 solo grazie alla collaborazione con Banco Alimentare (pari al fabbisogno annuo di 18 mila persone in difficoltà)”.

SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE: -30% EMISSIONI CO2 IN 10 ANNI
Dal 2013 alla fine del 2022 si è passati da 8,7 kg di CO2 per euro generato dalla distribuzione moderna a 6,2 kg, una diminuzione del 30%. All’aumentare del fatturato le emissioni sono calate, un obiettivo e uno stimolo per tutti gli operatori della filiera. “Secondo un sondaggio che abbiamo realizzato insieme ad ADM in questi ultimi mesi – ha concluso De Molli – oltre il 46% delle imprese dell’industria alimentare migliorerà l’efficienza dei processi produttivi, ma è la distribuzione moderna che assume il ruolo di guida per il 58% delle imprese alimentari coinvolte: oltre la metà di loro ha dovuto introdurre cambiamenti per soddisfare i requisiti di sostenibilità della distribuzione moderna con un impatto molto o abbastanza significativo”.

 

 

PAC 2000A Conad: uno studio evidenzia il ruolo centrale della cooperativa

PAC 2000A Conad è un attore fondamentale per lo sviluppo economico, sociale e occupazionale del Paese e del tessuto produttivo locale delle cinque regioni in cui opera, ovvero Umbria (dove la Cooperativa è nata oltre cinquant’anni fa), Lazio, Campania, Calabria e Sicilia. A dirlo lo studio realizzato da The European House – Ambrosetti, recentemente presentato a Roma nella Sala Capitolare del Senato della Repubblica e dibattuto in panel e tavole rotonde di discussione da vari relatori.

Nel 2023, PAC 2000A Conad ha raggiunto un fatturato alle casse di oltre €7 miliardi, frutto di un tasso di crescita medio annuo pari al +11,6% nell’ultimo quinquennio, sovraperformando tutti i benchmark di settore e territoriali. Grazie a questo percorso di crescita, negli ultimi anni la cooperativa ha scalato posizioni nella classifica delle principali aziende italiane industriali e di servizi per dimensione economica, attestandosi oggi al 37° posto per fatturato a livello nazionale e nella top-ten delle aziende con sede legale nelle cinque regioni in cui opera.

“Il nostro successo nasce dall’essenza cooperativa e dal legame profondo con i nostri 1.083 soci. Siamo partiti in pochi, con grandi sogni e risorse limitate, ma il vero segreto è sempre stato credere nelle persone e nel loro potenziale. In questi cinquant’anni, grazie alla dedizione e al senso di appartenenza di tutti, siamo riusciti a crescere costantemente. Puntando su innovazione e formazione, abbiamo creato valore per i territori, rimanendo fedeli alla nostra missione di crescita condivisa e sostenibile” ha dichiarato Danilo Toppetti, Amministratore Delegato di PAC 2000A Conad.

Dallo studio emerge come PAC 2000A Conad svolga anche un ruolo cruciale nello sviluppo delle filiere agroalimentari nazionali e locali: gli acquisti del “sistema PAC2000A” (inteso come la somma di cooperativa e soci) hanno attivato filiere di fornitura per €5,4 miliardi nel 2023. Per effetto delle interdipendenze settoriali, tale contributo si sostanzia in un impatto diretto, indiretto e indotto della Cooperativa nel Paese in termini di valore aggiunto (misura che equivale al contributo al PIL) e occupazione. “Nel 2023, PAC 2000A ha attivato oltre 25.000 fornitori in Italia, con un focus sulle cinque regioni in cui operiamo, sostenendo le filiere del Made in Italy agroalimentare, contribuendo alla valorizzazione dell’eccellenza italiana e al rafforzamento del tessuto produttivo locale. Questo ruolo di leader nel Centro-Sud supporta concretamente le PMI, che tra il 2020 e il 2023 sono cresciute per ricavi e Valore Aggiunto in media il doppio rispetto a quelle non fornitrici, con una crescita occupazionale otto volte superiore. Questo dinamismo economico si traduce in un impatto significativo sul PIL nazionale, pari allo 0,4%, con un contributo di 7,3 miliardi di euro nel 2023, dimostrando l’importanza strategica del nostro modello di sviluppo”, ha aggiunto Francesco Cicognola, Direttore Generale di PAC 2000A Conad.

