Coop a Expo: le parole del cibo del futuro tra timori e aspettative

Coop Expo

Nella grande vetrina-luna park di Expo, lo sforzo maggiore di chi espone è quello di riportare l’attenzione sui contenuti. E non v’è dubbio che Coop con la sua presenza costituisce un laboratorio – insieme ad altre organizzazioni – che cerca di interrogarsi propio sul futuro del cibi e del pianeta. Non è un futuro immediato, è traslato al 2050, ma è un futuro che ci riguarda tutti e soprattutto riguarda le giovani generazioni.

Così Coop si interroga sul cibo del futuro e lo fa non solo con la sua presenza istituzionale, ma attraverso una ricerca commissionata a Doxa in 8 Paesi del mondo esemplificativi di situazioni diverse.

La ricerca si articola sul presente e sul futuro. E il presente è caratterizzati da un proprio stile alimentare, come dichiara quasi la metà del campione (il 45%), ma è sulla via della globalizzazione. Le differenze nell’approccio al cibo iniziano fin dalla preparazione del pasto, a cui si dedica in media 1,3 ore al giorno, ma con valori nettamente più alti per Paesi come il Brasile, l’India e la Russia. Gli italiani non sono da meno e si distaccano in questo dai vicini europei, analogamente si mostrano meno attratti dal take away e dal consumare cibo fuori casa. Per Italia, Cina e India prevale una dieta varia con utilizzo di carboidrati, di frutta e verdura, mentre il consumo di carne si concentra sui Paesi anglosassoni, ma anche in Cina e Brasile.

Emergono anche stili alimentari alternativi e in qualche modo trasnazionali.

I Foodies (cibo  tipico e di qualità) sono il 13% ma occupano posizioni di rilevo anche la dieta ipocalorica (10%), il credo salutista (10%), vegano (8%) o biologico (8%). Solo una minima parte del Pianeta sembra restia alla contaminazione, se è vero che appena il 22% del campione dichiara di non mangiare mai cibo etnico e quasi un quarto afferma invece di consumarlo spesso. Il 90% di tedeschi e inglesi dichiara infatti di mangiare etnico spesso o qualche volta, i più diffidenti sono i brasiliani e gli italiani.

Il cibo domani: cadono i tabù

Nell’infografica che sintetizza i risultati della rierca si colgono gli aspetti più interessanti.

Presentazione standard di PowerPoint

«Vi è un certo ottimismo dichiarato dagli intervistati – afferma Albino Russo, Responsabile Ufficio Studi Ancc-Coop – ma vi è una netta consapevolezza del cambiamento del cibo tra trent’anni, sia perché le tecnologie faranno la differenza, sia a causa dei cambiamenti climatici. dell’inquinamento e dell’aumento della popolazione». Questi fattori di cambiamento, nella percezione del campione intervistato, impatteranno significativamente soprattutto sulla naturalità del cibo (64%) sulla sua qualità e sicurezza (62%), sulla stessa tipologia di alimenti (60%). Proprio l’attesa di tali forti cambiamenti induce specifici timori sulla manipolazione degli alimenti che mangeremo (60%) e sugli effetti indotti dall’inquinamento ambientale (53%). In alcuni Paesi prevalgono al contrario i timori di un innalzamento del costo del cibo (Usa 57% Brasile 61%), un cibo meno democratico e solo per pochi, e del rischio di una futura scarsità alimentare (Brasile 63%). Il 72% del campione mostra infine piena consapevolezza sulla diffusione del cibo ogm.

Peraltro a livello mondiale i consumatori intervistati non prevedono una riduzione delle quantità consumate (solo in Uk e Germania si pronostica una riduzione nella frequenza di consumo di carne) mentre la dieta sembra spostarsi su una maggiore varietà con maggior ricorso a carboidrati, frutta e verdura.

Che cosa ci sarà Nel piatto del futuro? Cadono molti tabù. Troveremo Ogm (il 72% del campione mostra piena consapevolezza sulla loro diffusione), molte pillole (75%) e carne sintetica (60%), non mancheranno insetti e alghe comunque cibi dalle proprietà nutrizionali bilanciate. I più eclettici e aperti al cambiamento del gusto gli indiani, i cinesi e i brasiliani, ma anche un 70% di italiani potrebbe provare il cibo in pillole e il 44% dei nostri connazionali non si tirerebbe indietro nemmeno davanti a un insetto. A fronte di ciò, per tutti prevale comunque la paura sulla possibile manipolazione del cibo (il 60%) e il timore per un pianeta sempre meno controllabile o sull’orlo del precipizio ambientale (53%). Il 43% indica invece come la sua paura più grande sia un cibo troppo costoso.

«Vi è una consapevolezza trasversale del fatto che il rapporto con il cibo cambierà e una disponibilità  e apertura anche a provare ciò che non appartiene alla propria tradizione alimentare – afferma il presidente di Coop Italia Marco Pedroni – nonché una forte tendenza verso il cibo per la salute, per il vivere bene. È un campo di lavoro che ci deve vedere impegnati verso un cibo più salutistico mantenendo però le caratteristiche di gusto, di tradizione, di convivialità. Certo sono forti le paure per la scarsità, le possibili manipolazioni, ma anche per una minore democraticità, che significa contraffazioni, truffe alimentari. La domanda che ci poniamo è se vogliamo un cibo buono, sicuro e accessibile per tutti o se si sceglie di segmentare tra chi ha accesso a questo tipo di cibo e chi invece è destinato a uno più standardizzato e globalizzato.

Ma dalla domanda che abbiamo posto su come si immaginano i consumatori il luogo dove fare la spesa ricaviamo delle indicazioni precise. vVogliono avere  elementi per sapere di più su che cosa mangiano. E non si tratta di una generica rassicurazione, che le marche e le insegne perseguono, ma informazioni sui processi di coltivazione e allevamento, che cosa c’è dietro e dentro i prodotti. Il nostro Supermercato del futuro a Expo è un esempio in questa direzione».