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Mare Aperto Foods lancia il tonno “Basso in Sale”

Per chi desidera portare in tavola benessere e gusto, Mare Aperto Foodssocietà genovese che fa capo al Gruppo Jealsa – propone il nuovo tonno “Basso in Sale”.

Con questa nuova referenza, dunque, l’azienda risponde alle esigenze del consumatore, sempre più attento ad inserire nella propria dieta quotidiana prodotti che favoriscano un’alimentazione corretta. Si è infatti constatato come nel 2020, il 17% degli italiani abbia acquistato prodotti salutistici in più rispetto al 2019 e il 66% ha continuato a consumarli anche dopo il lockdown. Anche l’acquisto dei prodotti “senza” – quindi in assenza di specifici ingredienti – è aumentato dal 41% al 48% da luglio a dicembre 2020*.

Da qui il lancio di un tonno a tasso ridotto di sale, il 75% in meno rispetto a 100g (peso netto e sgocciolato) di tonno in olio di oliva Mare Aperto 80 g classico. È dimostrato, infatti, che la maggior parte delle persone consumi in media circa il doppio del livello massimo di assunzione di sale raccomandato (5g), tanto che gli stati membri dell’OMS hanno stabilito come obiettivo la riduzione dell’assunzione di sale da parte della popolazione mondiale del 30% entro il 2025.**

“Il tonno in scatola è un alimento molto versatile in cucina e vanta un profilo nutritivo di tutto rispetto: le sue carni sono ricche di proteine pregiate, che contengono tutti quegli aminoacidi essenziali necessari all’organismo per crescere e ricambiare i tessuti. È buono anche il suo contenuto di sali minerali, soprattutto di ferro e di fosforo.” commenta la Dott.ssa Martina Donegani, Biologa nutrizionista, web contributor e consulente alimentare.

Basso in Sale è realizzato con tonno appartenente a specie non sovrasfruttate, pescato con metodi sostenibili e certificato Friend of the Sea (FOS), che garantisce l’origine sostenibile dei prodotti ittici. Al tonno viene aggiunto olio extravergine biologico, in linea con i principi dell’azienda in termini di sostenibilità e impegno reale verso l’ambiente.

“A differenza di quello che spesso si crede, le carni del tonno in scatola sono estremamente magre.  Per questo è preferibile consumare tonno conservato in olio extravergine d’oliva, meglio ancora se biologico come in questo caso: il suo utilizzo, infatti, comporta l’aumento di lipidi di ottima qualità, che forniscono una quota importante di sostanze antiossidanti, come i tocoferoli e i polifenoli. Anche il basso contenuto di sale è un plus fondamentale: optare per il tonno in scatola con un quantitativo di sale ridotto è un’opzione da privilegiare. Ridurre l’apporto di sale, infatti, è particolarmente importante perché l’eccesso di sodio favorisce l’ipertensione, causa primaria di infarto e ictus, oltre che di malattie cronico-degenerative, quali i tumori dello stomaco, osteoporosi e malattie renali” – conclude la dott.ssa Donegani.

Come per tutte le altre referenze di Mare Aperto, anche su Basso in Sale è presente il sistema di apertura facilitata, inoltre anche per questa referenza il packaging è completamente riciclabile, e segue l’approccio clean label ovvero trasparenza in ogni dettaglio informativo, tanto che tutti gli ingredienti sono riportati sul fronte della confezione e il cartoncino di tutti i cluster è certificato da FSC (Forest Stewardship Council) come proveniente da boschi gestiti responsabilmente.

 

*Fonte: IRI Ricerca abitudini alimentari Post Covid-19 Unione Italiana Food

**Fonte: Piano d’Azione globale 2013-2020 dell’Oms per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili (“Global action plan for the prevention and control of NCDs 2013-2020”).

 

Le merendine fatturano 1.088 milioni di euro. L’analisi di Iri

Per colazione o come pausa dolce, agli italiani le merendine piacciono. Ma quali performance hanno avuto durante la pandemia? Ce lo racconta un’analisi di IRI.

Insieme a Biscotti, Fette Biscottate, Cereali per la Prima Colazione, Torte Pronte, Pasticceria e Wafer, le Merendine compongono, il comparto dei Prodotti da Forno e Cereali, che rappresenta quasi il 6% del fatturato del Largo Consumo Confezionato (LCC), in lieve flessione nell’ultimo anno rispetto ai precedenti. La pandemia da Covid-19 e le variate abitudini degli Italiani nell’ultimo anno hanno infatti portato ad una crescita complessiva di questi prodotti, seppur inferiore a quella del Largo Consumo nel suo complesso: se l’LCC ha registrato un trend di fatturato per gli ultimi 12 mesi a marzo 2021 pari a +6,1%, i Prodotti da Forno si sono fermati ad un +1,3% (sul perimetro di ipermercati, supermercati, negozi a libero servizio piccolo e discount). Le Merendine sono riuscite a chiudere il periodo con uno spunto lievemente superiore, pari al +2,0%, realizzando il 26,9% del fatturato del comparto.

Andamento della categoria

La categoria delle Merendine ha realizzato nell’ultimo anno a marzo 2021 un fatturato di 1.088 milioni di euro nella Distribuzione Moderna (ipermercati + supermercati + libero servizio piccolo + discount) in crescita del +2%; anche i volumi sono stati positivi e pari al +1,6%. Come tutte le categorie del Largo Consumo, anche le Merendine sono state impattate dalla pandemia: ad una crescita delle vendite del mese di marzo 2020 (+4,4% a valore), comune a molte categorie per effetto dei comportamenti dei consumatori che hanno acquistato molti prodotti in ottica di “scorta”, hanno fatto seguito i mesi della primavera/estate con fatturato negativo, per riprendere poi a crescere con tassi importanti a partire da settembre, ovvero dalla seconda fase di restrizioni. Oltre la metà delle vendite complessive delle Merendine sono state realizzate dal canale dei supermercati (56% del valore e 52% dei volumi), ma la crescita del mercato è trainata dai discount che hanno superato nell’ultimo anno un quinto del fatturato complessivo e un quarto dei volumi con trend in crescita quasi a doppia cifra. Il libero servizio piccolo e soprattutto gli ipermercati chiudono invece il periodo in terreno negativo, come successo per molte altre categorie del Largo Consumo. L’assortimento medio delle Merendine è ampio: settimanalmente sono presenti quasi 100 referenze in un supermercato medio, che salgono a 150 in un ipermercato ma scendono a 36 in un discount, in cui gli assortimenti sono sempre molto più «asciutti». L’offerta di prodotti così variegata è frutto delle diverse tipologie di Merendine, che permettono di segmentare la categoria da più punti di vista: in primis per forma, andando dai trancini ai croissant, dalle crostatine ai plum cake, solo per citarne alcune, fino ad arrivare a prodotti più innovativi come i pancakes. I trancini sono il tipo di prodotto più importante in termini di peso, dal momento che sviluppano un terzo del fatturato complessivo della categoria, seguiti dai croissant, con oltre ¼ del fatturato; la tipologia più dinamica è però quella dei plum cake, che aumentano il proprio peso anno dopo anno, seguiti dalle crostatine. Le Merendine si differenziano anche tra semplici, ricoperte (spesso con cioccolato) e farcite con creme e marmellate di gusti vari, che permettono ai produttori di innovare e soddisfare così i gusti di un numero maggiore di consumatori. Ancora, è possibile identificare alcuni segmenti del mercato, più o meno dinamici e ampi, che offrono alternative ai consumatori con prodotti biologici, senza glutine o con farina integrale.

