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Piacersi: Conad dedica oltre 160 referenze a salute e benessere

Si chiama Piacersi la nuova linea di prodotti a marchio Conad dedicata a chi ricerca un desiderio di benessere olistico e non privativo, che unisce la salute al piacere di sentirsi bene con gusto. Oltre 160 le referenze disponibili, tra freschi, freschissimi, drogheria alimentare e prodotti surgelati, che riflettono le nuove abitudini dei clienti: momenti di consumo diversificati in diversi momenti della giornata, dai pasti principali ai consumi on the go.

“Piacersi è la linea dedicata a salute e benessere, uno dei pilastri dello sviluppo della marca commerciale Conad, insieme a convenienza, sostenibilità e naturalità, servizio e indulgence. Con Piacersi offriamo ai nostri clienti un’ampia gamma di prodotti pensati per soddisfare il desiderio di sentirsi bene senza rinunciare al piacere, mantenendo quindi una grande attenzione agli aspetti di gusto. Siamo convinti che prendersi cura di sé ogni giorno e ascoltare i propri desideri sia il primo passo verso la felicità e questa consapevolezza ci ha guidato nell’evoluzione del posizionamento della marca” afferma Alessandra Corsi, Direttrice Marketing dell’Offerta e Mdd Conad.

Secondo alcune evidenze raccolte da Ipsos, il 76% degli italiani ritiene che salute fisica e mentale siano ugualmente importanti – percentuale in recupero ma ancora inferiore rispetto a Germania (84%) e Francia (81%) – e il 69% del campione sondato crede che “bisogna cercare di essere più sani ora per prevenire malattie future”. Da qui la consapevolezza diffusa in un italiano su 3 (30%) che la dieta bilanciata (30%) sia il primo modo con cui perseguire questo scopo e, anche al netto di difficoltà finanziarie, appena il 17% rinuncerebbe a cibi e bevande che vantano benefici per la salute.

“Il consolidamento del valore della cura di sé, a tutto tondo, trova una piena risposta in una dieta bilanciata, che combina piacere, gusto e attenzione verso sé stessi” ha commentato Chiara Ferrari, Public Affairs Leader di Ipsos. “La possiamo guardare come a una evoluzione della dieta mediterranea che ci hanno trasmesso i nostri padri e i nostri nonni, che privilegia alimenti sani, genuini e a basso contenuto di grassi, e che ora si declina verso la ricerca di un’alimentazione equilibrata che ci permetta di stare bene con noi stessi”.

La gamma Piacersi è stata accuratamente studiata sulla base di studi ed evidenze scientifiche che hanno indicato diversi aspetti che possono concorrere al benessere del nostro corpo fra cui la gestione del peso corporeo, attraverso una strategia che coinvolge nutrizione ed esercizio fisico, l’attenzione al sistema immunitario, con focus su prodotti probiotici, prebiotici e simbiotici, vitamine e minerali e superfood, la salute dell’intestino, del sistema cardiovascolare e delle funzioni mentali, fino all’inserimento di prodotti proteici che contribuiscono, insieme ad una regolare attività fisica, alla definizione di una massa muscolare.

Più occupati nel retail: addetto vendite e specialista food le figure maggiormente ricercate

Sono oltre 440 mila gli occupati nel settore distributivo del retail con un trend in crescita del +7% tra il 2018 e il 2022 e con un aumento degli addetti over 50, che rappresentano quasi il 24% del totale. Il numero degli occupati under 30 è pari al 19,5%, maggiore della media italiana (13%); la tipologia contrattuale più diffusa nel settore è il tempo indeterminato (86%) mentre l’incidenza del part-time è del 44%; l’occupazione femminile raggiunge il 63%, superiore alla media nazionale del 42%. Cresce il turnover, passato dall’8,2% del 2021 al 13,3% del 2022. Sono alcuni dei dati emersi dalle elaborazioni di PwC e dalle ricerche condotte in collaborazione con ADAPT su un campione rappresentativo delle aziende associate a Federdistribuzione, presentate in occasione del convegno “Il lavoro nel settore retail 2030. La sfida del lavoro sostenibile per i lavoratori e imprese”, organizzato da Federdistribuzione e ospitato e patrocinato dal CNEL, con la partecipazione di politici, organizzazioni sindacali ed esperti.

Dai dati raccolti dalle aziende risulta che nel 2024 i profili più ricercati nel settore retail riguardano l’area dei servizi operativi (90,3%), in particolare l’addetto alle vendite (61,6%) e lo specialista settore food (14,3). Lato recruitment, si rileva come i canali gestiti direttamente dalle aziende, in particolare i profili social e le agenzie per il lavoro, siano quelli più efficaci. Emerge inoltre l’impegno delle imprese per nuovi progetti nell’area attraction, recruitment e retention e per iniziative mirate alla conciliazione vita-lavoro e a una organizzazione del lavoro più vicina alle esigenze dei lavoratori.

