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Inventory Quarantine: come rendere sicuri i resi

Il settore retail dell’abbigliamento è alle prese con le riaperture, più o meno complete e in molti casi sta procedendo per fasi; per tutto il comparto la regola è allestire e garantire un ambiente sicuro per lo shopping, sia per i dipendenti che per i clienti.

In risposta alle numerose domande relative al trattamento e alla gestione dei capi provati nei camerini, e i resi negli store e nei centri logistici, Checkpoint Systems ha annunciato una nuova soluzione tecnologica con software agnostico – Inventory Quarantine (IQ).

La soluzione SaaS-based può essere utilizzata come piattaforma indipendente oppure integrata in altri sistemi già in uso, e consente ai retailer di collocare i capi resi in uno stato logico di “custodia in quarantena”, ponendo tali articoli non disponibili ai clienti sia sul canale online che all’interno del negozio, per un certo numero di ore.

Raccomandata per essere impostata secondo le linee guida governative in base alla durata di vita del COVID-19 su capi e imballaggi, questa soluzione semplice ma efficace aiuta i retailer ad elaborare i resi massimizzando le vendite e riducendo al minimo il rischio per la salute degli utenti. Questo perchè notifica immediatamente all’operatore la conclusione del periodo di quarantena e permette di rilasciare gli articoli solo nel momento in cui essi siano ritenuti nuovamente sicuri.

Periodo di quarantena

IQ utilizza un unico software per identificare sia gli articoli restituiti nei centri logistici e negli store, sia la merce lasciata nei camerini, attivando un “tempo di quarantena” virtuale. Una volta attivato, gli articoli rimangono in una “zona sicura” stabilita dal retailer fino al termine del periodo di quarantena assegnato. Viene quindi inviata una notifica push ai dipendenti per comunicare loro che gli articoli sono sicuri per essere cnuovamente a disposizione per la vendita.

Durante la pandemia da coronavirus, le vendite di abbigliamento online sono aumentate del 34%, secondo Adobe Analytics, mentre ACI Worldwide ha dichiarato che molte categorie di retail online hanno registrato un incremento delle vendite fino al 74% a marzo. Si prevede che un tale aumento delle vendite sul canale online porterà senza dubbio a un forte incremento del tasso di reso, attestandoci su un valore del 30-40% [1] di vestiti e scarpe, ponendo sfide in ambito logistico per i retailer che stanno applicando un processo di quarantena sugli articoli resi.

Un’ulteriore criticità è data dal fatto che, con la riapertura degli store fisici, i clienti avranno l’opzione di rendere gli articoli acquistati online direttamente in negozio piuttosto che per posta, sfruttando i vantaggi dell’omnicanalità. Anche questo aspetto, quindi, insieme alla presenza degli articoli lasciati nei camerini, crea incertezza sulla potenziale contaminazione della merce nei negozi.

I retailer hanno la responsabilità di garantire che la merce restituita o manipolata dal cliente non rappresenti un rischio per la salute degli altri. Di conseguenza, grandi marchi del calibro di Macy’s, Gap, Nordstrom e Mango hanno già annunciato l’intenzione di mettere in quarantena gli oggetti per un determinato periodo di tempo dopo che sono stati portati in un camerino.

Tenendo traccia e riducendo al minimo i tempi “off shelf”, la soluzione IQ di Checkpoint fa parte di una suite di soluzioni per lo “Shopping Sicuro” con tecnologia agnostica e aiutano i retailer a introdurre misure efficaci per la salute e la sicurezza – infondendo fiducia sia ai dipendenti che ai consumatori.

Alberto Corradini, Business Unit Director Italia di Checkpoint Systems, ha dichiarato: “In tutto il mondo, l’esperienza di acquisto cui eravamo abituati sta cambiando radicalmente. I retailer che implementano nuove procedure dimostrando di tenere le persone al sicuro saranno senza dubbio visti favorevolmente dai clienti.

I resi e i camerini hanno sempre rappresentato una grande sfida per i retailer, ma a questo si è aggiunto il COVID-19. È noto che i clienti che usano i camerini sono il 70%[2] più propensi ad acquistare. Inventory Quarantine permetterà ai retailer di rimettere a disposizione i capi in modo veloce e sicuro, permettendo ai negozi di ridurre al minimo l’impatto economico”.

[1] https://www.cnbc.com/2019/01/10/growing-online-sales-means-more-returns-and-trash-for-landfills.html

[2] https://www.retaildoc.com/blog/what-if-home-depot-had-a-dressing-room

Centri Commerciali in Fase 2: footfall in recupero. Il Report CBRE

Footfall in recupero, aumento della spesa media per visitatore e nuove esigenze degli utenti dei centri commerciali: ecco quanto emerge dall’ultimo report di CBRE,che analizza i dati delle prime due settimane dalla riapertura dei centri commerciali, evidenziando una ripresa positiva di footfall e fatturato, paragonata ai valori registrati nello stesso periodo del 2019, e un conversion rate più alto rispetto al periodo precedente al lockdown.

Le evidenze

Vediamo i risultati più nel dettaglio.
La prima settimana di riapertura (18-24 maggio) ha registrato un recupero del footfall
(il 62,5% rispetto al valore registrato per lo stesso periodo nel 2019), risultato
particolarmente incoraggiante considerando le limitazioni degli spostamenti tra regioni
e un 18% di attività commerciali ancora chiuse.
Anche durante la seconda settimana di riapertura è proseguita la rimonta del footfall, che ha  raggiunto il 72,3% dei volumi dello scorso anno, a cui è seguito un recupero ancora più marcato del fatturato.

Cosa chiedono i clienti
Pulizia, sicurezza, rispetto delle regole e controllo degli accessi sono ora al centro dell’attenzione dei consumatori. Emergono inoltre l’esigenza di una maggiore integrazione con l’e-commerce per i servizi click & collect e delivery e l’impiego di nuove modalità di pagamento.
Sconti e promozioni sono le iniziative più richieste dai consumatori e fra i desiderata
emergono attività all’aperto e servizi dedicati alle coppie con figli.

