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Sei modelli di consumo dopo la crisi nella Shopping Map di M&T

Schermata 2015-05-15 alle 12.27.14Ci sono i territoriali e gli i-family, quelli che OK il prezzo è giusto e i Nonno Italo, i Wow shop e gli Hasta il consumo siempre.

Sono i sei cluster individuati dall’edizione 2015 della Shopping Map di Marketing & Trade, che traccia i modelli di consumo degli italiani, individua le tipologie di comportamenti di acquisto, gli atteggiamenti rispetto ai brand, alle promozioni, a qualità e sostenibilità, alle diverse forme della comunicazione. Disegna inoltre la propensione alla multicanalità di acquisto e alle influenze dei social e del web, oltre ad associare a ciascun modello di consumo i format preferite e le insegne retail frequentate e preferite di cui definisce una precisa performance rispetto a tutti gli elementi dell’offerta.

Shopping Map è basata su oltre 1100 interviste a consumatori dentro i luoghi dello shopping realizzate in 9 città metropolitane e in provincia, dal nord alle isole.

“La premessa – Afferma Daniela Ostidich, presidente di Marketing & Trade (scrivi una mail) – è che in questo inizio del 2015 il Il consumo in Italia riprende, ma su terreni del tutto inesplorati, creativi, sorprendenti e in qualche modo persino votati all’ottimismo e alla solidarietà che – prima che per i produttori – si deve esprimere tra i consumatori. C’è tuttavia una fascia di Italiani che ancora appare fuori da questo segnale di crescita: si tratta di una fascia di consumatori rimasta legata ad un consumo arcaico, frutto di una crisi del consumismo che per loro non ha avuto risposta, oppure di una vocazione al tatticismo e all’opportunismo che limita la capacità di costruire nuovi percorsi di shopping ma anche di socialità».

La Shopping Map individua alcuni temi e snodi su cui concentrarsi per leggere queste nuove direzioni di consumo.

Un tema centrale è quello della multicanalità, vista come contemporanea presenza di decisioni di acquisto -ma anche di raccolta di informazioni ‐ che maturano in modo totalmente sostituibile e complementare sul web oppure dentro il punto di vendita (oppure in aeroporto, in palestra, in metropolitana…).

Un altro tema discriminante per capire i differenti modelli di consumo degli italiani, è quello guardare alla dimensione dell’orizzonte percepito delle relazioni personali che appare sovrapporsi in modo importante con quello dell’ambito spaziale in cui gli acquisti avvengono.

L’ultimo tema riguarda l’atteggiamento verso lo shopping visto come attività di entertainment e autogratificazione oppure di mera 3 funzionalità.

Con la metabolizzazione dello shock da “crisi”, in sostanza c’è chi di shopping ha ancora fame e chi invece ne ha avuto abbastanza.

Vediamo allora come si definiscono questi modelli di consumo.

I TERRITORIALI sono gli shopper affezionati: al quartiere, alla prossimità, al prossimo come riferimento per i propri acquisti, dal consiglio del vicino di casa al consiglio del macellaio.

2014-10-10 18.26.43È un cluster formato da persone concrete, amanti dei rapporti diretti e degli acquisti su misura, che si concentrano sulla soddisfazione dei bisogni per loro primari. Senza appiattirsi, ma con poco o nessuno interesse per lo shopping frivolo, questo cluster vuole essere coccolato e viziato, ma nel punto vendita del cuore, vicino a casa. I negozi del centro storico preferiti sono quelli specializzati, sia perché è lì che si percepisce esserci la maggiore qualità, sia perché qui è ancora forte il rapporto umano con il personale.
L’insegna di riferimento è Carrefour Market

Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.
Il reparto freschi di un punto vendita Natura Sì.

I-FAMILY è il perfetto risultato dell’evoluzione della famiglia moderna: giovane, attenta, giudiziosa, al passo con i tempi e con l’evoluzione dei modi e delle modalità di consumo. L’I-Family si destreggia su tutti i format e tutti i canali, da fisico a virtuale.

Da consumatori evoluti, quando fanno shopping scelgono insegne distintive, ma il massimo peso è dato al valore e alla sostanza, sono alla loro costante ricerca di innovazione: non per snobismo, piuttosto per ottenere un’esperienza d’acquisto tanto soddisfacente quanto gratificante.
L’insegna di riferimento è Natura Sì

lidlNONNO ITALO rappresenta quella fascia di Italia che continua a invecchiare, persone sempre più costrette a barcamenarsi tra 4 salute, famiglia, spesa quotidiana e gestione della casa.

Il risultato è che aumenta il senso di disillusione e stanchezza nei confronti del consumo come attività e fare acquisti diventa sempre più una sofferenza, una perdita di tempo. Pongono massima attenzione alla semplicità dell’acquisto, evitando di essere abbagliati da mode e novità. Emarginati tanto per necessità che per scelta, acquistano solo in luoghi comodi per vicinanza e orari e preferiscono i negozi facili da girare e da leggere, assortimenti mirati.
L’insegna di riferimeto è Lidl

Schermata 2015-05-15 alle 12.07.12WOW SHOP sono gli animali da consumo, quelli per cui acquistare è uno stile di vita e un modo di presentarsi al mondo, hanno trovato altri canali su cui scatenarsi.

