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Il boom degli e-coupon in Italia fa crescere gli acquisti online

Henning Kruthaup, CEO di SignorSconto.it (Sparheld International GmbH)

Di anno in anno si modificano le modalità attraverso cui i consumatori effettuano i propri acquisti. Ciò che sta cambiando è la facilità con cui si accede alle informazioni, disponibili in ogni luogo e per mezzo di ogni dispositivo. La multicanalità, infatti, è diventata parte integrante ed essenziale del commercio: il consumatore può disporre del canale online e di quello mobile così come del negozio fisico, che ha perso il monopolio che gli era proprio un tempo.

Ci sono però delle barriere che il canale “non tradizionale” sta cercando lentamente di superare. Una di queste è il cosiddetto effetto ROPO (Research Online, Purchase Offline), acronimo che esemplifica la tendenza sempre più diffusa di ricercare informazioni online, per poi effettuare l’acquisto finale in un negozio fisico (in Italia questa pratica è propria del 37% dei possibili acquirenti – Fonte: Forrester Research). Il fatto che si utilizzi il canale online come primo strumento per ottenere informazione e mirare ad un acquisto consapevole è sicuramente un dato molto positivo, ma obiettivo ancora da raggiungere – al fine di far sviluppare in Italia il canale e-commerce come nel resto d’Europa – è quello di conquistare la fiducia del cliente nei confronti dello strumento e studiare delle soluzioni ad hoc che possano portare a tale risultato.

È sicuramente essenziale costruire uno store online chiaro nei suoi contenuti, completo a livello informativo e dotato di un servizio di assistenza clienti sempre attivo. Un negozio che prediliga un massivo uso delle immagini dei prodotti che vende, piuttosto che fitte pagine di descrizioni; che sia dovizioso di dettagli che possano conquistare la fiducia del cliente, che rimandi a collegamenti social dove gli utenti possono esprimere opinioni e che disponga di una sua versione mobile.

L’avanzata di smartphone e tablet

In Italia, infatti, il mobile commerce è in continua ascesa come dimostrano i dati forniti dall’Osservatorio e-commerce del Politecnico di Milano e le misurazioni di SignorSconto.it: infatti ad accedere al portale via mobile a inizio anno era una percentuale pari al 10% dell’utenza totale, mentre già a Settembre tale numero era cresciuto di oltre 5 punti (15,63%) ed è tuttora in crescita.

Ciò che nel corso dell’ultimo anno ha realmente fatto la differenza, facendo avvicinare al mondo dell’e-commerce anche l’utente più “scettico” è stato il boom dei coupon digitali. Basta un dato a confermare tale tendenza: secondo Juniper Research, i coupon digitali sono stati utilizzati per 16 miliardi di volte nel corso dell’anno e nel 2017 si stima saranno utilizzati 31 miliardi di volte. Una crescita lampante, alla quale contribuisce la diffusione dei dispositivi mobili: infatti, il boom riscontrato nell’uso di tablet e smartphone ha fatto schizzare le percentuali di shopping online, dato  strettamente connesso al successo degli e-coupon.

Come rileva la eCoupon Consumer Survey realizzata da Kiwari, il 48% degli utenti italiani ammette di essere sensibile al prezzo finale e alle formule promozionali. Più nel dettaglio, il 61% dei consumatori dichiara di conoscere gli e-coupon e oltre 5 milioni di persone li ha utilizzati almeno una volta negli ultimi 12 mesi. In molti hanno fiutato il trend in costante crescita, infatti, sono sempre più numerose le aziende che scelgono il couponing per promuovere i propri prodotti, con un incremento degli investimenti dell’11% registrato nel 2013.

