Le trattative per il rinnovo del contratto dei lavoratori della distribuzione si sono nuovamente arenate.
“Nell’incontro del 30 settembre Federdistribuzione – dichiara una nota dell’asociazione dei retailer – ha proposto un piano di interventi articolato e prima di tutto finalizzato al complessivo mantenimento dei livelli occupazionali. Ciò in un quadro economico ancora complicato, con solo timidi e incerti segnali di uscita da una crisi profonda che ha avuto pesanti impatti sul settore.
All’interno di questo piano non vi sono preclusioni nei confronti del riconoscimento dell’aumento salariale richiesto dai Sindacati, purché erogato in un arco di tempo adeguato, il triennio 2016-2018, ed accompagnato da misure di sostenibilità, flessibilità e produttività”.
“La proposta di Federdistribuzione – prosegue la nota – si qualifica anche per elementi che caratterizzano già ora in modo forte il settore, come maggiori investimenti su giovani e apprendisti; impostazione di una bilateralità che, a parità di costo per imprese e lavoratori, sia più efficiente e più efficace di quella attuale, aumentando il sostegno al reddito dei collaboratori; ridisegno di un welfare che tuteli maggiormente i dipendenti”.
Da parte delle organizzazioni sindacali si osserva che lo scoglio maggiore è la richiesta di adeguamento salariale di 85 euro al mese, avendo come parametri di riferimento il contratto siglato a marzo con Confcommercio. Tanto che è stato fatto ricorso alla magistratura, ha detto in una dura intervista a Italia Oggi “per chiedere l’applicazione anche ai lavoratori di questo settore di quegli aumenti salariali che i lavoratori delle aziende aderenti a Confcommercio già trovano in busta paga da qualche mese, perché è irrazionale oltre che ingiusta la divaricazione esistente. I tribunali ci stanno dando ragione e hanno emesso diversi decreti ingiuntivi per il pagamento di quanto dovuto”.
Sia Federdistribuzione sia i sindacati si dichiarano comunque pronti a continuare il confronto per una chiusura della trattativa e il rinnovo del constratto scaduto da tempo.
Intanto, però, sono stati proclamati due giorni di sciopero il 7 nevembre e il 19 dicembre.
Eleonora Graffione (presidente Coralis) presenta Etichètto
Con i riflettori puntati sul cibo e sull’alimentazone (Expo non sta passando inutilmente) il dibattito sul made in italy si fa ogni giorno più stringente. Da un lato l’obiettivo del ministero delle Politiche agricole di portare l’export alimentare a 50 miliardi di euro nel giro di pochi anni, dall’altro la consapevolezza che comincia a farsi strada nei protagonisti della filiera che, per raggiungerlo, occorre unire gli sforzi e agire in maniera coordinata. In mezzo i cittadini consumatori che vogliono sempre più spesso sapere che cosa mangiano, dove e come è allevato l’animale, dove e come è coltivato quell’ortaggio o quel frutto.
Gli esempi di questo concentrarsi di interesse sopra e attorno al cibo si moltiplicano. Si è appena conclusa la battaglia sul ritorno dell’indicazione dello stabilimento di produzione in etichetta, che già se ne profila un’altra per affiancargli la dichiarazione d’origine del prodotto. E il ministro MaurizioMartina lancia una nuova sfida all’Europa: «Ribadito alla Commissione UE il no ai formaggi senza latte fresco. Avanti per la tutela dei consumatori e dei nostri produttori», ha twittato. E venerdì 2 ottobre a Expo il convegno di GS1 Italy | Indicod-Ecr con il titolo Fare meglio italiano vuole sviluppare l’idea di un ecosistema agroalimentare italiano che, come ha spiegato recentemente il presidente dell’associazione Marco Pedroni, «deve fare un passo avanti, superando gli schemi che vedono contrapporre gli interessi di coltivatori, industria di trasformazione, distribuzione. Occorre affrontare e sviluppare insieme i temi precompetitivi nelle relazioni tra imprese».
