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Fase 2 e consumatori: il 63% continua a preferire il negozio fisico

Dopo molte settimane di difficoltà causate dalla crisi del Coronavirus, il Paese sta tornando alla normalità e anche il settore Retail prova a ripartire.

Ma come saranno i “nuovi” consumatori che varcheranno le soglie dei punti di vendita? E come deve evolvere il negozio per accogliere i propri clienti, interpretando al meglio i loro bisogni?

Da febbraio GfK ha attivato un monitoraggio settimanale a 360 gradi sugli effetti del Coronavirus sui mercati, i consumatori e i media che ha messo in luce tra le altre cose le nuove aspettative dei consumatori rispetto al mondo Retail. Anche se nelle ultime settimane le vendite on-line sono cresciute in maniera significativa per effetto del lockdown, il 63% degli italiani desidera ancora acquistare nel negozio fisico.

Un aspetto fondamentale per attirare nuovamente il consumatore in negozio sarà quello di puntare sulla sicurezza. Infatti, secondo le indagini GfK il 68% degli italiani ha intenzione di frequentare i negozi in grado di garantire le massime condizioni di igiene e sicurezza.

Comunicare e trasmettere un senso di sicurezza sarà fondamentale per avere visitatori, ma bisognerà anche trovare nuovi modi per rendere gratificante la visita in store, che può essere depotenziata dai dispositivi di protezione (mascherine, guanti, gel per le mani, distanziamento…).

Ma cosa si aspettano i consumatori dall’esperienza in negozio nel dopo COVID-19? Le nostre ricerche ci dicono che i consumatori italiani sono divisi a metà, tra coloro che desiderano riscoprire il contatto umano all’interno dei negozi (49%) attraverso la presenza di personale, assistenza in negozio o promoter e coloro che invece preferirebbero trovarvi un maggiore utilizzo di tecnologie digitali (51%), compresi gli assistenti virtuali e i sistemi di intelligenza artificiale, che possono aiutare a mantenere un elevato livello di sicurezza nel punto vendita.

L’acqua del futuro? Funzionale ed eco-sostenibile

Per la stragrande maggioranza degli intervistati (79%) la scelta dell’acqua oligominerale deve rispondere ad esigenze specifiche, sia per composizione chimico-fisica che per residuo fisso. Cresce la propensione al consumo di acque funzionali (53%), meglio se con pH alcalino (65%) per contribuire a rinforzare il sistema immunitario oppure con presunto effetto anti-age (71%). E ancora: per il 67% dei rispondenti a fare la differenza nell’acquisto sono anche l’eco-sostenibilità e la bottiglia plastic-free (83%).

Ecco alcuni dei risultati emersi dal sondaggio condotto su un panel di oltre 2 mila pazienti di età compresa fra i 25 ed i 60 anni dalla nutrizionista Elena Paglia, che commenta: “La corretta idratazione è parte integrante di uno stile di vita sano e bilanciato. Oggi le acque sono nutrimento liquido per tutto l’organismo. Ecco perché sempre più persone scelgono e assumono acqua con crescente attenzione alle sue caratteristiche funzionali”.


Le funzionali

Fra le macro categorie di acque quelle funzionali svettano in cima alle preferenze degli intervistati: il 53% dei rispondenti dichiara di non poterne più fare a meno nella propria routine di benessere quotidiana, dal lavoro allo sport, affiancato dal 37% di fedelissimi delle acque oligominerali tradizionali a basso residuo fisso e da un esiguo 10% che si orienta verso acque molto mineralizzate.

Fra le acque funzionali gli intervistati privilegiano le acque alcaline (65%), che grazie al loro pH superiore a 7 e alla loro struttura micro-molecolare, possono garantire una capacità di idratazione superiore. Proprio come HYDRAQUA, l’acqua alcalina ionizzata con pack 100% in alluminio riciclabile all’infinito.

“Assumere almeno un litro e mezzo di acqua alcalina al giorno, con pH 7+ e preferibilmente ionizzata, contribuisce ad alcalinizzare il corpo e i tessuti connettivi, rinforzando le difese immunitarie”, sottolinea Elena Paglia. “In tempi di coronavirus questo aspetto ha fortemente influenzato le decisioni di acquisto degli intervistati”.

 

Le anti-age

Se le acque alcaline raccolgono il plauso degli intervistati under 35, che le indicano come miglior scelta in una percentuale del 56%, le acque con presunte proprietà anti-age che favoriscono la lotta ai radicali liberi grazie alla formulazione arricchita con collagene, zinco o acido ialuronico, conquistano un ampio segmento di over 45. I rispondenti più maturi, infatti, dichiarano di assumerle regolarmente nel 57% dei casi. Ottengono un seguito apprezzabile anche le acque aromatizzate alla frutta o alle erbe, indicate come scelta ideale dal 49% degli intervistati nelle fasce di età 45-60.

 

L’acqua del futuro

Per il 77% degli intervistati sarà a metà strada fra una tradizionale acqua oligominerale ed un Energy Drink, ma dovrà anche essere eco-responsabile (83%) e promuovere iniziative in difesa dell’ambiente. E non manca un occhio di riguardo per il pack della bottiglia: rigorosamente plastic free (93%), di preferenza compatto e dalle linee morbide (75%), pensato per il consumo fuori casa (83%). 

 

Fase 2, riaperture e distanziamento: che confusione! L’indagine Facile.it

L’Italia ha ufficialmente “riaperto”, molti ristoratori ma gli italiani sono pronti a tornare a pranzare e cenare fuori casa? La maggior parte, purtroppo, no. Secondo l’indagine realizzata per Facile.it da mUp research e Norstat su un campione rappresentativo della popolazione nazionale adulta, più di un intervistato su due (54,5%) ha dichiarato che, almeno nella prima settimana di riapertura, non mangerà fuori casa perché non si sente sicuro; il 22% è ancora indeciso e il 10,3% continuerà ad utilizzare la modalità di asporto o consegna a domicilio. Insomma, nonostante le fatiche di molti ristoranti, pizzerie e pub, sembra che solo il 13,3% degli italiani tornerà subito a mettere le gambe sotto al tavolo.

Le principali evidenze

Ma il dato forse ancor più preoccupante, si legge nell’indagine, è che questa scelta non sembra essere momentanea ma pare corrispondere ad un cambiamento di abitudine più radicale. Alla domanda “Con quale frequenza, rispetto a prima dell’emergenza coronavirus, crede che andrà a pranzo o a cena in un ristorante, una pizzeria o un pub da qui alla fine del 2020?” solo il 21,6% degli intervistati ha dichiarato che ci andrà con la stessa frequenza di prima; il 60,4%, pari a quasi 26,5 milioni di italiani, ha invece ammesso che ci andrà meno spesso di prima, mentre il 16,8% addirittura non ci andrà proprio.

