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Selex, per la Mdd un restyling non solo di forma, al via semi e vegetale 100%

Oltre 5mila referenze, crescita del fatturato del 22% in tre anni con 824 milioni nel 2016, con un incremento medio delle vendite superiore al 3% ma con picchi del 15% nei segmenti bio e premium, una linea base che copre il 72% delle vendite e linee specialistiche in forte aumento che oggi pesano per il 20% (l’8% è appannaggio dei marchi di fantasia): è la MDD del Gruppo Selex che ha annunciato importanti novità. Che riguardano il completo restyling del packaging “che però ha spesso coinvolto anche un ripensamento nella formulazione e una risegmentazione” come ha spiegato Luca Vaccaro, direttore marche del distributore di Selex, ma anche il lancio di due nuove linee con un conseguente ampliamento dell’assortimento: Linea Vegetale 100% Selex priva di ingredienti di origine animale e Semi, legumi secchi, frutta secca e disidratata, in un’ottica salutistica che segue i nuovi stili di consumo.

La linea dedicata a vegetariani e vegani prevede 16 referenze, che arriveranno sugli scaffali da aprile a settembre, e vanno dal gelato (alla soia, la prima referenza in vendita) ai surgelati, dai secondi alle salse.

Semi, frutta secca e legumi presenta 80 referenze sia biologiche sia che incontrabo el nuoev esigenze salutistiche. Dai semi ai legumi alla frutta, sono accomunati da un unico look, un packaging in carta ecru molto attrattivo. I prodotti convenzionali hanno la scritta più scura con il classico logo Selex rosso, mentre quelli biologici si distinguono per la scritta e il logo in verde.

 

L’andamento del fatturato della MDD Selex.

Restyling di forma e di sostanza

Quanto al packaging, l’idea era di ripensare l’immagine grafica in ottica più moderna, in modo che fosse facilmente riconoscibile e quindi con una continuità con il passato. Le referenze sono state divise in cinque macro categorie: alimentare e bevande, cura persona, cura casa e non food, petfood, parafarmacia. Ognuna contraddistinta da una diversa veste grafica, con l’obiettivo di collegare ogni prodotto al suo mondo di riferimento..

Alcune categorie sono anche caratterizzate da un brand ombrello: Ego Selex per la cura persona, Casa Bella Selex per igiene e detergenza, Amico Mio Selex per il petfood.

Il restyling grafico è però solo un aspetto di un progetto molto più esteso, finalizzato a rendere sempre più appetibile e personalizzata l’intera offerta dei prodotti a marca del distributore Selex, lavorando sulle formulazioni e sul gradimento dei clienti. A questo scopo è stato attivato un programma continuativo di “assaggi” effettuati da un panel di famiglie campione, da cui scaturiscono contributi e suggerimenti.

Le oltre 5.000 referenze MDD sono suddivise tra prodotti Selex, prodotti Vale (l’altra marca del Gruppo), il marchio Il Gigante, le proposte Sù e Vanto, le due linee dedicate al canale cash & carry, e Prodotto Risparmio. A queste vanno aggiunte le linee a marchio di fantasia, da Le Vie dell’Uva, selezione di vini del territorio italiano, a Le Bontà del Pasticciere, ad Armonia & Benessere, dedicata alla cura e alla bellezza, a Storie di Gastronomia.

 

Aperture festive nel commercio il 62% degli italiani dice no, la proposta di Confesercenti

Negozi aperti 24 ore su 24, 7 giorni su 7? Non è una necessità impellente, quanto meno per il 62% degli italiani che secondo un’indagine Confesercenti-SWG è favorevole alla regolamentazione nei giorni di festa comandata. Il commercio, insomma, non è considerato dalla maggioranza come un servizio essenziale al pari di quelli forniti da ospedali, polizia e mezzi di trasporto. 

Un giudizio che secondo l’indagine è molto influenzato dalla consapevolezza che la deregulation, introdotta dal Governo Monti nel 2012 con la possibilità di rimanere aperti sempre, anche a Pasqua e Natale, sta schiacciando i negozi. Il 71% degli intervistati, infatti, segnala che negli ultimi due anni, nel proprio quartiere o città, hanno chiuso negozi di cui erano clienti abituali, mentre il 66% ha visto crescere il numero di locali sfitti o che hanno cambiato tipologia di attività, passando dal commercio alla ristorazione o ai servizi.