L’impatto occupazionale di PAC 2000A Conad nel Paese è altrettanto rilevante: nel 2023 ha attivato 91mila posti di lavoro diretti, indiretti e indotti, pari allo 0,4% dell’occupazione italiana. Di questi, oltre 64mila sono stati attivati nelle regioni di operatività. “Nel progetto realizzato da TEHA applicando la metodologia proprietaria dei 4 Capitali emergono una molteplicità di ricadute generate da PAC 2000A Conad, che la affermano come capo-filiera del tessuto agroalimentare locale nelle Regioni del Centro-Sud”, ha affermato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO The European House – Ambrosetti e TEHA Group. “L’impatto diretto-indiretto-indotto generato dalla cooperativa nelle cinque regioni dove opera vale oltre lo 0,7% del PIL territoriale e quasi l’1% dell’occupazione totale attivata. Un impatto davvero significativo per un singolo operatore, che si sostanza anche attraverso costanti investimenti negli anni: dal 2018 a oggi le risorse investite da PAC 2000A Conad ammontano a circa €600 milioni”.

Italian sounding, il mercato del falso made in Italy vale più dell’export

La Lombardia è la regione italiana più colpita dal fenomeno dell’italian sounding con un impatto economico negativo pari a 10,2 miliardi di euro l’anno, seguita da Veneto (10 miliardi di euro), ed Emilia-Romagna (9,9 miliardi di euro). A rivelarlo sono i dati della ricerca di The European House – Ambrosetti, realizzata in occasione dell’ottavo forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di Bormio, che inoltre evidenzia come l’imitazione all’estero di prodotti del territorio abbia precluso quasi 9 miliardi di euro di vendite oltre-confine per il Piemonte (8,7), 5,5 per la Campania, e 3,5 miliardi di euro per la Toscana che vede colpiti soprattutto i suoi olii extra vergine di oliva e vini. Anche il Trentino-Alto Adige (3,3 miliardi di euro), è esposto più della Puglia (impatto di 2,8 miliardi di euro) che soffre per l’imitazione di olio e prodotti agricoli. La Sicilia (1,7 miliardi di euro) è più colpita del Friuli Venezia Giulia (1,6 miliardi di euro) che subisce specialmente l’imitazione dei suoi prosciutti. L’impatto dell’italian sounding sulle altre regioni italiane si attesta complessivamente a 6,3 miliardi di euro nel 2023.

“Le regioni più colpite dal fenomeno sono quelle che concentrano la propria esportazione su prodotti ad alta intensità di italian sounding, come i prodotti a base di carne o i prodotti lattiero-caseari, così come verso i Paesi più sensibili al fenomeno (Giappone, Brasile e Germania)” spiega Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “La tutela del Made in Italy è una priorità e l’implementazione di nuovi regolamenti DOP e IGP a partire dal 2024 rappresenta un passo significativo in questa direzione. Le associazioni di produttori avranno maggiori poteri per combattere pratiche ingannevoli, dare maggiore trasparenza ai consumatori e generare un valore aggiunto concreto per l’economia: nel 2023 il fenomeno dell’italian sounding nel mondo ha superato quello dell’export agroalimentare: 63 miliardi di euro contro i 62 di esportazioni”.