In questo filone si inserisce anche l’incontro che si è svolto qualche giorno fa al padiglione CibusèItalia-Federalimentare, che ha cercato di trovare una via d’uscita alla contrapposizione tra Made in Italy o Italian Made. Se cioè I prodotti alimentari “Made in Italy” debbano essere prodotti interamente in Italia, dal campo allo scaffale, oppresse sia possibile definire prodotto italiano anche quello che utilizza materie prime estere?
Tema, come si è visto particolarmente spinoso, perché tra chi sostiene il primo e chi invece vede nel mercato completamente aperto una opportunità di crescita del saper fare italiano, le distanze sembrano incolmabili. Peraltro accettando la prima ipotesi, buona parte dell’industria agroalimentare italiana sarebbe fuori gioco, mentre nel secondo caso si premierebbe solo ed esclusivamente l’origine della materia prima.
Roberto Montalvo (Coldiretti) a sinistra e Roberto Brazzale (Gruppo Brazzale)
Nela fattispecie il presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo afferma: «Secondo quanto emerso dalla consultazione svolta dal Ministero delle Politiche agricole il 96,5% dei consumatori ritiene necessario che l’origine dei prodotti agricoli debba essere scritta in modo chiaro e leggibile nell’etichetta. In un difficile momento di crisi bisogna portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza e della verità per combattere la concorrenza sleale e rispondere alle reali esigenze dei consumatori. E quando si parla di importazione necessaria di materie prime alimentari bisogna ricordare anche che esistono aree agricole non più coltivate perché non c’era più convenienza, e che invece vanno rivitalizzate».
Proprio questo è il punto di partenza del ragionamento di Roberto Brazzale, presidente del Gruppo Brazzale (azienda lattiero-casearia che produce oltre al formaggio Gran Moravia – in Repubblica Ceca -, burro, quattro prodotti DOP e sei diversi marchi): «Per riuscire a soddisfare la domanda complessiva di alimenti, composta dalla somma dei consumi interni più la quota destinata all’export, l’Italia deve necessariamente importare materie prime da trasformare, cioè prodotti finiti già trasformati all’estero. Diverse filiere alimentari non sono e non potranno essere autosufficienti, tanto è vero che tante produzioni italiane sono autobloccate, per sostenere i prezzi. La questione fondamentale, perciò, diventa: vogliamo che questo cibo sia prodotto all’estero e poi venduto in Italia, oppure vogliamo sempre più intercettare questo flusso, diventando sempre più protagonisti nell’imponente fabbisogno di produzione e trasformazione di alimenti per soddisfare la domanda interna e quella di export, potenzialmente illimitata?».
Sempre sul fronte industriale la testiminianza di Pasquale Petti, amministratore delegato dell’omonimo gruppo conserviero va proprio nella direzione di una saldatura con il mondo agricolo: «Per il nostro progetto di marca utilizziamo solo pomodoro toscano lavorato a bassa temperatura; per questo abbiamo deciso di far entrare al nostro interno, con quote societarie, la parte agricola del processo produttivo, ovvero l’Asport (Associazione produttori ortofrutticoli toscani), per garantire ai consumatori finali oltre a qualità ed innovazione dei processi di trasformazione, anche la tracciabilità e la provenienza della materia prima».
Ragioni che non fanno una piega, quelle dei coltivatori e quelle dell’industria alimentare: entrambi vogliono salvaguardare il proprio business. Ma la questione dirimente sta invece nel consumatore, nel cittadino che vuole trasparenza, informazione chiara. Poi potrà scegliere se acquistare un prodotto che arriva da materia prima estera (lo fa già con l’olio extravergine) o se invece acquistare solo prodotto italiano. Ma almeno che ne sia informato, senza sotterfugi e ipocrisie. L’esempio portato da Eleonora Graffione, presidente di Coralis va in questa direzione. Etichètto è infatti il progetto annunciato alcuni mesi fa e che ora è entrato nel vivo della sua attuazione per 150 prodotti di una clear label che identifica i prodotti italiani (a partire dal campo o dall’allevamento) in seguito a un protocollo messo a punto da Coralis e sottoscritto dai vari produttori. «Etichètto fa della trasparenza e della garanzia etica i propri principali valori, esaltando, quando reali, le migliori caratteristiche dei produttori. È alleanza con tutte le parti: coltivatori, produttori, clienti», ha affermato Graffione.
