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Largo consumo: inflazione e incertezza rallentano le vendite in tutta Europa

La forbice tra i prezzi e i volumi di vendita continua a espandersi e i consumatori europei riducono gli acquisti: le vendite a volume sono diminuite dell’1,3% nell’ultimo anno. Al contrario, la spesa è aumentata del 10,1%, raggiungendo i 636 miliardi di euro ma questa crescita è dovuta principalmente alla componente inflattiva. I dati emergono da un’analisi semestrale effettuata da Circana che coinvolge i sei principali mercati europei, Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi.

I consumatori europei restano ancora molto sensibili ai prezzi: si è registrato un moderato calo dell’inflazione, migliorando la propensione alla spesa di alcune fasce di consumatori, ma l’incertezza continua a rendere le famiglie estremamente sensibili ai rincari. Rispetto allo scorso anno, i prezzi sono aumentati in media dell’11,6%, causando un calo delle vendite pari all’1,3%. Negli ultimi sei mesi, i prezzi medi dei beni di Largo Consumo sono aumentati di un altro punto percentuale, passando dall’11,6% al 12,9%. Può sembrare un aumento di leggera entità, eppure ha colpito duramente i consumatori, soprattutto perché il rincaro si è concentrato sui generi alimentari di uso quotidiano. Di conseguenza, le vendite sono diminuite notevolmente, con un calo che è passato dall’1,3% al 2,4%.

Dallo studio emerge anche la carenza di innovazione in molte categorie di prodotto. Meno dell’1% dei nuovi prodotti sviluppati rappresenta innovazioni rivoluzionarie, novità disruptive a livello generale o di categoria. Nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di prodotti esistenti che sono stati rinnovati, riformulati o riconfezionati, oppure, come avviene sempre più di frequente, la confezione e il peso del prodotto vengono ridotti. Nel contempo l’industria di Marca sta perdendo terreno a vantaggio della Marca del Distributore: oggi la Private Label rappresenta il 39% di tutte le vendite di generi alimentari nei sei maggiori mercati europei e vale 246 miliardi di euro, con un’ulteriore crescita di valore pari al 2,2% nell’ultimo anno (fino a giugno 2023). Due anni fa, tale quota era pari al 35%.

La richiesta di prodotti in commercio che puntano sulla sostenibilità ha faticato a tenere il passo dalla metà del 2022. Nonostante i consumatori dal budget limitato desiderino acquistare prodotti green, gli stessi devono fare delle scelte. Per questo, la domanda è calata. Nel breve termine, la richiesta di prodotti più sostenibili sarà sostenuta dai distributori, soprattutto in virtù di normative quali l’Ecodesign for Sustainable Products Regulation (ESPR) della Commissione Europea, che obbligherà i retailer a indagare più approfonditamente sulla sostenibilità dei marchi commercializzati.

“Il settore dei beni di Largo Consumo è ancora molto lontano dal ritorno alla normalità pre pandemica” commenta Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana. “La domanda non si è ancora totalmente ripresa e sempre più prodotti di uso quotidiano non vengono inseriti nel carrello della spesa dei consumatori, intenti a salvaguardare il portafoglio. I prodotti a Marchio del Distributore continuano a guadagnare quota di mercato a discapito dei prodotti di Marca e gli shopper, sopraffatti dall’inflazione, ricercano referenze in offerta e frequentano il canale discount. L’attuale scenario economico e politico e l’incertezza che sta caratterizzando tutti i mercati, fanno si che l’andamento della domanda di beni di Largo Consumo probabilmente si riprenderà nella seconda metà del 2024. I brand che vogliono continuare a essere acquistati dovranno dimostrare di prendere sul serio il tema della sostenibilità. La combinazione di sostenibilità e aumento delle vendite sottende un impegno genuino di tutti gli operatori del settore”.

L’inflazione rema a favore delle private label, il segmento abbraccia il 38% delle vendite totali

Un recentissimo studio di Circana, azienda nata dalla fusione tra IRI e The NPD Group, rivela che i prodotti a marchio del distributore hanno registrato un picco di crescita in quasi tutte le categorie chiave del largo consumo confezionato. Oggi le private label rappresentano infatti il 38% delle vendite totali di beni di largo consumo in Europa, pari a 229 miliardi di euro.