Alla costante ricerca di stimoli, il piacere dello shopping per loro è esaltato dall’innovazione negli spazi fisici del retail. Se lo shopping si fa nei flagship store, l’acquisto dei prodotti alimentari si fa nei negozi diretti di marca, ancora meglio se sotto forma di “eventi” come i temporary store. Internet è costantemente monitorato per poter sapere dell’ultima apertura di locali di tendenza, un’inaugurazione a cui partecipare e magari finire in qualche foto Se potessero mettere tenda da Eataly, l’avrebbero già fatto, magari vicino al carico/scarico per controllare gli arrivi delle novità.
La loro insegna di riferimento è Designer Outlet

Schermata 2015-05-15 alle 12.10.53HASTA IL CONSUMO SIEMPRE è il cluster di shopper che, nel polverone della crisi, sembra non essersi nemmeno scompigliato i capelli: sono i consumatori che amano fare shopping, possono e vogliono farlo e come dargli torto?

Questo cluster infatti tende a frequentare tutti i canali e format della grande distribuzione, reali o virtuali: dal centro commerciale al negozietto vintage, dal negozio sotto casa all’outlet online, senza nemmeno farsi grandi pensieri sullo spendere/sperperare un po’ (anche grazie alla buona disponibilità economica). Aleggiano in una società post-postmoderna, eppure non si sono mai discostati dal passato: si riconoscono dallo sguardo poco attento a volantini e tv ma non sono rimasti indifferenti all’evoluzione dei canali, strada alternativa e pur sempre intrigante per comprare, comprare, consumare.
L’insegna di riferimento è Coin

OVSOK IL PREZZO È GIUSTO minuziosi e pragmaticamente infedeli, perspicaci fautori della spesa economa e misurata, attenti cacciatori del mercato e perseveranti ricercatori di convenienza, sono gli evergreen del mercato, la cui abilità a far la spesa (e farla bene) è il motivo di maggiore orgoglio sulla piazza degli shopper italiani e parte della routine sociale di questo cluster, un aspetto importante per dare senso alla propria giornata.

Il discount, a cui ci si è avvicinati in passato come reazione al periodo di ristrettezze economiche, rimane un buon punto di riferimento, così come il resto della Gdo. I rimanenti canali e formati sono praticamente ignorati, dalla ristorazione commerciale all’entertainment, tranne quelli che permetteno loro di sfoggiare la propria abilità di cherry pickers.
La loro insegna de cuore è OVS

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Debutta a Negrone di Scanzorosciate (BG) il 111° supermercato U2

u2Un nuovo store U2 aperto 7 giorni su 7 con orario continuato dal lunedì a sabato e dalle 08.00 alle 12.30 la domenica e con la formula EDLP (Every Day Low Price) e dall’impegno nella tutela dell’ambiente apre oggi a Negrone di Scanzorosciate, in provincia di Bergamo, in Via Monte Negrone, 4, il 111° dell’insegna del Gruppo Finiper e il 65° in Lombardia. Il nuovo store, aperto con la formula franchising, si sviluppa su 550 mq di vendita, ha tre casse, 12 addetti e un parcheggio con 50 posti auto.

Prezzi ribassati, prodotti selezionati, personale competente e disponibile permetteranno una spesa facile, veloce, consapevole, conveniente e volta alla massima soddisfazione del cliente che potrà scegliere tra 700 referenze fra le quali 300 di gastronomia e panetteria, insieme a un ampio assortimento di frutta e verdura, carne, surgelati, latticini, scatolame e prodotti non food. Per un totale di 650 referenze freschissime e di 6000 referenze a scaffale.

Royal Ahold e Delhaize, prove di fusione verso una supercatena internazionale

Foto: Delhaize.

Due grandi gruppi della GDO, europei ma con forti interessi nel mercato USA (dove realizzano il 60% delle vendite), l’olandese Royal Ahold (cui fanno riferimento i marchi Albert Heijin, Gall&Gall e Etos) e il belga Delhaize (3.410 pdv in sette Paesi in tre continenti), hanno confermato l’avvio di trattative per una possibile fusione, che darebbe vita alla quinta insegna della grande distribuzione in USA con vendite da 54 miliardi di Euro, e in Europa al quarto retailer per dimensioni. Secondo James Grzinic, analista di Jefferies a Londra, le probabilità che l’accordo si concluda sono 50/50, come riporta il European Supermarket Magazine.

La fusione potrebbe portare, secondo gli analisti, a sinergie fra i 400 e i 600 milioni di dollari nel mercato americano e a una maggiore capacità di fare fronte agli agguerriti competitor. Lunedì alla prima notizia delle trattative le azioni di Ahold erano salite del 5,5% per un valore di mercato di 16,3 miliardi di Euro mentre quelle di Delhaize hanno guadagnato il 15% per un valore complessivo di 8,6 miliardi di Euro.

Sconti e ricettario da Simply per la settimana della celiachia

Prodotti senza glutine a prezzi scontati, una linea dedicata certificata gluten free e un ricettario esclusivo di dolci senza glutine validato da AIC, l’Associazione Italiana Celiachia: sono le iniziative intraprese da Simply, catena del Groupe Auchan, dal 14 maggio in occasione della “Settimana della Celiachia”, la campagna di sensibilizzazione promossa dall’Associazione che prevede attività, eventi e manifestazioni per far conoscere alla popolazione la malattia.
I prodotti gluten free sono sempre più richiesti in quanto sono l’unica alternativa per stare bene a chi soffre di celiachia, ma vengono anche scelti da chi, per motivi dietetici o presunte intolleranze, ha deciso di non consumare più glutine. La celiachia è tra l’altro una malattia sottostimata e in aumento, che colpisce nel mondo una persona su 100: in Italia ne sono stati diagnosticati ad oggi quasi 165.000 casi e ogni anno vengono effettuate 10.000 nuove diagnosi, con un incremento annuo di circa il 10%.

