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L’ortofrutta italiana guarda all’export, tra opportunità e difficoltà

Marco Salvi, Presidente Fruitimprese

L’Italia è un grande produttore di ortofrutta, che esporta per 3,9 milioni di tonnellate (2014, +4,4%) e 4,1 milioni di euro (-1,2%), con una quota del 22% tra freschi e trasformati, un punto sopra le bevande. Ma come fare ad incrementare il flusso delle esportazioni (anche per compensare un mercato interno in declino del 5,7% negli ultimi 5 anni) e verso quali Paesi rivolgersi? Se ne è parlato al seminario “L’internazionalizzazione dell’impresa ortofrutticola. Risposte concrete ad esigenze emergenti” organizzato da Fruit Innovation, la nuova fiera dell’ortofrutta che debutterà a Fiera Milano Rho  dal 20 al 22 maggio 2015 con una mission: innovare e internazionalizzare il settore.

Le esportazioni sono molto variegate a seconda del prodotto: siamo leader nell’export delle pere (con 718mila tonnellate specie verso la Germania) stabili sull’uva da tavola che viene esportata per la metà, con il mercato americano e le varietà senza semi in crescita e siamo il secondo maggior produttore mondiali di kiwi (dopo la Cina), che esportiamo all’80% in 100 Paesi, mentre abbiamo ceduto su un prodotto storico come gli agrumi, sul quale la bilancia import/export è negativa.

I punti deboli per l’export sono stati sintetizzati da Marco Salvi, Presidente Fruitimprese:

Le barriere fitosanitarie: se non c’è un accordo bilateriale con il Paese in questione, frutto di un’attività politico-diplomatica, non si può esportare. In Giappone ad esempio possiamo esportare solo arance trasformate; in Cina esportiamo 15mila tonnellate di kiwi.

L’embargo russo: ha colpito duramente l’ortofrutta, perché incideva per il 39% delle esportazioni europee, ed è il maggiore importatore di pere.

I conflitti in Nord Africa e Medio Oriente: che minacciano un mercato estremamente promettente e in crescita.

La mancanza di una politica di espansione commerciale che coinvolga le imprese e concentri gli investimenti promozionali su mercati selezionati.

I costi più alti rispetto agli altri Paesi (anche la Spagna, diretto concorrente) per manodopera, energia e trasporti.

“È necessario fare sistema tra imprese, politica e università e ricerca. Sono già stati stanziati dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) 260 milioni di euro per il Made in Italy, che potrebbero permetterci di fare il salto di qualità. Bisogna investire in comunicazione: per le mele Pink Lady ad esempio si investono 10 milioni l’anno. Siamo leader di mercato in tanti prodotti, ma dobbiamo evitare di fare come per le arance, per le quali siamo diventati fanalino di coda dell’export: chi l’avrebbe detto 25 anni fa?” ha ammonito Marco Salvi, Presidente Fruitimprese.

Claudio Scalise, Managing Partner SGMARKETING ha individuato invece le opportunità da cogliere in questo momento, positivo per il cambio euro/dollaro favorevole, il prezzo del petrolio ai minimi storici e l’inizio della ripresa dei consumi. “Tra le tenenze che vedo la frontiera sempre più labile tra fresco e trasformato (vedi la IV gamma) e un export che ragioni in termini di filiera, dal produttore al distributore, al trasformatore”. Altra leva cruciale è l’adattamento della strategia ai diversi mercati, che chiedono cose diverse: consumo critico, servizio ed estetica i mercati maturi, per cui è di cruciale importanza la presentazione del prodotto; standard qualitativi, brand e servizio i mercati emergenti, per i quali l’ortofrutta da importazione è uno status symbol per la classe media; e prezzo per i Paesi “New Frontier” (Africa, India, Tirchia, Medio Oriente), dove l’ortofrutta è commodity.

La vendite retail, e la GDO in primis, coprono il 70%  delle vendite di ortofrutta nei Paesi maturi, e il 10%  in quelli "New Frontier". I drive di posizionamento di alcune catene europee e americane.
La vendite retail, e la GDO in primis, coprono il 70% delle vendite di ortofrutta nei Paesi maturi, e il 10% in quelli “New Frontier”. I drive di posizionamento di alcune catene europee e americane.

