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Retail, un settore in costante evoluzione

Il settore del commercio al dettaglio sta attraversando una fase di cambiamento strutturale, guidata dallo sviluppo delle attività digitali e dal sorgere di nuove modalità di acquisto e abitudini di consumo. Nelle nostre città capita sempre più spesso di osservare come i locali su strada stiano assumendo nuove destinazioni d’uso, ad un ritmo accelerato non soltanto dagli sviluppi tecnologici, ma anche dagli effetti duraturi della pandemia da Covid-19.

Alcuni dati: sostenibilità e digitale sembrano essere i temi più caldi nel settore retail. Secondo un recente studio di Deloitte, il 55% dei consumatori ha acquistato nelle ultime 4 settimane un bene o servizio prodotto secondo criteri di sostenibilità. Una ricerca di Bloomberg evidenza come gli acquisti attraverso canali digitali negli Stati Uniti siano destinati a crescere dal 24% del totale nel 2020 al 35% nel 2025. E il cambiamento di abitudini è testimoniato dalla minore fedeltà ai marchi: secondo McKinsey, nel febbraio del 2022 ben il 46% dei consumatori americani ha scelto brand diversi per le nuove spese, rispetto al 33% del settembre 2020.

Secondo Dana Telsey, amministratrice delegata di Telsey Advisory Group, una delle figure più influenti negli Stati Uniti nel settore dei prodotti di consumo e più volte premiata da Barron’s come una delle 100 donne più influenti nel settore finanziario, i negozi fisici e il commercio digitale sono destinati a convivere a lungo, all’insegna di una forte personalizzazione dei consumi. L’aspetto sociale e legato al contatto umano riveste infatti ancora un ruolo di grande rilievo per le scelte dei consumatori, scelta che aumenterà grazie alla presenza di piattaforme sempre più numerose, in grado di guidare le decisioni di acquisto verso bisogni specifici.

Le abitudini dei consumatori sembrano seguire sempre di più l’evoluzione dei valori di riferimento di una società, alla luce di un crescente interesse per i temi legati alla sostenibilità e alla riscoperta dei prodotti locali. È stato dimostrato che per formare un’abitudine duratura sono necessari appena 65 giorni. Le tendenze, dunque, possono emergere in un tempo relativamente breve quando nuovi valori diventano più importanti per i consumatori. Quello che si sta notando, sempre secondo le osservazioni di Dana Telsey, è che i consumatori stanno riscoprendo alcuni valori fondamentali, che si traducono in nuovi usi e consuetudini.

Per rispondere a questo nuovo insieme di valori che sta emergendo negli ultimi anni, i processi produttivi e i modelli di business hanno dovuto adattarsi diventando più veloci, più agili, più pronti alla personalizzazione dell’offerta. Un aspetto che sta diventando sempre più rilevante è l’origine di ciò che acquistiamo, e la capacità di un prodotto di esprimere attraverso la sua provenienza una serie di principi ben precisi, o l’eredità di una storia legata al territorio. Si osserva questa tendenza in tutti i settori, dall’abbigliamento al cibo: le persone selezionano con sempre maggior attenzione ciò che indossano e ciò che consumano, cercando in tutti questi prodotti l’opportunità di migliorare il proprio benessere e di condividere con gli altri ciò che li fa stare bene.

La pandemia ha portato le persone a sperimentare nuovi modi di comprare e consumare, con cambiamenti destinati a perdurare nel tempo. L’impatto del modello lavorativo ibrido tra casa e ufficio sarà positivo, perché destinato a portare una maggiore produttività. La tendenza a connettersi in comunità, siano esse virtuali o reali, renderà l’apprendimento e lo sviluppo di tendenze di consumo ben più veloci rispetto al passato.