Aspettative in fase di apertura

 

Geografia delle aperture

Dall’analisi dei dati emerge come il ritorno ai centri sia stato condizionato in modo significativo dai formati commerciali: i centri commerciali di maggiore dimensione hanno registrato i recuperi più contenuti, mentre la situazione appare migliorare più velocemente nei centri più piccoli. Questo fenomeno può essere collegato alla momentanea contrazione dei bacini d’utenza dei formati regionali, causata dal blocco degli spostamenti tra regioni ancora in atto nelle prime settimane di apertura, dal mancato contributo del turismo e dalla capacità dei centri di minore dimensione di rispondere efficacemente alla domanda di prossimità.

Servizi che si desidera vengano attivati

E’ interessante notare come i risultati migliori in termini di affluenze siano stati raggiunti dai parchi commerciali, dove gli spazi comuni all’aperto costituiscono
un’alternativa probabilmente più rassicurante rispetto alle gallerie commerciali,
almeno per il momento.

Suggerimenti

 

L’impatto della localizzazione geografica sulle performance delle affluenze appare
visibile, sebbene in modo più contenuto. Le regioni del nord-Ovest, dove si sono concentrati i principali focolai di COVID-19, hanno visto ripartenze più timide nella prima settimana di riapertura (55,9% di recupero di footfall). Traina il footfall il NordEst (68,9%), seguito dal Sud (66,8%) e dal Centro Italia (58%)

Modalità della ricerca

Il documento esamina inoltre le risposte degli utenti alla CBRE “Re-opening” Flash Survey, un sondaggio diffuso dal 7 maggio tramite le pagine social dei centri commerciali gestiti dall’azienda per comprendere le attese dei consumatori in vista della riapertura: dal campione di oltre 5.000 rispondenti si evince una grande attenzione nei confronti di pulizia, sicurezza e rispetto delle regole ma anche l’esigenza di nuovi servizi (come il Click & Collect e il Delivery) e di nuove modalità di pagamento.

Fase 2: meno tempo per la TV. Sempre bene il digitale. I dati GfK

Dopo TV e divano (“ingredienti” principi durante il lockdown), nella Fase 2 gli italiani tornano progressivamente alla normalità. Senza però rinunciare al Digitale (già star durante la “clausura”), che continua la sua corsa, anche tra i Boomer. Ecco quanto emerge da GfK Sinottica, l’indagine single source che permette di analizzare i consumatori in tutti gli ambiti dell’agire e che ne monitora i comportamenti reali di consumo.  

L’evoluzione dei comportamenti

I dati GfK Sinottica mostrano come nelle prime settimane della crisi e durante il lockdown il tempo speso davanti alla TV sia aumentato in maniera significativa: +18% rispetto al periodo antecedente l’inizio dell’epidemia. Gli italiani si sono rivolti alla TV per cercare informazioni su COVID-19, ma anche per intrattenersi nel lungo periodo passato in casa. Ancora più significativo l’incremento di tempo dedicato alla TV tra i più giovani, con un +24% della Generazione Z tra il 21 febbraio e il 3 maggio.

Con la Fase 2 le cose sono però cambiate: dalle rilevazioni emerge infatti, che nella prima settimana di maggio il tempo speso davanti alla TV è cresciuto del +1% e nella seconda settimana del +3%, tornando quasi ai livelli precedenti l’emergenza Coronavirus. Una normalizzazione delle abitudini di fruizione che è dovuta probabilmente al ritorno al lavoro di molte persone e più in generale alla possibilità di uscire dalla propria abitazione. Il trend è ancora più marcato per la Generazione Z (14-24 anni) che nella seconda settimana di Fase 2 ha visto diminuire del -3% il tempo speso davanti alla TV.

Il Digitale continua a cresce

Tra smart working, didattica a distanza e video aperitivi, durante il lockdown il Digitale è entrato a far parte in maniera significativa della vita quotidiana degli italiani. I dati GfK Sinottica mostrano come il tempo dedicato agli strumenti digitali sia cresciuto del +25% nel periodo compreso tra il 21 febbraio e il 3 maggio 2020. Le persone hanno utilizzato il Digitale per informarsi, per fare la spesa, per lavorare, per socializzare e anche per intrattenersi, sviluppando nuove abitudini che sembrano destinate a continuare anche nella Fase 2.

Infatti, il tempo speso per tutti gli strumenti digitali è cresciuto ancora del +20 nella settimana tra il 4 e il 10 maggio e del +24 tra l’11 e il 17 maggio. Questo incremento si riscontra anche nelle fasce più mature della popolazione, quelle che prima dell’emergenza Coronavirus avevano meno familiarità con il Digitale. Ad esempio, tra i Baby Boomer (55-74 anni) la crescita è stata del +26% nelle prime settimane di emergenza e durante il lockdown. Anche in questo caso la crescita continua anche nella Fase 2, con un +24% nella settimana compresa tra l’11 e il 17 maggio.

Nota metodologica

GfK Sinottica è un’indagine single source basata su un campione rappresentativo di italiani con più di 14 anni. I dati contenuti in questo comunicato si riferiscono al periodo compreso tra il 21 febbraio e il 17 maggio 2020 e sono stati raccolti quotidianamente, in maniera continuativa con metodologie passive (Meter e Software Tracker). Tutti i trend si riferiscono al confronto con il periodo precedente l’inizio della crisi Coronavirus (27 gennaio – 20 febbraio 2020).

Ortofrutta: consumi (e prezzi) in crescita, durante la pandemia

I comportamenti di consumo dell’ortofrutta nel corso del lockdown sono cambiati. E gli effetti si sentiranno anche durante la Fase 2.

Ecco quanto emerge dal focus sui consumi domestici di ortofrutta dell’osservatorio “THE WORLD AFTER LOCKDOWN” di Nomisma e CRIF.

La forzata permanenza degli italiani fra le mura domestiche nelle lunghe settimane del lockdown ha spinto il consumo di frutta e verdura fresca e trasformata. Un italiano su due ha infatti modificato gli acquisti in questo periodo, con un forte aumento delle quantità consumate (circa un italiano su tre) – mentre sul fronte opposto solo il 15% dichiara di aver diminuito i consumi.

Le dinamiche dei consumi di ortofrutta riflettono quanto accade all’intero paniere alimentare, in aumento per il 23% delle famiglie, mentre si assiste ad un calo diffuso per le spese rimandabili quali abbigliamento (38% delle famiglie ha ridotto gli acquisti) e arredamento (35%).