Analizzando il periodo compreso tra Gennaio e Settembre 2014, il portale SignorSconto.it ha registrato dati molto interessanti: infatti nel corso dei primi 9 mesi dell’anno gli utenti italiani hanno utilizzato oltre 20.000 e-coupon, con una media di 2.200 coupon al mese e con picchi che superano i 2.500 nei mesi di Gennaio e Luglio. Tali risultati fanno riflettere sull’utilizzo che si tende a fare di questi strumenti: la crescita nel mese di Gennaio infatti è giustificata dal fatto che un coupon serva a risparmiare e, dopo il periodo natalizio fatto di acquisti e regali, il mese successivo si cerca di ingegnarsi per contenere le spese; ma non è solo la questione economica a fornire la chiave di tale crescita. Il dato relativo all’exploit di luglio fa invece riflettere sul fatto che ormai il coupon copra a 360 gradi ogni settore merceologico ed il periodo subito precedente alle ferie di Agosto fa balzare la richiesta di coupon legati a viaggi last-minute e offerte turistiche.

Ad oggi, i coupon digitali permettono di fare più o meno tutto: acquistare un capo d’abbigliamento (il settore più richiesto dagli utenti di SignorSconto.it con una percentuale del 14%), regalarsi una cena speciale, viziarsi con un massaggio o concedersi le ultime novità hi-tech a prezzi scontati. Il successo degli e-coupon in Italia però è legato ad un vantaggio che coinvolge due differenti interlocutori: non solo l’utente finale, ma  anche le aziende, che possono così promuovere il proprio business e godere del passaparola degli utenti. E’, infatti, proprio il passaparola la chiave del successo di questo strumento, che permette di creare un’interazione multilaterale e sta, col tempo, abbattendo il sopracitato effetto ROPO, in quanto grazie agli e-coupon gli utenti stanno iniziando a cercare online e acquistare online.

di Henning Kruthaup, CEO di SignorSconto.it (Sparheld International GmbH)

SignorSconto.it fa parte di Sparheld International GmbH, un’azienda dinamica ed in costante crescita con sede a Berlino, fondata nel 2009 da Henning Kruthaup, attualmente presente con altrettante pagine internazionali in 7 paesi europei.

Waitrose rivela le tendenze del food

Si organizzano cene sempre più elaborate per gli amici, emulando gli chef delle trasmissioni TV: è uno dei trend individuati dal rapporto di Waitrose.

yhLa catena della grande distribuzione britannica Waitrose ogni anno, dopo aver analizzato i dati di milioni di vendite, online e in negozio, distilla le tendenze alimentari dei consumatori britannici. Tendenze locali, certo, ma che tendono a diventare sempre più globali (provate a fere l’esercizio di un confronto con i comportamenti degli italiani) e che sono pubblicate nel The Waitrose Food & Drink Report 2014.

Dal rapporto emerge un consumatore che, pur mantenendo l’attenzione ai costi tipica della recessione, abbraccia nuove tendenze che si affermano sempre più: la curiosità verso piatti stranieri, il “lusso rustico” (pane da lievito madre, formaggi di fossa e quant’altro), la tendenza a pubblicare foto e descrizioni di ciò che mangia sui social, il “vegetarianesimo flessibile”, l’hobby della cucina che gli fa organizzare cene con amici e parenti, specie nei fine settimana, e la mancanza di tempo cronica.

Di corsa in settimana, social, glocal e gourmet nel weekend

Web, mobile e social influenzano sempre più le nostre scelte alimentari: da quello che compriamo a come cuciniamo, a come comunichiamo di e sul cibo. Quest’anno le richieste dei clienti Waitrose via social hanno superato per la prima volta le richieste via mail.

Sempre più global. Cresce la curiosità verso i prodotti etnici e si sperimentano le novità come il katsu curry, ricetta mutuata dai ristoranti giapponesi

Sempre meno tempo per la spesa. Sempre di corsa, si preferisce comparare pochi articoli indispensabili nei supermercati di prossimità, cedendo magari alla tentazione dei prodottini gourmet da cucinare velocemente. Anche la colazione si mangia sempre più per strada (+10% di vendite)

Chef in tv, cuochi a casa. Il 40% dei clienti considera il fine settimana come  l’occasione per cucinare e incontrare famiglia e amici (da noi non è proprio una novità); i programmi tv tipo Master Chef ispirano sempre più persone a sperimentare in cucina

Salutismo anche a colazione. Per la prima volta le vendite di miele superano quelle di marmellata.