Per supportare la “Settimana della Celiachia”, Simply ha inserito nelle promozioni Simply e PuntoSimply dal 14 al 27 maggio e IperSimply dal 14 al 24 maggio uno “Speciale Senza Glutine” che, oltre ad informare i clienti sulla campagna AIC, offre ai celiaci tanti prodotti senza glutine a prezzi scontati fino al 50%, evidenziati a scaffale dall’apposito segnalatore del percorso “Senza glutine”.

copertina ricettarioPer aiutare i clienti celiaci a seguire la dieta senza glutine e dimostrare che essere celiaci non significa rinunciare al gusto, Simply ha anche pubblicato un libro esclusivo con oltre 50 ricette di dolci senza glutine validate dall’Associazione Italiana Celiachia, in vendita nei supermercati Simply, IperSimply e PuntoSimply a soli 2,99 euro.
Nato da un’esigenza personale e dalla passione per la cucina, il ricettario “Pasticceria senza glutine” è stato ideato e scritto da Cristina Chiodi, collaboratrice da oltre 24 anni dei supermercati bresciani di Gavardo e Salò. Cristina Chiodi è partita dalla rielaborazione delle ricette di pasticceria classica, escludendo i preparati in commercio e sperimentando l’utilizzo di farine da cereali naturalmente senza glutine, come quella di riso o di mandorle e l’amido di mais, mescolandole tra loro in modo differente per ogni preparazione.

Una linea Pl dedicata e certificata

Lo “Speciale Senza Glutine” sarà anche l’occasione per presentare ai clienti la nuova linea di prodotti a marchio “Senza Glutine Simply”, creata appositamente per chi è intollerante al glutine, ma non vuole rinunciare al piacere dei cereali. La linea, che ha ottenuto la Spiga Barrata da AIC, comprende pasta, biscotti, torte, merendine, grissini e preparato per pane. Grazie all’adesione di Simply al “Progetto Nuova Celiachia” di Regione Lombardia, nei punti vendita lombardi i celiaci potranno acquistare gli alimenti senza glutine contrassegnati dal logo del Ministero, con il budget mensile assegnato dal SSN e caricato sulla Carta Regionale dei Servizi. I prodotti acquistabili con CRS sono evidenziati a scaffale con un apposito segnalatore. Al momento del pagamento il cliente deve solo consegnare la CRS e inserire il PIN inviato a domicilio dalla propria ASL. Il sistema informatico controlla la disponibilità del budget e decurta quanto speso. L’importo residuo rimarrà a disposizione del cliente e potrà essere speso successivamente. Sullo scontrino vengono riportati i prodotti per celiaci acquistati, l’importo speso ed il budget residuo.

L’adesione alla “Settimana della Celiachia” sarà supportata da una campagna di comunicazione interna ed esterna, veicolata sui volantini, nei punti vendita attraverso locandina, spot, animazioni con cartellonistica, spazi dedicati e aggregati, sul sito e sui canali social ViviSimply.

I consumatori e la carne in un’indagine Swg a Eurocarne

Di fronte a un consumatore che alza il livello delle richieste di garanzia, sicurezza, informazione e rassicurazione, il settore delle carni, e in particolare quello della do, deve ripensare agli strumenti dell’offerta se vuole mantenere i livelli di consumo che, oggi, sono in diminuzione per quanto riguarda la carne bovina e domani potrebbero toccare anche quella suina.

Secondo l’indagine presentata da Swg (“la prima indagine completa negli ultimi tre anni con l’obiettivo di sostenere i  consumi di carne”, ha affermato il presidente di Verona Fiere Ettore Riello) rispetto a frutta e verdura, le cui intenzioni di consumi nei prossimi 5 anni indicano un aumento medio mensile, per la carne il futuro è ambivalente. Rimarrà sostanzialmente stabile il consumo di carne avicunicola (da 7,54 a 7,61 atti di consumo dichiarati al mese), mentre potrebbe subire una flessione la carne suina (da 4,95 a 4,63) e quella bovina (da 6,47 a 5,74).

In termini generali, parlando comunque di intenzione al consumo, salgono i legumi, la frutta e la verdura e scendono i carboidrati. La propensione al consumo di carne cambia, con un saldo comunque positivo (+26,8%) per quella avicunicola e negativa per bovino (-13,6%) e suino (-24,7%).

Carne, perché si? Chi manifesta una propensione al consumo di carne lo fa per differenti ragioni legate alla sfera salutistico-funzionale ed edonistica, considerando tale categoria un alimento essenziale per una dieta equilibrata. In particolare, nel caso dell’avicunicolo per il profilo dietetico della carne (53,8%) associato al «piacere di gusto» (40,2%), mentre per la carne bovina le motivazioni trainanti attengono al peculiare apporto proteico (40,2%) e nutrizionale (56,4%); nel suino la propensione al consumo è sostenuta dalla bontà gustativa (53,8%), che fa il paio con la valenza nutrizionale (32,7%).