I primi due sono nicchie di mercato, che sviluppano ognuno circa l’1% del fatturato complessivo, in calo nell’ultimo anno, frutto delle strategie dei produttori, che di volta in volta presentano sul mercato nuovi prodotti. Le Merendine integrali sviluppano invece oltre il 6% del fatturato complessivo e, anche in questo caso, il loro peso sull’intera categoria varia in funzione dei nuovi prodotti, che spesso arricchiscono l’offerta integrale con altri ingredienti più o meno golosi: crema alla nocciola, marmellata ai frutti rossi, miele, cioccolato. I consumatori sono infatti sempre più alla ricerca, non solo in questa categoria, di prodotti “salutistici” ma che strizzino anche l’occhio al gusto.

Prezzi e promozioni

All’interno del comparto dei Prodotti da Forno e Cereali, la categoria delle Merendine ha, insieme ai Cereali, un posizionamento premium tra i prodotti consumati per la Prima Colazione: il prezzo medio al chilo di pari a 6,45€ (anno terminante a marzo21, iper+super+LSP), in linea con i Cereali (6,49€) e decisamente più elevato di Biscotti e Fette Biscottate, che si posizionano intorno i 4€; questi prezzi non tengono in considerazione le Merendine senza glutine, che raggiungono quasi i 14€/kg. Le Merendine sono anche la categoria più promozionata tra i Prodotti da Forno (oltre 1/3 dei volumi sono venduti in taglio prezzo), seguite a breve distanza dai Biscotti e con maggior distacco da Fette Biscottate e Cereali (meno del 30%). La pressione promozionale è però in progressivo calo; risulta infatti essere inferiore di 3 punti rispetto allo scorso anno e di quasi 7 rispetto all’anno terminante a marzo 2017. Un discorso a parte deve essere fatto per i discount, che hanno notoriamente prezzi più bassi e promozioni più contenute: con un prezzo medio al chilo di 4,69€, il risparmio per le Merendine acquistate in questo canale è pari a quasi il 30% rispetto alla Distribuzione Moderna “classica”. Al contempo le attività di taglio prezzo sono inferiori e si attestano nell’ultimo anno ad un 22% dei volumi complessivi.

Innovazione

Come già anticipato, l’innovazione di prodotto nelle Merendine è importante e permette ai produttori di soddisfare le nuove richieste dei consumatori: negli anni solari 2019 e 2020 i nuovi lanci (intesi come nuovi EAN immessi sul mercato) hanno sviluppato un fatturato che si attesa tra il 3 e il 4% delle vendite complessive della categoria, in crescita rispetto ai lanci del 2018 (1,4% del fatturato) ma inferiore a quelli del 2017, che avevano superato il 5%. L’innovazione di prodotto delle Merendine è soprattutto estensione di gamma: si differenzia l’offerta grazie a nuove farciture golose (crema alla nocciola, latte e cacao, crema pasticcera…), nuovi gusti di confettura (molto apprezzati negli ultimi anni i frutti rossi, che sono stati utilizzati per parecchi lanci, ma anche farciture più particolari come mix di zucca-carotaarancia, per fare un esempio), farina integrale o nuovi ingredienti nell’impasto, dalle classiche gocce di cioccolato ai più innovativi mix di pere e cioccolato o mele. Non mancano, anche se in misura minore, le nuove brand che arricchiscono i classici ingredienti delle Merendine con crema al limone piuttosto che yogurt greco o farina di riso. Ancora una volta, l’innovazione permette di soddisfare le richieste dei consumatori che cercano prodotti buoni, in linea con le tendenze “salutistiche” ormai radicate, ma comunque sempre golosi.

Il canale online

Per quanto attiene alle Merendine, il canale on-line pesa solo l’1,2% del fatturato complessivo (anno terminante a marzo 2021, totale iper + super + libero servizio piccolo + discount + generalisti Online) ma questo peso è più che raddoppiato rispetto ai 12 mesi precedenti. La sua crescita ha infatti contribuito per oltre il 20% alla crescita del fatturato complessivo della categoria.

Piatti pronti: la sfida è cominciata. L’analisi di Iri

Il 2020 ha portato con sé uno stravolgimento delle abitudini di consumo. I comparti del Food, nello specifico, hanno beneficiato dello spostamento dei consumi dal fuori casa verso un consumo più casalingo. Nel suo complesso, l’Alimentare Confezionato – nelle diverse componenti ambient, fresco e freddo – ha mostrato un incremento a valore pari al +8.5% (Totale Italia, incluso il Discount), attestandosi come il secondo comparto per dinamicità di tutto il Largo Consumo Confezionato. Di pari passo con l’aumento dei consumi in casa, nel 2020 anche il Food Delivery si è rivelato un settore particolarmente vivace: come riportato da un’analisi di GfK Sinottica in riferimento ai mesi di marzo e aprile 2020 (periodo del picco della pandemia), il mondo del Food Delivery ha raggiunto tassi di crescita del +70% e secondo le stime dell’osservatorio e-commerce del Politecnico di Milano, l’anno scorso il settore della consegna del cibo a casa ha generato un fatturato pari a oltre 706 milioni di euro, con una crescita complessiva pari al +19% rispetto al 2019.

Al contrario, con l’arrivo della pandemia, il mondo dell’Out of Home – in costante crescita fino al 2019 – è stato messo inevitabilmente a dura prova. In questo contesto, il mondo dei Piatti Pronti ha visto nascere una nuova ed inaspettata sfida, concretizzatasi nel venir meno delle occasioni di consumo “on the go”, che molti di questi prodotti, soprattutto quelli freschi, hanno l’obiettivo di soddisfare. In riferimento al 2020 è quindi importante analizzare il piatto pronto nella sua accezione più ampia, includendo anche le tecnologie ambient e frozen, che completano l’offerta insieme ai freschi.