A cambiare maggiormente abitudini sembra saranno i più anziani; nella fascia di età compresa fra i 65 ed i 74 andranno al ristorante/pizzeria meno di quanto facessero prima dell’emergenza il 63,2% dei rispondenti, e ancora meno (64,8%) coloro che hanno una età compresa fra i 55 ed i 64 anni.

Distanziamento sociale

Altro tema affrontato dall’indagine è stato quello del distanziamento sociale; se, a livello generale, la quasi totalità della popolazione afferma di aver chiaro il concetto (solo l’1,2% dei rispondenti ha ammesso di non sapere o non essere sicuro di sapere cosa sia), approfondendo il tema emerge che sono oltre 29,5 milioni gli italiani che hanno ancora le idee confuse sulle distanze da mantenere in alcuni dei più comuni contesti quotidiani.

Analizzando le principali situazioni comuni e luoghi pubblici, quelli in cui i rispondenti sembrano avere le idee meno chiare sono la spiaggia (il 32,4% dichiara di non sapere con certezza quale sia la distanza corretta da rispettare), i negozi di parrucchieri o saloni di estetica (31,5%), i mezzi pubblici (23%) e quelli privati come auto e moto (20,6%); ma il dato che forse più di tutti preoccupa è quello relativo alla distanza corretta da osservare nei giochi fra bambini; in questo caso, oltre la metà dei rispondenti (il 50,9%) ha dichiarato di non sapere quale sia il comportamento corretto da tenere.

Se non si conoscono le distanze da mantenere, difficilmente si possono rispettare; sono molti i rispondenti che hanno ammesso di non essere sicuri di riuscirci o, peggio, di sapere già da ora che non lo potranno fare. Ancora una volta il caso più critico è quella dei giochi fra bambini, una situazione nella quale 1 rispondente su 2 (50,2%) ha dichiarato che difficilmente riuscirà a rispettare le indicazioni di sicurezza. Ma sono molti coloro che faranno fatica ad attenersi al distanziamento sociale anche in altri contesti comuni, ad esempio, sui mezzi pubblici (32,5%) e in spiaggia (30,1%).

I ristoratori

L’indagine ha poi voluto affrontare il tema del distanziamento sociale e delle riaperture dal punto di vista degli esercenti della ristorazione; se, come detto, a livello nazionale solo l’1,2% ha dichiarato di non sapere o di non essere sicuro di sapere cosa sia il distanziamento sociale, guardando le risposte fornite alla stessa domanda dal campione di ristoratori coinvolto nell’indagine, la percentuale arriva addirittura al 13%.

E se poi si entra nel dettaglio delle distanze che devono essere garantite all’interno del proprio locale, la percentuale degli esercenti che non sanno o non sono sicuri di sapere arriva al 19%; un dato preoccupante se si considera che sono proprio loro a dover applicare le regole per garantire il corretto distanziamento tra i clienti. Va detto che la rilevazione è stata fatta prima della pubblicazione del DPCM, pertanto non vi erano ancona notizie certe riguardo le distanze definitive cui attenersi.

Molti non hanno riaperto e alcuni non lo faranno più

Nonostante le oggettive difficoltà, gli esercenti della ristorazione stanno facendo di tutto per ripartire e hanno già messo in atto moltissime, e sovente costosissime, azioni per adeguarsi alle direttive nazionali.

Tra le più comuni, l’86% dei rispondenti ha detto di aver dotato il proprio personale dei necessari dispositivi di protezione individuale (mascherina FFP2 e guanti monouso), l’81% ha riorganizzato gli spazi interni del locale, il 72% ha dovuto procedere a modifiche della capacità ricettiva, il 71% ha dotato il proprio ristorante di dispenser automatici per l’erogazione di gel disinfettante.

Pochi, per ora, coloro che hanno optato per l’installazione di separatori in plexiglass (24%) e ancora meno i rispondenti che hanno previsto la misurazione della temperatura corporea dei clienti prima dell’ingresso al locale (17%). Solo il 6% degli intervistati dichiara di non aver ancora intrapreso alcuna azione.

Nonostante tutti questi sforzi, però, la situazione rimane molto preoccupante e il 22% degli esercenti intervistati pensa di non riuscire o comunque non è certo di riuscire, nel proprio locale, a rispettare le distanze malgrado le misure adottate.

 

e-commerce: 6 consigli per gestire resi e rimborsi

Il dilagare del Coronavirus, ha impresso un’accelerazione sull’e-commerce. Come rivela l’Osservatorio eCommerce B2c Netcomm-Politecnico di Milano, secondo cui il 77% delle aziende che vende online nei diversi settori dichiara di aver acquisito nuovi clienti nell’ultimo periodo. Questo porta però ad affrontare nuove sfide: gestione di resi, rimborsi e chargeback.  Come prepararsi al meglio ad affrontare questa evenienza?

La piattaforma di pagamento Adyen, ha preparato alcuni consigli utili a prevenire le richieste di rimborsi, saperle gestire e consolidare i rapporti con i clienti durante l’intera procedura.

I resi

Potrebbe sembrare un paradosso, ma secondo uno studio dell’Università del Texas, più tempo viene concesso ai clienti per restituire un prodotto, meno è probabile che lo facciano.

Quindi>? meglio allungare i termini per la consegna.

I fattori psicologici in gioco sono in particolare due: la cosiddetta “Teoria dei livelli di rappresentazione”, secondo la quale più le cose sono lontane più ci sembrano meno concrete. Dunque, se 30 giorni rappresenta una scadenza dietro l’angolo, 60 giorni sono invece una data lontana nel tempo, un limite più astratto che riduce l’urgenza e ci assicura tempo per valutare con più calma. Elemento questo che si collega in modo diretto all’altro grande fattore, chiamato “L’effetto dotazione”, ovvero più si possiede qualcosa, più si tende a volerlo tenere. Un concetto che è anche alla base del successo del modello di business freemium nell’ultimo decennio.

Prevenire descrivendo

Spesso la restituzione di un articolo deriva dal fatto che esso non corrisponde alle aspettaive. Ergo, meglio fare una descrizione più articolata e fornire quante più informazioni possibile per ogni articolo, includendo immagini ad alta risoluzione per dare agli utenti un’idea esatta di come sia il prodotto.