Il rapporto di Circana analizza l’impatto della pandemia, dell’inflazione e della crisi economica su oltre 230 categorie del largo consumo, per oltre 2000 segmenti di prodotti e più di 10 milioni di codici EAN. Il rapporto evidenzia inoltre una crescita complessiva della marca del distributore in tutti i sei maggiori mercati europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi), con la penetrazione più alta registrata in Spagna (47%) e Germania (41%) e la più bassa nel Regno Unito (37%), dove i consumatori restano più fedeli alle marche industriali che rappresentano un modo veloce per fare scelte di acquisto comode e sicure.

“Le private label hanno fatto molta strada rispetto a quando circa 40 anni fa sono arrivate sugli scaffali. Gli investimenti dei distributori a sostegno dello sviluppo di questi prodotti stanno dando i loro frutti. Oggi queste referenze vengono percepite come buone o addirittura migliori rispetto a molti prodotti di marca con cui competono. I consumatori le considerano innovative. Di conseguenza non sono più l’alternativa “economica” al brand che viene motivata dal fattore prezzo: gli shopper acquistano private label per la loro capacità di offrire qualcosa di nuovo e di buona qualità” ha commentato Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana.

I consumatori “fedelissimi” al marchio del distributore equivalgono insomma a quelli “fedelissimi” ai prodotti di marca: il 60% dei consumatori intervistati ritiene che le private label siano innovative, di qualità, sostenibili e altrettanto buone rispetto ai marchi industriali; il 25% le considera addirittura migliori. Il 21% dei consumatori – molti dei quali sono in una fascia di reddito media – è indeciso ed acquista entrambe le tipologie di prodotto ma ha affermato che oggi le marche del distributore sono migliori rispetto ai marchi industriali.

Gli shopper scelgono di comprare prodotti a marchio del distributore principalmente per i beni edibili – dal momento che l’inflazione ha colpito maggiormente questo tipo di prodotti. Per quanto riguarda i prodotti non edibili invece, la penetrazione delle marche del distributore è maggiore per i prodotti per la cura della casa, in particolare per i detersivi e gli igienizzanti. La categoria delle bevande alcoliche ed alcuni alimenti per l’infanzia hanno visto una crescita molto parziale delle marche del distributore. Per questi prodotti i consumatori sono rimasti più fedeli ai loro brand di fiducia. I distributori per contrastare questa tendenza, stanno introducendo sugli scaffali prodotti innovativi, come birre analcoliche o prodotti artigianali di alta qualità, realizzati con ingredienti di provenienza locale.

Le marche non stanno perdendo necessariamente fedeltà ma gli shopper hanno ridotto i volumi acquistati. Per continuare ad avere un elevato livello di fedeltà dei consumatori, le marche devono continuare a puntare sull’innovazione. Gli shopper oggi comprano facendo un bilancio tra i loro desideri e il loro reale potere d’acquisto. Per loro vale la pena cambiare o provare nuovi prodotti solo se offrono un buon prezzo e se sono percepiti come maggiormente salutari, pertanto i produttori dovrebbero tenere in considerazione questi elementi quando propongono i loro brand.

“I distributori stanno sviluppando le private label seguendo una strategia incentrata sul consumatore e sulla base di dati concreti. Le marche industriali non possono più ignorare la concorrenza rappresentata da questo tipo di offerta. Il consumatore ha cambiato la sua percezione della marca del distributore e decide di acquistarla in quanto questa scelta rientra perfettamente nel proprio piano di attento e consapevole risparmio, senza dover rinunciare alla qualità. La crescente fedeltà e la quota che i distributori hanno raggiunto potrebbe, in futuro, portare a dei cambiamenti strutturali del mercato del largo consumo” conclude Roy.