Vino, calo di vendita nella Gdo, rallenta anche l’e-commerce

Dopo la galoppata del 2020, le vendite di vino in Italia nel canale off-trade (Iper, Super, Piccole superfici a libero servizio, Discount, Cash&Carry ed E-commerce dei siti generalisti) chiudono l’anno appena trascorso tirando un po’ il fiato. Secondo il Report Nomisma Wine Monitor realizzato in collaborazione con NielsenIQ, il consuntivo 2021 mostra una riduzione a volume dell’1,2% rispetto all’anno precedente a fronte però di una crescita nei valori del 5%. Messi a confronto con il 2019 – e quindi prima dello scoppio della pandemia – gli stessi dati segnalano comunque un aumento a volume del 5% e di oltre il 13% a valori, a testimonianza di una premiumisation dei consumi di vino che va avanti da diversi anni.

“Questo spostamento degli acquisti in Gdo verso vini di fascia di prezzo più elevata si verifica sia all’interno della stessa categoria che tramite uno spostamento dei consumi tra tipologie differenti e a maggior valore unitario” sottolinea Denis Pantini, Responsabile Agroalimentare e Wine Monitor di Nomisma. Basti infatti pensare che le vendite a volume di spumanti e Champagne crescono a doppia cifra percentuale (+23%) mentre i vini fermi chiudono il 2021 in calo del 4,5% a volume ma con un +0,3% a valore. “Il riposizionamento qualitativo dei consumi dei vini fermi si desume soprattutto dalle vendite a valore in Iper e Super dove crescono i vini a denominazione Dop – +5% a valore -a fronte di un calo di quelli generici (-10%)” aggiunge Pantini.

Spostando l’analisi ai diversi format distributivi, Iper+Super+Piccole superfici a libero servizio (che pesano per il 64% dei volumi dell’intero canale off-trade) accusano una riduzione a volume di quasi il 2% a fronte però di un incremento a valore del 5,2%. Sono le bollicine a spingere le vendite, con gli spumanti Metodo Classico a registrare le dinamiche più rilevanti, con una crescita a valore del +26%, seguiti dagli Charmat secchi (+19%), dallo Champagne (+16%) e dagli Charmat dolci (+12%). Sul fronte dei vini fermi e frizzanti, le vendite nel medesimo format risultano in calo a valore per i frizzanti (-4,3%) mentre aumentano nel caso dei fermi (+1,8%).

In merito agli altri format, si segnala una diminuzione delle vendite sia a valori che a volumi per il Discount (rispettivamente -2% e -4%), mentre al contrario il Cash&Carry mette a segno una crescita di quasi il 20% nelle vendite a valori a fronte di un +15% nei volumi, a dimostrazione della ripresa dei consumi avvenuta – seppur a singhiozzo -in bar e ristoranti nel 2021.

Infine, l’e-commerce. Dopo l’esplosione delle vendite avvenute nel 2020 anche a seguito dei lockdown e delle limitazioni e chiusure nell’Horeca, il 2021 si è chiuso con un’ulteriore progressione degli acquisti di vino da parte degli italiani nei siti generalisti (catene retail e Amazon): +22% a valore e +19% a volume rispetto all’anno precedente. Occorre tuttavia segnalare come l’ultimo trimestre 2021 ha visto ridursi le vendite in e-commerce – rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente- del 13% a volume, anche se questa riduzione è soprattutto legata al “boom” di acquisti on-line che si era manifestato nel 2020 a causa delle chiusure dei ristoranti e della conseguente “costrizione” imposta agli italiani di festeggiare Natale e Capodanno tra le mura domestiche.

Cresce il carrello della spesa sostenibile, lo studio di Osservatorio Immagino

La sostenibilità guida le scelte d’acquisto degli italiani, ma soprattutto permea le politiche delle aziende del largo consumo, che stanno affrontando su più fronti la “transizione ecologica” e lo comunicano sempre più spesso ai consumatori. È quel che emerge dalla nuova edizione dell’Osservatorio Immagino, che ha rilevato ben 35 indicazioni “green” leggibili sulle etichette di oltre 30 mila prodotti venduti in supermercati e ipermercati di tutta Italia. Un paniere significativo e multiforme, che ha superato gli 11,5 miliardi di euro di vendite, mettendo a segno un aumento di +3,2% rispetto ai 12 mesi precedenti e contribuendo per quasi il 30% al sell-out di tutto il paniere rilevato dall’Osservatorio Immagino.