Federdistribuzione presenta il bilancio di sostenibilità della distribuzione moderna

«Siamo le aziende del prezzo giusto, non del prezzo basso»: così il presidente di Federdistribuzione  Giovanni Cobolli Gigli ha introdotto l’incontro di presentazione del secondo Bilancio di sostenibilità della Distribuzione moderna organizzata (Dmo). «Uno strumento – ha aggiunto – nel quale esprimere la nostra identità, dichiarando i valori forti intorno ai quali le aziende della Dmo rappresentano, pur nella loro diversità, un insieme coeso». Un concetto ribadito anche da Mario Gasbarrino, amministratore delegato di Unes, per il quale: «In un settore ad elevata competitività come quello della distribuzione, la sostenibilità è un fattore di incontro, di scambio delle best practice».

L’obiettivo del bilancio di sostenibilità (l’unico, salvo errori, che riguarda un intero settore) è infatti quello di «trasmettere l’idea che l’impegno delle imprese sull’ambiente, nei confronti  di collaboratori e clienti, verso i fornitori e la comunità non è sporadico o casuale, ma rappresenta un atto consapevole che entra a far parte della più autentica strategia d’impresa e sul quale il commitment è molto forte. È la testimonianza che la sostenibilità non viene più intesa solo come una leva di posizionamento, ma sta diventando una leva economica». Federdistribuzione, ricordiamolo, rappresenta un variegato universo di imprese distributive per un totale di 14,600 punti vendita, 60,6 miliardi di euro di giro d’affari, pari al 47,9% della Dmo.

Va detto che, poiché la cronaca ha il sopravvento sui temi di un convegno, a poche ore di distanza, la notizia che qualche centinaia di dipendenti di Auchan hanno occupato piazza Montecitorio in seguito al fatto che il retailer francese si appresterebbe a licenziare oltre mille dipendenti, quale effetto della crisi di questi anni e della necessità di una riorganizzazione della propria presenza in Italia (cìè anche chi paventa una sua uscita), getta qualche ombra su queste affermazioni. Tuttavia non ne mina la sostanza.

Nel completo rapporto di bilancio, gli aspetti citati da Cobolli sono sintetizzati in una serie di numeri a significare un percorso virtuoso, come l’ha definito Mario Molteni, direttore di Altis (Università Cattolica di Milano): «La seconda edizione del Bilancio di Sostenibilità di Settore racconta di aziende che credono e investono in iniziative di responsabilità sociale e ambientale, assumendo il ruolo di propulsore di crescita». Nelle otto aree oggetto dell’indagine (clienti, fornitori, collaboratori, comunità, certificazione, ambiente, comunicazione), che censisce 60 iniziative diverse delle imprese associate, le attività delle imprese della Dmo hanno tassi di penetrazione elevati, che sfiorano il 100% in alcuni casi come i sistemi di riduzione dei consumi energetici, l’attivazione del servizio di ascolto dei clienti, l’inserimento di informazioni addizionali sull’etichetta dei prodotti a Marca del Distributore.

«Il dato più significativo – ha sottolineato Molteni – è che in tutte le aree si registra un incremento, con l’eccezione delle certificazioni, ma per il semplice motivo che è già completamente presidiata».

L’area che registra l’evoluzione più significativa è quella dei fornitori: +15% rispetto all’indagine 2012. Le aziende distributive lavorano con i fornitori in logica di partnership e per una loro valorizzazione, favorendo un percorso di crescita delle PMI. Pratiche quali l’instaurazione con le PMI di un rapporto di lunga durata (79% delle imprese), la valutazione del Codice etico del fornitore o la firma congiunta di un codice di condotta (75% delle imprese), la dematerializzazione degli scambi di documenti (82% delle imprese) favoriscono nelle imprese fornitrici l’avvio di un percorso di Responsabilità Sociale d’Impresa e di innovazione.

