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Agrifood, ESD Italia e Areté a supporto delle relazioni fra Gdo e industria

In un mondo dove data analytics e AI continuano a rivoluzionare il modo di lavorare delle aziende, ESD Italia ha creduto nelle potenzialità delle nuove tecnologie investendo su strumenti innovativi per la previsione dei prezzi e la gestione della volatilità. L’introduzione dei modelli previsionali sviluppati da Areté – Agrifood Intelligence, specializzata nel forecast sui mercati agroalimentari, ha consentito all’azienda di gestire le pesanti difficoltà che hanno compromesso la tenuta della filiera agrifood, mettendo a disposizione elementi oggettivi di dialogo con l’industria, potendo attutire i colpi della forte volatilità degli ultimi anni pianificando e coordinando le proprie attività con un rinnovato dinamismo e consapevolezza.

Gli ultimi cinque anni (2020-2024) hanno visto la maggior parte delle commodity agrifood interessate da record storici di volatilità, attraversando momenti di sostenuta inflazione, alternati a trend di deflazione di analoga portata che hanno riguardato la totalità dei mercati agrifood, dai cereali (mais, frumento tenero, frumento duro, riso) agli oli vegetali (oliva, girasole, palma) a zucchero e caffè, per non parlare di gas naturale ed energia elettrica, fino al packaging. Gli esempi più recenti e significativi di questa volatilità sono il cacao, il cui prezzo è triplicato solo nei primi 4 mesi del 2024, per poi dimezzarsi nel giro di un mese fra aprile e maggio 2024, senza che per questo la volatilità venisse a mancare anche nei mesi successivi. Anche il caffè ha mostrato forti tensioni, se pensiamo che solo fra ottobre 2023 ed aprile 2024 i prezzi della varietà Arabica sono aumentati del 70%.

Non mancano casi di marcata deflazione dei prezzi, come nel caso del frumento tenero e del duro (rispettivamente alla base della produzione di pane e pasta) che dai picchi storici dell’estate 2022 hanno visto prezzi in calo del 40-45%. Oppure dell’olio di girasole che, dopo i pesanti rincari dovuti al conflitto fra Russia ed Ucraina ha visto prezzi gradualmente in calo nel corso degli ultimi due anni di circa il 65%. L’interconnessione dei mercati è sempre più forte, non solo all’interno del comparto agrifood, ma anche nel generale comparto delle commodity. Per questo motivo le metodologie previsive di Areté sono state applicate con successo anche ai prezzi di energia elettrica e gas naturale, altro caso in cui a rincari ben oltre il 300% in meno di tre mesi a metà 2022, sono seguiti due anni di progressiva deflazione, con un -90% per il gas naturale e per l’energia elettrica.

“Gli andamenti anomali dell’inflazione nel corso degli ultimi anni ci hanno spinti ad implementare in maniera rapida ed efficace nuove soluzioni per comprendere al meglio le dinamiche di mercato e farsi un’idea di cosa sarebbe successo in futuro. In modo da poter gestire in maniera efficace il dialogo con l’industria di marca e quella privata tanto nei momenti di inflazione quanto in quelli di deflazione, per continuare a garantire migliori prezzi ai consumatori finali” spiega Piergiorgio Bonini, Direttore Generale di ESD Italia.

“I modelli consentono di avere visibilità sugli andamenti dei prezzi delle commodity fino a 18 mesi in avanti – aggiunge Enrica Gentile, AD di Areté. Veniamo ormai da quasi cinque anni di mercati estremamente complessi e volatili, resi costantemente difficili anche dal succedersi di eventi “estremi” – pandemia, conflitti, meteo, blocchi logistici ed altro – che tuttavia stanno rendendo la volatilità una condizione pressoché strutturale. I sistemi previsionali hanno consentito alle nostre aziende di non farsi trovare impreparate, di anticipare gli andamenti di mercato e di ridurre drasticamente l’impatto dei picchi di prezzo, preservando marginalità ma anche agevolando il dialogo e la contrattazione con clienti e fornitori ai diversi livelli della filiera, anche a beneficio dei consumatori finali. Le previsioni coprono ormai circa 40 principali commodity, ma siamo costantemente a lavoro su nuovi mercati, anche seguendo le richieste e le priorità delle aziende con cui lavoriamo”.

Bevande a basso tasso alcolico, mercato in espansione ma serve normativa UE

Negli ultimi anni è aumentata in molti Paesi del mondo l’offerta di bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l’esperienza di consumo di birra, vino e superalcolici, per chi non può o non vuole bere la versione alcolica “classica”. Mentre il mercato delle birre analcoliche o a bassa gradazione è già piuttosto consolidato nella maggior parte degli Stati UE, quello degli altri prodotti “low/no alcohol” è solo agli inizi del suo sviluppo.