«Questa crescita si deve all’aumento dell’offerta di prodotti dalle caratteristiche sostenibili, che rappresentano ormai il 23,9% delle 125.431 referenze monitorate in questa decima edizione dell’Osservatorio Immagino» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy.

Ma come stanno cambiando i prodotti di largo consumo per diventare sempre più sostenibili? Su quali fronti si concentrano gli sforzi delle aziende? E come scelgono di comunicare queste innovazioni sulle etichette dei prodotti? Per rispondere a queste domande, da gennaio 2020, l’Osservatorio Immagino intercetta e individua tutti i claim e le certificazioni relativi allo sfaccettato mondo della sostenibilità, misurandone la presenza numerica a scaffale e l’andamento del sell-out.

«Rispetto alla prima rilevazione abbiamo visto crescere tutti gli indicatori: il numero dei claim presenti sulle etichette e gli aspetti su cui sono focalizzati, la numerica dei prodotti e il loro giro d’affari, e dunque l’incidenza dei prodotti sostenibili sul fronte della produzione, della distribuzione e dei consumi» prosegue Cuppini. «La sensazione, quindi, è quella di un’onda verde che sta modificando in modo rapido e pervasivo il mondo del largo consumo, alimentare e non, e che sta agendo su molti e diversi aspetti della filiera».

Per affrontare un mondo tanto sfaccettato e in rapida evoluzione, l’Osservatorio Immagino ha scelto di suddividere i claim “green” presenti sulle etichette dei prodotti di largo consumo in quattro aree tematiche:

Management sostenibile delle risorse: la più rilevante, con quasi il 10% dei prodotti e con una quota del 15,7% sul giro d’affari totale del paniere rilevato.

Agricoltura e allevamento sostenibili: accomuna il 2,3% dei prodotti che contribuiscono per il 4,0% al sell-out totale.

Responsabilità sociale: coinvolge quasi il 6% delle referenze e incide per quasi il 10% sulle vendite complessive.

Rispetto degli animali: è un valore espresso sul 10,6% dei prodotti rilevati, che rappresentano il 7,5% delle vendite totali.

Se complessivamente, nell’anno finito a giugno 2021, il mondo dei prodotti sostenibili ha registrato un aumento di +3,2% delle vendite, tre dei suoi quattro panieri hanno avuto un andamento sopra media, superiore a +5,5%, e solo quello dei prodotti ottenuti nel rispetto degli animali ha mostrato una crescita più tiepida (+1,4%).

Tra i 35 claim o certificazioni green individuati dall’Osservatorio Immagino in termini di numero di prodotti il più diffuso è Biologico/EU Organic (6,6% delle referenze), seguito dalla certificazione FSC (4,7%) e dalle indicazioni “sostenibilità” (2,6%) e “riciclabile” (2,3%).

In termini di performance, nell’arco dei 12 mesi rilevati, i claim che hanno messo a segno un maggior aumento del sell-out in supermercati e ipermercati sono stati il claim Mater-Bi (+48,0%), la certificazione Ok-Compost (+44,3%) e le indicazioni “compostabile” (+25,6%) e “senza antibiotici” (+17,8%).

Pandemia e mondo retail negli Stati Uniti: l’analisi di Medallia

Medallia, leader globale nella gestione della customer ed employee experience, ha diffuso “The Future of Retail Consumer Behavior”, un report che traccia i cambiamenti negli Stati Uniti del comportamento dei clienti nei loro processi d’acquisto. Il rapporto è stato realizzato da Sense 360, la società di Medallia di analisi dei consumatori che ha combinato i dati provenienti tre fonti: dati sul traffico pedonale dalla geolocalizzazione dello smartphone di oltre 2 milioni di utenti americani che hanno aderito all’indagine, dati sulla spesa di oltre 6 milioni di consumatori e dati di sondaggi psicografici. L’integrazione di più set di dati ha permesso di fornire una visione più olistica del percorso del cliente.