Informativa sui resi coerente con il brand

In pochi sanno che l’informativa sui resi è uno dei contenuti più letti del proprio sito. Ben 2 utenti su 3, infatti, prima di procedere ad un acquisto la leggono con attenzione, perciò è bene redigerla prestandovi la dovuta cura. Gli ingredienti principali sono semplicità, trasparenza e coerenza con il brand: ovvero una marca che ha come target la generazione Y corre il rischio, con una informativa molto formale, di creare un effetto di dissonanza. Dunque, se il proprio stile di comunicazione sul sito utilizza un tono diretto e informale, l’informativa dovrebbe essere redatta con lo stesso spirito.

Comunicare in modo chiaro e tempestivo

È fondamentale essere chiari, disponibili e tempestivi in tutte le comunicazioni relative ai resi. Se ai clienti piace essere sempre aggiornati sullo stato dei propri ordini, si aspettano lo stesso livello di trasparenza anche sui resi. Ad esempio, offrire loro diverse opzioni, come la possibilità di riprogrammare la consegna o l’emissione di voucher, potrebbe essere utile a mantenere il cliente felice e soddisfatto.

Ottimizzare il servizio clienti

Adyen annovera fra i propri clienti dei veri e propri maestri nella gestione dei resi, come ad esempio Zalando. Il brand è celebre in tutto il mondo per la sua efficienza e capacità gestione dei resi, e questo perché ha compreso che i clienti migliori sono anche quelli che restituiscono il maggior numero di articoli. Pertanto, ha iniziato a usare i resi come un’ulteriore opportunità per consolidare i rapporti con clienti più inclini a spendere.

Evitare il chargeback 

I rimborsi possono rivelarsi complicati da gestire, perché richiedono un trasferimento di fondi dal conto bancario del merchant a quello del cliente. Creare un fondo dedicato appositamente a questo può rendere le cose più semplici. Un fondo per rimborsi consiste in un pool di fondi disponibili sul conto bancario dell’azienda, dal lato del processore di pagamento. In questo modo i rimborsi possono essere emessi in automatico, riducendo il tempo necessario ad amministrarli e garantendo che il denaro torni disponibile sul conto del cliente in pochissimo tempo.

I resi fanno parte di qualunque attività commerciale. Purtroppo, in questo periodo le aziende si trovano a dover emettere molti più resi della norma. Il modo migliore per affrontarli è cercare di ridurne la frequenza” commenta Philippe De Passorio, Country Manager, Adyen Italia. “Quando si verificano, però, vi si può far fronte con una comunicazione trasparente e un fondo apposito ben gestito. Usare un’unica piattaforma di pagamento, poi, può aiutare a ridurre la pressione sull’azienda, in particolare nel riconciliare, effettuare o contestare i rimborsi”.

Blue Yonder: così sono cambiate le abitudini dei consumatori

Comportamento d’acquisto decisamente mutati a causa della pandemia: e non solo nel nostro Paese, ma in tutta Europa e in USA. Da  Blue Yonder, arriva, sul tema, una nuova ricerca ache ha coinvolto consumatori europei e statunitensi nei mesi di marzo e aprile

In entrambi i continenti è emerso che il settore della vendita al dettaglio di generi alimentari è stato letteralmente inondato dagli ordini online. Negli Stati Uniti quasi tre quarti (74%) dei consumatori intervistati nel mese di aprile hanno affermato che stavano facendo più acquisti online che in negozio in risposta al COVID-19, in crescita rispetto al 57%, dato emerso dalla stessa ricerca condotta nel mese di marzo. E ancora: oltre i due terzi (69%) dei consumatorihanno continuato ad acquistare generi alimentari in negozio nonostante la pandemia di COVID-19. Tra i consumatori statunitensi che hanno usufruito della consegna a domicilio di generi alimentari, più della metà (54%) ha dichiarato che ci sono stati ritardi, e il 28% ha affermato che la consegna ha subito oltre tre giorni di ritardo.

E in Europa? Il 63% degli acquirenti che stanno spendendo di più online per la spesa quotidiana afferma che continuerà a farlo anche una volta che la crisi sarà superata. Inoltre lo shopping in negozio continuerà a svolgere un ruolo importante nel mondo post COVID-19, tuttavia il 19% degli intervistati (il 23% in Italia) ha dichiarato che probabilmente visiterà i negozi di alimentari e largo consumo meno di quanto facesse prima, un dato che sale al 27% (34% in Italia) per le altre tipologie di negozi.

“I servizi di consegna di generi alimentari e di largo consumo online hanno visto una grande tendenza al rialzo e attirato molti nuovi clienti, a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. L’esperienza iniziale dei nuovi clienti è probabile che influenzi la loro decisione di utilizzare nuovamente questo servizio in futuro, quindi è fondamentale che sia positiva”, ha dichiarato JoAnn Martin, vice president, retail industry strategist, Blue Yonder.

“È chiaro che il comportamento di acquisto online e in negozio cambierà a seguito della pandemia COVID-19”, ha affermato Wayne Snyder, vice president, retail strategy EMEA, Blue Yonder. “Da un lato, molti retailer dovranno incrementare le operazioni di fulfilment online per soddisfare la crescente domanda e le aspettative dei clienti. Dall’altro, dovranno considerare attentamente per il futuro processi adeguati a reagire rapidamente, ma in modo efficiente, alle mutevoli esigenze della domanda per servizi e attività online e offline.”

Rischio di out of stock

La disponibilità delle scorte è stata una delle principali sfide che i retailer si sono trovati ad affrontare durante la pandemia COVID-19: negli USA quasi nove consumatori su dieci (87%) si sono confrontati con la mancata disponibilità di prodotti e tre quarti (75%) hanno dichiarato di essere più propensi ad acquistare lo stesso prodotto da un rivenditore diverso nel caso fosse esaurito presso quello abituale, mentre il 78% ha affermato che preferiva comprare un prodotto di un’altra marca presso lo stesso retailer, se quello del brand desiderato era esaurito.

In Europa il 38% degli acquirenti ha dichiarato che, rispetto all’inizio della crisi COVID-19, capita più spesso che i loro articoli e brand preferiti siano esauriti presso la GDO. Per i consumatori del vecchio Continenete prima della crisi eranoprioritari, nell’ordine,  prezzo (72%), gamma di prodotti (54%) e disponibilità di stock (48%). I dati equivalenti per l’Italia erano: prezzo (76%), disponibilità delle scorte (57%) e gamma dei prodotti (55%). Ora invece, la disponibilità dei prodotti è balzata al primo posto (58%), seguita da prezzo (56%) e gamma di prodotti (39%). Anche in Italia si colloca al primo posto la disponibilità dei prodotti (64%), seguita da prezzo (60%) e dalla prossimità del negozio (42%). Questo dato mette in evidenza la rilevanza della prossimità per i consumatori Italiani, che per gli intervistati europei si colloca invece tra il quarto e il quinto posto.