Un lavoro attrattivo
Il tema della percezione del mondo del lavoro nel settore retail è stato oggetto di una rilevazione presentata dal Prof. Nando Pagnoncelli, Presidente di Ipsos. In un contesto caratterizzato da una forte influenza dell’ingresso delle nuove generazioni nel mercato del lavoro, lo studio mette in luce come 4 italiani su 10 reputino la distribuzione moderna attrattiva dal punto di vista lavorativo. I più interessati al settore dal punto di vista occupazionale sono coloro che danno molta importanza all’ambiente di lavoro, alla costruzione di una relazione basata sulla fiducia e sulla collaborazione. Il report evidenza alcuni punti di attenzione nella percezione del lavoro nel settore distributivo, legati principalmente al tema della conciliazione vita-lavoro e ai ritmi di lavoro richiesti. Allo stesso tempo emerge come le persone che hanno già lavorato nel retail esprimano verso il settore un giudizio reputazionale sensibilmente più elevato, evidenziando una professionalità ricca che include la propensione al lavoro di squadra, il problem solving, la capacità di ascoltare e di comunicare, oltre alla gestione di situazioni di stress. La ricerca sottolinea anche le opportunità di sviluppo per il settore sul piano reputazionale attraverso la valorizzazione dei punti di forza come la crescente presenza territoriale, l’evoluzione tecnologica, il dinamismo, la capacità di adeguarsi alle esigenze della clientela, così come il valore del ruolo svolto dalle aziende della Distribuzione Moderna a vantaggio dell’economia del Paese, considerando in particolare le ricadute occupazionali e il portato in termini di innovazione tecnologica.

Il ruolo dell’intelligenza artificiale
Tra le nuove sfide per il mercato del lavoro si affaccia anche quella posta dall’intelligenza artificiale: le sue implicazioni nel settore retail, assieme all’analisi del regolamento UE sull’IA, sono stati i temi al centro dell’intervento di Michele Faioli, Professore associato del Dipartimento di Diritto privato e pubblico dell’Economia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, che ha messo in luce le potenzialità di utilizzare l’intelligenza artificiale per migliorare il processo di matching, ossia di allineamento, fra le competenze richieste a livello aziendale e quelle offerte dai potenziali candidati, così come per supportare le politiche di sviluppo del personale mediante la costruzione di percorsi formativi mirati alle necessità aziendali e dei lavoratori (es. reskilling/upskilling), in un’ottica di maggiore sostenibilità complessiva del mercato del lavoro.

“Oggi il settore retail si confronta con sfide cruciali, legate alle transizioni digitali e demografiche, ai processi di profondo cambiamento e di innovazione a cui assistiamo. Dalla risposta che saprà dare a queste sfide ne va del benessere del Paese, perché la rete della distribuzione moderna è elemento fondamentale per la tenuta e la coesione del tessuto sociale. Il recente rinnovo del contratto collettivo nazionale siglato da Federdistribuzione e sindacati va quindi accolto con particolare soddisfazione. È stata una bella notizia, che conferma il buono stato di salute del sistema di relazioni industriali”, ha dichiarato Renato Brunetta, Presidente del CNEL.

“L’evoluzione del mondo del lavoro emerge con forza dall’esperienza quotidiana delle imprese e le ricerche ne fotografano gli aspetti più rilevanti che riguardano le nuove generazioni, ma che investono anche la dimensione intergenerazionale dei lavoratori nelle organizzazioni. Interpretare questi cambiamenti, interrogarsi su quali possano essere le possibili soluzioni, sostenibili sia per le persone sia per il sistema economico e imprenditoriale, sono priorità che richiedono il confronto attivo e la collaborazione tra le parti sociali, le aziende con le proprie associazioni datoriali di categoria e le istituzioni pubbliche. Solo attraverso il dialogo costante, supportato da un osservatorio del mondo del lavoro basato sulle evidenze dei dati, può alimentare nuove progettualità da parte delle imprese, favorite anche dall’introduzione di politiche e strumenti normativi specifici, per la creazione di luoghi di lavoro in sintonia con le dinamiche di progressivo cambiamento tecnologico, demografico e dei bisogni delle persone”, ha aggiunto Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione

Il convegno ha ospitato anche due tavole rotonde moderate da Mariangela Pira, giornalista di SkyTg24. Nella prima Fabrizio Russo, Segretario Generale di Filcams – CGIL, Vincenzo Dell’Orefice, Segretario Generale Aggiunto di Fisascat – CISL e Paolo Andreani, Segretario Generale di Uiltucs – UIL, hanno dialogato sulla conciliazione vita-lavoro, sull’utilizzo di nuovi strumenti di welfare in linea con i bisogni emergenti dei lavoratori, oltre che su argomenti quali formazione, mismatch delle competenze e percorsi di carriera. Le politiche di welfare pubblico, gli interventi normativi per favorire politiche fiscali e gli incentivi a vantaggio dei lavoratori e dell’occupazione sono stati invece al centro del dibattito della seconda tavola rotonda, a cui hanno preso parte Nunzia Catalfo, già Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’On. Walter Rizzetto, Presidente della XI Commissione (Lavoro Pubblico e Privato) della Camera dei Deputati, Maurizio Sacconi, Presidente dell’Associazione Amici di Marco Biagi, nonché ex Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, e la Sen. Cristina Tajani, membro della VI Commissione (Finanze e Tesoro) del Senato della Repubblica.

L’inflazione continua a minacciare la tenuta dei consumi

I dati diffusi da Istat relativi ai prezzi al consumo del mese di marzo evidenziano un’inflazione in rallentamento rispetto a quella del mese precedente: l’indice generale segna +7,7% su base annua, mentre il carrello della spesa registra un +12,7% su base annua.

Nonostante la minore velocità di crescita dei prezzi, dovuta principalmente a una frenata dei costi dei beni energetici e delle materie prime, l’inflazione rimane una delle principali preoccupazioni delle famiglie italiane. È quanto evidenzia la rilevazione condotta da Ipsos per Federdistribuzione: un italiano su due si dichiara insoddisfatto della propria situazione economica, mentre l’84% degli intervistati esprime preoccupazione per l’impatto degli aumenti sul proprio bilancio familiare. Aumentano gli italiani che lamentano di non potersi permettere alcuni acquisti: sono il 46%. L’inflazione ha poi avuto un effetto importante sulla composizione della spesa delle famiglie: rispetto a un anno fa, oltre un italiano su due percepisce l’aumento del costo della vita (56%). In particolare, il 55% percepisce che è aumentato il peso delle spese fisse, come mutui e affitti, e oltre 7 intervistati su 10 quello della spesa alimentare. La metà degli italiani prevede una situazione in peggioramento per quest’anno: 6 italiani su 10 pensano che l’inflazione crescerà, ma per il 35% meno dello scorso anno.

