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Con le soluzioni retail di Axiante lo scaffale si legge con lo smartphone

Restituire valore agli assortimenti, banalizzati dalle promozioni, è uno dei compiti principali che hanno di fronte industria e distribuzione. E in epoca di cloud e digital, lo smartphone viene in soccorso a supporto delle strategie di merchandising e category management di produttori e retailer.

È l’obiettivo di Axiante, società operante come system integrato per servizi e soluzioni Crm, categoy e trade management.

«Le applicazioni mobile – dichiara Romeo Scaccabarozzi, Presidente di Axiante – completano la gamma di soluzioni e servizi a supporto della pianificazione strategica e del miglioramento dei processi, per muovere in modo efficiente i prodotti lungo tutta la supply chain. Le nostre soluzioni consentono lo scambio di informazioni e la collaborazione tra distribuzione e industria, agevolando flessibilità, dinamismo e reazione repentina al cambiamento, generando di conseguenza un reale vantaggio competitivo».

Le ultime soluzioni mobile intendono mettere in condizione la forza vendita e i merchandiser di ricevere e fornire informazioni in tempo reale, monitorare costantemente ogni attività e consentire l’intervento immediato, per creare nuove opportunità e favorire l’incremento delle performance.

Le applicazioni mobile facilitano così la condivisione dei dati tra sede centrale e forza vendita, la verifica e la corretta esecuzione delle strategie in ambito category management, pricing, space allocation, promozionale e marketing; offrono inoltre la possibilità di monitorare e gestire gli ordini e la disponibilità dei prodotti a scaffale, nonché di effettuare la rilevazione dei dati di merchandising. Il merchandiser, per esempio, può utilizzare l’app per accedere alle informazioni, disponibili su cloud, relative alle promozioni e ai prezzi dei prodotti, al loro posizionamento e quota spazio o alla disposizione del materiale Pop e identificare in poco tempo eventuali anomalie e discrepanze rispetto a quanto pianificato, richiedendo, se necessario, un’azione correttiva.

In tema di categy management e di merchandising, attraverso la generazione di report personalizzati, favoriscono il miglioramento delle performance in termini di margini, vendite e stoccaggio, e la riduzione di rotture ed eccessi di stock. Nel dettaglio, i report si interfacciano con il sistema gestionale e forniscono analisi accurate sull’esecuzione dei planogrammi, sulla distribuzione dei prodotti a scaffale, sull’assortimento delle referenze e sulla presenza di materiali promozionali, consentendo all’operatore di ottimizzare i tempi e focalizzarsi su altre attività utili a migliorare le vendite, l’esperienza d’acquisto e la fidelizzazione del cliente.

Interessante è l’app di rilevazione tramite fotografia, integrabile con le altre e in grado di riconoscere ogni prodotto presente a scaffale, verificando la conformità con le strategie previste dall’azienda produttrice e dalla rete vendita. La foto dello scaffale viene immediatamente confrontata con il planogramma disponibile in cloud e, in pochi minuti, il sistema restituisce una risposta, evidenziando le differenze rispetto al posizionamento pianificato. Il responsabile del negozio, da una parte, può identificare in tempo reale eventuali incoerenze con il planogramma e prendere provvedimenti in maniera tempestiva. Il merchandiser, dall’altra parte, ha a disposizione uno strumento semplice, rapido ed efficace per semplificare le attività di presidio sul punto vendita.

Out of stock? Iri propone Osa, per intercettare e ridimensionare il fenomeno

Nell’attuale contesto di mercati stagnanti recuperare efficienza riducendo il fenomeno di Out-of-Stock nel punto vendita è una esigenza primaria in quanto rappresenta una delle maggiori opportunità di crescita per le aziende del Largo Consumo. È stato infatti stimato che solo il 4% delle esperienze di acquisto, quelle che gli anglosassoni chiamano shopping trip, è portato a termine con totale successo e con la realizzazione delle aspettative espresse prima dell’ingresso nel punto vendita. Accade infatti che i consumatori siano costretti a rinunciare ad alcuni prodotti presenti nella lista della spesa semplicemente perché non disponibili sullo scaffale. Questo comporta l’attivazione di strategie alternative da parte del consumatore che spesso si rivelano essere dolorose per le marche: si tratta infatti di un rischio di perdita della vendita nel 73% dei casi.

IRI_Logo_2013

Nell’attuale scenario caratterizzato una forte pressione competitiva queste perdite sono un rischio che le aziende non possono permettersi di correre. Ed è in questo contesto che si inquadra la soluzione OSA – IRI Optimal Shelf Availability – strumento in grado di intercettare e dimensionare il livello di Out-of-Stock nei punti di vendita della Distribuzione Italiana.