La posizione dei consumatori sulla deregulation trova evidenti assonanze con quella espressa dai commercianti. Che, però, vivono con ancora maggiore preoccupazione gli effetti della liberalizzazione, che ha portato le attività commerciali, in media, ad essere aperte 30 giorni di più all’anno. Il 61%, infatti, ritiene che il regime di apertura continua abbia danneggiato la propria attività, contro appena un 12% che dichiara effetti positivi.

 

La proposta di Confesercenti

12 chiusure festive e domenicali obbligatorie durante l’anno, con la possibilità da parte dei sindaci di raddoppiarle o annullarle a seconda delle esigenze del territorio: è questa la proposta che riscuote il favore quasi unanime dei commercianti: tra gli intervistati si è detto favorevole l’87%, contro un 4% di contrari e un 9% di incerti.  “Un esito motivato dal desiderio degli imprenditori di limitare la distorsione della concorrenza a favore della Gdo – si legge in una nota -, ma che nasce anche dalla considerazione che la debolezza del mercato interno rende insostenibile l’eccesso di deregulation“. Infatti, interrogati sul futuro della propria attività, la maggioranza degli imprenditori – il 52% – vede il maggior fattore di rischio nella situazione economica del Paese, mentre Gdo e centri commerciali sono indicati da un terzo degli intervistati e la concorrenza dell’online solo dal 15%.

«La nostra proposta – spiega il Presidente di Confesercenti Massimo Vivoli – prevede di passare dalla deregulation totale ad un minimo di regolamentazione, ragionevole e assolutamente compatibile con i principi e le prassi prevalenti in Europa in materia di libertà di concorrenza. Monti aveva promesso che con questa liberalizzazione sarebbe aumentato il Pil, sarebbe aumentata l’occupazione, si sarebbe stimolata una maggior concorrenza. Tutte e tre queste cose sono risultate non vere. Gli unici effetti certi rilevati con certezza sono stati la compressione dei diritti dei piccoli imprenditori e lo spostamento di quote di mercato – il 3%, pari a 7 miliardi di fatturato – dai negozi tradizionali alla grande distribuzione. È chiaro che noi non chiediamo di stare chiusi sempre, ma di restare aperti solo quando e dove necessario, come ad esempio nelle località turistiche, per predisporre un programma di aperture attento alle esigenze dei consumatori ma anche di chi lavora e di quel modello distributivo italiano che è, storicamente, fatto di piccole e medie imprese».

L’indagine è stata condotta su un campione di 1300  consumatori e 600 imprenditori della distribuzione relativamente al tema della deregulation del commercio.

 

TUTTOFOOD 2017, l’agenda degli appuntamenti: convegni, academy, eventi

TUTTOFOOD 2017, un palinsesto ricco di eventi animerà i 4 giorni della manifestazione

Salute, alimentazione, innovazione tecnologica, opinioni, confronti, show cooking e spettacoli.

Il programma: academy – convegni – eventi – retail

Al via l’e-commerce di Isa, Gruppo Végé. Prodotti sardi in Italia e non solo

Ormai è imprescindibile a tutte le latitudini, l’e-commerce per la Gdo: parte oggi sul sito http://italianfood.nonnaisa.com/ la piattaforma e-commerce di Isa Spa, impresa socia di Gruppo VéGé, e leader nella Gdo in Sardegna con una rete di oltre 400 punti vendita affiliati a insegne Nonna Isa, Dimeglio e Sidis.

Il sito è nato per portare in Italia e nel mondo i prodotti sardi più tipici quali i pelati, i malloreddus, il cannonau, il carasau e tantissimi altri, con un servizio semplice, veloce ed efficiente. Con un semplice click sarà infatti possibile selezionare e ricevere direttamente a casa le eccellenze e le specialità prodotte nell’Isola, dai migliori produttori locali accuratamente selezionati dalla ISA Spa.

Obiettivo: diventare il portale di riferimento per l’acquisto delle specialità sarde in Italia. Dopo la fase di start up, l’azienda punterà quindi su importanti mercati come Francia, Inghilterra, Germania e Spagna.