L’incomprimibilità della spesa domestica per alimentare e bevande è un evidente effetto dell’incremento del numero di pasti at home, collegati alla pressoché totale chiusura del canale away from home e all’adozione dello smart-working. Per gli stessi motivi, oltre che per una generale ricerca per prodotti naturali e salutistici, le vendite di ortofrutta nella distribuzione modera hanno registrato un grande balzo durante il lockdown (+15,8% a valore la variazione 17/feb-26/apr 2020 rispetto allo stesso periodo 2019 – fonte Nielsen – la crescita 2020 nel periodo pre-Covid era stata invece del 3,3%).

La crescita è stata sostenuta soprattutto dalla frutta (+20,4% a valore) rispetto alla verdura (+13,4%). Un driver importante sono stati i valori salutistici associati al consumo di frutta – in particolare di quella ricca di vitamina C, come le arance e kiwi, ma anche delle mele, categorie che più di altre hanno dato impulso agli acquisti.

Tuttavia, se da un lato l’incremento a valore della spesa riflette i maggiori acquisti in quantità e la ridefinizione del mix dei prodotti ortofrutticoli infilati nel carrello, dall’altro indica l’effetto di un incremento dei prezzi, percepito da ben il 69% dei responsabili acquisti delle famiglie.

Fonte: Osservatorio Nomisma The World After LOCKDOWN

Il canale on line

La percezione della crescita dei prezzi riflette anche la rimodulazione degli acquisti per canale. La spesa è cresciuta in tutti i punti vendita, ma durante il lockdown gli italiani hanno fatto maggior ricorso rispetto al pre-Covid ai negozi di vicinato e ai piccoli supermercati di prossimità. I comportamenti adottati per evitare il rischio di contagio in caso di assembramenti (limitazioni nel movimento e impossibilità di spostamenti in comuni diversi, predilezione di punti vendita meno affollati, pianificazione della spesa, ecc.) hanno portato non solo ad un diradamento della frequenza della spesa, ma anche alla preferenza di punti vendita prossimi alle abitazioni, soprattutto in quelli che hanno introdotto servizi quali click & collect, ordini telefonici, via WhatsApp o tramite sito internet (il 16% delle famiglie ha fruito del food delivery).

L’esigenza per la componente di servizio ha superato in molti casi la più “consolidata” preferenza di selezione diretta dell’ortofrutta.

E sulla scia di questo comportamento si è anche affermato l’acquisto di frutta e verdura on line. Una famiglia su 4 infatti ha acquistato ortofrutta tramite i siti web delle insegne della distribuzione organizzata, con una domanda potenziale ancora maggiore e non soddisfatta a causa di una forte intensità delle richieste (durante il lockdown il 16% ha provato a piazzare un ordine senza successo). Per l’ortofrutta il canale on line non si esaurisce con la GDO: un ulteriore 15% ha fatto un acquisto nei siti di produttori/mercati agricoli on line.

Queste tendenze, embrionali prima del lockdown, potrebbero diventare abitudini consolidate nel post-lockdown.

IV gamma e time-saver: i freschi sono più forti

Frutta e verdure fresche sono state le protagoniste sulla tavola degli italiani nelle settimane trascorse in casa. Complice il maggiore tempo a disposizione e una rinnovata attenzione alla buona cucina, i maggiori acquisti hanno riguardato queste referenze, cui si sono affiancati anche i surgelati (presenti durante il lockdown in almeno una occasione nel carrello degli acquisti del 90% degli italiani – +30% a valore nelle vendite della GDO nel mese di marzo), che grazie alla lunga conservazione hanno consentito di garantire la necessità di fare “scorta”.

All’opposto, i prodotti time-saver e ready to eat, come gli ortaggi confezionati e già pronti all’uso in cucina e le zuppe e minestre pronte da scaldare, hanno avuto una lieve battuta d’arresto. Nelle prossime settimane è atteso un riequilibrio, ma fintanto che le misure di salvaguardia della salute degli italiani saranno alte (prosecuzione della chiusura delle scuole, uso diffuso dello smart-working, ecc.) e alcune attività procederanno a ritmo ridotto, gli effetti sulla composizione del paniere di spesa dell’ortofrutta continueranno a farsi sentire.

Le nuove priorità

Che eredità ha lasciato il lockdown agli italiani?

Il maggiore interesse per la salute e il benessere, unito al forte interesse per l’italianità che riflette sia sicurezza che forte senso di solidarietà verso il nostro paese, saranno i principali attributi che guideranno le scelte dell’ortofrutta nei prossimi 6 mesi.

Fonte: Osservatorio Nomisma The World After LOCKDOWN

L’origine 100% italiana del prodotto sarà l’elemento chiave delle scelte degli italiani: il 60% dei responsabili acquisti dichiara, infatti, che questo criterio – già rilevante in passato – sarà ancora più centrale; a conferma è elevata anche l’importanza attribuita ai prodotti a km zero o del territorio (45%). Grande interesse si concentra anche nella ricerca di adeguate garanzie relativamente al controllo ed alla rintracciabilità lungo la filiera (45%). Tra gli altri valori determinanti i prodotti biologici (34%) e salutistici (32%), con un occhio anche alla sostenibilità, grazie alle confezioni in materiali riciclabili o comunque ecosostenibili (30%).

I consumatori di frutta e verdura, infine, faranno anche molta attenzione alla convenienza e al prezzo (42%), visto lo scenario di difficile congiuntura economica, che determinerà sempre più un forte ridimensionamento dei redditi e quindi della capacità di spesa degli italiani.

Modalità della ricerca

L’osservatorio “THE WORLD AFTER LOCKDOWN” di Nomisma e CRIF,  analizza l’impatto della pandemia COVID-19 sulle vite dei cittadini, grazie al coinvolgimento di un campione di 1.000 italiani responsabili degli acquisti (18-65 anni).

2020: gli acquisti online crescono del 55%

Nel 2020 gli acquisti online dei consumatori italiani (su siti sia italiani sia stranieri) nel comparto Food&Grocery varranno 2,5 miliardi di euro, con una crescita del +55%, quasi 1 miliardo in valore assoluto in più rispetto al 2019.
La componente più rilevante (pari all’87% del comparto) è rappresentata dall’Alimentare: all’interno di questa categoria il Grocery Alimentare (prodotti da supermercato) diventa il principale segmento online, grazie a una crescita del +85% rispetto al 2019 e un valore di 854 milioni di euro. Seguono il Food Delivery (cibo pronto) con 706 milioni (+19%) e l’Enogastronomia (prodotti di nicchia) con 589 milioni di euro (+63%).