Anche l’area clienti segna un trend positivo dell’11%. Nei confronti dei clienti le imprese distributive tutelano il potere d’acquisto e mostrano attenzione alle nuove dimensioni sociali, andando spesso oltre gli obblighi di legge.

sostenibilità Dmo 2014

«La sostenibilità – ha concluso Molteni – è diventata un aspetto strutturale del business per le imprese della Dmo, che svolge, per di più, un ruolo proattivo verso le imprese fornitrici e di educazione della clientela. Il fatto che la riduzione degli imballaggi sia aumentata del 18% e la riduzione dei rifiuti del 12% testimonia di un approccio pragmatico alla sostenibilità, che fa bene immediatamente al conto economico dell’impresa».

Sono numerosi gli spunti emersi dalla duplice tavola rotonda che ha discusso i risultati del bilancio di sostenibilità di settore. Proviamo a sintetizzarli.

Consumo di suolo. Per le imprese della Dmo che vuole continuare a investire e a crescere, il tema è particolarmente importante. Intorno al consumo di suolo, in discussione nei palazzi della politica,  si intrecciano infatti gli interessi delle comunità locali, quelli della Dmo (per la quale è centrale la redditività del punto vendita), quelli delle amministrazioni locali. «Ma dobbiamo operare tutti all’interno di un quadro di certezze: oggi quando si parte non si sa quando si arriva e quando e in quali condizioni si arriva a compimento del progetto», ha detto Valerio di Bussolo, direttore della comunicazione di Ikea Italia.

Anche perché, ha illustrato il presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, sono numerosi i casi in cui le Regioni e le amministrazioni locali hanno posto vincoli all’apertura di punti vendita e agli orari di apertura, nonostante le disposizioni contenute nei decreti Cresci Italia e Salva Italia che avevano invece aperto le porte a una maggiore liberalizzazione al riguardo, tanto che l’Antitrust è dovuto intervenire presentando ricorsi contro gli atti degli enti locali.

Rapporti con i fornitori. Per Luigi Mastruobuono, direttore generale di Confagricoltura sono quattro le aree di lavoro comune con la Dmo: la condivisione di dati per comprendere e migliorare le relazioni con i consumatori; valorizzare la filiera agroalimentare che vale il 14% del Pil; l’internazionalizzazione, perché la Dmo può essere la piattaforma di diffusione dei prodotti italiani all’estero; la comunicazione per creare maggiore valore veicolando nuovi contenuti relativi alla sostenibilità.

E Mario Gasbarrino ha aggiunto che quando si parla di prodotti a marchio del distributore questi rapporti sono già a livelli elevati tanto che molte Pmi sono cresciute fino ad affacciarsi ai mercati internazionali grazie alla Dmo e che la valorizzazione dei prodotti locali in futuro è destinata a crescere. Non solo, ma «quando un distributore sognatore e un produttore inventore si incontrano si raggiunge un equilibrio perfetto. Tanto che con il nostro fornitore di acqua minerale abbiamo eliminato il fardello in polietilene, risparmiando circa 480 camion di plaastica indifferenziata. E noi valiamo solo l’1% del fatturato complessivo della distribuzione alimentare».

Convegno Bilancio di sostnibilità distribuzione moderna 2

Filiera. «Il futuro si giocherà su una visione della filiera diversa, con progetti a lungo termine. Ma occorre fare rapidamente un salto di qualità. Mi auguro che l’industria recuperi quella capacità di innovazione  che in questi ultimi anni è stata più appannaggio della distribuzione. Dobbiamo tornare a metterci in gioco per costruire una visione più integrata più documentata con la distribuzione e con l’agricoltura». Alberto Frausin, amministratore delegato Carlsberg Italia.

Eccedenze alimentari. La Francia recupera le eccedenze 6-7 volte di più che l’Italia. L’auspicio del presidente di Fondazione Banco Alimentare Andrea Giussani è che la lotta contro lo spreco possa diventare un processo ordinario all’interno delle imprese distributive, per far si che da opportunità etico-sociale possa diventare una normale attività. Dando poi evidenza dei risultati ottenuti per favorirne il contagio e la diffusione.

