Deregulation no grazie? Sei italiani su 10 bocciano le aperture nei giorni di festa

Porte aperte degli esercizi commerciali nei giorni di festa (e il primo maggio è una delle più controverse): sì o no? Come la pensano gli italiani? A questa domanda risponde un Sondaggio Confesercenti SWG sulle liberalizzazioni del commercio.  Dal quale emerge come lo shopping nei giorni di festa non convinca affatto gli italiani: il 59% si dice favorevole a introdurre una limitazione delle aperture delle attività commerciali almeno in occasione delle principali celebrazioni nazionali: Natale, Capodanno, Pasqua, 25 aprile e, appunto, 1^ maggio, giornata in cui solo 2 intervistati su 10 progettano di fare acquisti.

La liberalizzazione delle aperture delle attività commerciali, introdotta dal governo Monti a partire dall’1 gennaio 2012, prevede la possibilità di rimanere aperti sempre, anche a Pasqua e Natale. Obiettivo dichiarato del provvedimento, l’aumento delle occasioni d’acquisto per i consumatori e il conseguente impulso a consumi ed occupazioni.

Ad oggi, in media, un consumatore approfitta delle liberalizzazioni 10 giorni l’anno, ma sono 60 le giornate rese disponibili dalla deregulation, tra domeniche e feste comandate. Non solo: Lo spostamento dello shopping dai giorni feriali a quelli festivi non ha prodotto lo sperato aumento degli acquisti: nel 2017 le vendite del commercio al dettaglio sono ancora inferiori di oltre 5 miliardi di euro rispetto ai livelli del 2011, ultimo anno prima della liberalizzazione.

 

Gdo (e online) pigliatutto, soffrono gli indipendenti

Anche l’effetto sull’occupazione è stato nullo: se è vero che nella Gdo sono state assunte circa 30mila persone, il provvedimento è stata una catastrofe per i negozi indipendenti. Che, a partire dal fattore lavoro, non sono stati in grado di competere con le aperture 24 ore su 24, sette giorni su sette, praticate dalla grande distribuzione. E sono stati costretti a chiudere: secondo le stime Confesercenti, dal 2012 ad oggi l’aumento di competizione innescato dalla deregulation ha portato alla cessazione di almeno 90mila piccoli negozi.

La deregulation ha di fatto spostato ulteriori quote di mercato verso la grande distribuzione, l’unica in grado di stare aperta 365 giorni l’anno, a scapito dei piccoli esercizi, che dal 2011 hanno visto travasare circa 7 miliardi di euro di vendite nella Gdo. Il tutto in un contesto già messo sotto pressione dalla concorrenza del commercio online al retail tradizionale: tra il 2011 ed il 2017 il fatturato dell’e-commerce è infatti cresciuto di 3,7 miliardi. In media, i consumatori acquistano cinque volte l’anno via web.

 

La proposta di legge: aprire solo se necessario

Per riportare una situazione di equilibrio concorrenziale nella distribuzione commerciale, Confesercenti ha presentato nel 2013 una proposta di legge di iniziativa popolare per un regime di aperture in base alle necessità reali dei territori, riportando la decisione ai sindaci in accordo con le associazioni. È chiaro che lì dove c’è bisogno, come nelle mete turistiche, è necessario che le attività commerciali siano aperte. Ma dove non c’è bisogno, la deregulation si è trasformata in un obbligo competitivo che ha favorito i grandi e schiacciato lavoratori e piccoli imprenditori.

“La nostra è una proposta equilibrata – sottolinea Confesercenti – che ha già raccolto il favore di alcune forze politiche. Il testo è alla Camera e adesso, con il nuovo Parlamento, è tornato in cima alla lista delle leggi che aspettano il prossimo esecutivo: deve solo essere trasformato in legge”.

NOTA METODOLOGICA
Tema del sondaggio: soggetto realizzatore: SWG Spa Committente e acquirente: Confesercenti Nazionale
Data di esecuzione: 16-18 aprile 2018 Metodologia di rilevazione: sondaggio online CAWI su un campione casuale probabilistico stratificato e di tipo panel ruotato di 1000 soggetti maggiorenni, distribuito su tutto il territorio nazionale. Il campione intervistato online è estratto dal panel proprietario SWG. Tutti i parametri sono uniformati ai più recenti dati forniti dall’ISTAT. I dati sono stati ponderati al fine di garantire la rappresentatività rispetto ai parametri di sesso, età e macro area di residenza. Margine d’errore massimo: ± 3,0%