“I modelli di acquisto stanno cambiando, e stiamo assistendo a una rinascita della grande spesa settimanale. È chiaro che i consumatori sono disposti a scendere a compromessi sul prodotto e sul prezzo, a condizione che gli articoli di cui hanno bisogno siano disponibili. I retailer devono pensare all’effetto che questo cambiamento di comportamento avrà e adeguare di conseguenza gli assortimenti dei prodotti, per esempio trovando il giusto bilanciamento tra fresco e prodotti a lunga conservazione”, ha aggiunto Martin.

Acquisti alimentari

I risultati hanno rivelato che in Europa quasi la metà (47%) dei consumatori spende di più per i generi alimentari da quando sono state messe in atto le misure per combattere il COVID-19, con oltre un terzo (35%) che ha dichiarato di aver aumentato gli acquisti di generi alimentari online. In Italia il 44% degli intervistati ha dichiarato di aver aumentato gli acquisti online di generi alimentari, e il 40% quelli online di generi non alimentari Il COVID-19 avrà chiaramente un impatto a lungo termine sulle modalità di acquisto di prodotti non alimentari. In Europa, più della metà (58%) dei consumatori ha ridotto le spese di abbigliamento da quanto sono state messe in atto le restrizioni contro il COVID-19 (il 77% in Italia, il 68% in Francia, il 57% in UK, il 48% in Svezia e il 39% in Germania). C’è stata una tendenza simile per i settori fai da te ed elettronica, che hanno registrato una diminuzione della spesa rispettivamente da parte del 40% e 45% (il 48% e 61% in Italia). Comprensibilmente, il settore sanitario ha invertito il trend, con il 23% degli acquirenti che ha detto di aver speso di più durante questo periodo ( contro una media del 17%, in Italia 26% ).

“La preoccupazione costante per i retailer è il rischio che gli acquirenti spendano meno o non visitino i negozi con la stessa frequenza. Per avere successo, le supply chain dei retailer devono essere pronte a fornire ai consumatori i prodotti che desiderano, online o in negozio, nel modo più efficiente possibile. Questo renderà necessario migliorare le capacità di previsione e avere una maggiore visibilità delle supply chain rispetto al passato. L’Intelligenza artificiale e il machine learning possono svolgere un ruolo importante non solo nell’aiutare i rivenditori ad anticipare meglio la domanda, ma anche nell’identificare e risolvere i problemi a un livello più granulare”, ha concluso Snyder.

Metodologia della ricerca

L’indagine europea è stata condotta da Opinium, agenzia specializzata in indagini di mercato strategiche, tra marzo e fine aprile 2020. I risultati si basano su 6.018 interviste online di cittadini europei (2.000 nel Regno Unito, 1.000 in Francia, 1.000 in Germania, 1.000 in Italia, 1.000 in Svezia). L’indagine statunitense ha raccolto le risposte di oltre 1.000 consumatori maggiorenni residenti negli Stati Uniti tramite un fornitore di terze parti sia a marzo che aprile 2020.

Pet food: il mercato cresce del 2,8%. Durante il lockdown bene la prossimità

La stima è di 60,3 milioni di animali d’affezione in Italia nel 2019. Si conferma, quindi, un rapporto di 1 a 1 tra il numero di pet e la popolazione residente nel nostro Paese: 29,9 milioni di pesci, 12,9 milioni di uccelli, 7,3 milioni di gatti, 7 milioni di cani, 1,8 milioni di piccoli mammiferi, 1,4 milioni di rettili e un mercato che vale oltre 2 miliardi di euro.

Sono le cifre che emergono dalla XIII° edizione del Rapporto Assalco – Zoomark, realizzato da ASSALCO, l’Associazione Nazionale tra le Imprese per l’Alimentazione e la Cura degli Animali da Compagnia.

Il documento è presentato in collaborazione con Zoomark International – il Salone internazionale b2b dei prodotti e delle attrezzature per gli animali da compagnia organizzato da BolognaFiere.

Il mercato continua a crescere

I canali principali – Grocery, Petshop Tradizionali e Catene Petshop[1] – hanno sviluppato un giro d’affari di 2.078 milioni di euro per un totale di 556.424 tonnellate vendute.

Prosegue il trend positivo del mercato a valore inteso come somma dei canali principali (Grocery, Petshop Tradizionali e Catene Petshop) con un incremento del fatturato del +2,8% rispetto allo scorso anno: il pet food si conferma un mercato in crescita, con un tasso di sviluppo superiore a quello del Largo Consumo Confezionato, pari a +1,7%[2] nel 2019. L’orientamento dell’acquirente alla composizione del carrello per il proprio pet è stato quello di scegliere prodotti premium.

Gli alimenti per gatto rappresentano il 52,6% del valore totale del mercato (Grocery + Petshop Tradizionale + Catene), sviluppando 1.093 milioni di euro (+3,1% verso il 2018) mentre gli alimenti per il cane ne rappresentano il 47,4%, pari a quasi 986 milioni di euro.

Il mercato degli alimenti per piccoli animali da compagnia registra in GDO un fatturato di circa 12,5 milioni di euro, confermando il trend di flessione già registrato negli ultimi anni. Uccelli (39,9%) e roditori (30,2%) i segmenti principali, seguono gli alimenti per i pesci e per le tartarughe.

Al valore totale del mercato si deve aggiungere una stima di quanto sviluppato dai nuovi canali, rilevati a partire dal 2019: 20,7 milioni di euro generati dal canale Petshop GDO[3] e 13,1 milioni di euro dai Generalisti On Line[4]. 

Covid-19 e animali da compagnia

L’alimentazione degli animali da compagnia è stata indicata come un’attività non differibile già nelle prime fasi dell’emergenza Covid-19. In questo periodo difficile, i proprietari degli animali d’affezione italiani di ogni specie hanno potuto beneficiare del fatto che tutti i canali di distribuzione, inclusi i negozi specializzati, sono rimasti aperti. Il petshop ha infatti un’offerta che integra quella della GDO: alimenti con particolari fini nutrizionali e accessori indispensabili per la corretta gestione dell’animale.

Nonostante l’ampia disponibilità di prodotto, anche gli alimenti per cani e gatti, al pari dei prodotti di primaria necessità del Largo Consumo Confezionato per uso umano, hanno registrato per l’effetto scorta un incremento delle vendite nelle prime settimane di marzo 2020 sia in GDO che nelle Catene Petshop. Anche in termini di preferenza di canale, si registra una simmetria tra i beni del Largo Consumo Confezionato per uso umano e gli alimenti per cani e gatti in GDO. A partire dalla settimana del 22 marzo, le limitazioni al movimento imposte dai provvedimenti di distanziamento sociale hanno condotto ad una maggiore concentrazione degli acquisti nei formati distributivi più vocati a supportare la domanda di prossimità.