Il temporary store di Ikea ripensa alla cucina e al cibo

Ha aperto i battenti qualche giorno fa il Temporary Store di Ikea a Milano, in zona Navigli, subito preso d’assalto dal popolo del design che in questi giorni affolla le strade di Milano. 1000 gli eventi grandi e piccoli, importani o meno significativi, frutto della creatività e del design che aprono, di fatto, il semestre di Expo a Milano.

E proprio il temporary di Ikea, che rimarrà aperto fino alla fine di settembre (unica presenza scandinava nel semestre di Expo), contiene al suo interno il Kitchen Lab,  frutto di un lavoro di alcuni anni legato all’uso intelligente della cucina svolto in collaborazione con gli studenti della Eindhoven University of Technology e dell’Ingvar Kamprad Design Center dell’Università di Lund con il coordinamento dell’incubatore londinese Ideo.

Qui vengono proposte riflessioni sulla cucina del 2025 che coinvolgono tutta la filiera del mangiare, perché contempla dei sistemi di refrigerazione di tipo passivo e a induzione (senza cioè il frigorifero), dei compattatori di rifiuti domestici, un compostatore da cui si ricavano pastiglie essiccate di compost mentre il liquido estratto, pieno di sostanze nutritive, serve per innaffiare le piante di casa, un germogliatore. E soprattutto un tavolo che contiene nascosto al suo interno un piano a induzione sul quale si cucina direttamente. Attraverso un sistema di riconoscimento dei cibi con fotocamere e proiettori posizionati sul soffitto, sul piano  del tavolo sono proiettati  suggerimenti d’uso e ricette di cucina.

Ma il Temporary Store contempla tante altre proposte sempre legate alla cucina e al food: dal ristorante (Food Lab) con le famose polpette svedesi, declinate anche in versione vegetariana e di pollo, allo studio di una cucina per bambini di Matali Crasset, allo spazio cucina progettato da Paola Navone, a nuovi modelli e nuovi prodotti, tutti contrassegnati dall’idea di sostenibilità, come il tavolo e gli sgabelli di sughero. Ovviamente è un vero e proprio punto vendita dove è possibile acquistare o progettare la propria cucina.

«Sono quattro i motivi alla base dell’apertura di questo spazio», spiega a inStore il direttore delle relazioni esterne di Ikea Italia Valerio Di Bussolo. «L’opportunità di presentare il lavoro svolto in questi ultimi anni sul cibo e sulla cucina in sintonia con Expo è il primo. Il secondo motivo è la ricerca di formule cittadine di negozi. Abbiamo un punto vendita urbano ad Amburgo, nella zona dei doccia, di 35 mila metri quadrati e abbiamo da poco aperto un pick-up store a Pamplona. Stiamo insomma cercando di individuare le diverse formule più idonee al tipo di tessuto urbano scelto. Qui a Milano, per esempio, è improbabile aprire una grande superficie (anche se non è un problema di location, visto che ci sono tante caserme), ma essenzialmente per il traffico automobilistico e per la sostenibilità ambientale.

Il terzo motivo è la focalizzazione sul cibo e sulla cucina, non solo in quanto prodotto, ma anche in termini di pianificazione e progettazione (da qui i progetti di Navone e di Crasset), perché ci è sempre stato imputato una proposta omologata e standardizzata. Infine, una presenza di marketing, per intercettare quella parte di potenziali clienti che ancora non frequentano i nostri punti vendita».

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Unicoop Firenze: vendite in calo nel 2014, ma cresce la produttività e i soci superano il milione

Sono cominciate il 9 aprile e si protrarranno fino al 4 maggio le assemblee dei soci di Unicoop Firenze per conoscere e discutere il bilancio 2014.

Un anno, si legge in una nota pubblicata sul sito della cooperativa, di calo dei consumi anche alimentari e quindi la “coperta” delle vendite si è fatta più corta per tutti gli operatori commerciali.

In questa situazione, la cooperativa ha registrato nel 2014 vendite inferiori rispetto all’anno precedente, scontando in gran parte la trasformazione degli ipermercati in grandi supermercati alimentari: una perdita di area di vendita di quasi il 5%.

