Algoritmi, realtà virtuale e AI: a tu per tu con Stefania Bandini

Tra assistenti vocali, robot sempre più autonomi e realtà virtuale diffusamente implementata, l’impressione è che l’Intelligenza Artificiale sia materia prettamente contemporanea, tema di rottura netta con il passato. E invece…

“E invece – sorride paziente Stefania Bandini – costretta dai sui doveri di docente universitaria a fare la spola tra l’Ateneo di Milano Bicocca  e l’Università di Tokyo – sarà proprio il caso di sfatare un mito.

L’intelligenza Artificiale ha sì una data di nascita, ma non è certo recente: per trovarla dobbiamo andare indietro nel tempo, e precisamente   all’ agosto del 1956 (Conferenza di Dormouth), per l’esattezza, quando un pool di ingegneri, psicologici, linguisti e informatici, decise di partire da là: dalle possibilità offerte dai neonascenti computer, metterlo in condizioni di eseguire performances tipiche del problem solving umano, soprattutto nel ragionamento logico. L’ambizione, insomma, era quella di avere macchine che, in modo ingenuo, potremmo definire ‘pensanti’”.

Obiettivo mancato, però…

“Infatti. Negli anni del suo sviluppo l’Intelligenza Artificiale ha vissuto alti e bassi. Ad esempio, c’è stato un momento di grande interesse verso questa disciplina negli anni ’80, con il fiorire dei cosiddetti Sistemi Esperti, che, invece di trattare del ragionamento in generale (che opera su tutti i settori del sapere) si sono concentrati verso ambiti circoscritti del problem solving umano (diagnostica, configurazione di sistemi complessi, pianificazione automatica, etc.) .

Come si spiega allora il boom di oggi?

Semplice: nasce dal combinato disposto di un’enorme mole di dati, delle fitte reti sociali e dell’evoluzione tecnologica. Algoritmi già messi a punto, per esempio, nell’apprendimento automatico oggi possono essere applicati perché abbiamo a disposizione una grande quantità di dati digitali (Big Data). A questo vanno aggiunti i progressi tecnologici (velocità e memoria) e telematici. Senza questo tipo di progresso generale del mondo dell’informatica l’Intelligenza Artificiale rischiava di rimanere all’interno del laboratori di ricerca.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Con un pizzico di marketing, magari…

Beh, in qualche caso. Specialmente quando le implementazioni di AI sono settoriali, relative ad un singolo settore, ad un aspetto specifico (per esempio, la visione automatica, o la profilazione dei clienti). A quel punto è chiaro che si punti a dargli il massimo della visibilità, per ottenerne i maggiori ritorni possibili.

In quest’ambito, in che ruolo gioca il nostro Paese?

Senz’altro primario. Siamo molto avanti nel campo della ricerca e siamo molto richiesti all’estero. Il problema è sempre lo stesso: chi esce non sempre è incentivato a ritornare. La mancanza di fondi per la ricerca è ormai molto congenita e bisognerà pensare in modo più sistemico per valorizzare al massimo le potenzialità che il nostro Paese esprime.

In prospettiva, quali saranno le prossime frontiere dell’Intelligenza Artificiale?

Il ventaglio di possibilità è ampio e ricco di prospettive: di queste, ne abbiamo diffusamente discusso durante la settimana dell’International Summer School “Advances in Artificial Intelligence”. Di fatto sono emerse 5 tracce operative verso cui si aprono le nuove frontiere dell’Intelligenza Artificiale:

–        Combinare le tecniche di apprendimento automatico con quelle di ragionamento, per essere sempre più aderenti all’operare umano;

–        Sviluppare algoritmi e tecniche di rappresentazione per il trattamento della “conoscenza incerta”, altra peculiarità del problem solving quotidiano negli esseri umani;

–        Studiare e creare nuovi modelli di Intelligenza Collettiva, come i fenomeni di aggregazione sociale fisica (crowd) e virtuale (reti sociali);

–        Coniugare l’Intelligenza Artificiale con la realtà virtuale e i sistemi adattivi (robotica umanoide, tecnologia sensoristica) fino ad arrivare a una conoscenza più profonda dei fenomeni emozionali;

–        Promuovere l’ingegnerizzazione applicativa di risultati promettenti verso il mondo produttivo.

Queste le macro tematiche. Ma quali saranno i prossimi traguardi dell’AI nell’ambito dell’industria e del retail?

Diciamo che in questo settore l’ambito applicativo più ricercato oggi è quello relativo alla profilazione dell’utente, in modo da assecondarne gusti, preferenze e bisogni, personalizzando e indirizzando al massimo l’offerta.

E la privacy?

Purtroppo molto spesso è a rischio. Della questione si dibatte da tempo. Se ne è parlato al G20 di Osaka due anni fa, quando fu redatto un decalogo sull’AI, e se ne continua a parlare in sede UE, con la pubblicazione di documenti di indirizzo. A parte questi embrionali tentativi di regolamentazione, il rischio di un’automazione deresponsabilizzata non è stato disinnescato, e quindi siamo all’alba del disegno di nuovi scenari nell’interazione tra uomo e macchina.

Tra le branche di sviluppo lei ha citato l’intelligenza collettiva, che poi è lo specifico ramo di studio che l’ha condotta in Giappone. Ce ne può parlare?

Studiare l’intelligenza collettiva mi ha portato ad osservare gli aggregati sociali (siano essi fisici o virtuali) per trarne dati e strumenti predittivi e poi proporre soluzioni “confortevoli o sicure” da cui la massa numerica possa trarre giovamento. In Giappone stiamo lavorando all’accoglienza dei visitatori previsti per le prossime Olimpiadi, e che – inevitabilmente – andranno ad impattare (con il rischio di sovvertirli) sui ritmi quotidiani degli abitanti locali. Il nostro obiettivo è quello di trovare algoritmi in grado di ottimizzare l’offerta e garantire il massimo del comfort.


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Le criticità maggiori fino ad oggi riscontrate nel suo lavoro?

Per quanto riguarda la specifica ricerca della realizzazione di strumenti di supporto alla gestione delle folle, manca una figura professionale di riferimento come il “crowd manager “ (a livello nazionale e internazionale), in modo da mettere a disposizione strumenti e competenze per attivare una sinergia tra esperienza umana e analisi provenienti da tecniche come sentiment analisys e machine learning. Attualmente abbiano a disposizione una gamma molto ampia di possibilità combinatorie delle tecnologie esistenti: per usare una metafora, abbiamo in “frigorifero” tanti ingredienti, ma solo le capacità di  combinarli da parte di uno “chef” permette di realizzare pietanze eccellenti. Oggi noi abbiamo a disposizione una grande quantità di dati e le tecnologie per trattarli, ma occorre un piano strategico “naturalmente intelligente” per il loro uso efficace, su tutti i settori dello sviluppo sociale ed economico.