Come analizzato nel dettaglio da The European House-Ambrosetti, nel 2023 i consumatori esteri hanno acquistato 63 miliardi di prodotti tipici italiani “falsificati” che non provengono dal nostro Paese. Questo significa che il valore dell’export food&beverage italiano sarebbe più che raddoppiato a 126 miliardi di euro sommati ai 62 miliardi di export agroalimentare di vero Made in Italy. “L’italian sounding è competitivo grazie a prezzi mediamente inferiori del 57% rispetto ai prodotti originali. Negli Stati Uniti, ad esempio, il prezzo del Parmigiano può essere ridotto fino al 38%, quello del mascarpone fino al 50% e della pasta secca fino al 54%” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House – Ambrosetti.

C’è anche chi cerca il Made In Italy autentico
In Cina, Giappone e Canada mediamente 7 consumatori su 10 cercano prodotti italiani veri senza considerare gli aspetti legati al prezzo che risultano determinati per poco più del 20% degli acquirenti. Come evidenziato nel dettaglio da The European House – Ambrosetti, anche in Germania il 72% dei consumatori desidera prodotti veramente italiani (il 28% ha, invece, la priorità di spendere meno), o in Australia (70%) e Brasile (69,1%). Più contenuta la quota nei Paesi Bassi (66,0% vuole il “vero italiano”), negli Stati Uniti (63,0%), in Francia (62,6%) e nel Regno Unito dove non si supera il 55% di consumatori che ricercano prodotti veramente Made in Italy anche a fronte di una maggiore spesa.

Ragù, parmigiano e aceto balsamico sul podio delle imitazioni
Ragù (61,4% italian sounding vs 38,6% vero prodotto italiano), parmigiano (61,0% vs 39,0%) e aceto balsamico (60,5% vs 39,5%) sono i tre prodotti più presenti in versione “imitazione” sugli scaffali della grande distribuzione all’estero. Secondo i dati The European House-Ambrosetti, seguono pesto (59,8% italian sounding vs 40,2% vero prodotto italiano), pizza surgelata (59,3% vs), prosciutto (59,2% vs 40,8%), pasta di grano duro (59,2% vs 40,8%), ma anche prosecco (58,9% italian sounding vs 41,1% vero prodotto italiano), salame (58,5% vs 41,5%), gorgonzola (57,0% vs 43,0%) e olio extra vergine di oliva (56,8% vs 43,2%).

“L’italian sounding si può contrastare attraverso iniziative economiche e industriali in sinergia con un cambiamento culturale soprattutto nella consapevolezza del consumatore estero. Certamente è prioritario realizzare investimenti produttivi, ma anche comunicare con efficacia il “Made in Italy” con iniziative di educazione del consumatore. Da un lato la riduzione delle barriere doganali e l’internazionalizzazione della filiera italiana della distribuzione possono essere fattori determinanti così come una forte disincentivazione all’indicazione fallace in etichetta, ma anche la creazione di ambasciatori del Made in Italy e l’adozione di tecnologie che permettano una precisa tracciabilità del prodotto” conclude Valerio de Molli.

Spesa al supermercato: per gli italiani conta più la qualità che il prezzo

Nonostante i rincari superiori al 10% in un anno percepiti da oltre 9 italiani su 10 (90,8%), per fare gli acquisiti alimentari si guarda anzitutto alla qualità (71,3%) e sempre meno al prezzo (58,6%, 7,6 punti in meno dell’anno scorso) con crescente attenzione verso provenienza e certificazioni dei prodotti, così come si compra di più nei mercati rionali e direttamente dai produttori. A dirlo è una ricerca sui cambiamenti nelle abitudini dei consumatori italiani realizzata da The European House – Ambrosetti, in preparazione dell’ottava edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” che si terrà a Bormio il prossimo 7 e 8 giugno.