Anche chi ha manifestato una propensione al consumo, però, evidenzia dei freni di natura essenzialmente economica, a partire dal prezzo elevato (che raggiunge addirittura il 61,5% per il bovino) o dall’assenza di promozioni accattivanti (23,1% sia per la carne bovina che per quella suina, 20,1% per l’avicunicolo). Altro aspetto rilevante attiene all’area dell’“insoddisfazione” nella fase del consumo data dalla scarsa resa in cottura (il 28,5% nel caso dell’avicunicolo), in contrasto con le aspettative di base.

Carne, perché no? Si ispirano a motivazioni di natura salutistica o dietetica quanti invece hanno manifestato in partenza avversione al consumo di carne, dichiarando la volontà di ridurne il quantitativo. Lo afferma il 64% degli intervistati, con riferimento alla tipologia di carne suina, seguita dal 61,5% del bovino e dal 46,3% dell’avicunicolo. Pesano anche i dubbi sulla salubrità del prodotto, che toccano il 53,7% per la carne avicunicola (43,7% per quella bovina, 32,3% quella suina).

I canali d’acquisto. Per quanto concerne i canali d’acquisto, prevale la grande distribuzione (supermercato o ipermercato), seguita dalla macelleria. Le percentuali, però, cambiano a seconda della tipologia di carne scelta. Se il 73,7% degli intervistati si affida alla gdo quando deve comprare carne bianca, tale percentuale scende al 68,6% per gli acquisti di carne bovina (dove in parallelo sale il gradimento del negozio tradizionale al 46 per cento) e al 69,9% per la carne suina.

Differenziata è l’aspettativa sulla qualità del prodotto, in base al luogo di acquisto: nella macelleria, per tutte le tipologie di prodotto, la bontà attesa, ma anche quella percepita, è più elevata rispetto alla gdo o al discount.

Pregi e difetti della Gdo. Fra i pregi del supermercato, i responsabili degli acquisti intervistati hanno indicato i fattori prezzo (inferiore rispetto alla macelleria, presenza di offerte e promozioni), assortimento (maggiore scelta, ampio smercio/freschezza, praticità delle confezioni, visibilità del prodotto), garanzia (sensazione di maggior controllo sull’origine) e servizio (non si fa la fila/estensione oraria), mentre fra le criticità i consumatori hanno menzionato la qualità (diffusa insoddisfazione per la qualità della carne di manzo nella gdo) e il servizio (manca qualcuno a cui chiedere delucidazioni/consigli sulla carne).

Imparare dalle macellerie? Scenario differente per la macelleria tradizionale. I punti di forza individuati dagli intervistati sono risultati essere assortimento (qualità migliore e carne più selezionata, ma anche assenza di carne extra-europea) e servizio (consigli sul taglio di carne e modalità di cottura, servizio dedicato, possibilità di prenotare tagli o carni speciali, rapporto di fiducia, maggiore riguardo se frequentato con assiduità); al contrario i fattori di insoddisfazione sono stati individuati negli elementi prezzo (più alti, nessuna promozione), garanzia (tracciabilità meno visibile) e altri elementi di servizio (minor controllo sulle quantità, si perde tempo in fila, se il rapporto non è costante il trattamento può essere scadente, imbarazzo a rifiutare una carne che non convince).

Le informazioni tra etichette e internet. Tra le informazioni in etichetta nella gdo, il consumatore si mostra interessato a specifici contenuti sul tipo di allevamento, sull’alimentazione e l’età dell’animale alla macellazione. Elementi giudicati di rassicurazione rispetto alla carne e distintivi della reale qualità del prodotto acquistato. Allo stesso tempo, anche la tipologia del taglio carneo; la fascia di prezzo e la provenienza, magari con indicazioni sul luogo di allevamento, le certificazioni di prodotto, il prezzo per porzione.

La preparazione delle carni è un elemento sul quale riflettere, perché accanto ai «consigli della mamma», ai quali ricorrono il 43,4% degli intervistati in caso di dubbio sulle modalità di gestione e cottura, avanza la ricerca autonoma di informazioni su internet (28,7%), soluzione che scavalca addirittura l’aiuto del macellaio (27,3 %).

Riflessioni sul packaging. Quanto alla confezione, chi acquista carne compra preferibilmente nel vassoio tradizionale o termosaldato (se nella gdo) o il prodotto sfuso (se si rivolge al macellaio); in particolare il vassoio termosaldato viene percepito come il più sicuro in termini di igiene alimentare. Lo skin pack, invece, è più utilizzato all’estero rispetto all’Italia.
Del resto considerando la gestione delle carni dopo l’acquisto si dovrebbe pensare a diverse opzioni di confezionamento. Per avicunicolo e suino, le carni vengono spesso acquistate in quantitativi superiori alle necessità quotidiane, per cogliere le opportunità promozionali che quasi tutti gli intervistati ammettono di cercare. Al contrario, la carne di manzo viene acquistata e consumata direttamente.

Due comportamenti che richiederebbero soluzioni diverse anche in termini di confezionamento: un packaging di grande formato pre-porzionato per suino e avicunicolo, una logica di skin pack pre-porzionato per la gestione degli acquisti di carne bovina.

Nielsen: cambia il consumatore, avanzano i punti vendita più piccoli

Il “salto di canale” è una pratica ormai consolidata nel nuovo consumatore multicanale, che tranquillamente passa dal discount al super, al farmer’s market allo store online per i suoi acquisti, ma con quali logiche? Ad indagare i meandri della mente di questa nuova specie antropologica c’è l’ultima indagine di Nielsen su retail ed e-commerce “The Future of Grocery”, effettuata su 30mila consumatori in 60 Paesi. La quale rivela anche come, se i grandi formati restano per ora dominanti, le piccole superfici (e non è una sorpresa: lo vediamo anche con i nostri supermercati di prossimità) sono le più dinamiche.