Per quanto riguarda il canale online nel mese di marzo 2020, si è registrata una crescita del 220% verso il corrispondente mese del 2019 delle vendite degli operatori generalisti (gruppi della GDO e Amazon).

Gianmarco Ferrari, Presidente di Assalco, ha così commentato: “Nel 2019 è proseguito l’andamento positivo del mercato italiano guidato nelle scelte d’acquisto dall’attenzione al benessere del proprio pet. Per l’andamento del mercato 2020, a causa dell’emergenza Covid-19, è difficile fare un pronostico. Le evidenze in nostro possesso mostrano, nella settimana del lockdown nazionale, una fase di accaparramento per scorta del pet food, al pari di quanto realizzato per i beni di prima necessità del Largo Consumo Confezionato per uso umano. Un’ulteriore evidenza che abbiamo registrato è relativa ai canali di vendita. Successivamente al lockdown sull’intero territorio nazionale, i proprietari si sono orientati agli acquisti in negozi di prossimità, confermando ancora una volta la similitudine tra i prodotti destinati agli animali da compagnia e quelli per il consumo umano”.

Accessori e lettiere

Il mercato degli accessori per la cura e la gestione quotidiana (prodotti per l’igiene, giochi, guinzagli, cucce, ciotole, voliere, acquari, tartarughiere e utensileria varia), che vale circa 70,6 milioni di euro, nel 2019 ha registrato in GDO un lieve incremento delle vendite in volume (+2,3%) e una lieve flessione del fatturato pari allo 0,9%. Il segmento dei prodotti per l’Igiene Animali (tappetini assorbenti igienici, salviette, shampoo, spazzole, deodoranti, tutto ciò che ha a che fare con la cura e la bellezza) si conferma il più importante e registra una crescita a valore pari all’8,3%

Le lettiere per gatto, rilevate separatamente, nel 2019 registrano in GDO un volume d’affari di 73,7 milioni di euro, con una crescita a valore del +2% rispetto all’anno precedente.

[1] Panel Iri Catene Peshop: rappresentativo di L’isola dei Tesori, Maxi Zoo, Croce Azzurra, Italpet, Zoo Megastore, Agrizoo2. Arcaplanet, Fauna Food e Zoomarket sono escluse dalla rilevazione IRI.

[2] Ipermercati, Supermercati, Libero Servizio-Piccolo, Specialisti Casa e Persona, Discount

[3] Petshop GDO: superfici specializzate nella vendita di alimenti e accessori per animali ed appartenenti ad organizzazioni della GDO. I dati contenuti nel rapporto sono relativi ad un leader panel di 49 punti vendita con insegna Amici di Casa Coop, Petstore Conad, Animali Che Passione, Joe Zampetti e Pet Elite (Selex).

[4] Generalisti On Line: tracking delle vendite on line di operatori della GDO (Esselunga, Carrefour, Pam/Panorama, Coop, Selex, Bennet, Unes, Auchan, Finiper, Supermercato 24) e Amazon [Fonte Iri E-Commerce]

Covid-19: europei un po’ più tranquilli ma ancora stressati

Il Covid-19, non si è diffuso in maniera omogenea, né con la medesima tempistica. Ciò ha portato a reazioni diversificate da parte dei cittadini dei vari Paesi. Initiative, network di comunicazione internazionale, ne ha tracciato una mappa nella ricerca Covid-19 Impact

Dall’indagine è essenzialmente emerso come in tutti i Paesi coinvolti ci sia uno spirito di adattamento alla situazione molto forte – con un picco della Francia con il 62%. C’è collaborazione e impegno nel voler superare l’emergenza. Ma c’è anche tanta ansia per come sarà il domani. Una nota da sottolineare rispetto all’Italia è che il 15% degli intervistati dichiara di sentirsi un po’ più ottimista rispetto all’inizio perché “si vede la luce alla fine del tunnel”. La società sta pian piano scorgendo una via d’uscita dall’emergenza covid-19 e c’è una comune percezione che la situazione stia lentamente ritornando alla normalità. Accanto a questi dati, emerge anche uno stress non indifferente con cui le persone stanno facendo i conti: il 36% degli italiani di dichiarano di essere stressati dalla situazione, il 38% in UK, il 43% in US e in Francia il 45% delle persone si sentono stressate da quanto accade. In Italia questo dato è controbilanciato dagli effetti positivi del lockdown. Questo sta ad indicare che al progredire della pandemia, la gente si adatta a quanto sta accadendo anche con una nuova routine giornaliera. Il sentimento comune è il pensiero alla normalità, ad un ritorno alle nostre abitudini che abbiamo dato per scontate.

Come sono cambiate le loro giornate? La nostra routine quotidiana è stata completamente rivoluzionata: prendiamo meno i mezzi, non andiamo in luoghi pubblici, le nostre uscite sono limitate nonostante in Italia siamo passati alla Fase 2. Abbiamo ridefinito il nostro stile di vita in termini di strategie d’acquisto, gestione del tempo, cultura. Le strategie di acquisto sono mutate, le persone hanno ridotto l’acquisto di pacchetti vacanze, viaggi e abbigliamento. Lo shopping è prevalentemente via web e focalizzato sulla spesa e i prodotti di prima necessità in genere. Il cibo è la base che guida i nostri acquisti online, si evidenzia un nuovo target di persone che non era abituato a questa modalità di acquisto. Stiamo utilizzando il nostro tempo per svolgere attività inusuali, soprattutto ci si dedica al bricolage, ma anche al “fai da te” e, più in generale, a fare cose nuove, come dichiarato dal 15% degli italiani e degli inglesi. Questi ultimi si dedicano per il 25% all’allenamento, in Italia il 22%, in Francia il 21% e US solo il 20%. In una prima fase, in tanti si sono dedicati all’esercizio fisico a livello globale, ma in tutti i Paesi si è registrato un calo nella pratica dello sport, soprattutto in Italia. Proprio gli italiani sono il popolo che più si sta preoccupando di curare la salute attraverso l’alimentazione – il 21% – rispetto agli altri Paesi coinvolti. Per quanto riguarda la cultura, non essendoci più occasioni di socialità, gli italiani hanno scelto i balconi per comunicare e trovare un momento di condivisione. Questo era valido soprattutto in un primo momento della pandemia in Italia, ora meno. Initiative ha rilevato che gli italiani trascorrono sempre più tempo connessi ai propri dispositivi, le persone stanno molto più collegate ai loro smartphone e pc – soprattutto per via dello smart working – fruendo dei servizi di smart Tv e quant’altro. Il 54% degli italiani sente di essere fortemente connesso, gli inglesi per il 49%, la Francia si ferma al 45% e UK al 38%. Questo soprattutto per informarci e per leggere le news, oltre che per coltivare le relazioni che non possiamo intrattenere di persona. La ricerca evidenzia un incremento del consumo digitale, ma anche più relazioni familiari seppur in forma virtuale. Inizialmente anche il tempo trascorso in famiglia sembrava uno sforzo per via delle nuove abitudini familiari, nella gestione degli spazi ecc. ma con il tempo ci si è abituati anche a questo, anzi si sono riscoperti aspetti che erano passati nel dimenticatoio. Nella fase 2 le persone stanno riscoprendo modi e strumenti per migliorare la nuova routine quotidiana messa a punto dall’inizio della pandemia.