Aperol liquore dell’anno! Le vendite di Aperol secondo Waitrose sono aumentate dell’800% quest’anno, quelle di liquori al caffè del 15%. I cocktail (Espresso Martini e Spritz) provati al bar si ripropongono a casa nelle cene con amici

Vini, arrivano i “nuovi”. Non è solo più Sauvignon Blanc, tra le new entry la più di successo quest’anno è il Grüner Veltliner austriaco. I Mondiali di calcio brasiliani hanno trascinato le vendite di vini sudamericani (+50%).

Anna Muzio

Non solo prezzo per il consumatore food

Una ricerca dell’Università Bicocca di Milano e del Criet  (Centro di Ricerca Interuniversitario in Economia del Territorio) fotografa i comportamenti del consumatore food odierno e le sue relazioni con il distributore. Sono stati pubblicate le prime evidenze, che emergono da una serie di interviste con operatori nella distribuzione alimentare ed esperti in materia.

Un consumatore infedele all’insegna certo, ma anche capace di attivare comportamenti diversificati e scegliere canali diversi passando dalla GDO al discount, all’alternativa dei gruppi d’acquisto, mercati o produttori agricoli. Tutto ciò a fronte di una flessione generale nel consumo di food che va ad incidere sulla spesa mensile per il 14% (dati Eurostat, 2012). Si allarga la forbice tra le ampie fasce di persone che vanno alla ricerca di promozioni e offerte e che quindi sono sensibili alla leva prezzo e le nicchie di consumatori che si concentrano invece su scelte alimentari improntate alla qualità e alle nuove tendenze: biologico, eco sostenibile, filiera corta, biodinamico. Nicchie che però si allargano. Una recente analisi Coldiretti segnala ad esempio che sono 2,7 milioni gli italiani (18,6% degli popolazione, il 400 per cento in più dal 2008) che fanno la spesa in circa 2000 gruppi di acquisto: per ottenere condizioni vantaggiose, ma soprattutto per garantirsi la qualità della spesa.

 

Cinque tendenze per il food

Se il prezzo resta fondamentale per larghe fasce di clientela, il suo strapotere può essere mitigato da altri fattori. Nella relazioni consumatore-distributore la ricerca del Criet individua cinque tendenze da tenere sotto osservazione nei comportamento attuali e futuri:

1- Fedeltà del cliente: inutile sottolineare che nessun canale o insegna può ormai vantare l’esclusiva rispetto alle scelte di acquisto del consumatore. Se la leva prezzo è cruciale, non è tuttavia sufficiente a fidelizzare. Sembrano più importanti altri fattori: “alla qualità del prodotto si affiancano anche esigenze di relazione e di servizio che possono connotare e arricchire il prodotto stesso e l’insegna che lo propone. Anche il punto vendita diventa un luogo di scambio, in cui strategie di marketing esperienziale, tematismi, ma anche attivazione di personale preparato e disponibile possono qualificare lo shopping del consumatore”.

2- Category management. Il troppo stroppia, potremmo dire. Il consumatore sembra non gradire la ridondanza nell’offerta ma chiede piuttosto una selezione e razionalizzazione degli spazi e delle referenze che eviti l’omologazione tra insegne. Il consumatore d’oggi richiede semplicità e ottimizzazione dei tempi (di spesa, di scelta).

3- Rapporti di filiera. Sono in evoluzione. Si rafforza la presenza sul mercato di canali distributivi alternativi (es. Slow Food, Eataly, Mercati della terra, Campagna Amica) caratterizzati da un approccio più improntato alla relazione con il consumatore e alla selettività di prodotti, metodi produttivi e modalità di commercializzazione (e-commerce, Gas, “orto in affitto”, farmer’s market). Aumentano poi le “collaborazioni orizzontali”: reti spesso informali tra produttori agricoli e caseari o tra piccoli negozianti, che nascono per contrastare la GDO.