“Le famiglie più numerose subiscono maggiormente la pressione dell’aumento dei prezzi: tra gli intervistati, il 30% di chi ha un nucleo familiare composto da 3 o 4 persone ritiene di impiegare per la spesa oltre il 25% in più rispetto a un anno fa” commenta Valerio De Molli – Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti. “Un contesto complesso per un Paese come l’Italia dove i consumi privati rappresentano il 60% del Pil, 7 punti percentuali oltre la media degli altri Paesi europei: un loro rilancio rappresenta oggi una priorità per l’intero tessuto economico del Paese”.

Nonostante la flessione di 5,8 punti percentuali rispetto al 2023, il supermercato rimane la prima scelta per la spesa di quasi il 60% dei consumatori, e i nati dopo il 1995 (generazione Z) preferiscono soprattutto quelli vicino a casa. La ricerca TEHA che verrà presentata in versione integrale al prossimo Forum Food&Beverage di Bormio, evidenzia come i discount (in calo di 1,2 p.p. rispetto a 2023) rappresentano il canale abituale per il 15% dei consumatori e tra loro sono sempre di più i nati tra il 1980 e il 1994 (+8,3 punti percentuali rispetto alla media). “Una generazione, la Y, che apprezza sempre più (+12,3 p.p. rispetto alla media) gli acquisti fatti direttamente dal produttore o nei mercati rionali: canali che insieme rappresentano il 17% delle preferenze degli italiani (in aumento rispetto al 2023) e utilizzati soprattutto per l’acquisto di olio e vino (produttori) e frutta e ortaggi (mercati rionali)” aggiunge Benedetta Brioschi, partner di The European House-Ambrosetti.

La generazione Z (nati dopo il ’95) è più attenta all’impatto del prodotto sull’ambiente rispetto alla media (23,9%), mentre il prezzo guida maggiormente le scelte dei nati tra l’80 e il ‘94 (generazione Y al 61,5%) rispetto ai Baby Boomers (55,8%).

Studio TEH-Ambrosetti: Lidl genera lo 0,4% del pil italiano

Si intitola “Bilancio di impatto socio-economico di Lidl in Italia” lo studio stilato da The European House – Ambrosetti per misurare gli impatti e il contributo della catena discount alla creazione di valore per il Sistema Paese. L’analisi adotta una metodologia multidimensionale in grado di valutare l’apporto dell’azienda alla crescita dei territori in termini economici e occupazionali.

Nel 2022, i ricavi di Lidl in Italia hanno raggiunto 6,7 miliardi di euro, frutto di uno sviluppo costante registrato nell’ultimo decennio, con un tasso di crescita medio annuo composto del +9,1%, ampiamente superiore alla media del settore della Gdo (+1,6%). Parallelamente alla crescita economica, anche l’occupazione ha fatto un balzo in avanti: nell’ultimo decennio l’occupazione diretta di Lidl in Italia è salita a un tasso del +8,8% medio annuo, con un forte impegno verso la stabilità. Il 90% degli impiegati, infatti, è a tempo indeterminato, superando sia il settore della Gdo (84,1%) che la media italiana (79,9%). La somma degli occupati diretti, indiretti e indotti dell’Azienda tocca quota 93.751 posti di lavoro a tempo pieno equivalenti, per effetto di un moltiplicatore occupazionale di 4,7: per ogni persona direttamente impiegata, l’attività dell’azienda sostiene 3,7 ulteriori posti di lavoro nell’intera economia del Paese.

A sostenere il percorso di crescita e consolidamento di Lidl Italia nell’ultimo decennio sono stati ingenti investimenti per l’apertura di nuovi punti vendita e centri logistici e l’ammodernamento e rinnovo degli esistenti che hanno raggiunto i 454 milioni di euro nel 2022 e sono cresciuti a un tasso medio annuo del +12,9% nell’ultimo decennio, superiore rispetto alle top-10 aziende della Gdo (+8,1%). Inoltre l’azienda ha generato un impatto fiscale cumulato di oltre 4,2 miliardi di euro, un ammontare due volte superiore a quanto previsto dal Pnrr per i servizi digitali e la cittadinanza digitale.