Sulla questione, quindi, si procede a ranghi separati, anche se in linea di principio vi è un sentire comune, che però non ha trovato ancora una sintesi condivisa. Stanno maturando i tempi perché l’agroalimentare si faccia sistema (come recita il sottotitolo del convegno di GS1 Italy), superando steccati e contrapposizioni di parte e pensi principalmente ai cittadini consumatori?
Vestendo i panni di due diversi personaggi nell’ambito della BitterSweet Campaign, Kate Hudson è protagonista degli scatti del Calendario Campari 2016.
Il tema della BitterSweet Campaignha diverse sfaccettature e si ispira, in primo luogo, all’iconografia immediatamente riconoscibile delle elezioni presidenziali utilizzando questo classico tema come metafora della dualità di due fronti opposti. Interpretando in diversi modi il gusto inconfondibile di Campari, emblema della versatilità nel mondo della mixology, il Calendario invita così le persone a esprimere in quale aspetto dei cocktail a base Campari si identificano maggiormente: Bitter o Sweet?
Il tema del Calendario è inoltre finalizzato a valorizzare la sempre più crescente popolarità di tutto ciò che riguarda il gusto bitter nel mondo della mixology e del food.
I due aspetti della BitterSweet Campaign, inoltre, riflettono le due anime dei cocktail Campari, quella più bitter o quella più sweet, a seconda della miscelazione. Questa dualità prende vita nel calendario attraverso gli scatti realizzati dal fotografo di moda Michelangelo Di Battista, che ricostruisce i momenti più significativi di un’elezione presidenziale giocando sul tema della contrapposizione tra bitter e sweet.
Kate Hudson incarnerà queste due anime dei cocktail a base Campari vestendo i panni di due diverse protagoniste, interpretando gli aspetti accattivanti delle declinazione del bitter contrapposti al lato più delicato e più intrigante dello sweet.
Il Calendario sarà presentato ufficialmente il 18 novembre.
Dopo la revisione del format di punto vendita e il ridisegno del logo già attivati in 37 punti vendita, Brico Io, l’insegna dedicata al bricolage di Marketing Trend (gruppo Coop Lombardia) prosegue nell’alleanza con piccoli e medi imprenditri ed espande la propria presenza a livello nazionale.
La scorsa settimana tre aziende del centro Italia hanno sottoscritto un contratto d’affiliazione con Brico IO. Si tratta di DefìBricò Srl di Camerano (Ancona), parte del gruppo Fraschetti, e delle due società ad essa affiliate, F&M Srl di Ceprano (Frosinone) ed Energiko Srl di Città della Pieve (Perugia), alle quali fa capo una rete di vendita di 12 centri bricolage a insegna Brico Point e ABC.
«Il rapporto allacciato col gruppo Fraschetti», dichiara Mario Aspesi, consigliere delegato di Marketing Trend, «non è solo un contratto d’affiliazione. È una vera e propria alleanza strategica con un gruppo di professionisti e di manager che ha sviluppato una forte e consolidata esperienza nel settore del bricolage e che da oggi diventa un partner ideale per gli acquisti, la logistica e lo sviluppo».