Il mercato dei piatti pronti

Il servizio dedicato al monitoraggio dei mercati del Largo Consumo, IRI Liquid Data, evidenzia che la dimensione del mercato dei Piatti Pronti – che include le tipologie Fresche, Surgelate ed Ambient – supera i 1.5 miliardi di euro (Anno Terminante Febbraio 2021 – Totale Italia + Discount) con una crescita del +7.2% a valore e del +3.6% a volume. In base al canale distributivo considerato le performance di questi prodotti presentano alcune differenze: l’Ipermercato conferma la sua difficoltà anche in questo frangente e resta in territorio negativo (-1.2% a valore) insieme al Libero Servizio Piccolo (-5.4% a valore). In entrambi i canali l’assortimento è in riduzione; fenomeno evidente soprattutto nell’Ipermercato, che perde oltre 17 referenze medie a scaffale, attestandosi complessivamente su un’offerta di circa 400 referenze. Al contrario, la dinamicità dei Piatti Pronti è visibile soprattutto nei Supermercati, che segnano un +8.3% (Anno Terminante a febbraio 2021) e nei Discount, che risultano essere il canale più performante anche grazie ad un assortimento in crescita, in controtendenza rispetto agli altri canali (+4.7 referenze medie).

La componente Fresca è quella che ha un peso maggiore e rappresenta oltre il 63% del fatturato totale con un incremento del +7.8% rispetto all’anno terminante a febbraio 2020. Il mondo dei Surgelati vale circa un quarto dell’intero mercato ed è il segmento più dinamico, sfiorando una positività del +9%; mentre la componente Ambient – che pesa poco più del 14% – si conferma come la meno performante tra le tre componenti che costituiscono il mercato dei Piatti Pronti. Il confronto con le dinamiche del 2018 e del 2019 rivela come, ancora una volta, il 2020 abbia portato una rottura con il passato: negli scorsi anni infatti i Piatti Pronti Freschi raggiungevano tassi di crescita vicini alla doppia cifra e la loro componente di servizio e praticità costituiva uno dei principali driver di acquisto per i consumatori. Nel 2020, pur restando in territorio positivo, i Freschi hanno quasi dimezzato la crescita a favore delle altre tecnologie, in particolar modo del Surgelato. Le motivazioni sono presto chiare se si pensa agli accaparramenti già ampiamente analizzati nei primi mesi di Lockdown e alla generale tendenza degli shopper a fare maggiori scorte per ridurre le visite ai punti di vendita.

Primi piatti vs secondi piatti

Negli ultimi anni, abbiamo visto maturare il fenomeno legato ai Primi Piatti Pronti, nel quale il comparto del Fresco si è imposto in modo preponderante con un’abbondanza di offerta legata a zuppe, paste da forno ed insalate pronte. Oggi il primo Piatto “Chilled”, che rappresenta il 15% del totale Piatti Pronti, vale circa 240 milioni di euro ed è la tipologia che segna il passo peggiore con oltre 9 milioni di fatturato persi negli ultimi 12 mesi (Anno Terminante febbraio 2021 – Totale Italia + Discount). Insalate di riso e zuppe sono i principali driver di questo rallentamento: si tratta di un chiaro effetto del venir meno di buona parte delle occasioni di consumo a cui si rivolgono e della marginale importanza che ha assunto nel corso del 2020 la funzione di praticità e servizio che questa tipologia di prodotti svolge intrinsecamente. Al contrario, i Primi Piatti Ambient mostrano buone performance, ma solo grazie al segmento Etnico (+17.8% a valore) che raggiunge un fatturato ormai prossimo ai 30 milioni di euro, confermando che sempre più gli italiani apprezzano anche la cucina estera.

L’offerta dei Secondi Piatti invece, sviluppa complessivamente oltre 733 milioni di euro e cresce a doppia cifra sia nel Freddo che nel Fresco. In entrambi i comparti, il pesce è la proteina che guida questi importanti trend: da un lato troviamo le preparazioni ricettate surgelate che raggiungono i 98 milioni di Euro (+18.7% verso i 12 mesi precedenti), dall’altro il principale driver positivo del comparto è il Sushi, con oltre 150 milioni di euro di fatturato e una crescita percentuale che sfiora il +28% a totale Italia. In crescita sostenuta anche i Secondi piatti Ricomposti (+11% a valore), grazie principalmente agli Hamburger di Prosciutto Cotto. Infine, torna in terreno positivo anche il segmento dei Piatti Pronti Freschi Vegetariani, che a partire dalla seconda metà del 2017 aveva ha segnato un forte rallentamento, sfociato a partire dall’anno seguente in un’importante razionalizzazione dell’offerta. Oggi l’assortimento medio di un punto di vendita è composto da circa 15 referenze (Totale Italia + Discount), numero che fa tornare lo scaffale ai livelli del 2016 e determina un calo di oltre il 20% rispetto ai due anni seguenti. Nell’Anno terminante a Febbraio 2021 la componente “veg” all’interno dei Secondi Piatti Pronti Freschi fattura 86 milioni di € e arriva a pesare quasi il 6% del fatturato dei Piatti Pronti nel loro complesso. La crescita negli ultimi 12 mesi è superiore al 15% ed è trasversale a tutte le tipologie di prodotto, compreso il Burger – la categoria con più referenze – che aveva mostrato i segni più evidenti di crisi e saturazione dell’offerta. La chiave vincente, in questo segmento giovane e in continua evoluzione, è stata l’innovazione che ha saputo indirizzarsi in modo più mirato verso un’esperienza di gusto, slegando definitivamente in concetto di «Veggie» da quello di dieta e privazione.

Così cambia la cosmetica: lo studio di Up Marketing e Marketers

Il lockdown ha colpito anche qui: il comparto della cura del corpo. Il risultato? Oggi ai trattamenti lunghi e protratti nel tempo (come per esempio il dimagrimento o l’epilazione laser) si preferiscono quelli rapidi, orientati al relax e all’estetica di base (cerette ed epilazione). A dirlo il report italiano realizzato sul tema dall’agenzia di marketing Up Marketing e il network di imprenditori digitali Marketers.

Ma procediamo con ordine, per scoprire l’evoluzione di questo mercato nell’anno della pandemia.