Cosa ci fa stare meglio?

Il 24% degli italiani ritiene di sentirsi meglio nell’essere aggiornati attraverso le news, il 17% in UK, il 15% in US e 14% in Francia. L’aggiornamento costante ha un effetto calmante per chi vive in Italia, insieme alla rassicurazione derivante dall’attivismo e alla presenza delle aziende private.Ancora, il 22% degli italiani dichiara che sentir parlare del contributo delle aziende e di come si siano attivate e riorganizzate in questo periodo per dare il loro contributo, è rassicurante. Il ruolo dei brand in questo momento è importante perché ha un certo peso nella vita e nel percepito delle persone. Le persone sono in un momento di fragilità e insicurezza e gran parte degli acquisti non sono più una priorità per cui per loro, qualunque comunicazione dovrebbe parlare sempre meno della marca e del prodotto ed impegnarsi in un aiuto concreto al crescere dell’emergenza. Il ruolo di un brand deve essere preciso e tangibile e assolutamente al di sopra di qualunque guadagno commerciale. In questo momento le persone vogliono avere i brand al loro fianco attraverso la comunicazione oltre che con iniziative solidali, si aspettano campagne pubblicitarie in grado di generare sentimenti di positività, felicità e sicurezza.

I marchi che cercano di inserirsi in modo improprio nelle conversazioni e nel dibattito attuale con l’evolversi della crisi e il lockdown arrivano alle persone in modo negativo – 41% in UK, 31% in US, 23% in Italia e 16% in Francia. L’approccio alla comunicazione deve tenere in considerazione il pensiero delle persone anche se la direzione è diversa rispetto al modo di comunicare a cui eravamo abituati prima che il covid-19 entrasse a far parte delle nostre vite

Metodologia della ricerca

Covid-19 Impact ha coinvolto 4 Paesi europei: US, UK, Francia e Italia ed è stata condotta in modalità CAWI.

Le abitudini di acquisto degli italiani nella pandemia, secondo Weborama

Spesa online, food delivery ed e-commerce: cosa ne pensano gli italiani, costretti a ricorrevi in fase di lockdown? Si è occupata della questione Weborama, Data Science Company attiva da vent’anni in diversi ambiti del marketing digitale e off-line. Nelle regioni del Nord Italia, in cui risiede quasi la metà della popolazione italiana, vive oltre il 62% delle persone che cercano servizi per la spesa online e quasi il 52% di quelle propense al food delivery. Dati trainati in particolare da Lombardia con il 31% di italiani interessati alla spesa online e il 28% al food delivery e soprattutto, dato inaspettato, dall’Emilia-Romagna che registra il 6,5% di interesse per il food delivery e il 10% per la spesa online riservandosi così il terzo posto a livello nazionale. La terza regione a supportare il Nord, in base all’analisi condotta da Weborama, è il Veneto dove la spesa online con il 9% supera di poco il food delivery (8%), segue poi il Piemonte con l’8% di interesse per la spesa online e il 7% per il food delivery.

Queste, ad oggi, sono le regioni più urbanizzate, le aree in cui le grandi catene della GDO sono più diffuse e in cui le piattaforme di food delivery sono maggiormente presenti e che sono state più duramente colpite.

Spesa online e al food delivery

Nel Centro Italia, invece, la spesa online sembra essere un tema che interessa complessivamente il 23% degli italiani, mentre il food delivery registra il 25%, si differenzia la Toscana che da sola con l’9% di interesse per il food delivery si assesta al quarto posto su scala nazionale. Il Lazio svetta in classifica con il 13,5% per la spesa online e il 12,2% per il food delivery mentre per il Sud Italia sono singolari i dati registrati in Campania in merito all’acquisto di prodotti alimentari online con un interesse del 7% e del 12% per il food delivery che pone la regione al terzo posto a livello nazionale dopo Lombardia e Lazio. Fa eccezione anche la Sicilia che, tra le regioni del Sud, si stanzia, dopo la Campania, al secondo posto con il 3% di ordini online e il 5,5% di interesse per le richieste di food delivery. Secondo la ricerca di Weborama, tuttavia, in Sardegna e così come nel resto del sud, sembrano quasi ignorate le due categorie di spesa online e food delivery. Nello specifico, gli italiani interessati alla spesa online in Sardegna sono meno dello 0,5%, il dato più basso dopo la Basilicata con lo 0,11% e il Molise con lo 0,08%, mentre la Puglia rialza l’interesse al 2,8% e registra il 3,2% per il food delivery ma sancisce il distacco dall’Abruzzo all’1% e dalla Calabria con lo 0,1%. Le cause di questa disparità numerica possono essere ricercate nella diversa struttura commerciale, e nella ristorazione che predilige modalità di delivery gestite in autonomia dal singolo ristorante, ma anche in una diversa penetrazione dell’epidemia di Coronavirus. Si può pensare che in aree drammaticamente colpite come Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, i consumatori siano stati più propensi ad evitare per quanto possibile di uscire di casa, mentre laddove il lockdown è stato percepito più come una misura precauzionale, la spesa settimanale o il ritiro di una pizza da asporto sono state considerate come attività legate alla quotidianità abituale.

Le regioni più interessate all’e-commerce in Italia

Al contrario, invece, la distribuzione geografica degli utenti interessati all’e-commerce è sostanzialmente analoga a quella della popolazione. Nella top 10 delle regioni più interessate all’e-commerce troviamo sul podio la Lombardia con il 31%, il Lazio con il 14,5% e la Campania con l’8% seguite in quarta posizione dal Veneto che registra il 7,6%, dal 7,3% del Piemonte e dall’Emilia-Romagna con il 6%, al settimo gradino c’è la Toscana con il 5,3%, poi la Sicilia 5,1% e al penultimo posto la Puglia 4%, chiudono al decimo posto le Marche con il 2%. Ciò conferma nuovamente come l’e-commerce sia ormai una realtà solida in tutto il Paese indipendentemente dall’area geografica.       