“È evidente che il comportamento clienti nel mondo retail è cambiato drasticamente nel corso dell’ultimo anno e mezzo e si sta definendo una nuova normalità: è quindi importante per il trade definire quali trasformazioni saranno permanenti e quali tendenze potrebbero al contrario dissolversi”, afferma Andrew Custage, Analytics Head di Sense360 by Medallia.

Il report “The Future of Retail Consumer Behavior” ha inoltre tracciato in che modo sono stati impattati diversi settori della distribuzione – nel dettaglio food, sport e beauty – dall’emergenza Covid-19 e con quali ricadute. A livello generale dalla survey emerge che nonostante le recenti preoccupazioni sulla variante Delta, i livelli complessivi di paura nei confronti di Covid-19 sono diminuiti rispetto a un anno fa. Le analisi di Sense 360 confermano che è diminuita la percentuale dei consumatori che percepiscono il virus come una delle più grandi minacce e di coloro che credono che per il ritorno a una normalità piena serviranno ancora più di sei mesi. Al di là del livello di preoccupazione nei confronti del coronavirus, l’emergenza sanitaria ha modificato comportamenti dei clienti e i loro shopping jouney, in alcuni casi, in modo permanente. Nel dettaglio il passaggio agli acquisti online continua negli USA nonostante la pandemia abbia rallentato. Insegne come Walmart e Target, stanno continuando a registrare tassi di crescita sui principali kpi del loro canale digitale. Anche uno studio che ha coinvolto i 53 rivenditori che utilizzano i software di Medallia ha confermato tuttora un incremento del traffico digitale, come delle visualizzazioni del numero delle pagine e del tempo trascorsi sui siti ecommerce.

Il trend a segno più si continua a registrare anche nel settore delivery non solo nella consegna a domicilio di cibi e bevande, ma anche della spesa o di altri beni. Il settore food è quello che sembra maggiormente destinato a vedere perdurare dei più evidenti cambi di percorsi di shopping: ricorso ad acquisti online, servizi di delivery o di pick up in-store o a bordo strada, mentre quello degli articoli sportivi al contrario evidenzia che non tutte le abitudini pandemiche sono destinate a rimanere. La crescita della domanda a seguito dell’aumento delle attività sportive durante i periodi di lockdown si sta riducendo come il numero di persone che continuano a fare attività fisica presso la propria abitazione, con un ritorno, invece, alle attività all’aria aperta o in palestra. Trend con cui inevitabilmente i retailer di questo settore – sia generalisti sia specializzati del mondo sport – devono fare i conti. La pandemia, e in particolare le settimane di lockdown, hanno avuto diversamente un impatto negativo sul settore beauty con una percentuale a due digit di consumatori che hanno diminuito il numero dei prodotti/brand acquistati e/o modificato gli articoli selezionati. Tendenze che non sembrano destinate a vedere forti inversioni anche quando si tornerà alla piena normalità e che già oggi mettono i player di fronte alla necessità di confrontarsi con maggiori difficoltà per conquistare i clienti e per fidelizzarli, oltre a una migrazione dei clienti dagli shop specialisti a favore dei department store e delle grandi superfici.

“Credo che l’evidenza più chiara del rapporto sia che mentre il comportamento dei consumatori è stato costretto a cambiare dalla pandemia, alcune abitudini si confermano e lo saranno anche quando le restrizioni si allentano definitivamente, in particolare per quanto riguarda un’adozione sostenuta delle piattaforme digitali”, ha continuato il manager di Sense360. “Alcuni retailer e settori della distribuzione sono meglio preparati rispetto ad altri a questo cambio di paradigmi e a un contesto nel complesso fluido e ciò delinea un possibile forte divario in termini di performance. Quindi per affrontare il mondo instabile in cui viviamo ora, è fondamentale che i rivenditori utilizzino ricerche omnicomprensive e integrate per comprendere in profondità i propri clienti e il panorama competitivo”.