In base all’accordo siglato con Marketing Trend, a far data dal 15 novembre prossimo, DefìBricò diverrà ufficialmente affiliato Brico IO con i suoi nove punti vendita. Di questi, il primo ad adottare l’insegna Brico IO sarà il centro bricolage di Sulmona (L’Aquila), una struttura di 2.500 mq che sarà inaugurata il 19 novembre prossimo. Tra dicembre 2015 e gennaio 2016 sarà la volta degli altri otto negozi, attivi lungo la dorsale adriatica e di quelli di F&M ed Energiko, finora affiliati di DefìBricò. «Siao convinti», afferma Giorgio Fraschetti «che questa operazione produrrà un rafforzamento dei punti vendita attuali e faciliterà il piano di sviluppo che intendiamo perseguire».
Con i nuovi affiliati Brico io porta a 126 i punti vendita a livello nazionale.
Oswald Zuegg ha di che essere soddisfatto. Non solo perché a luglio ha completata la riunificazione delle quote dell’azienda, che festeggia quest’anno i 125 anni di attività, sotto il diretto controllo della sua famiglia («In questo modo la quinta generazione, i miei figli, potranno prendere decsioni con maggiore libertà d’azione»). Non solo perché il 2015 è avviato a chiudersi con ricavi di 244 milioni di euro, in crescita rispetto al 2014 («Ma l’andamento del cambio con il Rublo è costato circa 9 milioni di euro per svalutazione degli assets») e perché il recente accordo con Wal Mart ha aperto la strada all’espansione nel mercato d’Oltreoceano.
Ma anche perché con l’annuncio del progetto Zuegg AgriCultura rafforza e struttura l’impegno che l’azienda dedica a sviluppare competenze in ambito agricolo da trasformare in prodotti di qualità per i consumatori. Da ormai dieci anni, infatti, l’azienda studia la terra e la frutta e ha intrapreso una politica di approvvigionamento diretto della materia prima scegliendo e fidelizzando aziende agricole con buoni frutteti e varietà prestigiose e sostenendo gli agricoltori con un servizio agronomico gratuito.
Zuegg AgriCultura è un passo avanti e prevede di investire in un’iniziativa interamente dedicata alla materia prima. La cura per la terra e l’attenzione per chi la coltiva diventano un piano strutturato per il futuro con la nascita di un progetto dedicato esclusivamente allo sviluppo agricolo. Con obiettivi precisi: l’acquisto, affitto e ribonifica di terreni agricoli per la coltivazione, il controllo, e la fornitura della frutta, la ricerca e selezione delle migliori varietà di frutta.
Già nel 2015 solo in Irpinia sono stati coltivati 37 ettari di terreni di proprietà o in affitto e ben 700 ettari di campi sotto controllo diretto. Sempre nel 2015 Zuegg ha riqualificato direttamente 20 ettari di terreno, il 10% in più rispetto al 2014. Due agronomi specializzati hanno inoltre supportato 174 agricoltori (il 7% in più rispetto a quelli coinvolti nel 2014).
«Entro il 2020 vogliamo incrementare a 1.100 gli ettari di terreno sotto controllo diretto e coinvolgere 250 agricoltori, con l’obiettivo di portare a 30 milioni di chili il totale di frutta coltivata (dai 20 attuali)» afferma Martina Zuegg, ideatrice e responsabile del progetto.
«Sono sempre più convinto – chiosa Oswald Zuegg – che il nostro lavoro è sempre più vicino a quello di chi produce vino. Così come il vino nasce prima in vigna che in cantina, così anche per noi è il gusto della frutta il primo passo per prodotti soddisfacenti per i nostri consumatori: L’investimento che stiamo facendo nell’integrazione e nel controllo della filiera agricola direttamente o supportando agricoltori, è un passo essenziale per la qualità dei nostri succhi e marmellate, per offrire trasparenza nell’informazione ai consumatori, per dare sostenibilità e futuro all’azienda. E in ultima analisi per rafforzare e valorizzare il brand».
Nuovo appuntamento conIl senso ritrovato, il ciclo di incontri organizzato a Expo daPlef (Planet life economy foundation), Fondazione senza scopo di lucro che promuove la realizzazione di un nuovo modello economico e sociale in grado di creare vero “Valore” (economico, sociale, ambientale, umano).