Roberto Carnazza, Country Manager di Weborama Italia commenta a proposito dell’analisi: I dati estratti da MoonFish sottolineano ulteriormente come, a causa del Covid-19, le abitudini degli italiani relative alla spesa online siano drasticamente cambiate e come ogni area del Bel Paese segua dinamiche proprie. Una volta usciti dall’emergenza, le vere incognite saranno molteplici: come affrontare un mercato che sarà inevitabilmente diverso, come prevedere i cambiamenti degli utenti online e lo scardinamento dei modelli fino ad ora conosciuti. Avremo una conferma soprattutto dell’effettivo interesse degli utenti verso la spesa online e il food delivery durante la cosiddetta Fase 2, momento in cui per i brand di settore, ma non solo, sarà quindi fondamentale formulare o riformulare strategie data-driven mirate e allo stesso tempo versatili al fine di ottimizzare gli investimenti e proseguire nel processo di fidelizzazione”.

Modalità della ricerca

L’analisi effettuata da Weborama è stata realizzata attraverso il nuovo tool proprietario MoonFish, una nuova soluzione che semplifica la creazione di audience specifiche, basata sulla qualità dei dati di Weborama e sull’intelligenza artificiale semantica. Con MoonFish è possibile creare segmenti di pubblico esclusivi, raggiungere un pubblico che risponderà in modo efficace e che potrà essere immediatamente attivato utilizzando le leve principali leve del marketing e dei media. MoonFish si basa sul know-how di professionisti che lavorano da anni nel reparto R&D di Weborama e rappresenta una risposta innovativa e dalle alte prestazioni alle sfide della conoscenza reale dei clienti dei brand nel mondo digitale. Questa conoscenza è già al servizio di quasi 1.000 grandi aziende nei più vari settori di attività, aziende che hanno la necessità di conversare e rivolgersi direttamente ai loro consumatori ideali.

Lockdown: come cambiano le abitudini degli italiani. L’analisi Facile.it

Il lockdown ha costretto milioni di italiani a stare in casa e di conseguenza a cambiare le proprie abitudini, non solo di consumo ma anche di acquisto. Esempio eclatante, in questo senso, la riscoperta dei piccoli negozi di vicinato da parte dei nostri connazionali, evidenza che emerge dall’indagine che Facile.it ha commissionato all’istituto di ricerca mUp Research in collaborazione con Norstat*

Negozi di quartiere vs grandi supermercati

Come anticipato, il 19,7% degli italiani, corrispondenti a 8.655.000 individui, ha modificato le proprie abitudini di acquisto, riscoprendo i piccoli negozi di quartiere, preferendoli alle grandi catene; a scegliere i market sotto casa anziché spostarsi verso centri commerciali o grandi supermercati sono stati soprattutto i residenti nei grandi comuni (23,6% fra chi vive nelle città con oltre 250.000 abitanti), i rispondenti del Sud e delle Isole (24%) e quelli con età compresa tra i 55 e i 64 anni (24,3%).

Nello specifico, quasi 1 rispondente su 5 (18,3%), pari a più di 8 milioni di individui, ha cercato di sostenere i negozi del proprio quartiere attraverso le consegne a domicilio, percentuale che sale al 24% fra i rispondenti con età superiore ai 54 anni, cioè una fetta della popolazione corrispondente a poco meno di 3.150.000 individui.

Boom di donazioni e volontariato

L’indagine ha messo poi in evidenza come gli italiani si siano dedicati a sostenere chi era in difficoltà e lo abbiano fatto in molti modi diversi. Tra le attività cui gli italiani si sono dedicati maggiormente per aiutare le persone in difficoltà ci sono proprio libere donazioni e volontariato; il 17% dei nostri connazionali (7.450.000 individui circa) ha contribuito economicamente a raccolte fondi promosse da enti pubblici o soggetti privati. Ad averlo fatto sono soprattutto i giovani appartenenti alla fascia d’età 18-24 anni (21,3%) e le donne (18,8% vs 15% fra gli uomini).  

Le donazioni, tuttavia, non sono state solo economiche, ma anche di beni di prima necessità dati direttamente a persone in difficoltà. Hanno scelto questa via il 13,6% degli intervistati, pari a 5.945.000 individui, percentuale che sale al 19,1% fra i rispondenti con un’età compresa tra i 65 e i 74 anni, fino a raggiungere il 20,2% nel Sud e nelle Isole.

Secondo l’indagine, poi, il 14,8% degli italiani (6.500.000 persone) si è offerto di fare personalmente la spesa al posto di anziani, di chi si trovava in situazione di bisogno o, anche, non poteva uscire di casa; ad averlo fatto sono state soprattutto le donne (17,9% vs 11,6% fra gli uomini) e i rispondenti appartenenti alla fascia di età 45-54 anni (18,3%).

Bello notare come l’emergenza Coronavirus abbia dato nuova linfa anche al volontariato; sono quasi 1,4 milioni (3,2%) gli italiani che hanno cominciato a farlo presso enti o associazioni impegnate nell’emergenza, valore che raggiunge il 5,2% fra i rispondenti con un’età compresa tra i 45 e i 54 anni.

Altrettanto bello vedere come ci sia, poi, un modo tutto nuovo di aiutare; il 10,5% dei rispondenti, dato equivalente a più di 4,6 milioni di individui, ha dichiarato di aver contribuito a rendere più leggera la situazione mettendo gratuitamente a disposizione del prossimo le proprie competenze personali o professionali. In particolare, sono i liberi professionisti ad essersi dati da fare: il 16,4% di costoro ha offerto le proprie competenze, anche se a distanza; c’è chi ha fatto ripetizioni via chat per aiutare i ragazzi che si sono trovati a gestire da soli necessità scolastiche; idraulici che hanno guidato via web persone che nemmeno avevano mai visto per aiutarli a riparare rubinetti che gocciolavano o elettricisti che, attraverso una videochiamata, sono riusciti a risolvere piccoli e grandi problemi che si sono verificati nelle case di vicini o….lontani.

* Metodologia: n. 1.504 interviste CAWI ad un campione rappresentativo della popolazione adulta, in età 18-74 anni, sull’intero territorio nazionale. Indagine condotta ad Aprile 2020.

Italiani e Fase 2: tutto dipende da una (buona) comunicazione. I dati GfK

Dal 4 maggio l’Italia ha ricominciato lentamente a riaprire dopo quasi due mesi di lockdown. È ormai chiaro che la cosiddetta Fase 2 sarà un percorso graduale verso una “nuova normalità”. Ma dopo la crisi legata al Coronavirus saremo gli stessi di prima? Quali scenari si profilano dal punto di vista dei consumi, del sentiment e della comunicazione?