“In 32 anni di attività in Italia abbiamo sempre messo al centro le persone, la valorizzazione del territorio e lo sviluppo della filiera agroalimentare. Solo negli ultimi cinque anni, abbiamo investito oltre 2,1 miliardi di euro nella nostra rete immobiliare e nei prossimi tre anni effettueremo investimenti per ulteriori 1,5 miliardi di euro che si trasformeranno nell’apertura di 150 nuovi punti vendita e, conseguentemente, nella creazione di oltre 5.000 nuovi posti di lavoro diretti” dichiara Massimiliano Silvestri, Presidente Lidl Italia.

Lidl intrattiene rapporti di fornitura con centinaia di aziende italiane. Nel 2022 il totale delle forniture di beni e servizi acquistati in Italia da Lidl ammonta a 6,2 miliardi di euro, concentrati soprattutto nel comparto della produzione agroalimentare, che si configura come un forte traino alle esportazioni di prodotti alimentari grazie agli acquisti realizzati per il rifornimento degli scaffali di punti vendita dell’insegna all’estero. Nel 2022 tali acquisti hanno rappresentato esportazioni dall’Italia per circa 2,4 miliardi di euro (pari al 4,5% di tutto l’export food & beverage italiano), di cui il 24% è rappresentato da frutta e verdura (il 13% delle esportazioni totali del Paese). Gli acquisti realizzati da Lidl verso i fornitori italiani attivano a cascata molteplici filiere economiche nel Paese, per effetto delle interdipendenze che si generano tra i settori. È per questo che il valore aggiunto totale (somma di diretto, indiretto e indotto) prodotto da Lidl Italia è pari a 6,4 miliardi di euro, con un moltiplicatore economico pari a 5,4. Per ogni euro di valore aggiunto generato direttamente da Lidl nel 2022, se ne sono attivati 4,4 aggiuntivi nell’intera economia. A tale impatto economico si somma anche il gettito iva «catalizzato» da Lidl per un valore cumulato pari a quasi 800 milioni di euro.

“Nel 2022 Lidl ha generato ricadute economiche e occupazionali a cascata lungo le filiere, creando un impatto complessivo (tra diretto, indiretto e indotto) sul pil di 7,2 miliardi di euro, parti allo 0,4% del pil nazionale. Si tratta, ad esempio, di un dato maggiore del contributo diretto dell’intero settore siderurgico italiano. Inoltre, Lidl ha complessivamente sostenuto 93.800 occupati nell’economia nazionale, un dato superiore a quello dell’intero settore delle telecomunicazioni” commenta Valerio De Molli, Managing Partner & Ceo The European House Ambrosetti.

La filiera agroalimentare italiana cresce e sfiora i 600 miliardi di euro

Continua a crescere il peso della filiera agroalimentare estesa (che comprende agricoltura, alimentare, distribuzione, intermediazione e distribuzione) nell’economia italiana: vale ormai 586,9 miliardi di euro, l’8,4% in più rispetto al 2021 e +29% sul 2015, e genera quasi 335 miliardi di valore aggiunto, pari al 19% del PIL italiano. Secondo i dati illustrati da The European House- Ambrosetti durante la presentazione dell’8° edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il food & beverage: quali evoluzioni e quali sfide per i prossimi anni” che si terrà Bormio il prossimo 7 e 8 giugno, la filiera agroalimentare estesa nel 2022 ha attirato oltre 25 miliardi di euro di investimenti grazie al lavoro di 3,7 milioni di addetti.

“In un contesto di crisi permanente che ci accompagna dal 2020 tra emergenza sanitaria e tensioni internazionali, è la qualità della produzione agroalimentare Made in Italy il fattore che ha permesso al settore di continuare a crescere: siamo il primo Paese in Unione Europea per prodotti certificati (890 in totale), 326 dal mondo alimentare (valgono 8,9 miliardi di euro) e 564 dal settore vinicolo per oltre 11 miliardi di euro” ha commentato Valerio De Molli, Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti.