Tra i paesi UE che trainano il mercato vi sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato UE per i superalcolici e 91% del mercato UE dei vini aromatizzati “low/no”), mentre fuori dall’UE mercati vivaci sono soprattutto quello australiano e quello USA, con un valore stimato rispettivamente di circa 2 miliardi e 1 miliardo di euro ciascuno. Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni Paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi. Ciò è vero, ad esempio, in Francia – dove il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro – e nel Regno Unito, primo mercato per le alternative “low/no alcohol” ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro. Se in valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia di mercato, in genere contribuendo a meno dell’1% del rispettivo mercato di riferimento (anche qui, con l’eccezione della birra), è notevole la crescita rilevata negli ultimi anni per questa tipologia di prodotti (+18% CAGR a valore 2019-2021 per distillati e liquori “low/no”), in un quadro di generale stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche.

E in Italia?
In Italia il mercato delle alternative “low/no alcohol” sta muovendo i primi passi e pare meno sviluppato rispetto ad altri Paesi, in cui è già piuttosto comune trovare vini dealcolizzati o alternative analcoliche al gin tra gli scaffali dei supermercati. Lo studio Areté destinato alla DG Agri della Commissione UE stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande “low/no” alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. Se la cava un po’ meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente in rincorsa rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni).

I dati Euromonitor International analizzati da Areté per lo studio fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici “low/no”), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un grande potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (si pensi ad esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi) ed allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (quali la preferenza per prodotti più salutari).

Il punto di vista dei consumatori
Mentre la birra analcolica o a bassa gradazione è ormai familiare alla maggior parte dei consumatori, nei confronti delle versioni “low/no alcohol” di altri alcolici quali il vino o i distillati, lo scetticismo era prevalente fino a poco tempo fa, anche a causa della bassa qualità percepita di queste bevande. Questa iniziale diffidenza pare però aver stimolato gli investimenti da parte dei produttori verso un miglioramento della qualità organolettica tramite lo sviluppo di nuove tecniche produttive dirette ad aumentare la somiglianza di queste bevande alle controparti alcoliche. Di conseguenza, il 59% dei consumatori dell’UE dichiara attualmente un atteggiamento generalmente positivo, di curiosità, nei confronti di queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa.

Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l’aspetto più importante, nonché il principale obiettivo degli investimenti e della ricerca dei produttori. Una bassa qualità percepita e la marcata differenza di sapore rispetto alla corrispondente bevanda alcolica, sono citate come fattori atti a scoraggiare il consumo per il 25%-30% dei consumatori interpellati (in media). Gli under 35, in particolare, paiono più attenti a stili di vita sani e sono generalmente più inclini a provare prodotti nuovi (per esempio versioni “low/no” dei distillati o dei vini aromatizzati) discostandosi dalla tradizione, mentre tra i consumatori più adulti la birra analcolica/ a bassa gradazione è il prodotto che suscita maggior interesse.

La normativa
Uno degli aspetti critici, con impatti anche sugli andamenti di mercato, è la normativa. Ad oggi non esiste una definizione legale di “bevanda alcolica” nella legislazione alimentare dell’UE e il quadro normativo per i prodotti di questa categoria può variare in modo significativo da un Paese all’altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni alcohol free o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e di denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre (e commercializzare come tali) vini dealcolizzati è stata introdotta dalla più recente riforma PAC del 2021, ad oggi è vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore ma che hanno un tenore alcolico ridotto. Grande attenzione viene data nello studio proprio al tema dell’etichettatura, sul quale sarà necessario lavorare per garantire maggior chiarezza a consumatori e operatori, senza trascurare le istanze di chi vuole tutelare le produzioni tradizionali di bevande alcoliche, per le quali l’Europa è celebre in tutto il mondo.

“Guardando all’UE nel suo complesso – spiega Enrica Gentile, Project Manager per il progetto UE svolto da Areté, il mercato delle bevande “low/no alcohol” diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i Paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in grande evoluzione, ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e alcolici. In questo contesto, sono di grande importanza l’innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di consumatori e operatori”.

L’etichettatura di queste bevande pare essere lo snodo centrale della discussione, tema sul quale l’Unione Europea può avere diversi strumenti di intervento, ad esempio fornendo regole comuni per l’uso di locuzioni quali “analcolico” o “a bassa gradazione” nella comunicazione di prodotto e cercando (assieme ai diversi portatori di interessi) soluzioni efficaci per descrivere queste bevande.

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