4- Competitività dei canali distributivi. Secondo gli operatori intervistati, anche se la leva prezzo influenza le strategie di penetrazione del mercato, non ci sarebbe competizione diretta tra GDO e discount e tra GDO e canali alternativi (es. Slow Food, Eataly, ecc.). Tuttavia, vista la contrazione a valore e a volume del venduto e la costante crescita delle nicchie di consumo (biologico, biodinamico, sostenibile, filiera corta), “la GDO dovrà osservare con attenzione i canali alternativi al proprio”. Si rileva inoltre “una progressiva sovrapposizione nell’offerta, così come nei servizi proposti tra GDO e discount (fresco, private label vs. prodotti a marchio conosciuto) che dimostrano quanto spesso i vari format si contendano i medesimi clienti”.

5- Tre sfide per il marketing: in questa situazione liquida e in costante evoluzione anche il marketing mix deve giocoforza evolvere ed adeguarsi alle nuove esigenze. Innanzitutto recependo non solo gli elementi “hard” dell’offerta (prodotto, prezzo), ma anche quelli “soft” (relazione, servizio, informazione, esperienza). Il marketing mix sarà inoltre diversificato a seconda del format distributivo. I prodotti del territorio ad esempio, elemento di valorizzazione del prodotto ortofrutta, devono essere proposti diversamente in un iper, un supermarket, un mercato generale o presso il produttore. Infine, sarà necessario identificare gli elementi differenzianti dell’insegna e realmente riconosciuti come tali dalla domanda in modo da poter comunicare, oltre al prezzo e alla promozione, i reali vantaggi e benefici che il distributore sa garantire al consumatore e che sono da ricondursi anche a dimensioni “soft” dell’offerta.

Fonte: ricerca Food marketing: un’analisi sulla relazione tra distributore e consumatore
Fonte: ricerca Food marketing: un’analisi sulla relazione tra distributore e consumatore

 

Nella foto, il reparto salumeria del pdv Crai a Oliena

Click and pick, un canale dalle grandi potenzialità

Un punto di raccolta in uno spot che pubblicizza il servizio Auchan Drive

Giovane (età media 39 anni), con almeno un figlio, un buon lavoro e un alto livello di istruzione: è l’identikit dell’utilizzatore di click and pick delineato da una ricerca effettuata dalla Direction Générale des Entreprises (DGE) del ministero dell’Economia francese. punti di raccolta Sembra proprio che l’accoppiata spesa online-ritiro fisico con auto nel punto vendita piaccia sempre di più ai francesi: nel 2013 hanno utilizzato questo servizio in due milioni in 2100 “punti di raccolta” situati nel raggio medio di 11 minuti d’auto, per un giro d’affari di tre miliardi di euro. Con tre diverse modalità: il “drive in” in cui la spesa viene direttamente caricata in macchina, il ritiro all’interno del pdv o in un’area esterna riservata.

Clienti del click and pick divisi per tipo di occupazione
Clienti del click and pick divisi per tipo di occupazione