Export in crescita
A fine 2023 le esportazioni agroalimentari italiane (agricoltura + prodotto trasformato) hanno raggiunto il valore record di 62,2 miliardi di euro, in media una crescita del 6,4% all’anno dal 2010 ad oggi e un incremento del 69% rispetto al 2015. Il settore del food and beverage contribuisce per 53,4 mld di euro, mentre il comparto agricolo vale 8,8 miliardi di export. “Nel 2010 l’agroalimentare incideva per l’8,2% sul totale delle esportazioni italiane, mentre nel 2023 ha sfiorato il 10% (9,9) in crescita di 1.7 punti percentuali negli ultimi 13 anni” ha aggiunto Benedetta Brioschi, partner The European House-Ambrosetti. Numeri che posizionano oggi l’agroalimentare come primo settore manifatturiero in Italia per valore aggiunto generato con oltre 66 miliardi, più della produzione di macchinari e apparecchiature (43) e prodotti in metallo (37). Rispetto al PIL i 37 miliardi generati dall’agricoltura e i 29 da alimentare e bevande rappresentano il 3,8%, più di Germania (2,6%) e Regno Unito (2,1%), ma meno di Francia (4,5%) e Spagna, il paese con l’incidenza più alta: 5,2%.

Italia prima al mondo per quota castagne
Nonostante un lieve calo delle esportazioni dello 0,8%, il vino si conferma nell’ultimo anno il primo prodotto agroalimentare più venduto all’estero (7,8 mld euro) con una quota del 12,5% sul totale export agrifood. Alle spalle ci sono altri prodotti in buona crescita: i lavorati a base di farine, tra cui la pasta, che valgono 6,9 miliardi di fatturato all’estero, hanno registrato un +7,9% e hanno sorpassato i prodotti lattiero-caseari che si fermano a 6 miliardi (in crescita del 7,1%) oltre che frutta e vegetali trasformati (5,7 miliardi e crescita a doppia cifra nell’ultimo anno:+11,1%). L’export italiano è da primato mondiale per diverse categorie di prodotto: siamo primi per quota di mercato di pasta (45%), amari e distillati (42%), passata di pomodoro (27%), castagne (23%) e verdure lavorate dove l’Italia guida il mercato con il 20% di quota. La Penisola è anche al secondo posto nel mercato globale del vino (20%) dopo la Francia, della farina di riso (20%), delle nocciole (15%), delle mele (13%) e dei kiwi (12%). “L’Italia, oltre a essere tra i maggiori esportatori di prodotti agroalimentari è il primo Paese per valore unitario del prodotto che esporta tra i competitor europei: se nel 2023 il valore medio di un prodotto italiano è di 244 euro per 100kg, i prodotti spagnoli si fermano a 210 euro, quelli tedeschi a 168 euro per quintale e i francesi a 135 euro” ha sottolineato Benedetta Brioschi.

Volano formaggi e carni
Come emerge dai dati TEHA, quella del vino si conferma la filiera di produzione certificata italiana a maggior valore grazie a 11,3 miliardi di euro fatturati nel 2022 (+4,6%) e precede quella dei formaggi (5,2 miliardi) che cresce a doppia cifra: +11,6%. Molto importante anche l’incremento del fatturato di prodotti a base di carne (+7,5% a 2,3 miliardi di euro) così come quello di paste alimentari (+9,2% per 268 milioni in totale), carni fresche (5,0%, 103 milioni) e panetteria e pasticceria (+5,1%, 105 milioni). In negativo, invece, il settore dell’olio d’oliva con un fatturato in diminuzione del 4,0% a 85 milioni di euro e dell’aceto balsamico, in calo del 5,0%, ma a quota 387 milioni di euro.