La riduzione del potere d’acquisto ha avuto un impatto sul volume dei consumi, in terreno negativo intorno al -5% rispetto a un anno fa. Secondo la rilevazione condotta da Ipsos per Federdistribuzione, gli italiani stanno attuando da mesi strategie per risparmiare: il 60% fa più attenzione a offerte e promozioni, il 46% sta più attento agli sprechi, il 29% ha cambiato il luogo d’acquisto, il 28% ha ridotto la quantità dei prodotti acquistati, mentre il 19% ha diminuito la qualità o ha rinunciato ad alcune caratteristiche dei prodotti. Rischio che coinvolge in particolare i prodotti del Made in Italy: nonostante per 8 italiani su 10 sia importante sapere che un prodotto è italiano e il 53% acquisti made in Italy per sostenere il Paese, il 47% non è disposto a pagare di più, anche per effetto dell’aumento dei prezzi.

“L’incertezza generata dall’inflazione e la perdita del potere di acquisto degli italiani fanno emergere con evidenza l’effetto di contrazione dei consumi. E questo mette a rischio non solo la tenuta economica delle imprese distributive e produttive ma anche quella di molte filiere di eccellenza, in particolare di tutti i prodotti del Made in Italy che sono emblema delle tipicità del nostro sistema agroalimentare”, ha commentato Carlo Alberto Buttarelli, Presidente di Federdistribuzione. “Nell’ultimo anno, la preoccupazione delle nostre aziende si è concretizzata in uno sforzo straordinario che ha permesso di mitigare la pressione inflattiva, al costo di rinunciare a parte delle marginalità. Uno sforzo che Mediobanca ha fotografato nel recente Osservatorio sulla GDO, evidenziando come molte imprese della distribuzione abbiano bilanci con redditività in forte contrazione. Siamo quindi di fronte all’urgenza di dare impulso ai consumi, attraverso politiche incisive di sostegno al potere di acquisto delle famiglie, così come di proteggere il sistema delle aziende nel nostro Paese, per evitare che ulteriori aumenti dei costi produttivi, dei beni energetici e delle materie prime alimentino ulteriormente i livelli di inflazione”.

 

Inflazione crescente: i tempi difficili alimentano nuovi business?

La pandemia, per necessità o nuovo interesse, ha motivato circa tre adulti su dieci ad avviare un’attività imprenditoriale. Infatti, già lo scorso anno, l‘indagine internazionale di Ipsos rivelava un aumento dello spirito imprenditoriale, soprattutto tra le donne e i giovani.

Il 2022 si sta mostrando un anno ricco di avvenimenti: il Covid-19 con un aumento dei contagi in tutto il mondo, lo scoppio della guerra in Ucraina, l’aumento dei prezzi e del costo della vita, l’inflazione e molto altro. In questo contesto esterno, difficile e ricco di sfide, quali sono le principali ripercussioni sull’imprenditorialità?

La nuova indagine Ipsos rivela che l’attività e le aspirazioni imprenditoriali variano ampiamente nei 26 Paesi esaminati. In media, a livello internazionale, tre intervistati su dieci (31%) hanno avviato un’attività imprenditoriale in passato e una percentuale analoga (29%) spera di farlo nel prossimo futuro.

In Italia si registrano percentuali minori: il 23% afferma di aver avviato un’attività imprenditoriale in passato e il 26% sta prendendo in considerazione di farlo, ma la maggioranza pari al 51% non ha mai avviato un business.

Al pari dell’attività, anche le aspirazioni imprenditoriali variano notevolmente nei 26 Paesi esaminati. La probabilità di avviare un’attività è più alta in molti Paesi dell’America Latina, in Sudafrica e in India ed è significativamente più bassa in Corea del Sud, Francia, Svezia, Belgio, Paesi Bassi e Giappone.

Anche in Italia non si registrano percentuali elevate, infatti, soltanto il 19% degli intervistati pensa di avviare un’attività imprenditoriale nei prossimi due anni e la principale barriera è rappresentata dai finanziamenti, citati dal 39% dei rispondenti.

Inflazione, tassi d’interesse e supporto del Governo: l’impatto sul successo di un’attività imprenditoriale
In media, a livello internazionale, il 29% degli intervistati avvierebbe un’attività imprenditoriale perché potrebbe contare sui programmi sociali del proprio Paese al fine di mitigare i rischi, percentuale che in Italia si abbassa al 22%. Allo stesso modo, il 35% dei rispondenti a livello internazionale si dichiara demotivata ad avviare un’attività imprenditoriale ritenendo preferibile lavorare per qualcun altro, percentuale che in Italia si alza al 41%.

Analizzando, invece, fattori come il supporto del Governo, i tassi d’interesse e l’inflazione, in che misura questi contribuiscono al successo di nuove attività imprenditoriali?

– Il 68% degli italiani considera il supporto del Governo il principale fattore nel determinare il successo di una nuova iniziativa imprenditoriale, percentuale molto più alta rispetto alla media internazionale del 56%. Al tempo stesso, però, soltanto il 30% dei rispondenti ritiene che il Governo del proprio Paese stia facendo un buon lavoro nel promuovere l’imprenditorialità e assistere attivamente gli imprenditori, percentuale che si abbassa al 19% in Italia.