Durante il live event “Attivarsi per la Fase 2: insight GfK su Largo Consumo, Media e Comunicazione” gli esperti GfK hanno fornito nuovi spunti alle aziende su come affrontare la crisi attuale e l’incertezza futura. Tutti gli insight presentati derivano dal monitoraggio settimanale a 360 gradi sugli effetti del Coronavirus sui mercati, i consumatori e i media che GfK ha attivato nel mese di febbraio.

Nuove abitudini di spesa nel Largo Consumo

Daniele Novello -Sub-Lead Consumer Insight – ha parlato di come è evoluto il sentiment dei consumatori italiani nelle ultime settimane, presentando i risultati più aggiornati della ricerca GfK COVID-19 Tracking, che da quasi un mese monitora l’evoluzione su base settimanale delle abitudini, gli stili di vita e le strategie di acquisto degli italiani.

Nel suo intervento “FMCG Shopper unlocked” Marco Pellizzoni– Commercial Lead Consumer Panels – ha sottolineato come l’emergenza COVID-19 sta rivoluzionando le abitudini di acquisto nel Largo Consumo. “Nelle prime settimane del lockdown è cresciuta in maniera significativa la spesa nel FMCG (+19,8%), in particolare per  famiglie giovani con bambini. – Spiega Marco Pellizzoni. Gli italiani continuano a fare scorta di prodotti, riducendo la frequenza di acquisto. È cambiato profondamente il Channel Mix, con la crescita dei canali di prossimità (inclusi i negozi tradizionali) e dell’online: l’11,5% delle famiglie italiane ha fatto la spesa online a marzo. Una abitudine nuova per molti (il 37% non aveva mai fatto la spesa online nell’ultimo anno) ma con grandi potenzialità di crescita: infatti a marzo il 19% degli Italiani ha provato a fare la spesa online ma non c’è riuscita, per limitazioni del Canale nel gestire una domanda esplosa”. Oltre ai prodotti di prima necessità e quelli legati alla pulizia, durante il lockdown sono cresciuti tutti i prodotti legati alla sfera del Benessere (Biologico, Plant Based, Senza Lattosio e Senza Glutine).

Ma cosa possiamo aspettarci per la Fase 2? Spiega Pellizzoni: “Le categorie con maggiore prospettiva di crescita sono quelle che hanno attivato Penetrazione aggiuntiva nelle ultime settimane e che sono in linea con le nuove occasioni di consumo che, in molti casi, continueranno anche nella Fase 2. Vengono meno le leve tattiche da azione in-store e ritorna centrale la comunicazione, anche da indirizzare a target di acquirenti profondamente diversi dal solito. Per sostenere la crescita durante la Fase 2, sarà centrale focalizzarsi sul mantenimento della Penetrazione, ripensare il ruolo dei Canali e stare più vicino al Consumatore, anche valutando il Direct to Consumer.”

Comunicazione di marca e strategie multimediali

Dall’inizio dell’emergenza Coronavirus, GfK sta monitorando come le aziende stanno adattano le proprie strategie di comunicazione alla crisi e ha attivato un monitoraggio settimanale per seguire l’evoluzione dei sentiment e delle attese dei consumatori nei confronti della comunicazione. Durante la web conference, Cristiana Zocchi-Solution Lead Marketing Effectiveness- ha presentato i risultati del monitoraggio, facendo il punto sul come sta reagendo la comunicazione di marca e su quali sono le attese future dei consumatori. Le nostre ricerche mostrano un elevato interesse a mantenere attivo il dialogo – commenta Zocchi – attraverso una comunicazione che dovrà però adeguarsi alla nuova normalità. Nelle attese delle persone, le aziende dovranno porre attenzione ad alcuni temi di responsabilità sociale ed economica, portati in primo piano dalla pandemia. I brand saranno poi chiamati a rispondere ai ‘nuovi’ bisogni dei cittadini-consumatori con iniziative di marketing e comunicazione specifiche per il settore in cui operano”.

Anche la fruizione dei Media è cambiata molto dopo l’inizio dell’emergenza COVID-19. Ne hanno goduto in maniera importante TV (+18%) e Web (+25%), che fanno registrare incrementi inediti, trainati da un’altissima domanda di contenuti informativi, di intrattenimento, di comunicazione. La Radio, nonostante il collasso del drive time, ha mantenuto buoni livelli di fruizione grazie, da un lato, a una consistente porzione di popolazione che ha continuato a muoversi (prevalentemente in auto), dall’altro alla possibilità di essere ascoltata attraverso un gran numero di piattaforme. Segnali simili arrivano anche dal lato della Stampa (fisica o digitale).

Durante il lockdown gli italiani sono diventati anche più multimediali, come ha spiegato Giorgio Licastro -Solution Lead Media Measurement-: “In generale la ‘carcerazione’ forzata a casa ha indotto gli Italiani ad attivare nuove modalità di fruizione dei mezzi e li ha resi più multimediali. Inducendo le generazioni più giovani a scoprire e aprirsi ai mezzi tradizionali, e le generazioni più mature ad accelerare la conversione al digitale. Tutto questo può essere un lascito per la nuova normalità, alla fine dell’emergenza sanitaria”.

In chiusura della conference, Giuseppe Minoia -Insight Advisor- ha presentato una riflessione sul ruolo “salvavita” che ha l’Entertainment ha avuto durante il lockdown – e che può avere ancora nella Fase 2. “Gli italiani, i cittadini, i consumatori come si comporteranno nella riapertura, dopo la fase acuta di COVID-19? Dai nostri dati settimanali affiora un consumatore bifronte, rispettoso degli input degli esperti, ma anche desideroso di tornare a fare altro, ad intrattenersi con altri, insomma motivato verso l’Entertainment. Dopo tanto smart working, schooling e shopping,  vogliamo tornare a rilassarci, da soli e con gli altri”.

Secondo i dati GfK, gli acquirenti di Entertainment sono cresciuti negli ultimi due anni e anche nella Fase 2 ci sono molte opportunità per questo settore: “Gli italiani non vedono l’ora di uscire  con gli amici, fare un viaggio, fare shopping non da soli, andare al bar e al ristorante, tornare dall’estetista e in palestra, entrare di nuovo in un cinema, in un teatro, in uno stadio, in un evento. Per ora non si può fare, ma i consumatori di Entertainment non vedono l’ora di poter essere i primi ad uscire per condividere questi consumi che ieri chiamavamo esperienze. Per gli operatori del settore è quindi fondamentale tornare a comunicare e a programmare, elaborando anche nuove strategie di promozione e vendita in ottica early bird”.

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