Inflazione e crisi fanno calare la domanda di beni di largo consumo, si afferma il prosumer

Circana fornisce un’anteprima dell’analisi semestrale “FMCG Demand Signals” che evidenzia un indebolimento – in termini di volumi – della domanda per beni di largo consumo nei sei principali mercati Europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi). Si tratta di un calo del – 1,1% su base annua che si accentua ulteriormente (-1,4%) nel quarto trimestre del 2022. Questo è il quinto trimestre di flessione consecutiva e non si prevede un ritorno alla normalità fino alla fine del 2023.

Lo studio evidenzia come si stia affermando la figura del cosiddetto “prosumer” – un consumatore sempre più consapevole, esperto, lungimirante e attento ai prezzi, che seleziona ciò che acquista e decide come consumarlo, con l’obiettivo di attenuare l’impatto dei forti aumenti di prezzo sul proprio portafoglio. La figura del “negozio preferito” scemerà sempre più poiché gli shopper acquistano meno in un unico negozio e preferiscono invece frequentare più punti vendita per trovare prodotti meno costosi. Con la crisi energetica che continua a colpire le tasche delle famiglie, oltre all’impatto della guerra in Ucraina che incide sulla supply chain e sul costo delle materie prime, gli shopper sono alla continua ricerca di opportunità di risparmio.

“Questa flessione dei volumi evidenzia in modo chiaro la battuta d’arresto della domanda per prodotti di largo consumo nei maggiori mercati europei. Prevediamo che la domanda calerà bruscamente soprattutto nei generi alimentari di prima necessità, dove l’inflazione continua ad essere particolarmente elevata” ha commentato Ananda Roy, Global SVP, Strategic Growth Insights di Circana,

Quella che oggi sta diventando una “crisi del tenore di vita” richiede ai consumatori di modificare le loro abitudini in termini di acquisto e consumo dei beni alimentari. L’86% degli shopper europei dichiara che il proprio potere di acquisto è in contrazione. Di conseguenza, viene adottato un approccio strategico. Quando entrano in negozio sono sempre più attenti e non si fanno più tentare dagli acquisti d’impulso e talvolta sono meno sensibili alle offerte. Segnali della crisi sono ad esempio l’aumento delle vendite di prodotti in scadenza (quindi commercializzati a prezzo ridotto) o le aumentate segnalazioni da parte delle catene di furti nei punti di vendita. In questo contesto i retailers sono intervenuti aumentando le promozioni mirate per i possessori di carte fedeltà, istituendo per alcuni prodotti i cosiddetti ‘prezzi fissi’ e un allineamento di prezzo tra le diverse catene, mantenendo tra 500 e 1000 articoli ad un costo ridotto. Hanno anche incoraggiato l’uso di dispositivi “scan-as-you shop” nel negozio per aiutare a tenere sotto controllo il valore dello scontrino degli acquirenti.

Evidenze europee
Il largo consumo confezionato è cresciuto del 5,8% nel 2022 in tutta Europa, aumentando il giro di affari di 33 miliardi di euro in termini di vendite a valore rispetto al 2021. Durante le ultime 13 settimane del 2022, le vendite a valore hanno segnato un +10,1%, come risultato diretto dell’inflazione record. L’incremento coinvolge tutte le categorie ad eccezione delle bevande alcoliche. Freddo, fresco, ambient food, bevande e cura della persona hanno spinto la crescita del largo consumo nel 2022, ma un calo del -3,4% nelle vendite di alcolici ha compensato marginalmente i guadagni. Questa flessione può essere in parte spiegata da un ritorno alla normalità dopo un aumento della domanda durante la pandemia. Ciò dimostra anche come alcune abitudini stiano cambiando e vi sia una riduzione dei momenti di consumo e delle quantità consumate per singola occasione. Si registra inoltre un mutamento nel mix dei segmenti con un incremento per gli alcolici Ready-To-Drink e per birre e liquori a basso/zero contenuto alcolico che tuttavia non compensano a pieno il calo complessivo della domanda.