Che di avanguardia si tratti è facile capirlo: basta guardare i dati (che però nonostante siano stati resi pubblici recentemente riguardano un’indagine dell’autunno 2013). Alto tasso di istruzione, occupazione fissa e ben remunerata, famiglia con bambini, età media sotto i quaranta. Non giovanissimi e quindi economicamente solidi, ma sicuramente dotati di tutta la tecnologia del caso, smartphone tablet e, immaginiamo, da Natale anche lo smartwatch, sono persone impegnate a rendere la propria vita più organizzata e ottenere più tempo libero.   Uomini e donne, universi paralleli Le ricerche ormai lo hanno provato: uomini e donne fanno la spesa in modo totalmente diverso. Non stupisce quindi che anche per quanto riguarda il click and pick le motivazioni di utilizzo differiscano (quantomeno quelle citate come prevalenti). Gli uomini, per tradizione grandi “recuperatori” di pacchi e anche nel pdv dediti a raid di spesa toccata a fuga, usano il click and pick per recuperare velocemente spese pesanti in orari più comodi. Per contro le donne che sono la maggioranza (60%), più attente al budget famigliare, sottolineano le promozioni e i prezzi più bassi dell’acquisto online, ma anche la comodità di fare acquisti a tutte le ore, comodamente e senza affanni, tenendo d’occhio i costi. Per tutti la ragione più importante resta però il risparmio di tempo, indubitabile e indispensabile per lavoratori full time con figli a carico.   Cosa (e quanto) si compra

Frequenza di acquisto in click and pick di varie categorie merceologiche
Frequenza di acquisto in click and pick di varie categorie merceologiche

In realtà la spesa media, che dovrebbe essere più bassa in assenza di acquisti d’impulso, ha invece un importo maggiore: 95 Euro contro i 50/60 Euro della media di spesa “fisica” in ipermercati o ipermercati, con un numero di articoli doppio: 40 contro 20. Ma cosa si trova nei sacchetti (o nel carrello virtuale) il cliente click and pick? Sempre almeno un prodotto alimentare, e nel 70% dei casi anche almeno un non alimentare. In prima fila ci sono naturalmente gli articoli pesanti e ingombranti (acqua, latte, birra, succhi) e i prodotti confezionati, dolci e salati. Tra i freschi sono privilegiati i latticini e le uova. Per alcuni prodotti come i surgelati, invece, ci si rivolge ancora ai canali tradizionali.   Un canale complementare

Frequenza della spesa in modalità clik and pick
Frequenza della spesa in modalità clik and pick

È certo che questa modalità è riservata appunto a parte della spesa, anche per il numero ancora esiguo di pdv che la offrono e anche per la gamma di prodotti non esaustiva: solo il 2% degli intervistati la utilizza come modalità esclusiva di acquisto, mentre il 72% ne fa riferimento per la metà delle spese mensili. Il 30% effettua il resto della spesa ai supermercati e il 44% negli ipermercati. Siamo agli inizi, certo, ma data la situazione win-win (per il retailer che frena l’emorragia di clienti “smart” e altospendenti per il consumatore che risparmia tempo e denaro) tutto fa pensare che sarà una modalità sempre più usata in futuro. E l’Italia? Anna Muzio

Travel Retail e nuovi viaggiatori al convegno Popai

Si è parlato molto, e bene, di Travel Retail al convegno tenutosi appropriatamente nella sala reale di Stazione Centrale, organizzato da Popai.

Tanti e interessanti gli spunti emersi, a partire dal come la definizione augériana, di non-luoghi stia in realtà stretta ad aeroporti e stazioni odierne, che, proprio grazie ai retailer, hanno perso la connotazione di anonimi luoghi di passaggio per diventare veri e propri poli commerciali aperti anche, nel caso delle stazioni, sulla città e il quartiere che li ospita.

I relatori del convegno Popai: da sinistra Stefano Mereu, Paolo Deponti, Tomaso de Abbondi, Gennaro Bruno, il moderatore Andrea Aiello e Remo Lucchi.
I relatori del convegno Popai: da sinistra Stefano Mereu, Paolo Deponti, Tomaso de Abbondi, Gennaro Bruno, il moderatore Andrea Aiello e Remo Lucchi.