Per comprenderne bene l’andamento è giusto partire dal fatturato del mercato della bellezza in Italia nel 2019: parliamo di 7 miliardi di euro, divisi in saloni di bellezza (circa 35.000 su tutti il nostro territorio) e parrucchieri, che hanno fatturato in totale oltre 771 milioni di euro.

Nel 2020 la debacle, testimoniata da una contrazione dei consumi del -9,3% e anche del fatturato complessivo (-11,6%).

Pandemia ed e-commerce

Stando al Rapporto, nei primi sei mesi del 2020, si sono registrati grandi perdite per un valore complessivo di oltre 4 miliardi di euro. Nel dettaglio: il mondo dell’estetica ha avuto una perdita del -47% (pari a 63 milioni di euro), così come il settore dell’acconciatura che ha altresì avuto una perdita del -47% (pari a 157 milioni di euro). Ancora: erboristeria (-40% per un totale di 134 milioni), profumeria (-38,5% per un totale di 520 milioni) e anche le vendite dirette hanno subito una perdita del -35% pari a 155 milioni.

Forte calo, dunque per i canali tradizionali, a fronte di un vero e proprio boom dell’e-commerce i cui volumi sono quasi quadruplicati nei primi 6 mesi del 2020: da gennaio a giugno 2020 il mercato dell’online ha registrato un +38,8%, unico incremento positivo dei consumi nel settore.

La crescita degli e-consumer durante il lockdown ha generato 2 milioni di euro. Gli acquisti online degli italiani sembrano orientati verso prodotti per l’igiene e la cura della persona (44%), un’occasione perfetta per tutti i centri estetici che vogliono implementare i propri negozi online per la vendita diretta di prodotti.

“Il successo dell’e-commerce riscontrato nel corso del 2020 non è però da interpretare come un invito, per chi ha un centro estetico, ad aprire un e-commerce inteso nel senso più tradizionale – spiega Tony Balbi, CEO e co-fondatore di Up Marketing – Infatti la gestione di un e-commerce (il che include anche la sua promozione, senza la quale il portale non potrebbe ottenere vendite) si configura come un’attività a parte rispetto a quella di un centro  estetico e, nella maggior parte dei casi, non è compatibile, sia per fattori economici che logistici.”

Presenza online in pandemia

Ma in cosa è consistita, durante il lockdown la presenza online dei centri estetici) Quale ruolo hanno svolto? Quali le iniziative di maggior successo?

Il report ha evidenziato come le soluzioni di vendita online che in piena pandemia sono piaciute di più sono attribuibili a vendite online ristrette, ovvero vendite da parte di centri estetici direttamente alla propria clientela. L’idea vincente è stata quella di agevolare l’acquisto di prodotti da parte delle clienti attraverso canali come Whatsapp, gruppi Facebook o una vetrina su Instagram o Facebook Shop, così da mantenere un filo diretto con loro. 

Molto apprezzata anche l’idea di creare dei format di contenuto in cui i centri estetici, tramite degli interventi in diretta sui propri canali social, parlano di uno specifico problema (ad esempio, legato alla cura della pelle o alla beauty routine per il corpo) con figure autorevoli, proponendo trattamenti specifici a un gruppo privato, da fare a casa in totale sicurezza.

Post covid: il profilo dei nuovi consumi

Cinque prospettive: tante le angolature da cui Luca Pellegrini, presidente di TradeLab, guarda alla ripresa dei consumi in un auspicabile scenario post covid.

“Sul fronte delle attività lavorative, ricominceremo a consumare fuori casa, quando torneremo a lavorare in presenza – esordisce- . Ma dobbiamo essere consapevoli del fatto che lo smart working è ormai entrato a far parte della nostra vista e non verrà cancellato con un colpo di spugna”. Ergo: si ridurranno i lunch bar, si consoliderà il delivery, cresceranno i bar di quartiere.

In ottica di attività ricreativa, con l’apertura di palestre, piscine, teatri, musei, cinema e aree dello shopping, i consumi riprenderanno, certamente, “ma ci sarà la necessità di integrarli alle attività ricreative giocando su due requisiti: semplicità e prezzi contenuti”.

In ottica turistica due le osservazioni: se da una parte la riduzione della componente business (che in molti casi farà ricorso agli strumenti digitali) si farà sentire (in quanto più ricca del turismo leisure), dall’altra “potrà esserci una ripresa interessante del turismo enogastronomico, fortemente legato ai prodotti del territorio e molto apprezzato dai turisti”.

Sul fronte delle attività sociali (incontri, festeggiamenti, ricorrenze), i consumi fuori casa dovranno trovare una formulazione più appetibile, “magari pensando a format su misura, spazi adeguati e flessibili, prezzi ragionevoli”.

L’ultima prospettiva è quella della digitalizzazione, prepotentemente affermatasi in questi mesi: la ripresa dei consumi non potrà ignorarla. “Sarà infatti la digitalizzazione lo strumento principe nella ricerca dei locali, nella loro valutazione, nella proposizione dei menu e dell’offerta, nella gestione dei pagamenti e nell’introduzione del delivery”.

Così l’Italia Covid- free ricomincerà a consumare

Parliamo di uno dei settori più fortemente penalizzati dalla pandemia: il fuori casa, infatti, che nel 2019 ha raggiunto gli 85,3 miliardi a valore, nell’annus horibilis del 2020 è sceso a 53,6 miliardi, con una perdita secca del 37%.

Tuttavia, secondo le stime proposte da Bruna Boroni di TradeLab, i presupposti per sperare in una ripresa rapida, una volta usciti dal tunnel pandemico e dai timori ad esso correlati, ci sono tutti.

Basti pensare che tra luglio e settembre 2020 quando la foga virale si era pressoché placata, i consumi erano tornati a salire (8 miliardi ad agosto, 6 a settembre). Fino a quel momento, dunque, a fermare gli italiani, erano stati i divieti: la voglia di uscire, consumare e socializzare non si era sopita…

Con la ripresa dei freddi e i nuovi Dpcm, ecco un nuovo rallentamento, più penalizzante per le occasioni serali a causa del coprifuoco. I momenti di consumo diurni hanno invece tenuto duro: altro segnale di come – quando consentito- gli italiani non hanno mai rinunciato al fuori casa.

Il profilo del nuovo consumatore

“Le rilevazioni – spiega Boroni – fanno presupporre che a ritornare prima ai consumi pre-covid saranno gli uomini. Già adesso infatti i consumi “maschili” valgono circa il 4-5% in più e nel bimestre ottobre novembre hanno addirittura toccato il 60% dei consumi totali”. Non è un mistero, infatti, che le donne hanno accusato maggiormente il colpo della pandemia, anche a livello psicologico.