Questo è quanto emerge dalla fotografia scattata dall’Osservatorio eCommerce B2c promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano e da Netcomm, il Consorzio del Commercio Elettronico Italiano.

“A fine 2019, il Food&Grocery era il comparto più dinamico online, ossia con il ritmo di crescita più sostenuto (+40% circa), ma il meno maturo, ossia quello con il tasso di penetrazione più basso (1,1% del valore totale degli acquisti retail dei consumatori italiani)” Dichiara Riccardo Mangiaracina, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – Politecnico di Milano “Con lo scoppio dell’emergenza Covid-19, la domanda online di prodotti alimentari è in alcuni casi decuplicata, mettendo forte pressione agli attori eCommerce. Il lockdown, le nuove esigenze (e paure) dei consumatori hanno fatto cadere le barriere all’utilizzo del canale eCommerce (e dei pagamenti digitali) e hanno convinto anche i retailer più restii al cambiamento della necessità di potenziare l’offerta online, oggi non adeguata”.

Molti negozi fisici, focalizzati sui beni alimentari e di prima necessità, si sono infatti avvicinati per la prima volta all’eCommerce grazie alla collaborazione con soggetti terzi già presenti online (piattaforme di food delivery e non solo). Ancora più numerosi i negozi di quartiere che hanno iniziato a lavorare con strumenti digitali meno evoluti dell’eCommerce, ma ugualmente interessanti, come ad esempio la presa dell’ordine via whatsapp o per telefono.

Commenta Valentina Pontiggia, Direttore dell’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm – Politecnico di Milano:  “Lo sforzo messo in atto è stato encomiabile, ma l’adeguamento delle risorse non è comunque stato sufficiente a soddisfare interamente la domanda. Rispetto al passato è però maturata una definitiva consapevolezza dei limiti fino a oggi imposti dalle operations. Ed è grazie a questa consapevolezza che stanno prendendo forma nuove strategie”.

Sarà necessario ottimizzare i processi di picking e di distribuzione perché per fare eCommerce nel Food (dove l’ordine medio è costituito da un numero elevato di prodotti, fino a 50 nel Grocery, con un basso valore unitario e con esigenze specifiche come la gestione a temperatura controllata) serve una macchina operativa perfettamente funzionante ed efficiente. Sarà prioritario lavorare sull’organizzazione aziendale, sui ruoli e sulle responsabilità necessarie per favorire una nuova idea di commercio, sicuramente più digitale e omnicanale. Solo così sarà possibile superare i connotati ancora sperimentali di molte iniziative e garantire una copertura territoriale sempre più estesa”.

“Gli italiani hanno modificato in pochissimo tempo i propri modelli di consumo – commenta Roberto Liscia, Presidente di Netcomm -. Per questo stiamo assistendo a una continua espansione delle modalità di contactless delivery, come click&collect, drive&collect e ritiro in locker.”  “Un modello che ha preso piede in Italia durante la prima fase di emergenza sanitaria, infine, è il proximity commerce. L’integrazione tra i grandi player del commercio elettronico e i piccoli negozianti, grazie alla logistica e alle piattaforme di delivery, ha permesso di sviluppare una rete locale che ha rimesso al centro il ruolo storico e fondamentale dei piccoli dettaglianti, servendo anche i clienti residenti in piccole comunità.”

Copertura territoriale dei servizi Food&Grocery online

Oggi il 73% degli italiani (era il 68,5% nel 2019) può fare la spesa online da supermercato, anche se il livello di servizio non sempre è idoneo. 

Allargando l’analisi a livello provinciale, nel 2020 è stata attivata almeno una nuova iniziativa di spesa online da supermercato nel 54% delle province italiane.

Il numero di servizi di spesa online da supermercato attivi in ogni provincia dipende in primo luogo dalla popolazione: si passa infatti dalle 10,5 iniziative in media nelle province con oltre 1,5 milioni di abitanti, alle 5,2 dove la popolazione è compresa tra 650 mila e 1 milione, alle 2 quando il dato si ferma al di sotto dei 300.000. In secondo luogo, il numero di iniziative presenti diminuisce percorrendo l’Italia verso le regioni meridionali: sono 4,5 le iniziative per provincia mediamente attive al Nord, 2,5 al Centro e solo 1,7 al Sud.

Nel 2020, come già nel 2019, in tutte le regioni italiane è presente almeno un’iniziativa di Food Delivery e anche la copertura provinciale ha raggiunto il 100% del territorio (era il 97% nel 2019). Al momento, poco più di due terzi (67%) degli abitanti ha potenzialmente accesso a uno di questi servizi (era un abitante su due nel 2019 e un abitante su tre nel 2017).

Considerando i singoli comuni, nel 2020 il 16% è coperto da almeno un servizio di consegna di cibo pronto a domicilio (era il 6,5% nel 2019). I player del settore stanno attivando nuovi servizi di food delivery non solo nelle città più densamente popolate (il 100% dei comuni con almeno 50.000 abitanti oggi è infatti coperto dal servizio, era il 93% nel 2019), ma anche nei centri più piccoli, con l’obiettivo di raggiungere un numero sempre più importante di potenziali clienti (rispetto al 2019, sono 735 i nuovi comuni ad essere coperti dal servizio).

La logistica e gli imballaggi ai tempi del Coronavirus secondo Raja Italia

Il Coronavirus ha avuto un impatto significativo anche sulla logistica, coinvolgendo tutti i settori merceologici e tutte le aree geografiche anche se in misura diversa, e impattando sui prodotti, i volumi venduti e i canali d’acquisto.

RAJA Italia ha realizzato ad hoc sul tema un barometro degli imballaggi e della logistica, analizzando l’impatto dell’emergenza sanitaria sul proprio portafoglio clienti, che conta oltre 80.000 realtà tra PMI e gruppi internazionali con diverse sedi sul territorio italiano, l’azienda piacentina mostra come i settori siano fortemente cambiati nei due mesi di lockdown, marzo e aprile 2020.