«Sono grandi numeri quelli relativi al commercio on line che vede una continua crescita esponenziale – commenta Michel Elias, Amministratore Delegato di Isa SpA -. Con questo innovativo servizio vogliamo portare la Sardegna sulle tavole non solo di tutti i Sardi sparsi in Italia, ma siamo orgogliosi di far conoscere i nostri sapori anche ai turisti e agli estimatori della nostra splendida Isola. La scelta di digitalizzarci va al passo con questi tempi, in cui il cliente ricerca sempre di più la qualità dei prodotti, la rapidità di consegna e la comodità. In un’epoca in cui il Made in Italy è sempre più forte, è importantissimo offrire questo servizio».

Come ha dichiarato Giorgio Santambrogio, Amministratore Delegato di Gruppo VéGé: «La scelta imprenditoriale dell’impresa Isa denota quanto sia importante ascoltare i clienti per soddisfare le loro esigenze, proponendo innovazioni di prodotto e di processo pionieristiche nel mercato italiano. Sono molto orgoglioso del passo compiuto dalla nostra impresa sarda, socia del Gruppo, che ha dimostrato ancora una volta coraggio e intraprendenza investendo in questo progetto ambizioso, che la vedrà protagonista sia in Italia che nel mercato europeo».

Consilia, l’MDD del consorzio SUN cresce: a febbraio +19,6%

Se la partita si gioca (anche) sulla MDD, allora è tempo di festeggiare per Consorzio SUN – Supermercati Uniti Nazionali, che nel mese di febbraio ha fatto registrare un nuovo aumento del trend delle vendite in valore per i prodotti a marchio del distributore Consilia.

Mentre le vendite a valore dei prodotti private label, secondo dati di Iri, ha avuto nello stesso periodo a livello nazionale una crescita del 2,4%, il brand Consilia ha fatto registrare un aumento del 19,6%. Analizzando le varie tipologie di prodotto appare estremamente evidente l’incremento registrato dalle varie categorie del marchio SUN rispetto alla media nazionale (indicata tra parentesi): Bevande 32,5% (-0,5%); Freddo 38% (3,2%); Fresco 15,2% (5,1%); Drogheria Alimentare 20,9% (0,5%); Ortofrutta 14,1% (9,4%); Cura Persona 17,6% (-3,0%); Cura Casa 18,2% (-1,7%); Pet Care -15,9% (-1,0%).

Il direttore generale di SUN Stefano Rango ha commentato: «Il 2017 è iniziato nel migliore dei modi per il marchio del distributore Consilia con una crescita considerevole. Il trend a valore a febbraio è stato positivo per quasi tutte le tipologie di prodotti fatta eccezione per il Pet, dove siamo impegnati nell’attuazione di un importante progetto per la ridefinizione dei prodotti offerti alla nostra clientela».

Il marchio del distributore Consilia è distribuito nei punti vendita delle aziende aderenti al consorzio SUN – Supermercati Uniti Nazionali ovvero: Italbrix, Cadoro, Gruppo Gabrielli, Gros Gruppo Romano Supermercati e Alfi (Gulliver).

Nielsen evidenzia come a febbraio è proseguito per tutti i prodotti “l’andamento positivo dei fatturati di iper e super, iniziato ad ottobre dello scorso anno, che chiudono il mese con una crescita del +2,0%. Gli iper+super 400-4499 mq fanno segnare un trend positivo del +2,5%, mentre rallentano gli iper>4500 mq (-0,2% sul mese). A dare impulso alla crescita è il fresco, in aumento del +5,1%. Positiva anche la performance del LCC +1,1%, mentre il non food flette del -3,5%. A parità di rete, oltre agli iper+super 400-4499 mq, crescono anche i fatturati di Libero Servizio (+1,3%) e Discount (+2,1%); tra i Gruppi considerati, più della metà sono in crescita. A febbraio, negli iper+super+libero servizio, il grocery cresce a volume del +0,3% e a valore del +1,1%. Tra le aree merceologiche il Freddo cresce del +4,4%, mentre tutto il fresco a peso imposto e il pets incrementano di oltre il 2%. In contrazione le vendite per il cura casa e persona”.

Chiusure nella Gdo, è ancora polemica in vista del 25 aprile e 1° maggio

È scontro politico sull’apertura dei negozi della Gdo il 25 aprile, il 1° maggio e il 2 giugno. Da un lato i sindacati e alcune regioni si oppongono alla liberalizzazione delle aperture il giorno della festa della Liberazione, dall’altro in molti chiedono di lasciare agli imprenditori la libertà di scelta. È questa ad esempio la posizione di Federdistribuzione, secondo cui esiste anche una legge nazionale, la Salvaitalia, che stabilisce questo principio e deve essere rispettata, non potendo essere scavalcata da norme regionali o comunali. Gli orari dei negozi sono infatti fattore di concorrenza, e la tutela e la promozione della stessa è materia di esclusiva competenza statale, come più volte ricordato dalla Corte Costituzionale.