Sul fronte anagrafico, sarà la fascia dei 45-50enni quella che tornerà prima (e lo sta già dimostrando) ai consumi di un tempo. Infine, a livello geografico le aree più resilienti si sono dimostrate quelle del Sud.

“E questo si spiega con il fatto che al Meridione le occasioni di consumo diurno sono più diffuse. Mentre a Nord Ovest e a Nord Est, rispettivamente, sono stati penalizzati i consumi business e quelli turistici”.

Il messaggio, dunque è chiaro: gli italiani non rinunciano ai consumi fuori casa, ma si adattano (e questo succederà anche nel prossimo futuro) alle occasioni che vengono loro concesse.

Anche secondo Bain&Co., gli italiani si stanno adattando alla situazione, ma lo scenario di un’Italia Covid-free in cui i consumi riprenderanno, non è fantascienza: basti guardare all’Australia dove – bloccati ingressi e uscite e pressocché sgominati i contagi– la popolazione ha ripreso a consumare: come dimostra il fatto che i consumi di dicembre 2020 hanno quasi pareggiato quelli del 2019…

Fronteggiare i timori

Naturalmente la paura non passerà sic et simpliciter: il 68% del campione di TradeLab ammette infatti che il timore dei contagi frenerà le uscite. Serve quindi garantire il distanziamento. Concorda su questo anche Lorenzo Farina, titolare del Duke’s: “Nel post Covid chi avrà spazi avrà più probabilità di riprendere velocemente a lavorare”. Naturalmente, però, c’è un caveat: il maggior distanziamento fa perdere capacità ricettiva al locale. Bisogna tenerlo presente.

2020: anno d’oro per la Birra in GDO. L’analisi di IRI

Un 2020 positivo per il Largo Consumo Confezionato (+6,5% in volume e +7,6% in valore, considerando i canali Iper + Super + Libero Servizio Piccolo + Specialisti Casa e Persona + Discount), soprattutto grazie al contributo dei reparti Food e Home Care.

Discount e Specializzati Casa e Persona, sono stati i formati più performanti (a volume rispettivamente +10,3% e del +9,1%).

Mentre sul fronte prezzi si è registrato un calo generalizzato della pressione promozionale che si attesta al 24,8% (-2,3 punti rispetto al 2019) e un conseguente aumento dei prezzi medi (+1,1%).

In contrazione anche la profondità degli assortimenti, con la sola eccezione del Discount. Infine, come abbiamo più volte evidenziato, il 2020 ha assistito a un vero e proprio boom dell’e-commerce, che ha chiuso l’anno con un trend a valore pari a +119%.

Covid e bevande

In questo contesto, si registra un ottimo andamento per le Bevande nel canale Brick&Mortar (+4,4% a volume e +5% in fatturato).

La crescita è stata guidata dal mondo degli Alcolici con un contributo estremamente positivo da parte di tutte le categorie (incrementi in volume: Vino +5,6%, Spumanti +6,7%, Spirits +6,5% e Aperitivi +23,8%).

Un clima più rigido rispetto all’anno precedente ha invece influito negativamente sui volumi sviluppati dalle Bevande Analcoliche: in calo le Bevande Piatte -4,6% (Tea, Isotoniche, Acque aromatizzate), mentre restano in terreno positivo l’Acqua +1,9% (lo spostamento su formati più grandi a discapito dei formati da consumo fuori casa riduce il prezzo medio della categoria), i Succhi e i Nettari +1,4%, le Bevande Gassate +2,7% e soprattutto gli Energy Drink +10,8%.

Il mercato della birra

In quest’ambito, nel 2020 le vendite hanno superato per la prima volta il fatturato di 2 miliardi di euro (Totale Italia incluso Discount), consolidando anche in questo difficile anno la sempre maggiore centralità della categoria all’interno del comparto del Largo Consumo Confezionato.

Ancora una volta i risultati di fatturato (+10,7%) sono migliori rispetto al trend dei volumi, che restano comunque estremamente positivi (+9,0%). Questo dato è influenzato in particolar modo dalla diminuzione dell’attività promozionale che, seppure molto alta (49,8%), scende rispetto all’anno precedente (-2,6 punti).

Questa performance si spiega essenzialmente con lo spostamento dei consumi dal mercato del fuori casa, verso un consumo casalingo.

La razionalizzazione dello scaffale

Il fenomeno, attribuibile ai problemi logistici durante il periodo di lockdown ha coinvolto anche il mercato della Birra. Il segmento più colpito è stato quello delle Speciali che hanno registrato un calo di 10 referenze medie a scaffale a marzo e ad aprile; tuttavia il segmento ha continuato a mostrare una certa dinamicità (+18,9% a valore). La realtà delle Birre Speciali è ormai consolidata: a valore è infatti il secondo segmento del mercato con una quota del 18,9%.

Anche le Standard crescono molto velocemente (+9,5%), mentre le Birre Sophistication, che hanno un prezzo/litro leggermente superiore alle Birre Standard, mostrano dei trend positivi ma a tassi più contenuti (+5,9%). In crescita anche gli altri segmenti: Saving +7,1%, Beer Mix +3,9% e Analcoliche Light +4,9%.

In questo contesto, il Discount sta crescendo a tassi quasi doppi rispetto agli altri canali (+15,7% a volume), mostrando una spiccata vivacità sia a parità di rete che in termini di nuove aperture di punti di vendita.

Va sottolineato inoltre che tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 gli assortimenti medi a scaffale sono tornati in territorio positivo: un fattore che potrà sicuramente giovare al trend di tutta la categoria della Birra.

In linea con l’intero comparto del Largo Consumo Confezionato, anche per la categoria della Birra, l’innovazione è stata sostanzialmente azzerata nel 2020 e rimandata al 2021.

Le principali dinamiche del mercato

 

Anno 2020

Euro (mio)Var.
%
Quota Val.EttolitriVar.
%
Quota Vol.% Vol. PromoVar. P.ti
Birra2.05010,7100,011.048.0549,0100,049,8-2,6
Standard7599,537,04.670.9378,242,354,7-3,1
Sophistication3925,919,12.018.8815,318,360,1-2,7
Special Beer56818,927,71.814.03219,616,438,8-2,7
Saving2617,112,72.139.5806,519,420,53,6
Beer Mix393,91,9222.1155,02,025,1-5,8
Analc. + Light304,91,5182.50911,01,718,6-4,8

 Fonte: IRI InfoScan Census – Tot Italia + Discount (Dati Promo: Ita Iper+Super+LSP>100mq) – 2020

Promozione e comunicazione

Le difficoltà logistiche dovute al lockdown hanno causato un calo promozionale che si è verificato in tutti i segmenti ad eccezione delle Birre Saving: Standard -3,1 punti, Sophistication -2,7 punti Special Beer -2,7 punti, Beer Mix -5,8 punti e Analcoliche Light -4,8 punti.