 

Le evidenze

Esaminando i primi 50 clienti in ordine di venduto, in termini di volumi, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, le consegne hanno registrato un incremento esponenziale soprattutto nel mondo e-commerce. Oltre il 90% delle vendite, +20% vs 2019, è stato infatti realizzato da aziende con store online o logistiche che lavorano per gli e-commerce. Un risultato che corrisponde anche all’80% dei clienti considerati, dato fortemente in crescita se paragonato all’anno scorso quando si attestava al 60%.

Studiando invece le diverse aree geografiche, se si confrontano i dati dei mesi del lockdown con Gennaio e Febbraio 2020 l’impatto risulta più significativo nel Nord d’Italia, dove gli ordini sono diminuiti di 5 punti percentuali (69% vs 74%). Una flessione guidata soprattutto dalla regione Lombardia che rileva un -4% sul totale. Rispetto ai primi dell’anno crescono invece di 3 punti percentuali totali Centro, Sud e Isole, a dimostrazione di un nuovo mercato in via di sviluppo.

Passando poi alle diverse industry, nel mondo e-commerce si registra un importante share sul totale dei nuovi clienti nelle categorie del tempo libero, sport e DIY (14%), beauty, elettronica, prodotti per infanzia, arredamento e accessori casa (8%) e food (6%). Crescono anche i clienti appartenenti a bar/ristorazione e pharma con uno share pari al 3%. Una fotografia del mercato italiano che rivela un interessante aspetto del momento storico vissuto dal Paese: la grande capacità di adattamento delle imprese italiane che in alcuni casi hanno persino reinventato il proprio business puntando sul food delivery o sulle vendite online.

In relazione al canale di acquisto scelto, rispetto all’anno scorso, si nota una diminuzione degli acquisti telefonici (-15%), mentre aumentano sito Web (+13%) ed email (+ 4%). Considerando però l’AOV (Avarage Order Value), i dati mostrano un notevole incremento degli ordini telefonici (+ 79%), seguito dall’email (+ 13%), mentre rimane invariato il valore degli ordini online.

Infine, osservando i prodotti più richiesti, le prime tre posizioni del podio sono occupate invece da materiale per riempimento e protezione (+25%), come cuscini e carta, sacchetti in plastica con chiusura a pressione (+23%) scelti nella maggior parte dei casi dalle farmacie perché adatti alla spedizione di medicinali ed infine scatole e imballaggi postali (+21%).

“In questi duri mesi di lockdown, il mondo degli imballaggi e della logistica sono stati messi a dura prova ma non si sono mai fermati. Nella piena emergenza, questi settori sono infatti fondamentali, oserei affermare essenziali, per tutto il Paese e questi numeri lo dimostrano. Hanno permesso all’economia italiana di continuare, alla merce, anche di prima necessità, di viaggiare e alle aziende di reinventarsi”, afferma Lorenza Zanardi, Direttore Generale di RAJA Italia.  

 

Succhi di frutta in Gdo: dinamiche e prospettive. L’analisi di IRI

Dal Coronavirus in poi, niente è come prima. Tutto è stato stravolto. Compreso il mercato delle bevande. Basta guardare i dati per capirlo. Nel 2019 il mercato delle Bevande (prendendo in considerazione i canali Ipermercati, Supermercati e Libero Servizio Piccolo), con un giro d’affari di poco più di 8 miliardi di euro, è stato uno dei settori più dinamici del Largo Consumo Confezionato, riportando una crescita più che soddisfacente in termini di valore (+2,2%) e un lieve recupero in volume (+0,3%), rispetto all’anno precedente. Tutte le principali categorie hanno avuto un focus sul miglioramento dei fatturati: l’Acqua, che rappresenta il 71% dei volumi ma solo il 21% del giro d’affari dell’intero settore, ha chiuso l’anno passato con una certa stabilità a volume e una crescita contenuta a valore (+0,1% a volume e +1% a valore); la Birra ha mostrato migliori risultati dal punto di vista del fatturato con un incremento del +1,9% a valore rispetto ad un +1,1% a volume; in leggera crescita il Vino a volume (+0,6%), a fronte di un +2% in valore; ottime performance per Aperitivi (+6,4%) e Champagne/Spumanti (+8%); le Bevande Gassate permangono a volume sugli stessi livelli del 2018, anno caratterizzato da un forte calo delle vendite; Succhi e Nettari confermano l’andamento del 2018 (-3,3% sia a volume che a valore), mentre si è registrato un incremento delle vendite per le Bevande Piatte (+4,8% a volume). Un quadro, questo del 2019, sicuramente differente dalla realtà che stiamo vivendo nell’anno in corso. L’emergenza legata al Covid-19, che dalla fine di febbraio ha rivoluzionato le vite di tutti noi, ha inciso in maniera dirompente sugli stili di vita e sui comportamenti di acquisto e di consumo. In pochi giorni, intere famiglie si sono ritrovate confinate tra le mura delle loro case, con l’azzeramento di ogni possibile forma di consumo fuori casa e con la necessità di riorganizzare la spesa alimentare per rispondere ad un maggior consumo domestico. Infatti, a partire dall’ultima settimana di febbraio, a seguito della scoperta dei primi casi di Coronavirus e delle conseguenti decisioni governative in tema di chiusure dei negozi, le vendite di prodotti di Largo Consumo nella Grande Distribuzione hanno subito una impennata che ha interessato molte categorie, tra le quali Acqua, Vino, Birra, ma anche i Succhi di Frutta, perlomeno nelle prime settimane di emergenza, generando un contenimento della flessione delle vendite rispetto alla chiusura del 2019. Questo studio si pone come obiettivo quello di delineare la categoria dei Succhi di Frutta e le relative performance nella Distribuzione Moderna, oltre ad investigare le nuove dinamiche di mercato e le possibili prospettive per il futuro.

I Succhi di Frutta nel canale moderno

Come indicato dall’esclusiva soluzione IRI Liquid Data, la categoria dei Succhi di Frutta, UHT e Freschi, ha sviluppato un fatturato di quasi 581 milioni di euro nella Distribuzione Moderna (Ipermercati + Supermercati + Libero Servizio Piccolo) per un totale di circa 403 milioni di litri: le vendite complessive hanno segnato una flessione del -2,2% in valore e del -2,1% in volume negli ultimi 12 mesi terminanti ad aprile 2020. Succhi, Nettari e Spremute UHT, che rappresentano il 92% del fatturato complessivo, presentano la stessa dinamica del totale mercato in termini di variazioni di vendite verso lo scorso anno.