Il 5 ottobre, nella giornata dedicata alla finanza, si svolge un incontro sul tema “Città abilitanti e finanza – Le condizioni per favorire lo sviluppo della comunità e dell’imprenditoria sociale”.
Il seminario, organizzato da LAMA e da Yunus Social Business Centre University of Florence, offrirà ai partecipanti una riflessione su come creare un eco-sistema facilitante che accompagni le comunità nella generazione di soluzioni ai problemi. I nuovi modelli di sharing economy (produzione, consumo, governance, conoscenza e finanza) offrono uno spaccato sempre più ampio di pratiche di coinvolgimento tra pari. Il ruolo che può giocare la finanza sia in modo tradizionale che tramite strumenti innovativi verrà messo a confronto con le condizioni di sistema che creano il “mercato”, con un’attenzione speciale rivolta alle città e città metropolitane.
Prosegue fino all’11 ottobre la collezione di biglie raffiguranti animali, dedicata ai bambini e alle famiglie presso i 320 Penny Market presenti in Italia, a fronte di una spesa di 20 euro e presentando la Penny Card. I 18 soggetti da collezionare sono ripresi da Wild – Oltrenatura e sono suddivisi in tre categorie: “Predatori”, “Esotici” e “Il grande freddo”.
Per tutta la durata della collezione è previsto un concorso che regala subito uno dei 10.000 peluche in palio al cliente che trova la speciale biglia con il logo Penny Market.
«Abbiamo scelto la collezione di biglie – afferma il Direttore Marketing di Penny Market Italia – perché ci piace l’idea di un gioco educativo e allo stesso tempo socializzante: le biglie sono adatte sia ai bambini che alle bambine, permettono l’interazione del gioco tra genitori e figli, ricordano agli adulti i loro giochi dell’infanzia».
Presso i punti vendita di Montemurlo (Prato), Novara e Bari si effettua un maxi torneo di biglie su una pista di 15 metri.
Inoltre è possibile fare una donazione alla fondazione “Mission Bambini”, dedita agli aiuti per l’infanzia, acquistando alcuni prodotti di corredo alla collezione: il sacchetto e la valigetta portabiglie e la pista per biglie. Il 10% della vendita di questi prodotti viene devoluto alla “Fondazione Mission Bambini” per il sostegno del progetto “Un nido per ogni bambino” che garantisce cure, educazione e cibo a 500 bambini in difficoltà in Italia.
L’insalata di quarta gamma piace agli italiani. Anzi, negli ultimi annivi è un travaso di consumi dalle verdure sfuse a quelle già confezionate già pulite, tagliate, lavate e pronte all’uso. Lo sottolinea Nielsen che rileva che da gennaio di quest’anno per la prima volta i consumatori di insalata confezionata hanno superato quelli di insalata sfusa. E la forbice continua ad allargarsi.
“L’ampliamento del parco acquirenti (+ 300 mila famiglie nell’ultimo anno) – affermano gli analisti di Nielsen – ha contribuito alla crescita dei consumi che hanno subito un’ulteriore accelerata. Ad anno terminante maggio 2015, sono state consumate 89,3 mila tonnellate di verdura IV Gamma (+ 2,7% vs AT Mag 14) per un valore totale di oltre 633 milioni di euro (+ 1,5% vs AT Mag 14). Restano stabili invece i consumi medi per famiglia con una spesa annua per nucleo che si attesta intorno ai 34 euro e una frequenza di acquisto di circa 18 atti all’anno, a dimostrazione del fatto che è principalmente la capacità del prodotto di attirare nuovi acquirenti a sostenere i consumi”.
In calo invece il consumo di verdura sfusa, con un calo di circa tra il 5% e il 7% rispettivamente proprio nei canali più tradizionalmente dedicati al suo acquisto, i negozi tradizionali e i mercati rionali (AT Mag 15 vs periodo corrispondente).