Lombardia, la regione dei primati
Nel 2022, la filiera agroalimentare lombarda ha raggiunto un fatturato di 48 miliardi di euro, grazie a un aumento del 34% rispetto al 2015, confermandosi la prima regione in Italia per fatturato. Secondo i dati elaborati da The European House-Ambrosetti la regione si distingue anche nel settore delle produzioni certificate, con un fatturato di 2,5 miliardi di euro nel 2022, aumentato del 15% rispetto al 2021. Eccellenza anche nell’export: nel 2023 ha raggiunto vendite all’estero per 10,4 miliardi di euro, registrando un incremento dell’84% rispetto al 2015 e dimostrando la sua capacità di competere su scala globale. L’agroalimentare occupa 126.000 lavoratori in Lombardia e supporta la generazione di un valore aggiunto della filiera sia a monte, con 27,5 miliardi di euro, sia a valle, con 21,5 miliardi di euro, confermando la sua posizione di regione leader nel settore. La regione è anche un punto di riferimento per la qualità delle sue produzioni, essendo la terza in Italia per numero di produzioni certificate, con 75 prodotti DOP e IGP con Mantova, Brescia, Cremona, Sondrio e Lodi classificate tra le prime 20 in Italia per il valore della produzione certificata.

Marca del distributore, un volano di crescita per le economie regionali

A confermare l’importanza ricoperta dalla MDD in questi ultimi anni è il rapporto “Marca del Distributore e Made in Italy: il ruolo della Distribuzione Moderna”, realizzato da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna, presentato al convegno inaugurale di Marca by BolognaFiere 2024: quasi il 30% (27,2%) del fatturato delle produzioni tipiche locali italiane, pari a 8,5 miliardi di euro, viene generato direttamente dalla distribuzione moderna attraverso i marchi del distributore. Per i prodotti italiani inoltre, i marchi del distributore valgono all’estero 4 miliardi di euro, l’8% del totale delle esportazioni internazionali food & beverage di prodotti Made In Italy.

Uno sguardo alle regioni
Oltre il 42% del fatturato complessivo delle imprese di produzione tipiche locali abruzzesi è stato generato dalla collaborazione con la distribuzione moderna attraverso i marchi del distributore. Si scende al 40% per i prodotti del Friuli-Venezia Giulia e al 36,9% per quelli campani. Secondo il report realizzato da The European House-Ambrosetti per ADM i produttori locali piemontesi hanno realizzato il 27,1% del fatturato complessivo grazie alla MDD. Percentuali analoghe si registrano in Umbria (26,8%) e nelle Marche (26,1%). Emilia-Romagna, Veneto e Lazio rientrano tra le prime 10 regioni a beneficiare della collaborazione con la Gdo rispettivamente con il 25%, il 24,5% e il 23,8% delle vendite di prodotti locali attraverso la distribuzione moderna. Seguono via via Toscana (11°, 23,3% del fatturato), Liguria (12°, 23,2%) e Sicilia (13°, 22,7%). Al di sotto del 20% si collocano il Trentino A.A (19,3%), la Lombardia (19%), le Basilicata (13,3%) e la Puglia (12,1%). Chiudono la classifica Molise (9,8%), Calabria e Sardegna (entrambe al 4,8%).

“Per comprendere l’impatto fondamentale della distribuzione moderna e nello specifico della marca del distributore, basti considerare che la MDD coinvolge indirettamente circa 50 sotto-comparti economici e oltre 1.500 imprese del settore agricolo e food (il 92% italiane e il 78% piccole e medie) che producono alimenti commercializzati con la marca dell’insegna della distribuzione moderna. Gli effetti dell’inflazione e della riduzione dei volumi di vendita colpiscono perciò direttamente il patrimonio di imprese locali italiane che rappresentano la spina dorsale dell’economia del Paese” spiega Valerio De Molli, managing partner e CEO, The European House – Ambrosetti.