Per scaricare il rapporto completo: https://info.sense360.com/insights-report-the-futureof-retail-consumer-behavior

Riciclo delle confezioni: lo studio dell’Osservatorio Immagino

“È una confezione riciclabile?”: quale consumatore non si è posto questa domanda nel momento in cui si è trovato a mettere nella raccolta differenziata la confezione di un prodotto alimentare o di un detersivo? La risposta arriva dagli oltre 36 mila prodotti di largo consumo che presentano in etichetta le indicazioni sul livello di riciclabilità del packaging. Il dato emerge nell’ultima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ha rilevato le informazioni presenti sulle etichette di oltre 120 mila prodotti, che concorrono all’82,6% del fatturato di supermercati e ipermercati in Italia.

«Rispetto a giugno 2020, la quota dei prodotti di largo consumo che danno indicazioni sulla riciclabilità del packaging è aumentata di quasi 3 punti %, arrivando a coinvolgere il 30,1% delle referenze rilevate dall’Osservatorio Immagino» afferma Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «Un chiaro segnale di quanto le aziende siano attente alle esigenze di informazione del consumatore e di come la sostenibilità sia sempre più anche un tema da comunicare ai clienti finali. Ma resta ancora molto da fare. Un esempio significativo è quello delle confezioni in vetro, materiale riciclabile al 100%, ma su cui spesso questo aspetto viene dato per scontato e non viene, quindi, esplicitato in etichetta».

Surgelati e gelati sono le categorie merceologiche dove l’etichetta sul grado di smaltimento delle confezioni è più diffusa (si trova sul 50,3% delle referenze), seguiti da ortofrutta (46,4%), mentre bevande (17,7%), petcare (16,4%) e prodotti per la cura personale (15,3%) sono quelli a minor tasso di diffusione. L’83,4% degli oltre 36 mila prodotti rilevati dall’Osservatorio Immagino che forniscono esplicite indicazioni sul livello di riciclabilità delle loro confezioni è venduto in packaging totalmente o largamente riciclabili. Con punte sopra al 90% nei reparti ortofrutta, cura casa e bevande. Rispetto all’anno finito a giugno 2020, questa quota è aumentata di +0,8%, mentre è diminuita di -0,4% l’incidenza delle referenze vendute in confezioni non riciclabili, scese al 5,3% della numerica totale.

Ma quanto pesano effettivamente sul volume della spesa i packaging che indicano la sostenibilità dell’imballaggio? Partendo dalla composizione del carrello medio (fatto per circa il 50% dai prodotti delle 20 marche top e dalle private label), l’Osservatorio Immagino ha calcolato il dato ponderato sulle vendite per numero di confezioni. Risultato: il 74,7% delle confezioni di prodotti a marca del distributore vendute in supermercati e ipermercati spiega quanto sia riciclabile il packaging. Il dato è migliorato di +2,1 punti % rispetto all’anno finito a giugno 2020. Per le 20 imprese top,l’incidenza sulla numerica delle confezioni è inferiore (53,3%), ma il trend di crescita è decisamente più brillante (+9,2% annuo). Le aziende follower si fermano al 40,4% del numero delle confezioni vendute (-1,7%) e i fornitori minori al 22,3% (+2,6%).

Nella classifica dei comparti merceologici in base al numero di confezioni vendute, la pasta si conferma al primo posto davanti a pane e sostitutivi, prodotti da forno e cereali. A chiudere la classifica sono stati ancora una volta le bevande alcoliche (come vino, birra e champagne/spumanti) e il cura persona (come profumeria e cosmetica).

L’Osservatorio Immagino ha voluto approfondire anche come sono composti i packaging utilizzati nel mondo dei prodotti di largo consumo. Nel 47,0%dei casi si tratta di confezioni monomateriale (-1,5% rispetto alla rilevazione precedente) che per quasi il 90% sono totalmente o largamente riciclabili. Il 51,5% delle referenze è venduto in packaging composti da diversi materiali (+1,5%) e via via che aumenta il numero dei materiali utilizzati diminuisce la quota di quelli riciclabili. Ortofrutta e petcare sono le aree merceologiche in cui il packaging monomateriale è più diffuso (rispettivamente 74,9% e 71,0% delle referenze), mentre la drogheria alimentare è quella con il maggior utilizzo di confezioni plurimateriali (52,6%).

Un giugno torrido spinge i consumi. L’analisi di IRI

Nel 2019 il meteo è stato imponderabile. E, con esso, le conseguenze sui consumi.