 

E-commerce sempre aperto

Del resto la concorrenza perpetua esiste già. È quella dei negozi virtuali dell’e-commerce che, come ricorda l’organizzazione rappresentativa delle imprese di distribuzione, “continua a crescere, lui sì con una vetrina aperta sette giorni su sette e 24 ore si 24”. Non solo, “centinaia di mercati e mercatini si svolgono regolarmenrte”. Insomma, secondo Federdistribuzione “continuando a operare per porre ostacoli alle attività del mondo del commercio fisico non si fa altro che aggiungere difficoltà a quelle che già sta affrontando il settore a causa della crisi, e questo potrà avere conseguenze sullo sviluppo, sia in termini di investimenti sia di occupazione”.

Quello del lavoro domenicale è un falso problema. Secondo la Cgia -Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre ben 4,7 milioni di persone lavorano la domenica, non solo nei servizi essenziali e nel commercio, ma soprattutto nel turismo, nella ristorazione e nella cultura, “e nessuno – fa notare Federdistribuzione – giustamente protesta per chi da tempo lavora nei giorni festivi nei bar, ristoranti, alberghi o cinema”. Comunque lasciare libertà non vuol dire apertura indiscriminata: “Le scelte delle imprese distributive sono orientate al buon senso, come testimonia il fatto che nella giornata di Pasqua solo il 15% dei negozi delle aziende associate a Federdistribuzione è rimasto aperto (e circa un terzo con orario ridotto), principalmente nelle città d’arte o turistiche”.

 

C’è chi dice no

Posizioni che non fermano le polemiche. Il presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, ha invitato per le prossime festività infrasettimanali “tutti gli esercizi commerciali e i centri commerciali a chiudere nel rispetto del valore della festività, ancora così alto e profondo”. Emiliano raccoglie anche l’invito delle organizzazioni sindacali e propone “un tavolo di concertazione alla presenza di tutte le associazioni datoriali”, finalizzato a “ricercare una soluzione condivisa volta alla tutela della conciliazione dei tempi di casa e di lavoro del personale occupato nelle predette giornate, oltre che a restituire l’importanza alle festività”.

Le polemiche hanno riguardato anche la Toscana, dove Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs Toscana hanno annunciato uno sciopero generale proprio il 25 aprile e il 1° maggio: “La completa liberalizzazione degli orari delle aperture domenicali e festive – dicono in coro le sigle – si è rivelata negativa e non ha portato nessun aumento dell’occupazione e dei consumi. Sono peggiorate le condizioni di lavoro ed è aumentata solo la precarietà. Per questo è inutile lavorare per le feste, il commercio non è servizio essenziale. È necessario che venga approvata in Parlamento la modifica delle legge Monti sulla liberalizzazione degli orari e delle aperture commerciali”.

A Bologna è stata invece la dirigenza del centro commerciale Vialarga a sbarrare i negozi pubblicizzando l’iniziativa anche con una campagna “ad hoc”: “Siamo chiusi per festeggiare assieme. Ci sono valori e fatti che hanno un significato che nessuno mai potrà cancellare. Per questo abbiamo scelto di chiudere il centro commerciale per celebrare due date importanti della storia del nostro Paese”, ha annunciato in una serie di cartelli pubblicitari. In questo caso, la chiusura festiva è diventata insomma uno strumento di marketing.

Despar, 2016 a +4%, 200 milioni di investimenti previsti per il 2017

Una crescita di vendite al pubblico del 4% nel 2016 rispetto al 2015 a 3,282 miliardi di Euro, e 200 milioni di Euro di investimenti per il 2017: sono questi i dati dell’anno e gli obiettivi annunciati da Despar Italia, consorzio che riunisce sei aziende associate che operano con le insegne Despar, Eurospar e Interspar.

Il 2016 si chiude con 3,282 miliardi di Euro di vendite, supportate dallo sviluppo della rete di vendita per un totale di 1.159 punti vendita (+2,5%) e dall’assunzione di 1.199 nuovi collaboratori (+9,6%). L’azienda, tra le prime dieci insegne della GDO italiana, è anche tra i cinque gruppi che nel 2016 hanno ottenuto una crescita a rete costante.