I motivi di questo switch sarebbero diversi, secondo Nielsen: in particolare la crescente importanza che gli italiani prestano alla corretta alimentazione unita all’attenzione per il contenuto di servizio dei prodotti; l’insalata confezionata soddisfa l’una e l’altra esigenza conciliando la componente salutistica con il time saving e il contenimento degli sprechi. Senza considerare le politiche commerciali degli attori del mercato che hanno contribuito a contenere lo scontrino medio.
In questo roseo scenario già compare qualche nuvola all’orizzonte. Ed è il l’approssimarsi della saturazione della domanda, tanto che la penetrazione nelle prime tre aree Nielsen è vicina all’80%. Quali i margini di crescita? Secondo l’analisi sono due le possibili opportunità da cogliere. La prima è l’Area 4, caratterizzata da un parco acquirenti ancora inferiore rispetto alle altre aree, ma in forte crescita; la seconda potrebbe arrivare dai discount, un format ancora poco performante per la quarta gamma (- 6,5% Acquisti a Valore; -3,2% Acquisti a Volume – AT Mag 15 vs corrisp.) nonostante gli acquisti di verdura in generale siano invece in forte sviluppo in questo canale (+3,6% Acquisti a Valore; + 7,6% Acquisti a Volume – AT Mag 15 vs corrisp.).
Ma in questo secondo caso la torta difficilmente si amplierebbe, perché si tratterebbe di un passaggio da altri canali d’acquisto al discount.
Si chiama Tickled Pink la campagna di Asda a favore di Breast Cancer Care e Breast Cancer Now, due organizzazioni di supporto ai pazienti e di ricerca sul tumore al seno, che anche quest’anno si ripresenta ai nastri di partenza. Con un obiettivo ambizioso: raccogliere 5 milioni di sterline da clienti, dipendenti efornitori che si andranno ad aggiungere ai 43 milioniraccolti e donati negli ultimi 19 anni, da quando l’iniziativa è partita.
Per ottenere questo risultato per numerosi prodotti vengono destinata una quota sul prezzo di vendita all’iniziativa. Ma è stata creata acnhe una serie di prodotti in ediizione limitata, che viene integrata nel corso della durata dell’iniziativa: da un asciugacapelli a stovigli per cucina, prodotti per la cura del corpo a base di estratti fi ragola, lattine di Diet Cocke, fino a T shirt a marchio George e una shopping bag disegnata dall’esperto di moda Julien Macdonald.
Sempre più indirizzata alla comunicazione e al coinvolgimento in rete, Végé lancia il concorso ricette di famiglia, legato ai prodotti a marchio Delizie VéGé che fino al prossimo dicembre distribuirà un montepremi del valore di oltre 17.000 €.
Per concorrere è sufficiente registrarsi sul sito webRicette di famiglia, scegliere la ricetta da proporre che preveda l’impiego in preparazione di un prodotto a marchio Delizie VéGé e caricare sul sito la foto del piatto con accanto la confezione del prodotto utilizzato. Il concorso prevvede tre fasi dedicate ai primi piatti, ai secondi e ai dolci, prima della finale dove si scontreranno i vincitori di ciascuna di esse, che saranno giudicati dal popolo della rete e da una giuria di esperti. Al vincitore assoluto andranno 1.000 euro in buoni spesa, mntre premi vari sono previsti per i vincitori delle singole fasi, e dei più votati dalla rete e dalla giuria. Il coinvolgimento della rete di amicizie sui social è essenziale per ottenere il maggior numero di voti.
«Abbiamo pensato che il modo più appropriato di far apprezzare l’alta qualità, la sicurezza e la completezza dell’assortimento a marchio Delizie VéGé fosse un contest gastronomico aperto a tutti, semplice ma anche innovativo e divertente, che chiamasse in causa un patrimonio di memoria e di gusto particolarmente caro alle famiglie italiane: i sapori della cucina casalinga», ha affermato Giorgio Santambrogio, Amministratore Delegato di Gruppo VéGé.
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