A questo occorre aggiungere una riduzione dei prezzi di vendita dello 0,7 per cento. Ma è aumentata la produttività e sono stati ridotti i costi di gestione; quindi il risultato commerciale sarà nel complesso positivo.

Un altro dato estremamente positivo – sottolinea la nota – è che i “soci attivi”, quelli che hanno fatto almeno una spesa nei punti vendita di Unicoop Firenze in un anno hanno superato il milione, l’1,71 per cento in più rispetto all’anno precedente. In generale i soci hanno apprezzato la politica di riduzione dei prezzi con la riduzione per ben mille prodotti a marchio Coop, ai quali si sono aggiunti a febbraio altri mille prodotti, anche di marca.

Crai rafforza i legami con il territorio e il fatturato 2014 vola a +24%

Attivo nella distribuzione moderna con 3000 punti vendita  in più di 1000 comuni Italiani, Crai chiude il 2014 con un fatturato di 4.850milioni di euro, in crescita del 24%, a suggello di un anno in cui la focalizzazione sul punto vendita ha rafforzato l’identità d’insegna che sempre più punta a soddisfare la tendenza al ritorno ai negozi di prossimità e la tendenza a ricercare elevati livelli di qualità e servizio.

“La soddisfazione cresce – dichiara Marco Bordoli, Amministratore Delegato CRAI Secom – se si considera l’attuale situazione economica con trend ancora negativo. Per fronteggiare la crisi dei consumi e attrarre sia nuovi operatori commerciali, sia nuovi clienti, abbiamo attuato alcune azioni per noi determinanti ai fini del successo: nuovo posizionamento strategico della marca “Nel cuore dell’Italia”, nuovo format per i punti vendita; forte spinta alla marca privata con attenzione alla gamma di prodotti di qualità; potenziamento della rete multicanale sul territorio e nuovo assetto organizzativo della centrale. Inoltre, al comparto food si aggiunge la forte presenza anche nel settore Drug, con oltre 1000 negozi in Italia. Oggi – continua Bordoli – siamo tra i principali leader nella formula distributiva multicanale.”

Crai infatti presidia il canale alimentare e l’area dei prodotti cura casa e cura persona (canale drug), dove i punti vendita sono cresciuti nel corso del 2014 rispettivamente di 323 e 270 unità. La focalizzazione sul punto vendita ha poi rafforzato l’identità d’insegna che sempre più punta a soddisfare la tendenza al ritorno ai negozi di prossimità e la tendenza a ricercare elevati livelli di qualità e servizio

Significativa la crescita dei prodotti a marchio del distributore che registrano una crescita dell’1% sul 2103 e rappresentano il 19,28% delle vendite. Tra questi sono da segnalare le buone performance della linea Piaceri italiani (titicità del territorio) e  Giardino Cosmetico (prodotti di bellezza con principi funzionali biologici).

Nel corso del 2014 si è anche concretizzata la partnership con Sisa all’interno della centrale d’acquisto con Auchan, terza in Italia, in grado di  garantire sinergie sia a livello di strutture nazionali che a livello di territori.

“Il percorso di rinnovamento di CRAI ha portato anche alla riorganizzazione dell’organigramma con l’ottimizzazione dei ruoli per una maggiore efficienza delle diverse attività. Il nuovo assetto ha ridefinito le responsabilità delle aree operative più strategiche – commenta Marco Bordoli – nuove persone e nuove funzioni hanno portato nuova linfa nel gruppo e i risultati sono visibili”.