Tendenze sul comportamento dei consumatori nei sei maggiori mercati in Europa, Stati Uniti, Australia, Nuova Zelanda, Brasile, Turchia, Emirati Arabi Uniti
La forbice tra la capacità di acquisto e la disponibilità a spendere si è ampliata. Solo il 14% dei consumatori non ha modificato il proprio stile di vita, mentre il 39% oggi attinge dai risparmi personali e fa ricorso a prestiti per pagare le bollette. Non ci sarà più un solo negozio per fare la spesa. Il 29% dei consumatori è intenzionato a cambiare il luogo in cui acquista i prodotti di tutti i giorni per ricercare convenienza, mentre il 26% andrà in un altro negozio se il proprio marchio abituale non è disponibile o non è scontato (34%) o se non ci sono abbastanza offerte tra i prodotti che fanno parte dell’abituale paniere settimanale (41%). I distributori stanno lavorando per affrontare il potenziale calo della penetrazione e del numero di visitatori nei loro negozi, intensificando le promozioni legate alle carte fedeltà, promuovendo prodotti con “prezzi fissi” e applicando sconti su una gamma di articoli che sono parte della spesa di base dei consumatori. Gli shopper attuano strategie di acquisto volte a moderare l’impatto degli aumenti di prezzo. Il 22% ha ridotto il numero di shopping expedition e il 32% pianifica in anticipo i propri acquisti. Il 18% ora stabilisce a priori quanto spendere per ridurre gli acquisti d’impulso e utilizza dispositivi scan-as-you shop e siti web per informarsi sui prezzi e non avere sorprese alla cassa al momento di pagare.

Cambia anche il comportamento dei consumatori all’interno del negozio. Il 59% degli shopper confronta i prezzi, il 49% la quantità da utilizzare e il 44% è alla ricerca di prodotti contrassegnati da sconti e promozioni. Il 29% cerca prodotti sostenibili e il 39% legge le etichette degli imballaggi o le recensioni indipendenti (23%). Un consumatore su quattro (27%) ha mutato le proprie abitudini e fa acquisti di conseguenza (compra ad esempio prodotti per preparare un pranzo al sacco da portare al lavoro). Questo si traduce in un’opportunità in termini di innovazione, nella formulazione delle porzioni, nel design e nel pack. Di conseguenza i retailer stanno ampliando l’assortimento di marchi del distributore per soddisfare le nuove esigenze emergenti. I fattori che guidano la scelta di testare un prodotto nuovo includono un buon prezzo (63%), la convenienza (40%) la disponibilità a scaffale (40%). Innovazione, sostenibilità, buona qualità, prodotti a base vegetale o attenti all’ambiente sono tutti elementi oggi molto importanti per i consumatori ma non determinanti per decidere di testare nuovi prodotti.

“Con una domanda ridotta e una minore fiducia dei consumatori, i distributori devono continuare a lavorare sull’ottimizzazione e la gestione degli assortimenti. I distributori promuovono strategie volte a bloccare il costo delle materie prime per supportare i clienti, ma questo sta portando a una aspra guerra dei prezzi. La razionalizzazione degli scaffali oggi riguarda tutte le categorie ad eccezione di fresco, freddo e confectionery e ci aspettiamo di vedere il graduale ritorno dell’Every Day Low Price in numerose catene, poiché le promozioni in alcuni paesi si stanno rivelando meno efficaci. La strategia vincente sarà quella di promuovere prodotti con un ottimo livello di qualità/prezzo così da rispondere al meglio alle nuove esigenze dei consumatori” conclude Roy.

Pressione economica alle stelle, si torna ai comportamenti degli anni ’70/’80

IRI divulga l’aggiornamento dell’analisi semestrale “FMCG Demand Signals”. Il nuovo studio mette in luce alcuni cambiamenti significativi del modo in cui i consumatori stanno affrontando le difficoltà che oggi caratterizzano l’economia globale. Nel corso del 2022, con l’intensificarsi delle pressioni inflazionistiche determinate dalla volatilità dei costi energetici, dalla scarsità di materie prime e dai costi di produzione, il reddito delle famiglie e la fiducia dei consumatori ha oggi raggiunto livelli critici in molti tra i principali mercati europei.