A valore, super e ipermercati coprono il 51% delle vendite mondiali, La ricerca evidenzia le differenze regionali, ma i formati più piccoli, piccoli supermercati e negozi tradizionali, sono cresciuti di più negli ultimi 12 mesi (dal 4 al 6% contro il 2% dei formati più grandi). “In tutto il mondo stiamo assistendo alla crescita del retail di prossimità – ha detto Patrick Dodd, president, global retailer vertical, Nielsen – Agli occhi del consumatore globale al momento piccolo è bello”. Evidente è l’influenza dell’e-commerce sul concetto di prossimità e comodità, sta di fatto che i formati più piccoli stanno crescendo in tutti i mercati, evoluti o in via di sviluppo, e sono utilizzati principalmente per piccoli acquisti urgenti o prodotti particolari.

È dunque interessante considerare come la categoria di prodotti influenzi di fatto la scelta del canale per gli acquisti “fisici”. Nei mercati maturi se le vendite sono concentrate nei grandi formati per il 61% nell’igiene personale, 62% di alimentari e bevande e 79% dei prodotti per la casa, i minimarket hanno quote di mercato interessanti intorno al 20%. In tutte e tre le categorie la crescita maggiore si è registrata nei piccoli formati, con una tendenza alla frammentazione. Nel settore alimentare sono proprio i negozi tradizionali e i chioschi a venire incontro alle esigenze di velocità e comodità.

Il prezzo prima di tutto, ma anche la qualità del prodotto influenzano il “salto di canale”.

“I grandi supermercati e gli ipermercati sono attori importanti nel paesaggio mondiale del retail, e continueranno a esserlo in futuro – ha detto Dodd -. Ma i formati più piccoli hanno una quota importante in certe categorie e stanno crescendo in altre. Gli sforzi della distribuzione dovrebbero concentrarsi su un mix di entrambi, capire dove fa acquisti il consumatore e per quali categorie, fornisce la visione necessaria per sviluppare strategie distributive più precise per ogni mercato”.

MD Discount inaugura un polo logistico nazionale non food. Presto l’e-commerce

Gricignano d’Aversa, provincia di Caserta: qui il Gruppo Lillo (MD Discount-Ld Market) ha inaugurato l’8 maggio, a soli sei mesi dall’avvio dei lavori, un nuovo polo logistico nazionale per il non food: oltre 6 mila metri quadrati di superficie per 4,5 milioni di investimento. Il magazzino può accogliere 1000 container all’anno per 20 mila tonnellate di prodotti, dispone di 7 mila posti pallet e 8 porte di carico che possono lavorare contemporaneamente e, quel che conta, aumenterà la capacità distributiva del gruppo di oltre il 40%. Inoltre un sistema di illuminazione a Led che si attivano solo al passaggio degli addetti e un impianto di climatizzazione di ultima generazione garantiscono l’efficienza energetica e la riduzione dei consumi.

Patrizio Podini, patron e fondatore di Lillo Spa, secondo player italiano del discount con le insegne MD Discount e LD Market
Patrizio Podini, patron e fondatore di Lillo Spa, secondo player italiano del discount con le insegne MD Discount e LD Market

L’inaugurazione, festeggiata con i dipendenti e i fornitori di MD-LD, fondata nel 1994 da Patrizio Podini, bolzanino con l’idea di sviluppare il canale discount nel Sud, negli anni in cui il fenomeno esplodeva in Italia, riveste una serie di valenze che vale la pena raccontare.

La location. La nuova ala non food completa il polo distributivo del gruppo che si estende su una superficie di 62 mila metri quadrati e si trova nella Zona ASI di Gricignano, salito alle cronache in queste settimane perché qui si trova anche l’impianto Indesit che i neo proprietari di Whirlpool intendono chiudere, con ricadute pesanti sull’occupazione del territorio. Il contrasto con un’azienda distributiva che invece investe per crescere è clamoroso. E se ne sono accorti anche i rappresentanti delle istituzioni presenti all’inaugurazione. tanto che è stata annunciata (ma siamo in campagna elettorale) l’ipotesi di creare una zona franca industriale nell’area con detrazione per tre anni per le aziende che assumono.

Sulla motivazione di creare un polo logistico nazionale concentrato, Podini, che sull’efficienza logistica ha costruito il successo del gruppo, ha le idee molto chiare: «Importiamo dalla Cina prodotti che generano l’80% del fatturato non food. Avevamo quindi bisogno di essere vicini a un porto. L’area di Gricignano è poi più adeguata per servire la Sicilia e la Sardegna più di quanto fosse Genova. D’altro canto i nostri camion non fanno mai un viaggio a vuoto e questo ci consente un risparmio di qualche milione all’anno».

La strategia. Patrizio Podini l’ha ripetuto più volte. «Il non food è strategico per il nostro gruppo. Completa l’assortimento non alimentare ed essendo continuativo serve a portare clienti nei nostri punti vendita». Il polo di Gricignano ha infatti una valenza nazionale. Da qui verranno serviti gli altri cinque depositi del gruppo (Trezzo, Mantova, Macomer, Bitonto ed Enna) e i punti vendita di riferimento.

Per inciso, a Macomer in Sardegna, è prevista la trasformazione del deposito di 45 mila metri quadrati in un nuovo polo da 210 mila metri quadrati nei prossimi due anni.