Carozzi lancia l’e-commerce del formaggio

Carozzi Formaggi allarga i canali e le opportunità di vendita lanciando La Formaggeria, il sito web dedicato all’acquisto dei formaggi Carozzi, uno strumento che strizza l’occhio soprattutto al mercato globale.  L’azienda della Valsassina, che ha come principale canale distributivo la GDO (che copre il 40% delle vendite), si lancia nell’e-commerce con un sistema strutturato in ogni minimo dettaglio: dalla navigazione sul sito al servizio di consegna, dall’ordinazione alla possibilità di effettuare resi – qualora il prodotto venga mantenuto intatto.
Uno degli atout del servizio è la consegna veloce, che è assicurata entro le 24 ore su tutto il territorio nazionale, ad esclusione di Lazio (Rieti), Abruzzo (Chieti/L’Aquila), Molise (Isernia), Puglia, Basilicata, Calabria e le Isole per i quali occorrono 48 ore, mentre in Europa e nel mondo è garantita in pochi giorni: un servizio innovativo, mai realizzato da altri produttori di formaggio. Affinché i prodotti vengano consegnati integri e non perdano alcuna delle loro proprietà, la spedizione è realizzata attraverso contenitori isotermici resistenti in cartone e polistirolo espanso che garantiscono un’ottima conservazione, aiutati inoltre da buste di refrigerante sigillate che permettono di mantenere la temperatura corretta all’interno.

Prodotti tra tradizione e innovazione
I prodotti di Carozzi Formaggi si dividono oggi in otto principali categorie: il taleggio DOP, il quartirolo DOP, il gorgonzola DOP, i formaggi a crosta lavata (caratterizzati dal lavaggio periodico della crosta con una soluzione salina al fine di eliminare muffe e favorire la crescita di batteri rossi che ne contraddistinguono il colore esaltando il sapore), i formaggi a crosta naturale, i formaggi freschi ed, infine, i formaggi di capra, gli yogurt con latte vaccino e la novità di quest’anno, che viene incontro alle esigenze nutrizionali e consumistiche più attuali: lo yogurt di capra. Ottenuto utilizzando latte di capra italiano, grazie ad una lavorazione artigianale in impianti tradizionali e all’aggiunta di frutta è un prodotto capace di unire le qualità dello yogurt come il rafforzamento del sistema immunitario, l’arricchimento della flora intestinale e la digeribilità, alle proprietà del latte di capra, più tollerabile del vaccino, ricco di calcio, fosforo e vitamine e, dopo quello d’asina, il latte più simile al materno.
Carozzi formaggi ha 30 dipendenti e un fatturato di quasi 13 milioni di euro e produce 2 milioni di chili di formaggi l’anno. L’export vale per 1,8 milioni di euro, di cui 513mila euro negli USA e il resto in Europa, ma l’azienda sta avvicinando anche nuovi mercati come Cina, Giappone e Sud Africa.

 

Esselunga archivia un 2014 positivo e spinge sugli investimenti

Il 2014 si è chiuso per il Gruppo Esselunga con vendite in linea con l’anno precedente a 7.013 milioni di euro (+0,8%) nonostante una deflazione del 1,6% dei prezzi di vendita al dettaglio e una generale contrazione del mercato nella Gdo. In crescita del 3,2% il Margine operativo lordo a 521 milioni di euro e del 2% il Risultato operativo pari a 335 milioni di euro. È di 212 milioni di euro l’utile netto (210 nel 2013)

Si conferma, secondo la nota diramata dall’azienda a seguito del condisco di amministrazione, la vicinanza di Esselunga con i suoi clienti, che sono cresciuti dell’8,5%.

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Importanti gli investimenti, che sono ammontati a 400 milioni di euro, portando a 1,8 miliardi quelli effettuati negli ultimi cinque anni. Nel 2’014 infatti sono stati aperti nove punti vendita a Calco (Lecco), Aprilia, Milano Porta Vittoria, Novara, Prato Leonardo, Parma via Emilia Ovest, Saronno (Varese), Firenze Galluzzo e Marlia (Lucca) e il polo logistico di Campi Bisanzio (Firenze).

Nel corso del 2015 è previsto un ulteriore sviluppo della rete vendita che è già iniziato con l’apertura del 150° negozio a Milano in via Adriano, sull’area dove un tempo sorgevano i capannoni della Ercole e della Magneti Marelli.

Per una analisi delle performance economico-finanziarie di Esselunga 2013 con una proiezione 2014 e 2015 potete acquistare il Report inStore realizzato da DGM in formato Pdf direttamente da qui al prezzo di 79 euro+Iva. 