“I prodotti a marca del distributore hanno esercitato un importante ruolo sociale ed economico tutelando il potere di acquisto delle famiglie e sostenendo le filiere e la produzione del made in Italy. Tra le misure già adottate per il comparto ci sono il trimestre antinflazione e i provvedimenti inseriti nella legge di Bilancio che mirano a contrastare l’inflazione, come il taglio del cuneo fiscale, il rifinanziamento per tutto il 2024 della carta ‘Dedicata a te’ per l’acquisto di generi di prima necessità e carburanti, il rinvio delle Sugar e Plastic tax” aggiunge Valentino Valentini, Viceministro delle Imprese e del Made in Italy.

Boom per la Mdd: nel 2023 oltrepassato il fatturato di 25 miliardi di euro

Con un fatturato record pari a 25,4 miliardi di euro nel 2023, i prodotti a marca del distributore (Mdd) rappresentano oggi il 31,5% dell’intero giro d’affari del mercato della distribuzione moderna in Italia, compresi i discount – nel 2019 era al 28,3% -, affermandosi come strumento fondamentale delle imprese della distribuzione moderna per sostenere il potere di acquisto delle famiglie, offrendo qualità e convenienza. I dati emergono dall’analisi “Marca del Distributore e Made in Italy: il ruolo della Distribuzione Moderna” realizzata da The European House – Ambrosetti per ADM – Associazione Distribuzione Moderna.

La marca del distributore si afferma dunque come unico canale in crescita sostenendo l’intero settore del retail alimentare: +332 milioni di euro anche nell’ultimo anno, e la tendenza probabilmente non si arresterà. Secondo i calcoli realizzati da The European House – Ambrosetti , la distribuzione moderna è l’attivatore di una filiera lunga e articolata e, con 15 settori e 37 sotto-settori coinvolti, abilita la creazione di circa il 12% dell’intero PIL italiano, oltre 200 miliardi di euro: dai 30 miliardi generati direttamente dalla distribuzione moderna, se ne sviluppano ulteriori 178 dalle filiere attivate a monte tra componenti industriali attive, settore agroalimentare e intermediazione.

“La distribuzione moderna ha contribuito in maniera significativa a sostenere il potere d’acquisto delle famiglie, contenendo la spinta inflattiva e sostenendo soprattutto le fasce di reddito più basse, che soffrono in maniera particolare l’aumento dei prezzi al consumo”, ha commentato Mauro Lusetti, Presidente ADM – Associazione Distribuzione Moderna. “L’impegno delle nostre aziende ha limitato l’aumento del prezzo medio di vendita, assorbendo parte dei rincari ricevuti sui prodotti del largo consumo dell’industria di marca. Da gennaio 2019 la distribuzione moderna ha registrato aumenti inferiori dei prezzi di vendita di 6 punti percentuali rispetto all’industria di marca. I prodotti a marca del distributore, garantendo un’offerta che coniuga qualità e convenienza, si sono dimostrati uno strumento efficace e molto apprezzato dagli italiani nel contrastare l’aumento dei prezzi. Il settore distributivo si conferma come un asset strategico dell’economia del Paese, sia per il valore aggiunto che riesce a generare sia per il contributo all’occupazione e il sostegno alle filiere del Made in Italy”.

“Si è appena chiuso un 2023 complesso che ha visto una riduzione dei volumi di vendita in tutti i canali distributivi, dal discount ai supermercati fino al piccolo servizio, dovuta alla pressione dell’inflazione sulle famiglie con effetti asimmetrici: la spesa incomprimibile pesa 21 punti percentuale in più sul bilancio familiare del quintile più povero. In un contesto in cui i consumi alimentari sono già immobili da oltre un decennio, è necessario un cambio di rotta per salvaguardare i consumi, alimentari e non, che generano il 60% del PIL italiano” ha aggiunto Valerio De Molli, managing partner e CEO, The European House Ambrosetti.

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