Ma il non food è talmente strategico per il gruppo Lillo che 1.000 metri quadrati dei 6.000 complessivi sono destinati alla nuova attività di e-commerce, che sarà online da giugno. Una sfida impegnativa non solo per il  fatto che si tratta del primo discounter italiano ad entrare nell’e-commerce. Ma anche perché è immediato il confronto con Amazon ed eBay, due competitori non da poco. «Nell’online ci crediamo ed è necessario fare esperienza in questo canale», sottolinea Podini, che però esclude il ricorso al click & collect ritenendolo troppo oneroso dal punto di vista organizzativo.

L’assortimento prevede non solo i prodotti a marchio MD come MxD e Axil nelle lampadine a basso consumo (Led) «acquistate in Italia, perché più performanti», ma anche alcuni prodotti di marca soprattutto nell’elettronica.

Lo sviluppo. Ma l’orizzonte strategico nell’online non fa perdere di vista i canali fisici. Con 2 miliardi di euro di vendite, 5.000 dipendenti e 720 punti vendita il Gruppo Lillo ha una quota del 15% nel comparto del discount ed è il secondo player italiano. Ma la marcia non si arresta. «Due mesi fa è partita una nuova società MD Immobiliare – spiega Podini – con il progetto di aprire 60 nuovi punti vendita in cinque anni grazie a un investimento di 250 milioni di euro e di realizzare un nuovo format da 1.200-1.500 metri quadrati con 200-250 posti auto e la previsione di assumere 1250 persone». Intanto sta partendo il piano rinnovo dei punti vendita e di sostituzione dell’illuminazione con nuove lampadine Led che in cinque anni cambierà il volto a tutta la rete MD Discount, destinata a diventare l’unica insegna del Gruppo.

Ma non è tutto, perché, non dichiarate, ci sono ancora altre novità che traghetteranno MD in un ampliamento dell’offerta a settori che solo qualche anno fa il discount non considerava nemmeno.

Allora, abbiamo chiesto, ha senso ancora parlare di discount? Patrizio Podini non ci pensa nemmeno un secondo: «Oggi il discount costituisce ancora un valore perché spiega ai consumatori che cosa facciamo e qual è la nostra promessa».

Gruppi della Gdo: 2007-2015, vincitori e vinti

Foto: Fabrizio Gomarasca

Nel convegno a Tuttofood dell’IRI è stata presentata una tabella che ha sollevato qualche puntualizzazione: è quella che riguarda la variazione delle quote di mercato dei gruppi della distribuzione tra il gennaio del 2013 e il 2015. L’obiezione, sollevata da Mario Gasbarrino, ad di Unes era motivata dal fatto che in una condizione di mercato come quella vissuta in questi anni, vi è la necessità di un’analisi più micro, vale a die che occorre poter ragionare per insegna più che per gruppi. È vero, le medie generali da sole non consentono più di leggere adeguatamente la realtà. Ed è ancora più vero nel caso della distribuzione, dove i livelli di analisi cambiano a seconda della prospettiva.

Quello che vogliamo proporre come contributo è proprio una diversa prospettiva temporale. Abbiamo recuperato i dati relativi alle quote di mercato dei gruppi della distribuzione a giugno 2007 (Fonte Top Trade Iri, pubblicati su Beveraggi & Grocery dicembre 2012) e li abbiamo confrontati con quelli al gennaio 2013 e al gennaio 2015, sempre di fonte Iri Top Trade. Esclusi i discount. Ma forse bisognerà cominciare a inserirli in queste classifiche.

Quasi otto anni che vanno dal periodo pre-crisi a oggi ci consentono di osservare come i diversi gruppi siano usciti da questa turbolenza, ammesso che sia terminata e non ci attendano, come prevedibile, altri scossoni. La tabella mostra infatti come sono cambiate le quote di mercato dei diversi gruppi e si notano subito alcune evidenze.

Grafico quota gruppi
Fonte: Iri Top Trade

Vi è un gruppo di aziende che ha affrontato senza apparenti scossoni la tempesta della crisi (Conad, Esselunga, Selex, Sigma, Sun, Crai, Agorà) essenzialmente per lo sviluppo degli ultimi anni grazie ad acquisizioni e a nuove aperture, ma anche, nel caso della Gdo per lo storico spostamento di imprese da un gruppo all’altro.

Vi sono poi gruppi che nel lungo periodo hanno perso, ma sono in recupero tra il 2013 e il 2015. Tra questi Coop e Végé (prima Interdis). Al contrario Auchan aveva guadagnato tra il 2017 e il 2013 ma ha perso nel secondo periodo considerato e gli episodi sindacali di queste settimane sono lì a dimostrarlo.

Decrescita per tutti gli altri, in qualche caso di pochi decimali, in altri più consistente.

Nel periodo più lungo, dunque le cose risultano un po’ diverse e proviamo a cogliere a cogliere qualche sintesi.

La prima è che la maggior parte dei gruppi della distribuzione organizzata tengono, hanno una reattività al mercato che è mancata ai big esteri. L’uscita dall’Italia di Rewe e le difficoltà di Auchan e di Carrefour ne sono la prova. Anche i gruppi espressone di imprenditori molto concentrati sul territorio hanno manifestato un andamento positivo. Altro discorso riguarda invece la tenuta nel tempo delle piccole imprese della DO, ma questo non è oggetto di questa analisi.

La seconda, ma si sapeva, è che i gruppi più sbilanciati sul formato ipermercato hanno registrato una flessione.