Contemporaneamente anche la profondità di sconto e l’efficacia delle promozioni sono calate notevolmente e molte attività all’interno dei punti di vendita, come doppie esposizioni e/o teatralizzazioni che avevano caratterizzato le scorse stagioni, non sono state implementate durante il 2020.

Emerge, invece, un trend dei volumi molto positivo per il segmento delle Birre Analcoliche Light con l’obiettivo strategico di allargare le occasioni di consumo della categoria per incrementare il consumo pro-capite. La ricerca sulla qualità del prodotto delle Birre non alcoliche e una maggiore visibilità all’interno del Punto di Vendita sono alcune delle strategie volte a far crescere i consumi.

In questo scenario la comunicazione con gli strumenti canonici, ma anche attraverso lo sfruttamento delle piattaforme digitali sempre più popolari, continua ad avere un ruolo centrale.

Horeca e Cash&Carry: la situazione

A partire dal primo lockdown il mondo del Fuori Casa è stato e continua ad essere uno dei settori più penalizzati dalla crisi pandemica.

Il servizio di misurazione IRI Grossisti Bevande, evidenzia infatti come le vendite di questi prodotti, in crescita negli ultimi anni nel Canale dei Grossisti specializzati (Fonte: IRI Grossisti Bevande che monitora le Partecipate ed i Consorzi), chiudono il 2020 con un andamento dei volumi pari a -31,4%; il calo è generalizzato e non risparmia nessuna categoria. La Birra, che sviluppa il 37% del fatturato e che è considerata la categoria più rilevante, registra un -35,4% in termini di volumi e un -35,8% in termini di ricavi.

Differente la dinamica di sviluppo dei Cash&Carry che presumibilmente si riposizionano cambiando l’offerta, diversificandola dall’Horeca, in modo da allargare la propria clientela. In questo canale il comparto delle Bevande chiude il 2020 con un -0,9% in volume e un -13,3% in valore. Il gap è spiegato dal consistente aumento del peso dell’Acqua Minerale (la categoria meno costosa), a discapito delle altre categorie. Oltre all’Acqua solo gli Aperitivi Alcolici registrano un aumento delle vendite, mentre le altre categorie sono tutte in contrazione. La Birra rimane stabile in volume (-0,1%) ma perde in fatturato (-2,3%). Il calo del prezzo medio, a fronte di una pressione promozionale in contrazione, è dovuto al differente mix: cresce la fascia Mainstream a discapito delle marche Premium; aumenta la quota del vetro nel formato da 66cl e cala quella del formato da 33cl.

Bio: crescono i consumi durante il lockdown. Bene anche il Km0

Frutta e verdura bio: crescono i  consumi durante la pandemia e per il 60% dei responsabili acquisti l’origine 100% italiana acquisirà ulteriore centralità nelle scelte scelta di frutta e verdura. Ne è conferma l’elevata importanza attribuita ai prodotti ortofrutticoli a km zero o del territorio (45%). Anche la ricerca di adeguate garanzie di controllo e rintracciabilità lungo la filiera genera interesse (45%). Tra gli altri valori determinanti, ci sono i prodotti biologici (34%) e salutistici (32%), con un occhio anche alla sostenibilità, grazie alle confezioni in materiali riciclabili o ecosostenibili (30%).

Questi i primi dati di Organic F&V Monitor, l’Osservatorio – promosso da AssoBio e Alleanza Cooperative Italiane e curato da Nomisma – che nasce nell’Anno Internazionale della frutta e della verdura promosso dall’ONU.

Durante il lockdown,  infatti, i consumatori sono andati alla ricerca di prodotti naturali, biologici, con etichette chiare, a conferma di una tendenza di crescita già in atto.

Rispetto agli altri paesi dell’Unione Europea, l’Italia è il Paese in cui la propensione al consumo di frutta è più elevata. Nel complesso, l’81% della popolazione in Italia assume almeno una porzione di frutta o verdura al giorno, ma il primato riguarda anche le quantità, oltre che la frequenza. Nel 2020, secondo le elaborazioni di Nomisma, il consumo pro capite annuo (at home + away from home) di ortofrutta fresca in Italia è stato di 160 kg, di gran lunga superiore rispetto a quello di molti paesi europei come la Germania (che si ferma a 109 kg) o il Regno Unito (101 kg). 

Nell’anno della pandemia una famiglia su quattro ha acquistato ortofrutta online dai siti della grande distribuzione, con una domanda potenziale ancora maggiore e non soddisfatta a causa di una forte intensità delle richieste (durante il lockdown il 16% ha provato a effettuare un ordine senza successo). Per l’ortofrutta il canale on line non si esaurisce con la GDO: un ulteriore 15% ha acquistato da siti di produttori o mercati agricoli on line.

Fonte: Nomisma su Osservatorio The World After Lockdown

Bio in GdO 

Le vendite di ortofrutta veicolate dalla distribuzione moderna evidenziano un incremento nell’anno della pandemia: +9,1% a volume rispetto al 2019 (fonte: Nielsen, perimetro confezionato a peso imposto) e +8% a valore (oltre 4,5 miliardi di euro).

L’ortofrutta è da sempre la categoria elettiva del consumatore interessato al bio a cui afferisce il maggior giro d’affari del segmento: 208 milioni di euro le vendite a peso imposto realizzate nella distribuzione moderna nel 2020 – divisi quasi perfettamente a metà tra frutta (48%) e verdura (52%). Vendite che hanno registrato un balzo del +8% a valore rispetto all’anno precedente – crescita quasi doppia rispetto all’intero paniere bio (+4,5 a valore rispetto al 2019). Libero servizio piccolo (LSP) e discount registrano le performance più brillanti (+9 e +28% rispettivamente).

Ma ci sono ulteriori potenzialità di mercato visto il crescente interesse del consumatore, le vendite bio sul totale dell’ortofrutta pesano ancora solo il 4,6% sul totale (5,6% nella categoria frutta e 3,9% nella verdura).