Dopo una primavera fredda e piovosa, che aveva fatto temere uno stop degli acquisti (già penalizzati da un avvio stentato), è invece subentrato un giugno torrido che ha avuto il merito di sospingere i consumi LCC

Dalla settimana del 10 giugno 2019, infatti, ha preso il via una fase climatica anomala caratterizzata da temperature insolitamente torride per questo periodo dell’anno. Secondo le elaborazioni IRI (*) nelle quattro settimane a decorrere dal 10 giugno si sono registrati, in media, valori climatici sensibilmente diversi rispetto allo stesso periodo del 2018 (+2,4 gradi Celsius di temperatura massima, +1,2 gradi di minima e -53% di precipitazioni.

L’inversione meteo ha consentito, dunque, di risollevare le sorti delle categorie del Largo Consumo di stagionalità estiva.

Analizziamo questi trend attraverso i grafici, realizzati grazie al servizio Fast Data di IRI,  che sintetizzano gli effetti del caldo anomalo sulle vendite di queste categorie nei reparti dell’alimentare confezionato, delle bevande dissetanti e dei prodotti per la cura della casa e dell’igiene personale.

L’impatto sulle diverse categorie

Innanzi tutto, l’ondata di caldo eccezionale iniziata a giugno ha rilanciato le vendite delle categorie stagionali nell’Alimentare Confezionato.

Gelati e prodotti da gelare, condimenti e ingredienti per piatti freddi (riso, condimenti pronti, maionese, carne in scatola, tonno, mozzarelle ecc…) sono le voci di consumo influenzate dal clima.

In molti casi l’ondata di calore di giugno/inizi di luglio ha contribuito ad invertire una tendenza delle vendite che era negativa nel progressivo dell’anno.

Durante l’ondata di caldo anche la maggior parte delle categorie di Bevande segna un aumento del tasso di crescita delle vendite superiore ai 10 punti percentuali.

Tutte le voci delle bevande dissetanti segnalano dei balzi importanti delle vendite in corrispondenza dell’inversione meteo di giugno/inizio di luglio. In alcuni casi la domanda torna a crescere dopo una prima parte dell’anno in stagnazione o flessione.

Insetticidi, insetto-repellenti e protezioni solari sono le categorie che più hanno beneficiato dell’ondata di caldo intenso a giugno nei Reparti Chimici.

La primavera fredda ha ritardato il ciclo degli insetti nocivi. L’avvento del clima torrido ha accelerato con ritardo il loro ciclo vitale stimolando la domanda di rimedi e prodotti specifici per combattere questo problema.

Ne consegue che in coincidenza con la fase di clima eccezionalmente caldo si registra una impennata delle vendite di insetticidi e insetto-repellenti. Il clima di giugno/inizio di luglio ha rilanciato anche la domanda di prodotti solari e di alcune categorie per la cura della persona (deodoranti, depilazione, ecc.).

 

(*) Analisi dei dati meteo giornalieri di fonte Meteo Italia srl rilevati in 107 stazioni sparse sul territorio nazionale. Medie ponderate con la popolazione dei corrispondenti bacini territoriali.

Acquisti online: nel 2019 crescono del 15% e valgono più di 31,5 miliardi

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Nel 2019 hanno superato i 31,5 miliardi di euro e hanno al proprio attivo una crescita del 15% rispetto all’anno prima: marciano, dunque, a gonfie vele gli acquisti online degli italiani. A dirlo è l’ultima indagine dell’Osservatorio eCommerce B2C-Consorzio Netcomm/School of Management del Politecnico di Milano, presentata  durante la  quattordicesima edizione di Netcomm Forum.

La performance migliore è quella dei prodotti, che crescono del +21% valgono 18,2 miliardi, i servizi raggiungono online i 13,3 miliardi di euro e fanno registrare una crescita del 7%.