Quanto ai quattro gruppi di testa le dinamiche sono diverse. Coop sembra in ripresa dopo aver registrato una flessione tra il 2007 e il 2013, mentre la politica espansiva di Conad, gli investimenti di Esselunga e il consolidamento di Selex sono alla base della tendenza positiva in tutti gli anni considerati. Ovviamente in questi sette anni è cambiato il contesto nel quale opera la do da una fase di crescita dei consumi si è passati una fase di caduta, di cambiamento delle dinamiche interne dei consumi, ciò che ha messo alla prova i modelli operativi dei gruppi distributivi, dei formati e delle insegne.

Questo scenario è però destinato a cambiare ancora sia per i cambiamenti intervenuti negli ultimi mesi (Conad e Carrefour che si sono spartiti Billa-Rewe e l’ingresso de Il Gigante in Selex per citarne due) sia perché le vendite e i consumi non si sono ancora stabilizzati, ma procedono un po’ a dente di sega e, da ultimo, le condizioni generali che , con l’ipotesi di un aumento dell’Iva ancora pendente, non fanno dormire sonni tranquilli agli imprenditori e ai manager della distribuzione.

U2 Unes Milano Premuda tra sostenibilità, convenienza e foodie

Cambio di format per l'Unes U! di viale Premuda a Milano che riapre come U2.

All’inizio, alla fine e in alcuni cambi di assortimento che puntano verso l’alto di gamma: queste le novità del punto vendita Unes di viale Premuda a Milano, 900 mq, riaperto dopo una breve ristrutturazione con il format U2.

Tutto per “coccolare” quell’utenza, di fascia medio-alta, che viene spesso a fare la spesa “anche non piccola” e si aspetta delle novità. “Prima di tutto abbiamo ampliato l’area dei freschi, che accoglie il cliente all’entrata – spiega il direttore comunicazione e marketing Paolo Paronzini – con la volontà di ricreare quell’atmosfera “da mercato” di una volta, con una parte a servizio. Alla fine abbiamo sostituito i tradizionali avancasse, regno da sempre di alcune multinazionali italiane , con snack a base di frutta. Un passo intrapreso da alcune catene inglesi (ne avevamo parlato) ma che in Italia non ha ancora fatto nessuno. Del resto sono proprio i clienti che richiedono un’attenzione maggior al salutismo”.
I capisaldi del format sono due: l’attenzione all’ambiente e allo spreco, sottolineato da varie azioni come i frigo chiusi e gli scontrini stampati sui due lati, e evidenziata da vari cartelli che spiegano al cliente la filosofia del non spreco, ma anche dell’Everyday Low Price: niente promo, niente volantini, prezzi bassi tutti i giorni. Anche grazie alle due private label “Una U!, che garantisce prezzi più bassi fino al 50% rispetto alla marca, e Viaggiatore Goloso contraddistinta da un prezzo in linea o poco più basso rispetto alla marca, ma da prodotti di qualità, italiani, selezionati” spiega Maurizio Garbin, responsabile marca privata U2. “La quota delle vendite delle due pl è dl 39% a valore, e della metà a pezzo”
Le casse sono tutte assistite “non amiamo il self scanning perché nel punto vendita privilegiamo il rapporto umano con il personale, che da una ricerca è ciò che piace ai nostri clienti”.
Il wi-fi gratuito previa registrazione per due ore, presente ormai in 97 pdv della catena, prelude all’ingresso nel mondo delle App, previsto il prossimo ottobre. “Entreremo nel mondo del click and collect, dando la possibilità di fare la spesa grocery da casa, e lasciando i freschi per il pdv, perché riteniamo che la spesa dei freschi sia un piacere per il cliente che si fa guidare dall’assortimento, mentre il grocery è un po’ una routine”. Per ora ci sono gli armadietti-cassaforte con ricarica per gli smartphone: un servizio senz’altro utile e apprezzato dai clienti, che però non si sentiranno “nudi” a fare la spesa senza telefonino?

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Quale onda della ripresa cavalcherà il retail? Il convegno Iri a Tuttofood

Cavalcare l’onda della ripresa. Si, ma come? È stato questo il tema dell’incontro organizzato da Iri nell’ultima giornata di Tuttofood. E in effetti di fronte alla crescita delle vendite in valore del 3,7% e in volume del 3,2% a marzo, il retail alimentare italiana non può pensare di essere uscito dalle secche, anche se una boccata d’ossigeno è innegabile, dopo quattro anni di apnea, durante i quali ne sono successe di ogni, con cessioni, uscite dal mercato, nuove alleanze, fino ad arrivare all’unione delle tre Coop emiliane.

La realtà è che questi quattro anni consegnano a Idm e Gdo un’eredità che è fatta di non certezze e di una buona dose di confusione. Lo dimostra il fatto che il brand, la grande marca non è più intoccabile: dal 2011 le top 25 aziende alimentari che valgono più di un terzo delle vendite hanno perso circa 800 milioni, quanto cioè hanno guadagnato le Pmi, le quali, però, non solo hanno registrato aumenti delle promozioni, ma non hanno intaccato le vendite regolari (Iri).

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E i casi di eccellenza nelle Pmi non sono forse il risultato del grande lavoro fatto insieme alla distribuzione, che nello stesso quadriennio ha aumentato le vendite dei prodotti Mdd di oltre 500 milioni? Ma anche qui qualcosa sta cominciando a incrinarsi, anche se la realtà non è univoca e le medie danno sempre un quadro non veritiero della realtà. Ancora confusione, quindi.