 

Il Gruppo Pam rinnova il sito web, migliora la navigabilità e l’interattività

Mentre prosegue lo sviluppo del formato Pam Local, i negozi di prossimità con un assortimento soluzioni facili e veloci pensate per chi ha poco tempo in cucina, gli intolleranti e chi cerca varietà spendendo poco (l’ultimo punto vendita è stato inaugurato il 2 aprile a Ostia), il retailer di Spinea ha rinnovato il proprio sito web.  Il nuovo sito,  www.pampanorama.it, realizzato dall’agenzia Olojin, rappresenta una tappa importante per il Gruppo – si legge in una nota – “perché va ad unificare sotto un cappello digitale comune le insegne Pam, Pam Local e Panorama, a testimonianza di una profonda condivisione di mission, idee, filosofia e qualità”.

Oltre alle sezioni dedicate alle tre insegne, nelle quali trovare informazioni utili sui punti vendita, gli orari di apertura e gli eventi proposti nei vari negozi, si può consultare l’area dedicata a Carta perTe, la carta fedeltà del Gruppo, che è stata ampliata e rinnovata. Registrando la carta si ha accesso a una nuova area personale da dove controllare il proprio saldo punti e scaricare non solo i coupon ma anche le ricette e i contenuti del magazine preferiti per una fruizione personalizzata. Inoltre, l’utente può essere informato più facilmente su eventi e promozioni del proprio punto vendita di riferimento.

Nel nuovo sito si trovano anche ricette, news, volantini promozionali da consultare in modo facile e veloce in formato elettronico,visibilità sui diversi progetti educational e sulle iniziative di responsabilità sociale, un’area appositamente dedicata ai prodotti a marchio e una sezione ad hoc per il nuovo Magazine, consultabile gratuitamente da tutti  in versione digitale.

 

Prodotti per l’infanzia: Gdo in difficoltà, gli specialisti crescono

Nel corso della conferenza di presentazione della nascita di G.I.P.I, il nuovo gruppo distributivo specializzato nei prodotti per l’infanzia, Alessandro Negrello, responsabile del panel Baby Care di Gfk ha tracciato un quadro dell’andamento di questo mercato nel corso del 2014.

Lo scorso anno il mondo Baby Care ha sviluppato un giro di affari di 264,5 mio euro, in contrazione del 3,5%, e un controvalore a pezzi in lieve crescita (+1,5%) pari a 6,9 mio.

La dinamica a valore è certamente condizionata da alcuni fattori esogeni, come il calo delle nascite (5.000 nati in meno nel 2014, per la prima volta il calo ha coinvolto anche le mamme straniere -19% nascite totali-, 94.000 giovani emigrati all’estero negli ultimi 5 anni) e il difficile contesto economico, che ha pervaso anche questo settore e contribuito allo sviluppo di abitudini alternative tra i consumatori, come l’accesso al canale dell’usato, la crescita del fenomeno del riuso/prestito, una maggiore sensibilità al prezzo.

Per capire meglio le dinamiche in atto nel comparto  Negrello ha evidenziato il ruolo dei diversi canali – Gdo e specializzati – e fare alcuni cenni alle famiglie di prodotto.

Andamento contrastante
Nel 2014 il canale generalista e quello specializzato hanno evidenziato trend contrastanti.

Il canale specialista vale oggi circa il 67% dei volumi totali generati dal comparto ed evidenzia un trend positivo del 4% rispetto al 2013, in controtendenza la GDO, in contrazione del 4%.

Come spiegare questo fenomeno? Lo specialista ha colto le potenzialità offerte dal complesso e variegato mondo del feeding, che necessita di un format capace di rappresentarlo in modo compiuto; dall’altro ha il potere di accrescere la pedonabilità sul punto vendita, accreditandolo come riferimento chiave anche per gli acquisti del quotidiano (dai ricambi delle tettarelle, all’acquisto delle pappe, del pannolino…) e mettendolo in diretta competizione con la GDO, che sta soffrendo.