Sono spazi in continuo divenire che vengono man mano attualizzati per creare un ambiente sempre più accogliente ed esperienziale per il viaggiatore-consumatore. In questo senso va letto il completo restyling in atto al Terminal 1 di Malpensa di cui ha parlato Tomaso de Abbondi di Sea. Il progetto che utilizza spazi aperti, illuminazione studiate e dettagli di design prevede una Luxury Court (aperta a maggio), una Food Court che dovrebbe partire a fine anno e un Duty Free da 2000 mq che debutterà per EXPO. A Milano Centrale si prevede una ulteriore apertura di spazi commerciali sulla città, per una lunghezza di 1,5 chilometri, come ha spiegato Stefano Mereu di Grandi Stazioni, che ha presentato il nuovo viaggiatore dell’alta velocità: informato, connesso, con capacità (e voglia, se gli viene data l’occasione) di spendere. Largo quindi ai siti e alle app con le informazioni sulle opportunità commerciali in loco.

Estremamente positive le case histories riportate dai due retailer intervenuti. Paolo Deponti di MAC Cosmetics ha sottolineato come, in un periodo critico per molti commercianti, il travel retail stia crescendo e si stia imponendo come il luogo dove fare acquisti. E sono interessanti le opportunità per il settore beauty e del make-up in particolare per chi sappia offrire non solo prodotti, ma soprattutto servizi (il trucco espresso ad esempio).

Gennaro Bruno di Celio dal canto suo ha riportato i successi ottenuti dalla catena di abbigliamento francese in questi luoghi di passaggio, dopo avere però studiato il format e le sue peculiarità, che comprendono tempi brevissimi per la decisione di acquisto e assortimenti diversi da quelli dei negozi cittadini.

Insomma gli spazi cambiano e si evolvono per seguire (rincorrere?) il viaggiatore-consumatore profondamente cambiato. Ne ha parlato Remo Lucchi di Gfk Eurisko, che ha spiegato come si sia operato negli ultimi anni un ribaltamento di ruoli nel rapporto tra domanda e offerta, con le aziende che si trovano oggi a dover entrare in relazione e conquistare un consumatore sempre più colto, con senso critico e una visione etica della vita.

Nuovi spazi e opportunità quindi si aprono ai retailer che sapranno interpretare i desideri dei nuovi viaggiatori in termini di risparmio di tempo, necessità tecnologiche ma anche anticipazione dei desideri e accoglienza delle nuove attese di benessere: nel food come nel non food.

 

Anna Muzio

Un commento dal World Retail Congress

Crosscanalità, centralità del punto vendita, vicinanza al cliente. Questi i tre insegnamenti principali ricavati dal World Retail Congress, l’evento annuale che si è svolto dal 29 settembre al 1 0ttobre a Parigi e che ha richiamato oltre 1200 delegati provenienti da tutto il mondo. Ne parla con inStore Fabrizio Valente, consulente, fondatore e partner di Kiki Lab e unico membro italiano di Ebeltoft Group. Kiki Lab presenta gli highlights del WRC e un Ki-Best, viaggio virtuale in alcune esperienze più interessanti del retail, il 28 ottobre a Brescia e il 12 novembre a Milano.

Condizioni di ingresso agevolate e alcuni inviti disponibili per i lettori di inStore.

e-commerce: più obblighi per chi vende, più garanzie per chi acquista

L’e-commerce in Italia ha cambiato le proprie regole dopo il deciso invito contenuto nella direttiva comunitaria 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, che ha costretto tutti i paesi della UE ad allinearsi a nuove norme e disposizioni.

La conseguente entrata in vigore delle nuove regole sono state salutate lo scorso 14 giugno 2014 con felicità dalle associazioni dei consumatori, mentre hanno creato qualche malumore tra le fila di alcuni operatori, che ritengono di aver subito un torto nelle loro possibilità di proposta commerciale.

L’area di applicazione è molto vasta e l’e-commerce rientra all’interno di tutte le attività che prevedono la stipula di contratti a distanza: non solo online ma anche via telefono e quelli negoziati e conclusi fuori dai locali commerciali, come nel caso delle vendite porta a porta o nel corso di un viaggio promozionale.