Per l’anno 2017 Despar annuncia investimenti pari a oltre 200 milioni di Euro volti a finanziare nuove aperture e relative infrastrutture, oltre a ristrutturazioni di punti vendita esistenti.

«Il nostro Gruppo conferma il percorso virtuoso di crescita in atto già da tempo e continua a investire sul territorio – afferma Paul Klotz, Presidente di Despar Italia -. Abbiamo deciso di rafforzare il nostro impegno aprendo nuovi punti vendita e puntando sulle persone; il numero di addetti è aumentato infatti di quasi il 10% per arrivare a oltre 13.700 collaboratori che contribuiscono ogni giorno al successo della nostra insegna».

 

 

MDD, nel 2017 obiettivo 19% con 225 nuove referenze

Un focus importante per Despar è rappresentato dalla Marca del Distributore (MDD), che nel 2016 ha costituito il 18% delle vendite al pubblico. Per il 2017 Despar ha come obiettivo di raggiungere il 19% di incidenza sulle vendite al pubblico.

«Il successo della nostra MDD è confermato dai dati, che testimoniano come i clienti apprezzino la qualità dei nostri prodotti e la segmentazione dell’assortimento – aggiunge Lucio Fochesato, Direttore Generale di Despar Italia -. Solo nel 2016 abbiamo modificato più di 160 ricette per offrire un prodotto in linea con le richieste dei clienti, e abbiamo proposto sul mercato prodotti e formati adatti ai nuovi consumi e stili di vita».

La MDD Despar è composta da oltre 2700 referenze e solo nel 2016 sono stati lanciati 225 nuovi prodotti. Nel 2017 l’azienda prevede il lancio di ulteriori 290 referenze principalmente nei segmenti premium, salutistico, biologico e dei prodotti di filiera, con una crescita prevista del fatturato del prodotto a marchio del 6,5%.

Fairtrade, tre giorni a maggio per invitare a consumare equo, in tutto il mondo

Una campagna mirata ai consumatori e al loro senso etico, che invita a riflettere sull’origine e le condizioni di produzione per una spesa più consapevole: è questo il senso del World Fairtrade Challenge, che si terrà dal 12 al 14 maggio in appositi spazi allestiti della grande distribuzione, oltre che in un centinaio di bar in tutta Italia e in alcune università. Tre giorni in cui l’associazione inviterà tutti a consumare, a colazione e non solo, prodotti certificati di commercio equo come caffè, tè, zucchero, biscotti, frutta secca, cioccolato e marmellate per sostenere chi li produce. La giornata mondiale del commercio equo si celebra il 13 maggio in tutto il mondo.

 

Il primo 29 anni fa, oggi sono 35mila

Il primo prodotto Fairtrade, il caffè, è apparso nei Paesi Bassi nel 1988. Quasi 30 anni più tardi, più di 35mila prodotti del commercio equo sono venduti in tutto il mondo e il numero aumenta di anno in anno: sempre più agricoltori e lavoratori, attraverso il loro impegno, possono costruire una vita più dignitosa e un futuro migliore per le loro famiglie e comunità. Il sistema internazionale Fairtrade, infatti, assicura che le aziende paghino un prezzo più equo per ciò che viene coltivato, oltre a una somma extra di denaro destinata ad agricoltori e lavoratori, da investire nelle loro organizzazioni o comunità.

La “Challenge 2017” coinvolgerà anche i consumatori di Austria, Belgio, Canada, Danimarca, Finlandia, Germania, Australia, Corea, Olanda, Nuova Zelanda, Norvegia, Polonia, Sudafrica, Spagna, Svezia e Stati Uniti. L’obiettivo è organizzare l’evento Fairtrade più grande al mondo: un’occasione per i consumatori di sentirsi parte di un movimento globale, con la consapevolezza che tramite le proprie scelte di consumo si possono sostenere i produttori dei Paesi in via di sviluppo.

Si potrà partecipare alla “Grande Sfida” registrando le colazioni Fairtrade consumate nei locali, a casa o negli atenei e i momenti dedicati all’iniziativa, come una pausa caffè con i colleghi di lavoro o una cena con la famiglia, sull’apposito sito web www.fairtradechallenge.org. Una mappa indicherà i luoghi e l’ora di tutti gli eventi nel mondo.