Specializzati verso la modernizzazione
In questa logica, la distribuzione specializzata appare oggi interessata da un processo di modernizzazione, che la porta, sia pure con un certo ritardo rispetto ad altri settori e in modo circoscritto alle realtà più aperte al cambiamento, a far proprie le logiche della grande distribuzione, quindi a puntare su una politica sempre più aggressiva, che ripone molta enfasi non solo sulla comunicazione (anche attraverso i volantini) ma anche sulla competenza, sottolineando una nuova competitività.

D’altro canto, lo specializzato, che vale ben l’89% a valore del mercato Baby Care, ha visto nel 2014 il proprio giro di affari contrarsi del -5%; questo risultato è riconducibile al diminuito apporto della puericultura pesante, più colpita dalla contrazione dei consumi e interessata da una forte pressione sul prezzo e sui margini.

Nel 2014 il segmento trasporto e seduta -“cassaforte” del negozio specializzato- è calato del -6% a valore e del -3% a volume; all’interno di questo mix il prodotto che ha evidenziato le maggiori difficoltà è stato il seggiolone e, a seguire, i passeggini, con il trio in sofferenza. Qualche difficoltà anche per il seggiolino auto, che ha evidenziato una tenuta sostanziale a quantità (+1% vs 2013), ma anche una flessione del 4% a valore. A sostenere la crescita sono stati soprattutto i gruppi 1/2/3 e 2-3. E questo evidenzia un tentativo del consumatore di razionalizzare l’acquisto privilegiando una soluzione che non lo costringa a ripetere l’acquisto nel giro di poco tempo.

Il panel Baby Care rappresenta oggi 10 categorie merceologiche, che si estendono dal mondo feeding (succhietti, biberon, etc.), passando per gli articoli elettronici (sterilizzatori, baby monitors, etc.) fino al mondo transportation & seat (ruote, seggiolini auto, seggioloni).

GfK ha attivato un panel retail che, a partire dal 2013, rappresenta il multimarca specializzato in puericultura, nelle sue varie declinazioni: non solo indipendenti ma anche catene e gruppi d’acquisto. Il panel GfK al tempo stesso è attivo sulla distribuzione “generalista” e veicola informazioni sul mondo degli ipermercati, supermercati e, non per ultimo, il canale online generalista, oggi in forte espansione.

 

 

La customer experience di Adams Fairacre Farms

“Le radici della piccola catena americana Adams Fairacre Farms affondano nei primi anni del ‘900. Accadde, infatti, che, nel 1919, a Poughkeepsie (NY), una piccola, anonima cittadina dello stato di New York affacciata sul grande fiume Hudson, Ralph A. Adams acquistasse 50 acri di terreno agricolo da coltivare a frutta e ortaggi”.

Si apre con queste parole l’articolo che Daniele Tirelli, presidente di Popai dedica sull’ultimo numero di inStore a questa piccola catena  della provincia americana che conta quattro supermercati da 7 mila metri quadrati dove quotidianamente si materializza una customer experience reale ed effettiva fatta di tanti piccoli dettagli e di attenzioni al cliente, fatta di servizi personalizzati e forti legami con il territorio e la comunità locale.

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«Oggi, – prosegue Tirelli – Adams Fairacre Farms è un’azienda com- merciale che occupa 1200 persone, tuttora a conduzione familiare e che gestisce 4 superstore alimentari situati a Poughkeepsie, Kingston, Newburgh, Wappinger. Le aperture si susseguono lentamente dovendo autofinan- ziarsi, ma, pur se in piccolo numero, i suoi store vantano una notorietà superiore all’entità del business.

Un indubbio punto di forza risulta essere, ad esempio, il reparto botanico e vivaistico dedicato al cosiddetto Garden Design.

Del tutto ovvio notare allora che l’insegna, per queste sue origini agricole, ha praticato da sempre un vero km zero. Privilegia dunque i prodotti della zona in cui opera: sia quelli che produce essa stessa o che acquista dai farmers locali di cui documenta l’attività e le qualità”.

Potetee leggere l’articolo integrale, dal titolo Non solo shopping,  nella versione sfogliabile di inStore

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