Comparti nel dettaglio

Informatica ed elettronica si conferma uno dei più performanti, grazie a una crescita del +18% e un valore complessivo di oltre 5 miliardi di €. Bene anche l’Abbigliamento (+16%, 3,3 miliardi €). Tra i settori emergenti fanno registrare una decisa crescita Arredamento & Home Living (+26%, 1,7 miliardi di €), Food & Grocery (+39%, quasi 1,6 miliardi di €). Nei servizi, il comparto principale rimane Turismo & Trasporti (+8%, 10,8 miliardi di €).

La penetrazione dell’online sugli acquisti retail supera nel 2019 il 7% (6% per i prodotti, 11% per i servizi) e si avvicina lentamente ai tassi a doppia cifra fatti registrare dai principali paesi europei (come Regno Unito, Francia e Germania).

 

Trend da… eShopper
Se lo smartphone è fondamentale in fase d’acquisto (quasi il 40% del totale eCommerce viene generato su questo canale) è sempre più evidente la sua importanza anche nella fase precedente: quella della decisione all’acquisto.

L’analisi di Netcomm in collaborazione con Diennea rivela infatti che e-mail, sms e notifiche via app rappresentano lo strumento più efficace per raggiungere il cliente e fargli fare il primo passo nel processo d’acquisto: il 22% degli acquisti online sono diretta conseguenza di questo strumento di marketing. Il punto vendita fisico mantiene la sua efficacia: la visita in negozio è decisiva per il 18,4% degli acquisti.

Un altro trend importante è quello emerso dall’indagine netRetail 2019, lo studio Netcomm effettuato in collaborazione con Kantar, che evidenza una crescita della fiducia verso i siti di ecommerce.Gli Italiani sono sempre più disponibili a salvare online i propri dati di pagamento per non doverli reinserire in acquisti futuri: il 57% del campione effettua questa scelta se ritiene che il sito di e-commerce sia affidabile.

 

L’e-commerce mondiale
Il Paese con i più alti volumi di crescita nell’eCommerce è la Cina: si è infatti previsto che passerà da 636 miliardi di euro di vendite online nel 2018 a oltre mille miliardi nel 2023, con una crescita del valore delle vendite online dell’11,3% anno su anno. Mentre negli Stati Uniti, le vendite online cresceranno del 7,5% anno su anno, passando da 505 miliardi di dollari nel 2018 a 735 miliardi nel 2023. In Europa, invece, questa percentuale crescerà di circa il 7%, passando da circa 347 miliardi di euro nel 2018 a quasi 484 miliardi di euro nel 2023.

Le opinioni

Continua in modo lineare la crescita del mercato eCommerce B2c in Italia, ma una riflessione va fatta in una prospettiva internazionale” commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm. “Secondo recenti stime[1], rispetto agli altri Paesi europei, l’Italia detiene la quota di popolazione che compra online più bassa in assoluto: solo il 44% degli italiani acquista online, contro il 68% della popolazione europea. Non solo, l’Italia si aggiudica l’ultimo posto anche in termini di competitività nel settore dell’eCommerce. Questo ritardo si può spiegare nella correlazione diretta tra le competenze digitali di un Paese e la competitività delle aziende. Solo il 10% delle imprese italiane, infatti, vende online proprio per la scarsa capacità di applicare le tecnologie disponibili per espandere il proprio business. Gli e-shopper, che hanno esigenze sempre più puntuali e personalizzate, comprano all’estero proprio perché in Italia non trovano un’offerta che risponda in modo efficiente alla propria domanda”.

L’eCommerce B2c in Italia è sempre più rilevante: pur rappresentando ancora “solo” il 7% degli acquisti complessivi spiega infatti oltre il 60% della crescita del Retail” afferma Alessandro Perego, Direttore Scientifico degli Osservatori Digital Innovation – School of Management del Politecnico di Milano.

L’eCommerce è inoltre sempre più percepito come complementare al canale fisico con gli operatori tradizionali che abilitano modelli omni-canale e le cosiddette Dot Com che cercano di stabilire con i clienti un canale di contatto fisico. L’eCommerce gioca poi un ruolo decisivo nel promuovere nuovi modelli di relazione con i consumatori che, pur partendo dall’online, costituiscono un fattore di innovazione che si propaga a tutto il Retail”. 

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