“FMCG Demand Signals” di IRI include informazioni relative a ben oltre 230 categorie del Largo Consumo, per oltre 2000 segmenti di prodotti e più di 10 milioni di referenze vendute negli Stati Uniti e in molti dei più grandi mercati europei (Francia, Italia, Germania, Spagna, Regno Unito e Paesi Bassi) e dell’Asia del Pacifico. Lo studio – basato sugli acquisti effettuati nei punti di vendita durante l’anno terminante a luglio 2022 e su una ricerca condotta sui consumatori – evidenzia che il deterioramento del reddito disponibile sta affliggendo principalmente le famiglie di fascia medio-bassa in tutti i paesi coinvolti dall’analisi. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti oggi la situazione finanziaria è peggiore di quella rilevata in Slovenia.

Il Largo Consumo Confezionato nel 2022 è cresciuto dell’1,5%, con un aumento di 9 miliardi di euro in termini di spesa; incremento che nel 2021 aveva raggiunto un +3%. Nonostante questo rallentamento della crescita, i dati di inizio anno mostrano uno slancio positivo: le vendite a valore infatti avevano raggiunto il +2,6% nei primi mesi del 2022, trainate principalmente dall’inflazione ma anche dalla ripresa della domanda in seguito all’allentamento delle restrizioni e alla ritrovata mobilità dei consumatori che sono tornati in ufficio (anche se meno rispetto al pre-Covid, come ad esempio in Italia), in vacanza e viaggiano regolarmente.

Andando ad analizzare più nel dettaglio, le categorie che spingono la crescita nel 2022 sono i surgelati, i freschi, gli “ambient”, le bevande e il cura persona; questo incremento però è stato parzialmente compensato dalla flessione delle vendite di alcolici (- 5%) e dei prodotti per la cura della casa (- 0,2%).

“Il continuo calo delle vendite in termini di volumi come risposta all’inflazione è un primo indicatore di debolezza nella domanda di beni di Largo Consumo”, ha commentato Ananda Roy, International Senior Vice President, Strategic Growth Insights di IRI. “I costi produttivi e di filiera sono in aumento, per questo Industria e Distribuzione sono costrette ad esplorare nuove vie per cercare di andare incontro alle famiglie in questo periodo di difficoltà e continuare a stimolare la domanda. Stiamo assistendo al più grande cambiamento del comportamento dei consumatori in oltre cinque decenni: oggi gli shopper acquistano chiedendosi “Ne ho davvero bisogno?”, “Possiamo permetterci di fare una scelta sostenibile?” e con la convinzione che “Ne uso meno, così spreco meno”.

Principali evidenze a livello europeo

• Oltre la metà dei consumatori sta vivendo una situazione di crisi: il 61% dei consumatori intervistati da IRI è preoccupato per l’impatto che questa crisi avrà sul loro stile di vita e il 71% ha già apportato modifiche al modo in cui acquista e utilizza i prodotti di uso quotidiano. Il 58% ha ridotto alcuni elementi essenziali (diminuendo gli spostamenti in macchina, saltando dei pasti e spegnendo il riscaldamento) ed il 35% sta utilizzando i propri risparmi personali e chiedendo prestiti per pagare le bollette.

• Le persone capiscono quello che sta accadendo nel mercato e sanno quali comportamenti adottare in risposta: il 74% dei consumatori è cosciente di quali siano i fattori determinanti il rialzo dei prezzi e il 69% afferma di essere in grado di prevedere l’impatto che l’inflazione avrà sulle proprie finanze.

• I consumatori si stanno adattando – Gli shopper scelgono dove acquistare per moderare gli effetti della crisi, sia cambiando i canali in cui acquistano, sia scegliendo una diversa insegna se il loro marchio di fiducia non è disponibile (26%), non è in promozione (34%) o se il negozio non ha una gamma di offerta sufficientemente ampia (41%).