Il progetto Organic F&V Monitor 

Nel costruire le prospettive e quindi le politiche strategiche del mondo ortofrutta bio, però, occorre monitorare anche tutti gli altri canali, dedicando particolare attenzione ai consumi nell’away from home, oltre che ampliare il dettaglio per categoria nell’analisi del peso variabile. Per queste ragioni Nomisma e Assobio hanno deciso di proseguire le attività dell’Osservatorio Ortofrutta, inaugurato già nel 2018, che intende superare la carenza di informazioni in merito all’andamento vendite e al ruolo del comparto bio, nelle singole categorie di ortofrutta a peso imposto e peso variabile nei diversi canali.

In questo articolato contesto proseguono i lavori di F&V Organic Monitor – il progetto curato da Nomisma, promosso da AssoBio con il supporto di ACI (Alleanza Cooperative Italiane) – che ha l’obiettivo di:

  1. mappare le reali dimensioni delle vendite di ortofrutta in Italia, estendendo il monitoraggio anche al peso variabile sia per quanto riguarda i consumi domestici (distribuzione moderna, negozi specializzati in prodotti bio ed e-commerce) che quelli fuori casa (ristorazione commerciale e collettiva)
  2. individuare il reale ruolo del biologico sul totale delle vendite in Italia
  3. identificare il peso dei diversi canali di vendita
  4. valutare l’andamento delle vendite per categorie e varietà

Gli attori della filiera aderenti (produttori, retailer, operatori ristorazione, operatori e-commerce) saranno coinvolti nella raccolta dati, che verranno poi codificati e aggregati a disegnare un quadro d’insieme dell’Osservatorio.

“Il segnale che il consumatore italiano ci manda è inequivocabile – osserva Roberto Zanoni, Presidente di AssoBio – nell’anno del lockdown le scelte hanno premiato i prodotti biologici e biodinamici, la vendita di ortofrutta bio è cresciuta dell’8%. Riteniamo per questo che sia il momento opportuno per rilanciare l’attività dell’Osservatorio Organic F&V Monitor insieme a Nomisma, riconoscendo il giusto peso e dignità a ciascun canale di vendita, dallo sfuso al fuori casa, fino alla ristorazione collettiva, per fornire agli operatori uno strumento informativo completo, utile per supportare il loro sviluppo commerciale e strategico nel comparto”.

“Il progetto di ricerca rappresenta per l’intero comparto ortofrutticolo un’importante occasione di studio e di sviluppo futuro – commenta Andrea Bertoldi, Consigliere AssoBio. “I Numeri danno la misura della rilevanza commerciale, restituiscono la valenza della filiera e consentono di raccogliere le informazioni sugli aspetti produttivi e di vendita, in ottica di efficientamento e sostenibilità. La necessità degli operatori è quella di incrociare le esigenze della domanda di frutta e verdura con le inevitabili risposte dell’offerta produttiva e della filiera commerciale, così da elaborare un rapporto sulle tendenze e di mettere in atto le scelte migliori per il futuro”.

“Oggi solo il 19% degli italiani segue le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che prevedono l’assunzione di almeno 4 porzioni di frutta e verdura al giorno. Se a questo si aggiunge il fatto che il 46% degli over 18 anni è in sovrappeso o obeso, appare cruciale l’azione di sensibilizzazione del consumatore per consolidare sili di vita alimentari salutari” osserva Silvia Zucconi Responsabile Market Intelligence Nomisma. “Il contesto pandemico ha contribuito ad orientare le scelte dei consumatori verso prodotti espressione di valori quali salutismo, tracciabilità, garanzie di qualità. Avere dati che misurano e monitorano le dinamiche di mercato dell’ortofrutta diventa così – non solo uno strumento fondamentale per le imprese della filiera – ma anche contributo addizionale per supportare la definizione di policy di prevenzione e la promozione di campagne a sostegno della comunicazione degli attributi valoriali dell’ortofrutta e del biologico, proponendo iniziative concrete proprio nell’Anno Internazionale della frutta e della verdura”.

Green e ialuronico: ecco le nuove star del carrello

Green e biodegradabili: eco l’evoluzione dei prodotti per il cura casa. Mentre per il cura persona è boom di ialuronico. Queste le evidenze che emergono dall’ottava edizione dell’Osservatorio Immagino di Gs1 in collaborazione con Nielsen.

Cura persona

Se il claim più diffuso resta “dermatologicamente testato” (+1,9% del sell-out), nei prodotti per la cura della persona (oltre 18 mila quelli analizzati dall’Osservatorio Immagino) si mantiene alta la domanda di antiossidanti naturali e l’acido ialuronico continua ad essere l’ingrediente indicato in etichetta che fa registrare il maggior incremento delle vendite anche nell’anno mobile giugno 2019-giugno 2020 con un +11,6%, dopo il +16,6% dell’anno mobile precedente. A trainare il claim “ialuronico” l’espansione dell’offerta (+9,8%), in particolare nei prodotti per la cura e la pulizia del viso donna. In crescita anche i prodotti con il claim “biologico” (+5,1% di vendite dopo il +14,3% dell’anno precedente) per un valore di oltre 72 milioni di euro. Ad aumentare nella cosmesi bio sono soprattutto i disinfettanti, i saponi liquidi, le salviette per i bimbi, i dopo shampoo e i prodotti per la pulizia del viso donna.

Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2020

Trend negativi invece per i claim “prodotto in Italia” (-10,4%), “ipoallergenico” (-6,4%), “senza parabeni” (-8,4%), e anche per gli altri quattro claim, che rimandano a un ingrediente, analizzati dall’Osservatorio Immagino: “argan” (-0,6% dopo il +6,3% annuo a giugno 2019), “mandorla” (-0,4%),“karité” (-5,9%) e “avena” (-0,9% dopo il +11,8% dell’anno mobile precedente). A determinare queste flessioni è il calo dell’offerta a discapito di una domanda positiva.

Cura casa green

Fonte: Osservatorio Immagino GS1 Italy, ed. 2, 2020

Nel cura casa si fanno spazio i prodotti che indicano in etichetta il loro contributo alla sostenibilità ambientale. L’Osservatorio Immagino rileva che, nell’ultimo anno, questo paniere (quasi 11 mila prodotti) ha registrato un +22,2% del fatturato negli ipermercati e supermercati e +15,5% di offerta a scaffale, arrivando a comprendere quasi 900 prodotti per un giro d’affari di 191 milioni di euro.