In primis il consumatore viene tutelato con l’obbligo per il venditore o di chi propone un contratto di fornire informazioni dettagliate prima della firma del contratto, sia sulla propria identità, sul bene o servizio offerto, ma anche sulla modalità di negoziazione e sull’esecuzione del contratto. Aumenta la responsabilità del venditore anche sui danneggiamenti delle merci durante il processo di consegna e soprattutto cambiano i termini per il diritto di recesso: da 10 a 14 giorni, senza l’obbligo di dover fornire alcuna motivazione per il recesso o la restituzione.

A maggior garanzia degli acquirenti, inoltre, il rimborso deve avvenire conteggiando i giorni a partire dalla dichiarazione di avvenuta restituzione da parte del consumatore finale: si può quindi creare un a situazione in cui il merchant debba rimborsare anche senza aver ancora ricevuto la merce.

Questo uno dei punti maggiormente contestati, assieme alle obiezioni di chi vende dei servizi aggiuntivi, quali ad esempio assicurazioni di viaggio su biglietti, a cui è stato vietato di “suggerire” con campi già preselezionati opzioni di vendita.

Call center di assistenza e modalità di pagamento infine dovranno avere delle tariffe standard, o comunque non superiori a determinate soglie.

Il quadro che va a dipingersi è quindi quello di un canale e di modalità di vendita rivoluzionate e lascia ben sperare per il futuro.

Il mancato sviluppo di questo mercato in Italia, rispetto a quanto avvenuto in altri paesi, infatti, si può spiegare sia per la ritrosia all’utilizzo di strumenti di e-commerce, ma anche e soprattutto a causa di regole incerte e vere e proprie truffe che hanno scoraggiato nel tempo le persone ad avventurarsi verso “affari” conclusi a distanza.

Nonostante ciò, negli ultimi 2 anni i consumatori italiani che hanno fatto almeno un acquisto online sono passati da 9 a 16 milioni.

La grande debolezza del settore comunque riguarda soprattutto le aziende italiane che vendono online oltre frontiera e che rappresentano solo il 4% del totale, ma che grazie alle nuove normative potranno entrare con più decisione in un mercato che già oggi vale 14 miliardi di euro.

È del tutto evidente quindi che la fiducia tra consumatori ed aziende passi anche attraverso regole chiare e condivise che consentano ad entrambe le parti di far decollare un business rilevante nell’era moderna, che altrove sta aiutando non solo la ripresa, ma anche lo sviluppo di nuove professionalità e di interi settori di business.

di Diego Martone (Demia)

Osservatorio Consumatori. I comportamenti del dopo-crisi

L’ Osservatorio Consumatori 2014 di Sign-M&T  analizza ogni anno i comportamento di acquisto degli italiani, i canali di approvvigionamento, la soddisfazione rispetto alle insegne della distribuzione moderna.

Nei quattro anni passati, Osservatorio Consumatori ha fotografato degli shopper intimoriti dalla crisi economica, con minori poteri di acquisto e ormai disillusi da spinte consumistiche che fanno acquistare cose inutili e che non danno gratificazione. Le edizioni più recenti ponevano l’accento su una Italia a due velocità: i sempre più poveri (più anziani, più giovani, famiglie) e coloro per i quali poco era cambiato. L’immagine dipinta oggi ricompone invece un quadro più ottimistico.

Da un lato persistono tipologie di consumatori ancora legati al risparmio promozionale (cherry pickers puri) oppure alla ricerca della massima convenienza (complessivamente sono il 27,5%): si tratta delle frange più deboli della popolazione da un punto di vista economico. Sono tendenzialmente consumatori di età elevata o medio elevata, di bassa cultura, che ricercano le occasioni di risparmio con il volantino in mano presso gli ipermercati (i cherry pickers) oppure presso i discount di quartiere. Un’altra fascia della popolazione manifesta un atteggiamento veramente dicotomico.