Perché confusione? Perché nonostante se ne parli da sempre, le promozioni continuano ad aumentare e nonostante si parli da tempo di razionalizzazione degli assortimenti, Iri certifica che questi sono cresciuti, che l’industria sta rispondendo alla crisi con nuovi lanci (e Tuttofood ne è stato un esempio concreto). Perché? Perché di fronte a categorie che crescono e che vanno meglio di altre si verifica un repentino affollamento, con il rischio – abbastanza probabile – che tra non molto avremo per esempio una mezza dozzina di yogurt greci sugli scaffali che faranno fatica a mantenere tassi di crescita come quelli  registrati nell’ultimo quadriennio (+264% a valore) o nell’ultimo anno (+79%). Ma di quanto potrà crescere l’attuale valore di 97 milioni di euro? Come spiegare questo ipertrofismo assortimentale?

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 Per l’amministratore delegato di Unes Mario Gasbarrino, la risposta è nel fatto che volendo intercettare quelle aree di nuovi consumi che sono i più dinamici, dal senza glutine al vegano, al salutistico, all’etnico, ai food lovers, si inseriscono prodotti nuovi senza però volere-potere abbandonare il core business. «Però – segnala Gasbarrino – la numerosità delle referenze in sé non dice niente, non dà ragione delle cose, perché dietro questo movimento bisogna leggere il tentativo dei distributori di scegliere come vogliono collocarsi sulla scacchiera. Tutto ciò avviene lentamente, perché non si ha il coraggio di prendere una strada e quindi si aumentano le referenze per intercettare un certo tipo di domanda, senza voler perdere il resto. Ma non potrà durare all’infinito».

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Da sinistra, Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia; 
Mario Gasbarrino, Amministratore Delegato Unes; Ivo Ferrario, giornalista; 
Roberto Gheritti, direttore commerciale Italia Alimentari; 
Giorgio Santambrogio, amministratore delegato Gruppo VéGé

In questo contesto va anche letto il fato che se vi sonno categorie che crescono e insegne che vanno bene è perché sono state fatte scelte precise.

Eppure, di fronte allo stato delle cose, qualcuno torna a percorrere la strada del prodotto a marchio del distributore di fantasia, «non troppo impegnativo», come ha riferito Roberto Gheritti, direttore commerciale di Italia Alimentari.

Scelta meditata o ulteriore conferma di questa mancanza di coraggio a volere “decidere che cosa voler fare da grandi”?

E ancora (sempre Gasbarrino) sono pronti i 9000 supermercati italiani a contrastare gli attacchi portati non solo dagli specializzati (cura persona e cura casa, petfood e i vari non food) ma anche da quella nuova generazione di category killer che sono i negozi di prodotti biologici, i diversi formati distributivi di prossimità che stano nascendo un po’ dovunque, fino ai monomarca tipo Nespresso? «Non dimentichiamo che il 30% dei supermercati ha una redditività inferiore ai 3.000 euro al metro quadrato e che in Italia abbiamo più di 2000 supermercati che sarebbero da chiudere. La verità è che stiamo vivendo una crisi di formati distributivi. Per questo la diversità è un grande vantaggio».

E il vantaggio è nel consumatore che cerca qualcosa di diverso, che non si accontenta più di avere lo stesso tipo di proposta commerciale. Un concetto fatto proprio da Gheritti quando esorta da  un lato a guardare con attenzione ai trend di consumo ma anche a ricordare che la ancora eccessiva frammentazione distributiva frena i processi di innovazione, e differenziazione primo tra tutti quello dei prodotti a Mdd.

Del resto però Giorgio Santambrogio, amministratore delegato di Gruppo VéGé sottolinea che in generale non ha senso avere come obiettivo un numero smisurato di prodotti Mdd. «Il ruolo del punto vendita è fare Ebit e non lo fa certo ampliando indefinitamente la marca del distributore. Lo deve però fare in quelle categorie dove è strumentale all’aumento della redditività. Per le altre l’industria assolve egregiamente al compito. Piuttosto, si guardi al consumatore, o meglio ai milioni di consumatori diversi: oggi la tecnologia ce lo consente e dobbiamo incamminarci lungo quella strada», ha detto Santambrogio. Secondo il quale sulla base di questo ragionamento occorrerebbe abolire il listing fee così come è sempre stato, ma cominciare a pensare di correlarlo alle performance a scaffale del prodotto su una base variabile. «Purché sia in percentuale», ha risposto Gilberto Cappellin, Ceo Emmi Holding Italia. «E che lasci prevalere il buonsenso, perché interesse comune è inserire un prodotto che si venda», gli fa eco Gheritti.

Una provocazione o il cambiamento delle relazioni tra industria e distribuzione passerà anche da qui? Vero è che probabilmente il vero fattore di cambiamento sarà abbandonare i riti e le modalità di confronto del passato e rifocalizzarsi sul consumatore (sull’individuo, meglio ancora, come dice Santambrogio) e fare le cose utili per lui:  «Fargli risparmiare tempo, denaro o risorse per l’ambiente», spiega Gasbarrino.

Intanto però dietro l’onda da cavalcare si profilano ancora dei marosi, che hanno il nome dei dieci miliardi di euro da recuperare per le pensioni e, soprattutto, la spada di Damocle dell’aumento dell’iva. In altre parole minore potere d’acquisto e minori risorse nelle tasche degli italiani.

 

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