Anche i Succhi Freschi – segmento piccolo rispetto ai prodotti a scaffale -dopo la crescita del recente periodo legata all’entrata sul mercato di diverse aziende specializzate nella IV gamma, segnano nell’ultimo anno una battuta d’arresto con una lieve crescita in volume (+0,4%) e una flessione delle vendite in valore pari a -2,6% (in crescita la nicchia dei Frullati Freschi).La flessione registrata dal mercato ha interessato le aree del Nord e il Centro, mentre si evidenzia una lieve crescita per il Sud. In termini di canale di vendita, i Supermercati, che sviluppano oltre il 70% del fatturato dei Succhi UHT, hanno registrato una perdita delle vendite in valore del -1.1% rispetto all’anno precedente, gli Ipermercati segnano un -10% mentre restano stabili i punti vendita di prossimità: le restrizioni della «fase 1» dell’emergenza Covid-19 e il conseguente maggior ricorso ai punti vendita di prossimità, hanno generato un trend positivo per il canale di cui ha beneficiato anche la categoria dei Succhi UHT. Per i Succhi Freschi è da segnalare la concentrazione di vendite nell’area del Nord Ovest che rappresenta oltre il 50% delle stesse (30% delle vendite per i Succhi UHT). In termini di canali di vendita, si segnalano le stesse dinamiche dei Succhi UHT con una forte flessione degli Ipermercati e una crescita della “prossimità” guidata dagli eventi degli ultimi mesi.Lo scaffale dedicato alla categoria risulta essere abbastanza affollato, anche se si riscontra una tendenza alla riduzione del numero medio di referenze e quindi di razionalizzazione della proposta da parte della Grande Distribuzione: l’offerta media di Succhi e Nettari UHT è di circa 131 referenze per punto vendita che salgono a oltre 190 negli Ipermercati. Nel banco frigo, l’offerta media di Succhi si aggira intorno a 13 referenze (23 negli Ipermercati) per punto vendita (in flessione anche in questa categoria). La proposta a scaffale dei Succhi è estremamente segmentata agli occhi dei consumatori: diverse localizzazioni nel punto vendita (banco frigo o scaffale), varie tipologie di prodotto (% frutta) per l’UHT, molteplici tipologie di pack (formato/confezione) e numerosi gusti. Analizzando le principali tipologie di Succhi UHT: i Succhi 100%, che sviluppano il 13% del fatturato del mercato, hanno perso circa l’1,1% delle vendite, persevera il trend negativo dei Nettari (32% del mercato), utilizzati prevalentemente come merenda per i bambini e sono in lieve crescita (+1,5%) le bevande a più basso contenuto di frutta (30%-99%), che rappresentano la parte più importante del mercato (43%).

Formati e gusti

Il primo formato del segmento UHT è quello da 1 lt – brick o plastica – che sviluppa circa il 43% dei valori e il 48% dei volumi: tra brick e plastica, il primo mostra trend più dinamici con una crescita sia pur lieve, mentre la plastica è in flessione. Segue il brick 200 ml, che sviluppa circa il 26% a valore e il 23,3% a volume, che invece continua a mostrare una flessione delle vendite. Il vetro, terza tipologia di confezionamento dopo il brick e la plastica, si ritaglia il 14% del mercato dei Succhi UHT: se i formati piccoli mostrano una certa difficoltà (es 125ml o il 200ml), si rilevano tassi di crescita più dinamici su formati nella fascia 500ml-750ml.

Nei Succhi Freschi, il formato 250 ml plastica si conferma il primo per incidenza sul fatturato; in termini di volumi invece, il primo formato è il brick da 750ml. I consumatori possono scegliere tra un’ampia e vasta gamma di gusti: dai classici, come albicocca, pesca, pera, arancia rossa, ananas ai gusti più di tendenza quali mirtillo, frutti di bosco, frutti rossi, melograno. La tendenza degli ultimi anni è di proporre mix di frutta e verdura con la combinazione di spezie.

Prezzi e Promozioni

Succhi e Nettari UHT hanno un prezzo al litro di 1,36€, che varia a seconda della % di frutta, del tipo di confezione (il prezzo medio del vetro è triplo rispetto alla media) o del tipo di prodotto (per esempio i succhi bio hanno un prezzo più che doppio rispetto alla media). Nell’ultimo anno, l’incidenza promozionale del mercato è stata del 41% (-2 pti verso l’anno precedente). Più elevato il prezzo medio dei Succhi Freschi: si passa dai 4,50 €/lt dei Succhi Freschi ai 9 €/lt dei Frullati Freschi. Complessivamente, il segmento dei Succhi Freschi ha registrato un’incidenza promozionale pari 21% dei volumi.

Innovazione

L’affermarsi di modelli di consumo orientati al salutismo è una delle ragioni che spiegano la contrazione del mercato dei Succhi di Frutta negli ultimi anni. Nelle scelte d’acquisto di cibi e bevande, la presenza di zucchero è uno degli aspetti a cui gli italiani dedicano una forte attenzione. Le aziende del comparto, per fronteggiare questa riduzione del consumo di zucchero, hanno cercato di dare un nuovo impulso attraverso un’offerta orientata a soddisfare sempre più la richiesta di “benessere” di un consumatore che si mostra attento alla lista degli ingredienti e alla loro naturalità. L’innovazione si sta orientando sempre di più verso la riformulazione di ricettazioni per eliminare o ridurre il contenuto di zucchero e aumentare la percentuale di frutta in modo da proporre prodotti più in linea con la richiesta di naturalità da parte del consumatore. Come negli altri comparti delle Bevande Analcoliche, si assiste ad un aumento dell’offerta di prodotti che riportano sulla confezione il claim “senza zuccheri aggiunti” e che, quindi, contengono solo lo zucchero naturalmente presente nella frutta.Accanto alle formulazioni che puntano a ridurre le quantità di zucchero ed aumentare la percentuale di frutta, le aziende del settore hanno ampliato l’offerta in termini di gusti proponendo, accanto a quelli classici, mix di frutta e verdura, prodotti arricchiti con ingredienti alleati della salute (zenzero, aloe, bacche di goji, curcuma ecc…), oppure gusti a base di frutti con principi attivi particolarmente interessanti per la salute e quindi considerati molto sani (es mirtillo, melograno…).