– Subito dopo si posizionano i tassi d’interesse: il 47% degli italiani li ritiene un fattore di successo, una percentuale leggermente più bassa rispetto alla media internazionale del 50%.

– Infine, soltanto il 26% degli italiani -la quota più bassa tra tutti i Paesi esaminati- considera l’inflazione un fattore determinante per il successo di un’iniziativa imprenditoriale. Nel resto dei Paesi la media è pari al 40%.

Natale e saldi: l’identikit del consumatore secondo Google

Come si comportano gli italiani in fase di acquisti natalizi e/o in saldo?

Ce lo racconta Google con il suo primo Global Retail Study, ricerca commissionata a Ipsos con l’obiettivo di analizzare l’evoluzione del percorso di acquisto tra l’online e l’offline in Italia e nel mondo. Il risultato? Gli italiani spendono metà del proprio tempo online e l’altra metà in negozio. Anche nei casi in cui l’acquisto non viene finalizzato online tramite piattaforme di e-commerce, gli italiani considerano internet una componente fondamentale nel loro processo di acquisto. Il 96% ha infatti dichiarato di aver usato il web in una o più fasi dell’acquisto: per cercare informazioni su un prodotto, l’indirizzo di un negozio o per guardare un video. Il dato è in linea con quello degli altri paesi europei.

Il consumatore è omnichannel

Il consumatore italiano si muove con facilità da una ricerca online a una passeggiata fra le vetrine, cercando un’esperienza fluida in cui trovare sempre maggiori informazioni, soddisfare la propria curiosità e infine trovare il prodotto che maggiormente risponde alle proprie esigenze. Il percorso di acquisto non è prevedibile e diretto, perché le persone continuano ad ampliare e restringere le opzioni: cercano informazioni, confrontano le offerte di più retailer e passano dall’offline all’online in maniera totalmente spontanea. Il 36% degli italiani intervistati dichiara infatti di fare ricerche online mentre si trova in un punto vendita; in generale, le persone intervistate dichiarano di usare internet principalmente per cercare un nuovo prodotto (46%) o un nuovo brand (49%) o un oggetto che hanno già visto da qualche parte (44%). Inoltre, leggono recensioni e raccomandazioni utili (46%) e controllano la disponibilità di un prodotto prima di recarsi in negozio (33%).

 

Cosa si aspettano i consumatori dai retailer
L’esperienza di acquisto passa ovviamente anche da quanto i retailer sono capaci di soddisfare le esigenze espresse dai consumatori, relativamente al processo di acquisto online. A questo proposito Google, per il secondo anno, ha commissionato a Kantar una ricerca su questo tema, che ha analizzato le risposte di 35.500 consumatori in 17 paesi EMEA.

Dallo studio emerge che, sebbene ci sia stato un generale miglioramento delle caratteristiche degli e-commerce, è ancora ampio il margine di miglioramento in termini di offerta e per incontrare i bisogni dei consumatori. Il 72% degli italiani intervistati dichiara di essere molto soddisfatto dall’esperienza di acquisto online, sebbene il 60% si aspetti un più rapido tempo di caricamento del sito in questione, e quasi la metà dei consumatori intervistati vorrebbe avere a disposizione un numero maggiore di metodi di pagamento, nonché essere certo dei tempi di spedizione.

I consumatori di oggi sono più curiosi, esigenti e soprattutto alla ricerca di un’esperienza di shopping integrata, sia che scelgano di comprare su una piattaforma e-commerce, sia che si trovino in un negozio fisico. Più della metà degli intervistati dichiara infatti di cercare online informazioni prima di effettuare un acquisto e il 42% visita diversi siti internet prima di decidere cosa comprare e da quale retailer. Allo stesso tempo, i consumatori sono impazienti: infatti, quasi il 60% si aspetta di consultare un sito che si carichi velocemente e il 57% ritiene  importante che esso abbia un processo di pagamento semplice e veloce, mentre per il 45% è rilevante tracciare i tempi di consegna e avere la consegna garantita entro una certa data.

Gli italiani che acquistano online sono mediamente più fidelizzati rispetto ai consumatori di altri mercati: solo il 12% infatti decide di non tornare a fare acquisti da quello che definisce il suo rivenditore preferito, contro una media globale del 22%. Gli italiani sono quindi fedeli, ma anche molto esigenti. Fra le aspettative prioritarie spiccano: la necessità un sito e-commerce semplice da navigare e facile nella ricerca di prodotti (60%), con descrizioni dettagliate, nonché la presenza di foto e video dei prodotti (56%) e infine la presenza di recensioni di altri utenti che hanno già acquistato il prodotto (42%).

Metodologie delle ricerche Ipsos e Kantar

Global Retail Study, Ipsos ha realizzato per conto di Google un sondaggio online nel Marzo 2019 su più di 500 consumatori in Italia e quasi 8.000 consumatori in 27 paesi nel mondo, 18+ in merito agli acquisti della settimana precedente al sondaggio (Arabia Saudita, Argentina, Australia, Brasile, Canada, Emirati Arabi, Francia, Germania, Giappone, India, Indonesia, Italia, Messico, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Regno Unito, Russia, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Sud Africa, Sud Corea, Turchia, Ucraina, Vietnam).

