E-commerce, il mercato non è europeo: 4 siti su 10 applicano il geoblocco

Il geoblocco è comunemente praticato nell’e-commerce in tutti i Paesi dell’Unione Europea, impedendo ai consumatori di acquistare beni di consumo e di accedere a contenuti digitali online nei Paesi diversi dal proprio: lo rileva un’indagine antitrust nel settore del commercio elettronico avviata nel maggio 2015 dalla Commissione europea, e tuttora in corso. Si pensava che l’e-commerce fosse un modo per abbattere le frontiere ma in realtà così non è stato: le risposte inviate da oltre 1.400 dettaglianti e fornitori di contenuti digitali dei 28 Stati membri ai responsabili dell’indagine dimostrano che nell’UE i geoblocchi sono comuni e diffusi: il 38% dei dettaglianti che vendono beni di consumo (abbigliamento, calzature, articoli sportivi e apparecchi elettronici) e il 68% dei fornitori di contenuti digitali hanno affermato di applicare i geoblocchi nei confronti dei consumatori che si trovano in altri Stati membri dell’UE.

Riguardo alla vendita di prodotti, il geoblocco assume in genere la forma di un rifiuto di consegna all’estero. Ci sono però anche casi di rifiuto di accettare sistemi di pagamento esteri e, in misura minore, casi di ridirezionamento verso altri siti e di blocco dell’accesso al sito. La maggioranza dei geoblocchi deriva da decisioni commerciali unilaterali dei dettaglianti, ma il 12% di questi ultimi afferma di essere soggetto a restrizioni contrattuali alla vendita oltreconfine per almeno una delle categorie di prodotti offerti.

Per quanto concerne i contenuti digitali online, il geoblocco viene applicato dopo avere analizzato l’indirizzo IP (Internet Protocol) dell’utente, che permette di identificare e localizzare il computer o lo smartphone. Il 59% dei fornitori di contenuti digitali che ha risposto ha precisato che sono i fornitori a monte che impongono per contratto l’uso dei geoblocchi. Per quanto riguarda la diffusione dei geoblocchi, esistono notevoli differenze, che dipendono dalle categorie dei contenuti digitali e dagli Stati membri dell’UE. I risultati dell’indagine però, basati su risposte delle aziende avvenute su partecipazione volontaria, non possono essere considerati statisticamente rappresentativi rispetto al complesso dei mercati del commercio elettronico dell’Ue.

Queste e le altre informazioni raccolte dalla Commissione sono volte ad individuare eventuali problemi di concorrenza, ma integreranno anche le altre azioni della Commissione nel quadro della Strategia per il mercato unico digitale per affrontare il problema degli ostacoli che intralciano il commercio elettronico transfrontaliero.

Spiega Margrethe Vestager, commissaria europea responsabile della politica di concorrenza: «Le informazioni raccolte grazie alla nostra indagine settoriale sul commercio elettronico hanno confermato gli indizi che ci hanno spinto ad avviare l’indagine: non solo la pratica dei geoblocchi impedisce spesso ai consumatori europei di acquistare prodotti o contenuti digitali online in altri paesi dell’UE, ma esistono casi in cui tale pratica è il risultato di restrizioni previste dagli accordi tra fornitori e distributori. Il fatto che un’impresa che non occupa una posizione dominante decida unilateralmente di non vendere all’estero esula dal campo di applicazione del diritto della concorrenza. Tuttavia, se la pratica del geoblocco viene adottata in virtù degli accordi, dobbiamo verificare se non siano all’opera comportamenti anticoncorrenziali, cui si può porre rimedio utilizzando gli strumenti di cui l’Unione europea dispone in materia di concorrenza».