Prospettive per il futuro

Conoscere i criteri di scelta che sottendono l’atto di acquisto dello shopper, le barriere all’acquisto e il ruolo della lista degli ingredienti (compresa la presenza di zucchero) può essere un supporto efficace per le aziende di produzione: la capacità di cogliere i cambiamenti radicali del profilo dei consumatori e di proporre un’offerta innovativa che ne tenga conto rimane un elemento chiave per competere in generale nei mercati e in particolare nel mercato dei Succhi. Adattarsi alle nuove richieste provenienti dai consumatori rappresenta una possibilità di riscatto e di ripresa per un mercato da tempo attaccato per il contenuto di zuccheri. L’opportunità per gli operatori del settore può essere individuata attraverso un’innovazione basata su una riformulazione della quantità di frutta e zucchero e una comunicazione adeguata per affermare valori e distintività delle marche. E’ possibile trovare un modo alternativo per sfruttare al meglio tutte le valenze nutrizionali della frutta, ritagliandosi nuove fette di mercato, creando nuove occasioni di consumo e attirare così nuovi consumatori.

Fase 2 e consumatori: il 63% continua a preferire il negozio fisico

Dopo molte settimane di difficoltà causate dalla crisi del Coronavirus, il Paese sta tornando alla normalità e anche il settore Retail prova a ripartire.

Ma come saranno i “nuovi” consumatori che varcheranno le soglie dei punti di vendita? E come deve evolvere il negozio per accogliere i propri clienti, interpretando al meglio i loro bisogni?

Da febbraio GfK ha attivato un monitoraggio settimanale a 360 gradi sugli effetti del Coronavirus sui mercati, i consumatori e i media che ha messo in luce tra le altre cose le nuove aspettative dei consumatori rispetto al mondo Retail. Anche se nelle ultime settimane le vendite on-line sono cresciute in maniera significativa per effetto del lockdown, il 63% degli italiani desidera ancora acquistare nel negozio fisico.

Un aspetto fondamentale per attirare nuovamente il consumatore in negozio sarà quello di puntare sulla sicurezza. Infatti, secondo le indagini GfK il 68% degli italiani ha intenzione di frequentare i negozi in grado di garantire le massime condizioni di igiene e sicurezza.

Comunicare e trasmettere un senso di sicurezza sarà fondamentale per avere visitatori, ma bisognerà anche trovare nuovi modi per rendere gratificante la visita in store, che può essere depotenziata dai dispositivi di protezione (mascherine, guanti, gel per le mani, distanziamento…).

Ma cosa si aspettano i consumatori dall’esperienza in negozio nel dopo COVID-19? Le nostre ricerche ci dicono che i consumatori italiani sono divisi a metà, tra coloro che desiderano riscoprire il contatto umano all’interno dei negozi (49%) attraverso la presenza di personale, assistenza in negozio o promoter e coloro che invece preferirebbero trovarvi un maggiore utilizzo di tecnologie digitali (51%), compresi gli assistenti virtuali e i sistemi di intelligenza artificiale, che possono aiutare a mantenere un elevato livello di sicurezza nel punto vendita.

L’acqua del futuro? Funzionale ed eco-sostenibile

Per la stragrande maggioranza degli intervistati (79%) la scelta dell’acqua oligominerale deve rispondere ad esigenze specifiche, sia per composizione chimico-fisica che per residuo fisso. Cresce la propensione al consumo di acque funzionali (53%), meglio se con pH alcalino (65%) per contribuire a rinforzare il sistema immunitario oppure con presunto effetto anti-age (71%). E ancora: per il 67% dei rispondenti a fare la differenza nell’acquisto sono anche l’eco-sostenibilità e la bottiglia plastic-free (83%).

Ecco alcuni dei risultati emersi dal sondaggio condotto su un panel di oltre 2 mila pazienti di età compresa fra i 25 ed i 60 anni dalla nutrizionista Elena Paglia, che commenta: “La corretta idratazione è parte integrante di uno stile di vita sano e bilanciato. Oggi le acque sono nutrimento liquido per tutto l’organismo. Ecco perché sempre più persone scelgono e assumono acqua con crescente attenzione alle sue caratteristiche funzionali”.


Le funzionali

Fra le macro categorie di acque quelle funzionali svettano in cima alle preferenze degli intervistati: il 53% dei rispondenti dichiara di non poterne più fare a meno nella propria routine di benessere quotidiana, dal lavoro allo sport, affiancato dal 37% di fedelissimi delle acque oligominerali tradizionali a basso residuo fisso e da un esiguo 10% che si orienta verso acque molto mineralizzate.

Fra le acque funzionali gli intervistati privilegiano le acque alcaline (65%), che grazie al loro pH superiore a 7 e alla loro struttura micro-molecolare, possono garantire una capacità di idratazione superiore. Proprio come HYDRAQUA, l’acqua alcalina ionizzata con pack 100% in alluminio riciclabile all’infinito.

“Assumere almeno un litro e mezzo di acqua alcalina al giorno, con pH 7+ e preferibilmente ionizzata, contribuisce ad alcalinizzare il corpo e i tessuti connettivi, rinforzando le difese immunitarie”, sottolinea Elena Paglia. “In tempi di coronavirus questo aspetto ha fortemente influenzato le decisioni di acquisto degli intervistati”.

 

Le anti-age

Se le acque alcaline raccolgono il plauso degli intervistati under 35, che le indicano come miglior scelta in una percentuale del 56%, le acque con presunte proprietà anti-age che favoriscono la lotta ai radicali liberi grazie alla formulazione arricchita con collagene, zinco o acido ialuronico, conquistano un ampio segmento di over 45. I rispondenti più maturi, infatti, dichiarano di assumerle regolarmente nel 57% dei casi. Ottengono un seguito apprezzabile anche le acque aromatizzate alla frutta o alle erbe, indicate come scelta ideale dal 49% degli intervistati nelle fasce di età 45-60.