C’è chi (15% degli italiani circa) semplicemente si tira fuori dalle decisioni di acquisto affidandosi alle risorse (di tempo e di soldi) altrui: sono particolarmente i giovani (con un concetto di giovane che ormai si estende fino ai 30 anni) che vivono ancora in casa con i genitori o che sono da questi sostenuti.

Per loro lo shopping è interessante solo se riferito alle loro (poche) insegne di riferimento, molto legate all’entertainment (cinema multiplex, qualche brand alla moda, le insegne tipo Gamestop).

All’opposto c’è un cluster di italiani che hanno con lo shopping un rapporto molto critico e informato (14,5%): leggono attentamente le etichette, conoscono i prodotti e discernono tra i brand, sono l’elite intellettuale dello shopping e non a caso sono di cultura e di reddito elevato. Ma le vere novità – quelle che fanno ben sperare nel 2014 – risiedono nelle altre due tipologie di italiani messe in luce dall’Osservatorio.

La prima (pari al 23,4%) disegna dei consumatori che ritornano – o vogliono ritornare – al consumo. Una ventata di ottimismo e positività ma scevra dalla spensieratezza e superficialità del consumismo pre-crisi. Vogliono acquistare – e divertirsi nel farlo – ben consci però che i modi per ottenere risparmio e valore sono anche al di fuori dei canali tradizionali: acquistano nelle gallerie commerciali e nei centri cittadini, ma anche sul web, nei gruppi di acquisto, e non disdegnano scambio e baratto.

Senza alcuna appartenenza ideologica: non sono fanatici della rete e non sono integralisti del non consumo. Semplicemente sanno approfittare delle molteplici e sempre nuove occasioni che il mercato nel dopo-crisi mette loro a disposizione. L’ultimo cluster di italiani è ancora più interessante (rappresenta il 19,7% degli shopper nazionali).

Questi consumatori sono anch’essi aperti ad un rilancio dei consumi (mai come in questo caso viene voglia di parlare di “nuovi consumi”) ma – ben consci degli errori del passato – richiedono un adeguato valore e qualità per il proprio shopping. Pur non essendo schierati ideologicamente, pensano che l’atto di acquisto sia una scelta “politica” seria, nella quale tutti gli elementi di sostenibilità e di valore debbano essere valutati. Intenzionati a risparmiare se si trova l’offerta giusta, non cedono ad una qualità ritenuta bassa.

Pur di fascia sociale media (e con quindi budget limitati a disposizione) decidono consciamente di spendere di più per quello che reputano meritevole, rinunciando in cambio ad acquistare prodotti inutili o ridondanti.

Sono lo specchio di un consumo sano, grande conquista del post-crisi: un modo di acquistare equilibrato, informato, sereno.

Aperto alle novità ma ancorato alla concretezza come nei tempi passati.  Un “ritorno al futuro” che piace, poiché qui si intravvedono i semi di un rilancio dei consumi più sostenibile e più gratificante. La nota dolente dei dati presentati da Osservatorio Consumatori 2014 è che l’attuale distribuzione moderna stenta a stare dietro a questa maturazione dei consumatori: parla ancora sostanzialmente ai vecchi cluster dei cherry pickers e dei votati alla convenienza.  Non riesce a coinvolgere gli “ignavi” dello shopping. Si fa vivisezionare con pessimi risultati in termini di soddisfazione dai critici e dai competenti. Le tipologie di italiani che rilanciano sui consumi mischiano senza preclusioni ideologiche e con grande creatività canali distributivi innovativi – che non sono certo ipermercati o grandi superfici del commercio – alle quali spesso preferiscono la riscoperta del dettaglio tradizionale di eccellenza nel quartiere oppure i mercati ambulanti. La distribuzione moderna sta perdendo il treno. Deve reagire con coraggio e rimettere in gioco i propri fondamenti di business in modo da allinearsi con i nuovi trend del sociale. Una sfida impegnativa, d’altronde il futuro dei consumi – il rilancio tanto atteso – c’è. Ed è altrove

di Danela Ostidich (4Food)

 

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