CX Retail Research, Kantar ha realizzato per conto di Google un sondaggio in merito all’esperienza di acquisto online dei consumatori, su 35.500 intervistati in 17 paesi, di cui 2.000 in Italia (Arabia Saudita, Danimarca, Emirati Arabi, Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Portogallo, Polonia, Regno Unito, Repubblica Ceca, Ucraina, Turchia, Russia). Gli intervistati hanno risposto alle domande facendo riferimento alle ultime 3 esperienze di acquisto dei settori Abbigliamento, Arredamento, Elettronica, Generi Alimentari e multicategoria.

Dagli scettici ai follower agli indolenti: 6 i consumatori tipo secondo Tetra Pak

Attenzione all’ambiente e alla salute: pare siano queste le due esigenze più sentite dai consumatori. A dirlo lo studio globale realizzato da Tetra Pak in collaborazione con Ipsos. Non più sensibilità separate, ma semrpe più spesso convergenti, capaci quindi di creare importanti opportunità per i marchi del settore food & beverage.

Non è un caso, dunque, che quasi il 60% dei consumatori ritiene che la propria salute e il proprio benessere siano fortemente condizionati dai problemi ambientali.

La salute mentale è attualmente considerata altrettanto importante quanto quella fisica: il 67% dei consumatori concorda sul fatto che si tratta di uno dei principali problemi della società, e lo stress è considerato l’aspetto più preoccupante dal punto di vista personale.

Naturalmente son si tratta i un sentire univoco, esistino percezioni e sensibilità diverse tra i consumatori. A questo proposito, Tetra pak ha individuato all’interno del Tetra Pak Index 2019 sei gruppi, ciascuno dei quali ha un approccio diverso nei confronti della salute e dell’ambiente.

Ambasciatori attivi: mostrano elevato impegno nei confronti di tutti gli aspetti relativi alla salute e all’ambiente, disposti all’azione, a sfidare i limiti e a influenzare gli altri. 

  • Si rivolgono a fonti autorevoli come scienziati e accademici, nonché le ONG, per crearsi un’opinione in merito alla questione ambientale.

Amici del pianeta: disposti ad agire per l’ambiente con un importante impegno per la maggior parte degli aspetti relativi alla salute, ma meno inclini a superare i limiti.

  • Impegnati e disposti all’azione a favore dell’ambiente. Molto impegnati rispetto alla maggior parte degli aspetti riguardanti la salute, in particolare per quanto riguarda il benessere mentale.

Attenti alla salute: consapevoli e impegnati nei confronti dell’ambiente, ma dando la priorità alla salute piuttosto che al pianeta. Disposti a pagare di più e a sacrificare la convenienza per avere prodotti sani. 

  • Si informano molto sui social media e da altre fonti online.

Follower: abbastanza impegnati nei confronti della salute e delle questioni ambientali da sentirsi in colpa per entrambi gli aspetti, ma non inclini a cambiare il proprio comportamento o a sperimentare cose nuove.

  • Una nutrita schiera di persone desidera saperne di più, essere convinta e stimolata ad agire. Guarda la TV e ascolta la radio più della media.

Indolenti: nessun interesse nei confronti della totalità degli aspetti riguardanti la salute e l’ambiente. Scettici nei confronti della tecnologia e dei cambiamenti.

  • Il loro interesse si limita alle proprie cerchie personali e reali, in particolare alla famiglia e agli amici.

Scettici: Informati rispetto alle questioni ambientali, ma inclini a respingerle come “false notizie”; hanno un approccio “tradizionale” rispetto a cibo e salute.

  • Uno Scettico su cinque sostiene di non procurarsi informazioni riguardanti l’ambiente mediante alcun canale mediatico.

 

Più responsabilità

L’ambiente rappresenta la preoccupazione principale a livello globale e l’urgenza sta aumentando. I consumatori fanno quindi scelte più consapevoli in materia di imballaggi, cercano informazioni ambientali nelle etichette e acquistano prodotti ecologici anche se costano di più. Il settore alimentare e delle bevande è un catalizzatore fondamentale a questo riguardo. La principale aspirazione di cambiamento, sia per motivi di salute che per ragioni legate all’ambiente, è un maggiore consumo di prodotti alimentari e bevande a basso impatto ambientale. I consumatori si considerano ormai in larga misura i principali responsabili sia verso l’ambiente che verso la propria salute, con poche differenze tra i due aspetti (rispettivamente 71% e 74%), seguiti da governi e politici, mentre marchi e venditori al dettaglio vengono molto dopo.

Gisele Gurgel, Direttore Business Insights and Analytics Tetra Pak, afferma: “Il settore alimentare e delle bevande è forse il primo a riscontrare questa tendenza di convergenza tra l’attenzione alla salute e all’ambiente. Ciò offre ai marchi una nuova opportunità per creare un legame potente, mirato e personale con i consumatori, prestando attenzione e rivolgendo il messaggio a entrambi gli aspetti nello stesso tempo.

Molti consumatori sono interessati a leggere e a informarsi sull’ambiente, inclusi i temi relativi agli imballaggi (39%), soprattutto mediante i social media. In particolare, il punto chiave è rappresentato dai prodotti naturali/bio senza additivi e anche la stagionalità gioca un ruolo importante in questo senso. In termini di categorie, i succhi 100% frutta, il latte, l’acqua confezionata, il latte di cocco e le bevande a base di piante sono i prodotti più interessanti”.

Lena Gilchrist, Client Director, Ipsos, dice:Questo progetto di ricerca è stato unico per il modo in cui ha combinato salute e ambiente, e per il modo in cui abbiamo suddiviso i consumatori in base ai vari livelli di convergenza tra le due aree. I sei gruppi hanno motivazioni e limiti differenti e si affidano a fonti di informazione diverse. Ne consegue che è necessario un approccio mirato per comunicare con ciascun gruppo. Mentre alcuni cercano informazioni autorevoli provenienti da fonti scientifiche, altri si affidano ai pareri degli amici e ai social media”.