• Gli shopper devono pensare al futuro per ottenere il miglior rapporto qualità-prezzo e rimanere nei limiti del loro budget – Pianificare la frequenza (è probabile che il 22% riduca le “shopping expeditions”) e la quantità di denaro da spendere (21%) sono cambiamenti che alcuni consumatori adotteranno nel modo di fare la spesa. Il 58% confronta più spesso i prezzi tra brand o prodotti simili e il 49% valuta la quantità di prodotto che deve effettivamente utilizzare (ad es. Detersivo in polvere per ogni lavaggio) per assicurarsi di utilizzarne il meno possibile. Questa ultima tendenza non si riscontra però in Italia dove il consumatore guarda al prezzo per confezione, indipendentemente da “sgrammature” e formulazioni.

• Le etichette svolgono un ruolo fondamentale: il 40% degli shopper cerca prodotti in sconto anche se in scadenza e il 41% legge le etichette sul pack per avere ulteriori informazioni relative ai prodotti. Il 27% cerca anche delle recensioni sui beni che acquista.

• I consumatori creano nuove occasioni, momenti e contesti di consumo: il 29% sta cambiando il luogo in cui consuma determinate referenze (a casa, fuori casa, all’aperto) ad esempio pranzando al sacco, invitando a casa gli amici per l’aperitivo, facendo la doccia in palestra, gustando caffè speciali tra le mura domestiche ed imparando a fare lo styling dei capelli a casa.

• Il luogo in cui mangiamo sta cambiando: poco più della metà degli shopper pensa di ridurre la home delivery di alimentari rispetto al passato (51%) e il 47% prevede di mangiare meno al ristorante o al bar. In aumento però (con il 49%) il numero di consumatori che intende cucinare più spesso cibo fresco a casa. Il 34% prevede anche di cucinare più frequentemente per prepararsi un pasto da consumare fuori casa e il 12% prevede di comprare più piatti pronti freschi da cucinare tra le mura domestiche.

• Più spazio per nuovi prodotti: in generale in molti paesi la scelta di un nuovo marchio per gli shopper diventa spesso una questione di prezzo (62%), di disponibilità immediata (49%) e di offerta promozionale a scaffale (37%). Cala l’importanza di qualità (15%), innovazione (8%) e comodità (8%). In Italia la qualità, per il consumatore, resta un fattore di scelta determinante. Nel nostro paese c’è una grande resistenza a mantenere uno standard qualitativo sufficiente concentrando al limite gli acquisti nel segmento core mainstream, e diminuendo i prodotti premium. Per gli operatori del settore l’obiettivo deve essere quello di offrire prodotti che rispondano alle nuove esigenze dei consumatori: ad esempio, proporre condimenti e ripieni “ambient” per pranzi al sacco, oppure distillati premiscelati e consegne più rapide per chi consuma i pasti in casa, nonchè formati diversi per le confezioni dei prodotti utilizzati in palestra.

• Le opzioni più sane e quelle a base vegetale convincono ancora alcuni consumatori (rispettivamente 24 e 22 percento) – Tuttavia i prodotti di un’azienda socialmente responsabile o un prodotto migliore per l’ambiente non sembrano essere in questo momento fattori principali di scelta (entrambi al 10%).

Ananda Roy ha inoltre commentato: “È evidente che la disponibilità dei consumatori a spendere diminuisce sempre più e la situazione potrebbe peggiorare ulteriormente – con la prospettiva di ulteriori aumenti probabilmente dati dai costi energetici e produttivi – ma il dato positivo è legato al fatto che i consumatori hanno il controllo delle loro finanze e stanno adottando nuovi comportamenti che gli permettono di far fronte a questa situazione di difficoltà. Per anni sono stati abituati a volere e comprare sempre “di più” , con un’offerta di nuovi prodotti ed innovazioni in continua espansione, ma oggi il contesto è chiaramente cambiato”.

“Sono finiti i giorni in cui si faceva una grande spesa una volta alla settimana. Ci aspettiamo un aumento della frequenza di acquisti di prodotti must-have ma una ricerca di prodotti stagionali a prezzi più bassi. Per i consumatori si prospettano diverse decisioni difficili da prendere, di conseguenza produttori e distributori dovranno individuare delle strategie chiare e ben definite per rispondere alle mutate esigenze dei loro acquirenti”.

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