 

L’acqua del futuro

Per il 77% degli intervistati sarà a metà strada fra una tradizionale acqua oligominerale ed un Energy Drink, ma dovrà anche essere eco-responsabile (83%) e promuovere iniziative in difesa dell’ambiente. E non manca un occhio di riguardo per il pack della bottiglia: rigorosamente plastic free (93%), di preferenza compatto e dalle linee morbide (75%), pensato per il consumo fuori casa (83%). 

 

Fase 2, riaperture e distanziamento: che confusione! L’indagine Facile.it

L’Italia ha ufficialmente “riaperto”, molti ristoratori ma gli italiani sono pronti a tornare a pranzare e cenare fuori casa? La maggior parte, purtroppo, no. Secondo l’indagine realizzata per Facile.it da mUp research e Norstat su un campione rappresentativo della popolazione nazionale adulta, più di un intervistato su due (54,5%) ha dichiarato che, almeno nella prima settimana di riapertura, non mangerà fuori casa perché non si sente sicuro; il 22% è ancora indeciso e il 10,3% continuerà ad utilizzare la modalità di asporto o consegna a domicilio. Insomma, nonostante le fatiche di molti ristoranti, pizzerie e pub, sembra che solo il 13,3% degli italiani tornerà subito a mettere le gambe sotto al tavolo.

Le principali evidenze

Ma il dato forse ancor più preoccupante, si legge nell’indagine, è che questa scelta non sembra essere momentanea ma pare corrispondere ad un cambiamento di abitudine più radicale. Alla domanda “Con quale frequenza, rispetto a prima dell’emergenza coronavirus, crede che andrà a pranzo o a cena in un ristorante, una pizzeria o un pub da qui alla fine del 2020?” solo il 21,6% degli intervistati ha dichiarato che ci andrà con la stessa frequenza di prima; il 60,4%, pari a quasi 26,5 milioni di italiani, ha invece ammesso che ci andrà meno spesso di prima, mentre il 16,8% addirittura non ci andrà proprio.

A cambiare maggiormente abitudini sembra saranno i più anziani; nella fascia di età compresa fra i 65 ed i 74 andranno al ristorante/pizzeria meno di quanto facessero prima dell’emergenza il 63,2% dei rispondenti, e ancora meno (64,8%) coloro che hanno una età compresa fra i 55 ed i 64 anni.

Distanziamento sociale

Altro tema affrontato dall’indagine è stato quello del distanziamento sociale; se, a livello generale, la quasi totalità della popolazione afferma di aver chiaro il concetto (solo l’1,2% dei rispondenti ha ammesso di non sapere o non essere sicuro di sapere cosa sia), approfondendo il tema emerge che sono oltre 29,5 milioni gli italiani che hanno ancora le idee confuse sulle distanze da mantenere in alcuni dei più comuni contesti quotidiani.

Analizzando le principali situazioni comuni e luoghi pubblici, quelli in cui i rispondenti sembrano avere le idee meno chiare sono la spiaggia (il 32,4% dichiara di non sapere con certezza quale sia la distanza corretta da rispettare), i negozi di parrucchieri o saloni di estetica (31,5%), i mezzi pubblici (23%) e quelli privati come auto e moto (20,6%); ma il dato che forse più di tutti preoccupa è quello relativo alla distanza corretta da osservare nei giochi fra bambini; in questo caso, oltre la metà dei rispondenti (il 50,9%) ha dichiarato di non sapere quale sia il comportamento corretto da tenere.

Se non si conoscono le distanze da mantenere, difficilmente si possono rispettare; sono molti i rispondenti che hanno ammesso di non essere sicuri di riuscirci o, peggio, di sapere già da ora che non lo potranno fare. Ancora una volta il caso più critico è quella dei giochi fra bambini, una situazione nella quale 1 rispondente su 2 (50,2%) ha dichiarato che difficilmente riuscirà a rispettare le indicazioni di sicurezza. Ma sono molti coloro che faranno fatica ad attenersi al distanziamento sociale anche in altri contesti comuni, ad esempio, sui mezzi pubblici (32,5%) e in spiaggia (30,1%).

I ristoratori

L’indagine ha poi voluto affrontare il tema del distanziamento sociale e delle riaperture dal punto di vista degli esercenti della ristorazione; se, come detto, a livello nazionale solo l’1,2% ha dichiarato di non sapere o di non essere sicuro di sapere cosa sia il distanziamento sociale, guardando le risposte fornite alla stessa domanda dal campione di ristoratori coinvolto nell’indagine, la percentuale arriva addirittura al 13%.

E se poi si entra nel dettaglio delle distanze che devono essere garantite all’interno del proprio locale, la percentuale degli esercenti che non sanno o non sono sicuri di sapere arriva al 19%; un dato preoccupante se si considera che sono proprio loro a dover applicare le regole per garantire il corretto distanziamento tra i clienti. Va detto che la rilevazione è stata fatta prima della pubblicazione del DPCM, pertanto non vi erano ancona notizie certe riguardo le distanze definitive cui attenersi.

Molti non hanno riaperto e alcuni non lo faranno più

Nonostante le oggettive difficoltà, gli esercenti della ristorazione stanno facendo di tutto per ripartire e hanno già messo in atto moltissime, e sovente costosissime, azioni per adeguarsi alle direttive nazionali.

Tra le più comuni, l’86% dei rispondenti ha detto di aver dotato il proprio personale dei necessari dispositivi di protezione individuale (mascherina FFP2 e guanti monouso), l’81% ha riorganizzato gli spazi interni del locale, il 72% ha dovuto procedere a modifiche della capacità ricettiva, il 71% ha dotato il proprio ristorante di dispenser automatici per l’erogazione di gel disinfettante.

Pochi, per ora, coloro che hanno optato per l’installazione di separatori in plexiglass (24%) e ancora meno i rispondenti che hanno previsto la misurazione della temperatura corporea dei clienti prima dell’ingresso al locale (17%). Solo il 6% degli intervistati dichiara di non aver ancora intrapreso alcuna azione.

Nonostante tutti questi sforzi, però, la situazione rimane molto preoccupante e il 22% degli esercenti intervistati pensa di non riuscire o comunque non è certo di riuscire, nel proprio locale, a rispettare le distanze malgrado le misure adottate.

 

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