Il negozio del futuro? Se è troppo intelligente fa paura. La ricerca Ipsos per Axis

Cosa cercano i consumatori oggi? Personalizzazione e contatto umano. E’ per questo che il punto vendita fisica non ha perso il suo appeal.

E continuerà ad avere un suo fascino anche in futuro. Purché, ovviamente, non rinunci a queste sue ambite prerogative. Per questo il negozio intelligente, appassiona, ma con misura…

Ecco alcuni degli spunti emersi dalla ricerca Ipsos commissionata da Axis.

Fisico vs on-line

Il retail si evolve. Dalla grande catena al piccolo franchising le esigenze cambiano, ma sempre in nome della customer experience, che non deve mai essere penalizzata, ma al contrario rimanere sempre centrale. Da qui  – puntualizza  l’esigenza di migliorare la sicurezza in store, ridurre le code in cassa, gestire i picchi d’affluenza e ottimizzare l’allocazione del personale.

Si deve insomma lavorare sul mix per rendere piacevole la permanenza in negozio e incentivare gli atti d’acquisto.

Anche perché il grande (minaccioso) concorrente – l’e-commerce – incombe sempre più da vicino.

Ad oggi – ci svela la ricerca Ispos – il negozio tradizionale ha ancora la meglio, aggiudicandosi la preferenza del 90% del campione.

Cosa piace di più? Essenzialmente la possibilità di avere subito a disposizione il prodotto, di poterlo provare in loco e di poter chiedere direttamente consiglio agli addetti. Ma non basta, lo store brick and mortar viene vissuto anche come un luogo in cui raccogliere informazioni e in cui poter svagarsi. E questo specialmente tra i giovanissimi.

Una caratterizzazione che i distributori non devono trascurare in quanto può trasformarsi in una grossa opportunità.

Valutazione del negozio fisico in ottica futura

La pagella oggi è un po’ ondivaga: se sono apprezzati aspetti come cortesia, competenza e disponibilità, ci sono invece ancora margini di crescita in altri settori come quello della personalizzazione, dello svago, della consegna a domicilio e delle tecnologie.

Voci che dovranno essere capitalizzate nella concretizzazione dello store futuro.

Ma come lo vedono oggi i consumatori il negozio che verrà?

Essenzialmente – ci racconta la ricerca Ipsos – conta l’atmosfera (82%): ciò che importa, cioè, è sentirsi a proprio agio. A cascata, poi, l’attenzione del campione si focalizza su vari altri elementi: la musica adatta (75%), un trattamento personalizzato (65%), la possibilità di essere riconosciuto all’ingresso nel negozio e quindi di essere inserito in un programma di fidelizzazione (65%).

Questione di atmosfera

Veniamo allora al dunque. Cosa dovrà esserci nel negozio del futuro?

Beh, il campione apprezzerebbe molto che fosse totalmente ecologico, per cominciare. E poi non disdegnerebbe delle implementazioni tecnologiche come un pavimento interattivo utile ad orientarsi. Attenzione però, a non esagerare perché un negozio totalmente digitalizzato, invece, non sarebbe affatto gradito.

 

 

E ancora: promossa a pieni voti la personalizzazione (sia che si tratti di articoli su misura, sia che si tratti di  realizzare proprie creazioni), bocciata invece l’idea di avere robot guida che informino la clientela o ologrammi che sostituiscano gli assistenti di vendita.

 

 

Il cliente vuole essere unico, e venire riconosciuto nella propria identità. Da qui allora da una parte l’apprezzamento per una profilazione tramite smartphone o per un personal shopper, dall’altra il rifiuto per un coach virtuale che offra consigli in base al riconoscimento facciale: troppo spersonalizzante e generalizzante!

 

 

 

No alla massificazione dunque. Per questo il campione promuove un’atmosfera sonora intelligente, capace di diversificarsi nei vari reparti e in base al profilo del cliente. ma boccia la musica live di un DJ o quella di un concerto (troppo di massa).

 

E no anche all’astrazione: se vanno bene le  attrezzature che permettono di provare prodotti in condizioni simili a quelle reali e di proporre un’esperienza immersiva, non altrettanto positivamente – invece – il campione giudica caschi e occhiali di realtà virtuale.

 

 

Infine un ok incondizionato a quelle implementazioni in grado di far risparmiare tempo come il selfscanning in cassa e il click and collect.

Metodologia

La ricerca è stata effettuata tramite un questionario online interattivo su un campione rappresentativo di 505 clienti retail nei settori fashion, sport e beauty.

Surgelati, un mercato in ascesa. Verdure, pesce e pizza in pole position: i dati IIAS

Se è vero che dopo cinque anni di consumi alimentari in crisi, il carrello torna  sorridere (+2,5% nei primi 6 mesi dell’anno), è vero pure che i surgelati sono ampiamente responsabili di questa risalita, facendo registrare nel retail un incremento dei consumi superiore anche alla crescita del settore alimentare, con un positivo +2,9%, dopo un 2016 sostanzialmente “flat” (+0,1%), pari a quasi 330 mila tonnellate consumate, nel solo canale Retail. Queste le principali evidenze del “Rapporto sui Consumi dei prodotti surgelati, realizzato dall’ IIAS – l’Istituto Italiano Alimenti Surgelati.

Tuttavia la ripresa del 2017 affonda già le sue radici nell’anno precedente, in cui i consumi aveno già iniziato a stabilizzarsi.