Nella performance di vendita, in testa il claim “meno plastica” che registra un +34,5% del sell-out grazie soprattutto a detersivi per lavatrice e stoviglie e ammorbidenti, dopo il +27,2% dell’anno finito a giugno 2019. Positivo anche il push delle industrie con un incremento dell’offerta del +18,4%. Lo segue “biodegradabile” (+26,6% delle vendite) che è anche il più rappresentativo in termini di numero di prodotti a scaffale (3,9%) e di giro d’affari (oltre 93 milioni di euro), con un aumento dell’offerta di +18,0%. L’incremento del sell-out è legato all’acquisto di piatti e bicchieri usa e getta, sacchetti per la spazzatura e salviettine per la pulizia delle piccole superfici. Ancora un riferimento al packaging per il terzo claim più performante, “plastica riciclata”, il cui fatturato sale di +15,5% grazie, in particolare, a sacchetti per la spazzatura e detersivi per lavastoviglie

 

 

Digital experience: i consumatori vogliono di più. Lo studio VMware

Nonostante durante la pandemia le esperienze digitali dei consumatori si siano numericamente  moltiplicate, in termini di soddisfazione la risposta non è altrettanto entusiasmante: dalla ricerca “Digital Frontiers – The Heightened Customer Battleground” commissionata da VMware, infatti, emerge che solo il 38% dei consumatori in Italia ritiene che le aziende con cui entrano in contatto forniscano ora un’esperienza digitale migliore rispetto a prima della pandemia.

Gli ambiti più deludenti

Secondo la ricerca, in particolare i mercati del retail, healthcare e servizi finanziari in Italia non sono riusciti a fornire esperienze digitali all’avanguardia. Esperienze che potrebbero includere l’introduzione della realtà virtuale e della realtà aumentata per uno shopping più immersivo, l’ottimizzazione dei percorsi di consegna per migliorare la velocità e la tracciabilità delle consegne online dalla fabbrica a casa, o lo sviluppo di un maggiore livello di personalizzazione delle app in base alla posizione del consumatore e al suo comportamento d’acquisto. A questo risultato va da pendant, invece, la propensione dei consumatori, progressivamente sempre più proiettati verso la digitalizzazione: lo studio, infatti, evidenzia come l’83% degli intervistati si definisca “digitalmente curioso” o “esploratore digitale”, confermando un’alta propensione e ricettività verso il digitale.

Un monito per le aziende

I dati emersi dovrebbero rappresentare sia un avvertimento che un’opportunità per le aziende: il 52% dei consumatori afferma infatti che sarebbe pronto a passare alla concorrenza se la sua esperienza digitale non fosse all’altezza delle aspettative e solo l’8% rimarrebbe fedele. E il 60% abbandonerebbe un sito o una app nel caso non riuscisse a risolvere immediatamente un problema – sia attraverso un chatbot, una chat dal vivo o direttamente al telefono. Anche le scelte etiche di un’azienda pesano nella scelta dei consumatori: il 48% degli intervistati smetterebbe di acquistare prodotti di aziende che non condividono pubblicamente le proprie politiche etiche.

Matthew O’Neil, Industry Managing Director, Advanced Technology Group di VMware ha commentato: “Non c’è dubbio che lo sviluppo di nuove esperienze digitali sia stato fondamentale per la sopravvivenza di molte aziende negli ultimi 12 mesi. Tuttavia, mentre molte organizzazioni sono passate con successo al digitale, dalla nostra analisi emerge anche che molte non siano state in grado di offrire ai loro clienti nuove esperienze online. Le aziende che non riescono a concentrarsi sul miglioramento delle esperienze digitali rischiano di perdere clienti, mentre quelle che lo fanno bene hanno tutto da guadagnare”.

Le richieste dei consumatori

Le aspettative digitali dei consumatori non dovrebbero essere una grande sorpresa. Quello che cercano è:

  • Un elevato livello di sicurezza e protezione dei loro dati (60%)
  • Facilità d’uso su tutti i loro dispositivi (46%)
  • Applicazioni semplici ed efficaci (41%)
  • Maggiore velocità di servizio (30%)
  • Costante miglioramento dei servizi e alle esperienze offerti (28%)
  • Comportamenti impeccabili da parte dell’organizzazione (verso i propri dipendenti/società durante questo anno di cambiamento (22%).

Quanto agli strumenti utili al raggiungimento di questi obiettivi, i consumatori hanno larghe vedute: il 57% di essi accoglierebbe con favore un maggiore uso della realtà virtuale da parte dei rivenditori per capire meglio come i prodotti potrebbero apparire nelle loro case e il 38% considera il proprio smartphone il primo strumento per eseguire le transazioni finanziarie, percentuale che sale al 47% negli intervistati nella fascia di età 25-34 anni.

Ciò che è chiaro è che le organizzazioni non hanno margini per il fallimento. Nonostante il difficile contesto, solo il 34% dei consumatori oggi si sente più comprensivo e indulgente quando la prova di nuovi servizi digitali, volti a migliorare la customer experience, ha un esito negativo.

Alla luce di questa riflessione, Matthew O’Neil commenta: “Il 2020 è stato l’anno del digital switch. Nel 2021 i servizi digitali dovranno essere all’altezza delle aspettative dei consumatori. Questo significa creare, offrire e proteggere applicazioni, servizi ed esperienze per i consumatori affamati di digitale. E un passaggio dalla digitalizzazione al diventare digitale”.

Riassumendo, cosa abbiamo imparato e stiamo ancora imparando da questo stravolgimento della shopping experience? Come dovranno muoversi le aziende per restare al passo con la nuova domanda?

Ecco i 4 asset da cui, oggi, non si può prescindere:

  1. A fare la differenza nelle organizzazioni è ora la capacità di fornire applicazioni e servizi che migliorano l’esperienza dell’utente: questo è il nuovo campo di battaglia.
  2. Le organizzazioni non possono permettersi di mancare il bersaglio.
  3. La partita è tutta da giocare. E per accelerare ulteriormente il ritmo dell’innovazione, occorre semplificare il modo in cui le aziende affrontano questa grande opportunità.
  4. Digitalizzare non è più sufficiente. Si tratta di una vera trasformazione che mette le organizzazioni in una posizione privilegiata per sperimentare, innovare e sbloccare opportunità di crescita in questo nuovo ambiente

 

Metodologia

Questa ricerca è stata condotta tramite un sondaggio online, commissionato da VMware, su 6.109 consumatori in 5 Paesi: Regno Unito (2.069 intervistati), Francia (1.028), Germania (1.005), Italia (1.004) e Spagna (1.003). In questo sondaggio, ai consumatori è stato chiesto di valutare le loro esperienze digitali in cinque settori: vendita al dettaglio, sanità, servizi finanziari, istruzione e governo (locale e nazionale). YouGov ha condotto il sondaggio tra novembre 2020 e gennaio 2021

 

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