Ciascuno è poi invitato a organizzare la propria colazione “equa” e a postare le immagini che si sfideranno in un contest fotografico ideato per l’occasione da Fairtrade Italia. 

 

I numeri del movimento
Sono oltre 1,6 milioni gli agricoltori e lavoratori in 75 Paesi che aderiscono a Fairtrade. L’ultimo arrivato, l’anno scorso, è il Tagikistan.

Ci sono più di 1.800 Fairtrade Towns, città, villaggi e altre comunità in 28 Paesi, e decine di migliaia di attivisti e consumatori.

I consumatori hanno speso 7,3 miliardi di euro in prodotti Fairtrade nel 2015, +16% sul 2014.

Il Fairtrade Premium è aumentato in modo significativo e ammonta a 138 milioni di euro (dato riferito al 2015), in crescita del 30% a partire dal 2014. 

Caffè: 430 organizzazioni impiegate nella coltivazione di caffè Fairtrade, 856.000 coltivatori di caffè in 30 Paesi hanno ricevuto 71 milioni di euro di Premium +18% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite sono aumentate del 18% rispetto al 2014.

Banane: 131 gruppi di coltivazione in 12 Paesi, più di 22.000 piccoli coltivatori e lavoratori hanno ricevuto più di 27 milioni di euro in Premium +11% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite sono aumentate del 12% rispetto al 2014.

Cacao: 129 organizzazioni in 19 Paesi, più di 197.000 piccoli agricoltori e lavoratori hanno ricevuto 18 milioni di euro in Premium, in crescita del 26% rispetto al 2014. Nel 2015, le vendite di semi di cacao sono aumentate del 27% sul 2014.

Albert Heijn testa Hiku, magnete per frigo che fa la lista della spesa

Dal frigo allo smartphone: è questo l’ultimo “viaggio” di una lista della spesa che si vuole sempre più smaterializzata e digitale, immediata e in tempo reale. Lo consente un gadget che si chiama Hiku ed è attualmente testato da 200 clienti dell’insegna olandese Albert Heijn. Sia gli acquirenti online sia i consumatori del negozio fisico sono stati invitati a provare il dispositivo per due mesi gratuitamente e poi dare un feedback all’insegna.

La catena di supermercati ha citato un sondaggio tra i clienti che mostra come il 70% di loro utilizza una lista della spesa, ma poi dimentica di scrivere alcuni prodotti o addirittura lascia l’intera lista a casa. 
Hiku non solo è in grado di leggere i codici a barre dei prodotti che si vogliono ri-acquistare, ma converte anche le parole pronunciate in testo digitato. A questo punto la lista può essere coinvogliata sullo smartphone per essere portata al supermercato oppure utilizzata direttamente per acquistare online. Il dispositivo, delle dimensioni di un magnete da frigorifero, è stato sviluppato da una start-up californiana (uno degli investitori è Jerry Yang, co-fondatore ed ex CEO di Yahoo) ed è una sorta di incrocio tra il pulsante Amazon Dash e il dispositivo di riconoscimento vocale Alexa con altoparlante Echo, con un obiettivo però limitato alla lista della spesa.

Hiku è stato introdotto alla fine del 2015 negli Stati Uniti e successivamente commercializzato nel Regno Unito, in Francia e Australia. Il suo costo è di circa 50 euro.

I vini biologici prendono il largo, aumenti a due cifre nella Gdo, rosso e Prosecco in cima

Addio vini “puzzoni” dal colore scomposto. I vini biologici volano in Italia e ormai sono apprezzati anche dalla critica. È la tendenza emersa nel corso della cinquantunesima edizione del Vinitaly, celebrata dal 9 al 12 aprile alla Fiera di Verona. Secondo uno studio realizzato da Coldiretti, le vendite di vini bio, che non vanno confusi con i vini biodinamici che seguono i precetti steineriani, sono aumentate nel 2016 del 26%, con ben 2,5 milioni di bottiglie vendute nella grande distribuzione, ciò che dimostra che ormai questa tipologia ha convinto anche il grande pubblico.