“Già nel 2016  – spiega infatti Vittorio Gagliardi, Presidente dell’IIAS –  il settore dei surgelati aveva segnato un andamento migliore rispetto a quello dell’alimentare in generale, che si era fermato a un -0,5%. Nei primi mesi di quest’anno le cose stanno andando ancora meglio e la tenuta positiva del comparto che è stata costante anche durante i precedenti anni di profonda crisi economica, ha fatto di questi prodotti non più degli alimenti ‘emergenziali’, ma dei veri coprotagonisti della dieta degli italiani. Questo, sicuramente, grazie alla capacità di innovare tipica di questo settore, che ogni anno – in media – fa contare un 30% in più di nuovi prodotti sul mercato. Ma anche grazie alla qualità organolettica dei prodotti, alla disponibilità in ogni stagione, alla velocità di preparazione, alla valenze nutrizionali, a una etichettatura precisa e trasparente, nonché a una lunga durata nel freezer di casa: plus che ne fanno prodotti ideali per la dieta di tutti i giorni”.

Consumo pro capite

Nel 2016, in Italia è stato pari a 13,69 kg (contro i 13,55 del 2015, +1%). Sono state circa 24.700.000 le famiglie italiane (95,6% del totale) che hanno acquistato surgelati e lo hanno fatto in media 2 volte al mese (24 acquisti all’anno), per un valore complessivo del mercato di 4,5 miliardi di euro. Un consumo che, peraltro, appare non più appannaggio delle sole regioni del Nord Italia: Nord-est (32,9%), Nord-ovest (20,1%), Centro (26,3%) e Sud (20,7%).

I mercati più performanti

Il segmento dei vegetali resta uno tra i più amati dai consumatori: nel 2016 ne sono state consumate complessivamente, tra retail e food service, 395.500 tonnellate (+0,6% vs. 2015), mentre nei primi 8 mesi del 2017, complice anche l’esplosione di nuove tendenze alimentari come il biologico o il forte incremento di vegetariani e vegani, la crescita, nel solo canale Retail, ha già toccato quota +4,1% (con un rimarchevole +7,8% per le zuppe e i minestroni ricettati).

Non da meno risultano le performance del settore ittico: 108.000 le tonnellate consumate in totale nel 2016 e ben 61.958 quelle acquistate da gennaio ad agosto 2017 nel solo Retail, con una crescita del +4,4%. A riprova della sempre più accentuata propensione degli italiani a ridurre il consumo di carne (soprattutto nelle preparazioni surgelate), prediligendo spesso il pesce – al naturale, panato, pastellato, in bastoncini – apprezzato per la valenza nutrizionale, la leggerezza e la sicurezza garantita dalla massima trasparenza in etichetta.

Anche pizze e snack mostrano segnali molto positivi, confermandosi una vera alternativa al pasto principale. Circa 89.600 sono state le tonnellate consumate, tra retail e food service, nel 2016 (+4,2% rispetto al 2015), in crescita anche in questo 2017 (+4,6% nel solo retail). Un dato positivo che si spiega anche grazie alle importanti innovazioni introdotte: dal “gusto” (dalle farciture agli impasti, tra cui quello gluten free) al formato (non più solo pizze tonde e quadrate, ma anche rettangolari e calzoni).

Impennata signifiativa per i piatti ricettati che, dopo anni di continua decrescita, si è finalmente stabilizzato, iniziando ad avanzare cautamente. Nel 2016, sono state 44.650 le tonnellate acquistate complessivamente in questo segmento; nei primi 8 mesi del 2017, ne sono state consumate già 20.060 nel solo canale Retail, con una lieve crescita del +0,5% e senz’altro le aziende continueranno a spingere sull’innovazione tecnologica, allargando l’offerta delle “meal solution” e arricchendola anche con gamme ispirate a nuovi sapori, come ad esempio quelli etnici, sempre più richiesti. Infine, nel 2017, a crescere sono anche dessert (+4,5% vs. 2016) e frutta surgelata (+27,1% vs. 2016).

Menzione speciale, infine, per la crescita delle vendite a domicilio, che nel comparto alimentare in generale hanno chiuso il 2016 con un +3,3%. Nel settore dei surgelati, in particolare, il mercato del “porta a porta” ha segnato una crescita su base annua di circa l’1,5%: le categorie più performanti rimangono quelle della pizza, del pesce e dei vegetali, che hanno contribuito in maniera consistente a questo sviluppo, grazie all’offerta di prodotti di ottima qualità e contraddistinti da un altissimo contenuto di “servizio”.

In controtendenza, invece, il settore delle patate (fritte ed elaborate, che rappresentano il 17% del totale dei surgelati), che registra una decrescita del -1,2% rispetto all’anno precedente, così come i prodotti a base di carne (-6% circa per la carne rossa e -6,5% per quella bianca) e le paste semilavorate (-22,2% nei primi 8 mesi del 2017 rispetto allo stesso periodo del 2016).

I surgelati incontrano i nuovi trend di consumo

Come confermano anche i dati Nielsen, più della metà degli italiani identifica i surgelati come veri prodotti “freschi”, perché mantengono al meglio il valore nutritivo e le proprietà organolettiche nel tempo. 1 italiano su 3 li predilige per il risparmio di tempo e di sforzi in cucina, mentre circa il 10% ne apprezza l’aspetto più ecologico: il surgelato è visto, insomma, come vero “cibo anti-spreco”, perché un consumo frequente di questi prodotti può abbattere del 47% gli sprechi alimentari (che nel 42% dei casi si verificano a livello domestico). E non basta, i surgelati vengono considerati anche una risposta esauriente ai nuovi trend alimentari, dal “bio” al “veg”, fino ad arrivare ai “senza” – glutine, lattosio, ecc.

“In questo contesto – sottolinea Vittorio Gagliardi, Presidente IIAS (Istituto Italiano Alimenti Surgelati) – il comparto dei surgelati, da sempre in grado di intercettare i trend di consumo emergenti, sta facendo la sua parte. Le aziende del settore, più di altri comparti dell’alimentare, si sono contraddistinte negli anni per la capacità di innovare (tendenzialmente, ogni anno, circa il 30% in più di nuovi prodotti surgelati viene immesso nel mercato) e molti di questi iniziano anche ad andare incontro alle nuove tendenze alimentari”.

Il rating dei consumatori

In altri termini, un rapporto di fiducia lega i consumatori al mercato dei surgelati. A confermarlo i dati IPSOS da cui emerge che per ben il 37% degli italiani è proprio il comparto dei prodotti surgelati quello in cui, negli ultimi 3 anni, le aziende hanno innovato maggiormente, intendendo per “innovazione” soprattutto “sostenibilità” e “nuove preparazioni”. A guidare le scelte del consumatore resta “la qualità” il primo driver nelle scelte d’acquisto, insieme al prezzo; a seguire, le materie prime utilizzate e la fiducia verso il paese di provenienza (44%). Il bisogno di rassicurazione dei consumatori si sposa con la ricerca della qualità e sfocia nel valore del “locale”: il 70% degli italiani dichiara di prediligere prodotti di provenienza locale; il 56% ritiene che “alta qualità” faccia rima con “regionalità”.

La stessa indagine IPSOS sottolinea poi come per 1 italiano su 2 (51%), i prodotti surgelati aumenteranno ancora di più il loro peso nel carrello della spesa, nei prossimi 5 anni: sia quelli pronti al consumo (per il 35% del campione) sia quelli pronti per la cottura (per il 28%), in parallelo con lo sviluppo dei prodotti biologici/vegani (39% degli intervistati). Si intravede, dunque, in tendenza un ulteriore incremento della sinergia tra surgelati e alimentazione sana.

Ed in effetti, anche in Europa, secondo una ricerca Mintel, la crescita più rilevante nei prodotti surgelati si registra nell’ambito dei claims ‘salutisti’ (+24% “vegetariano”; +15% “senza glutine”; +5% “senza alcun additivo aggiunto”, etc…).

 

2017: momenti e occasioni di consumo, l’indagine Ipsos per TUTTOFOOD

2017, quale sarà il canale di consumo privilegiato dagli italiani?

Be’ la scelta non sarà univoca, a confermarlo è l’indagine Dal ristorante alla Rete. Le tendenze del food di domani”, promossa da TUTTOFOOD e condotta da Ipsos durante il mese di marzo 2017, con metodologia CAWI (interviste online) su un campione di oltre 800 soggetti tra i 18 e i 65 anni.

Il motivo ispiratore sarà sempre e comunque la ricerca della qualità. Ma il luogo in cui si cercherà di appagare questo bisogno non sarà monolitico.

L’agone, piuttosto, si presenterà quadripartito: preparazioni casalinghe, ordini on line, street food, ristorazione fuori casa.

A far pendere l’ago della bilancio per l’una o per l’altra soluzione saranno la contingenza, la disponibilità economica e il contesto sociale.

È un dato accertato che i consumi fuori casa siano in crescita (il40% del campione conferma di aver pranzato/cenato fuori casa almeno una volta a settimana) e che gli acquisti alimentari on line siano sempre più considerati una risorsa per risparmiare tempo ereperire prodotti “rari”, ma è vero anche che tra le pareti cansalinghe aumenta il tempo trascorso ai fornelli.

Rispetto alla media di un’ora e 15 minuti registrata nel 2015 e nel 2016, quest’anno, infatti, si registra un incremento sensibile, con una media di un’ora e 30 minuti, soprattutto legato al desiderio di fare bella figura in caso di ospiti.

Ma quali sono i piatti che gli italiani amano preparare?

 

Come primo, le preferenze degli italiani confluiscono sulla pasta a base di pesce (39%). Più distanti i primi al forno (18%) e i piatti di pasta a base di carne (17%). Più equilibrati i giudizi sui secondi: quelli di pesce (48%), soprattutto di mare (24%) sono leggermente preferiti ai secondi di carne (43%), tra i quali si registra la preferenza degli uomini per la carne rossa alla brace. Poco appeal, ancora, per i piatti (primi o secondi che siano) vegetariani).

Quanto ai vini, la differenza la fanno tanto il sesso quanto l’età: tra i bianchi, per esempio, lo Chardonnay (30%) è il  preferito dalle donne), mentre tra le bollicine il Prosecco è il “prodotto” deibaby boomer,  lo Champagne quello dei millennial,  lo Spumante dolce piemontese è infine il “beniamino” del gentil sesso. Le differenze anagrafiche colpiscono anche i rossi: se il Brunello di Montalcino (27-38%) è gettonatissimo dai tra i baby boomer, tra i Millennials le preferenze vanno al Chianti (22%).

Il consumatore e i suoi punti fermi

Dalle rilevazioni Ipsos effettuate con il sistema Behavioral Shopper-Lab, è emerso che durante il processo di acquisto il cliente è mosso da un forte legame affettivo con la sua marca abituale, acquistata nell’85% dei casi.

L’influenza dell’etichette è invece “ritardato” in quanto solo il 3- 9% le legge in store, ma sono importanti strumenti di loyalty, che permettono al consumatore di conoscere a fondo il prodotto (specialmente in relazione all’origine delle materie prime, tema ritenuto importante dal 94% degli intervistati) una volta acquistato.

 

 

 

 

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