In crescita anche la sottocategoria dei vini vegani, le cui vendite sono cresciute nello scorso anno del 35%. I vegani in Italia del resto sono almeno 1,8 milioni, una fetta di mercato sempre più interessante, anche perché sovente dotato di buona capacità di spesa. Secondo un’altra ricerca, elaborata dalla Nielsen, in Italia nel 2016 le vendite di vino bio hanno raggiunto 11,5 milioni di euro nella sola Gdo, registrando un +51% rispetto al 2015, ma l’incidenza del vino bio sul totale delle vendite di vino è ancora irrilevante, con lo 0,7%. Secondo i dati Nielsen, il vino rosso è la tipologia di vino bio preferita dal consumatore italiano (57% delle vendite in Gdo, +42% rispetto al 2015), tuttavia i vini bianchi crescono in maniera più significativa (+93%) assieme alle bollicine (+59%). Il Prosecco è comunque il vino bio più venduto nella grande distribuzione nel 2016 (17% delle vendite di vino bio a valore, +143% -di crescita) seguito da Montepulciano d’Abruzzo (15%), Nero d’Avola (7%) e Chianti (7%).

Il consumatore riconosce al vino bio naturalità (per il 24% dei consumatori il principale elemento distintivo), salubrità (20%) ma anche qualità (17%). I canali preferiti per l’acquisto di vino bio rimangono iper e supermercati (33%) e gli acquisti diretti dal produttore o in cantina (23%), seguiti da enoteche (19%) e negozi alimentari specializzati in prodotti biologici (18%); la quota di consumatori che acquista vino bio soprattutto online raggiunge il 6%.

 

Secondi produttori dopo la Spagna

Insomma, il biologico non può più essere considerato una nicchia. Sempre secondo Coldiretti i vigneti coltivati a biologico o in conversione hanno raggiunto al 1° gennaio 2016 la superficie di 83.642 ettari al 1 gennaio 2016 su un totale di 642.367 ettari vitati, con un aumento record del 16% rispetto sul 2015 dalle elaborazioni Coldiretti. Dati confermati anche da una ricerca Wine Monitor-Nomisma, secondo cui il pubblico dei consumatori della tipologia è raddoppiato, e dal Report Mediobanca che parla di un aumento del 17% della produzione e del 38% dell’export, con la superficie vitata cresciuta del 13% nel 2016 rispetto al 2015.

Oggi l’Italia ha il secondo vigneto green d’Europa dietro la Spagna. E non è solo questione di certificazioni. La sostenibilità del vino si manifesta anche in ogni fase della produzione e del consumo, dalla vigna alla tavola.

«I driver di crescita – dice Fabrizio Riva, amministratore delegato dell’ente certificatore Ccpb – sono molteplici: dal codice appalti, che ha rivolto un’attenzione maggiore alle certificazioni, alla carbon footprint e alla sostenibilità sociale, alle politiche regionali, come le misure Ocm vino della Sicilia, passando per gli standard della grande distribuzione organizzata e infine per il ruolo dei consumatori».

 

Un fenomeno guidato dal consumatore

Ecco, i consumatori. Che sono sempre più attori protagonisti nel successo del vino bio, anche perché stimolano le aziende alla costosa riconversione, che altrimenti forse eviterebbero. Da un lato i consumatori pur di bere un vino biologico sono disposti a un cambio di brand nel 50% dei casi, e a un cambio di punto vendita addirittura nel 40% di essi. Dall’altro, a livello europeo, sono disposti a spendere di più per un vino certificato come biologico in tutte e tre le fasce di prezzo di 5, 10 e 15 euro a bottiglia, sebbene siano più sensibili a quello che percepiscono come un plus tanto meno sono esperti di vino. A trainare questa tendenza i “famigerati” Millennials, la parte demografica in assoluto più attenta ai temi della sostenibilità ambientale e della produzione biologica nelle aziende vitivinicole. 

I consumatori però non si accontentano più di autodichiarazioni o di definizioni più o meno fumose, ma si sono fatti più esigenti in quanto agli standard ai quali è necessario sottostare. «C’è bisogno di standard chiari e certificabili – dice Lucrezia Lamastra, ricercatore presso l’Università Cattolica di Piacenza e una delle creatrici del programma V.i.v.a. del ministero dell’Ambiente -. I numeri ci dicono che i consumatori sono interessati ai temi dell’ecosostenibile e del biologico, abbiamo visto che soprattutto i giovani sono molto interessati al tema. Il problema è cercare di farlo in un modo che soddisfi il bisogno del consumatore di avere la consapevolezza che dietro c’è una procedura certificata».

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