Un aiuto importante per le organizzazioni commerciali, infatti la conseguente riduzione delle vendite perse genera un effetto positivo fino a 2/3 punti percentuali sul conto economico senza intervenire con significative e costose variazioni nei sistemi e processi esistenti.

Optimal Shelf Availability è il primo standard italiano per la misurazione continuativa delle rotture di stock nei punti di vendita. Infatti IRI ha lavorato con Indicod-ECR Italia alla definizione di metriche condivise per misurare continuativamente e secondo parametri oggettivi il fenomeno dell’Out of Stock all’interno dei canali della distribuzione moderna italiana ed aiutare le aziende ad adottare in modo strutturato azioni ed interventi mirati per prevenire questa problematica.

L’indicatore che misura il livello di servizio è il tasso di Disponibilità (Availability), ma il numero più frequentemente citato è il tasso di Out-of-Stock, che ne rappresenta il complemento a 100. La metrica che ne stima l’impatto economico è la % di vendite perse, ovvero l’incidenza delle vendite attese nei casi di Out-of-Stock sul totale delle vendite.

Vari sono i fattori che influenzano il fenomeno, dai tassi di rotazione del prodotto al format distributivo, dalla stagionalità alle attività promozionali, dai potenziali distributivi all’efficienza di filiera. Nella misurazione tutte queste componenti devono essere considerate come variabili di modello e come chiavi di rappresentazione.

I primi risultati del Barometro OSA evidenziano come nel 2014 nella distribuzione moderna il tasso medio di Out-of-Stock del Largo Consumo Confezionato sia stato pari al 3,5%, con valori più alti per i comparti bevande e fresco. Il rischio di non disporre di prodotto a lineare è più frequente in condizioni normali che promozionali (3,8% vs 1,4%) e negli Iper più che nei Super (4,3% vs 3,4%).

Alla luce di questi dati l’intervenire per ridurre le occorrenze di Fuori Stock risulta di assoluta priorità – un recupero di un solo punto di availability si traduce in circa 2 miliardi di Euro di fatturato per il sistema.

 

Ricerca Gea-Asset: ripensare la supply chain delle imprese alimentari

È urgente ripensare i processi di gestione della domanda e della supply chain delle imprese alimentari italiane: per sostenere il valore di prodotti eccellenti senza essere sopraffatti dalla crescente complessità del mercato; per recuperare margine ed efficienza, sfruttando al meglio la capacità produttiva di impianti spesso sovradimensionati; per muoversi con successo verso nuovi confini.

Questo, in sintesi, quanto emerge dall’indagine realizzata da Gea Consulenti di Direzione e Asset, presentata in occasione del convegno Food Boost – Liberare l’eccellenza con la supply chain che ha visto la partecipazione di oltre 200 rappresentanti dell’industria del food&beverage, secondo settore manifatturiero a livello nazionale con 6.800 imprese e € 133 miliardi di fatturato.

Ma in quale misura essere eccellenti in questi ambiti costituisce un reale vantaggio competitivo, in particolare per lo sviluppo sui mercati esteri?

«Oltre la metà delle aziende continua a sprecare capitali perché non è in grado di realizzare previsioni accurate, che siano di supporto a una programmazione strategica e ottimizzata delle attività produttive. In un mercato globale sempre più esigente e complesso, non basta guardare a come si è sempre fatto in passato e non possiamo più permetterci che questo continui a penalizzare i nostri marchi», ha commentato Luigi Consiglio, Presidente di Gea Consulenti di Direzione. «È vitale rivedere con urgenza i processi di gestione dell’intera supply chain in un’ottica più evoluta, integrata e interfunzionale; una svolta necessaria per recuperare efficienza e accelerare la crescita della nostra industria alimentare, in Italia come all’estero».

«Incremento della gamma, competizione sempre più sul tempo, pressione sulla riduzione dei costi e globalizzazione sono fenomeni che caratterizzano la maggior parte dei settori industriali; nel caso del food&beverage la complessità è enfatizzata dalla presenza di numerosi canali da servire contemporaneamente, tenendo conto delle rispettive specificità e da normative sempre più stringenti. Sfide sempre più difficili richiedono approcci sistemici e soprattutto progettualità, non solo nell’affrontare i percorsi di internazionalizzazione, ma anche nel recupero di efficienza dei sistemi produttivi e nel recupero di efficacia dei processi di pianificazione e programmazione della produzione e della catena di distribuzione» ha aggiunto Andrea Sianesi, Partner di Asset.

Il campione e le aree di indagine

L’indagine Gea-Asset ha preso in considerazione un campione selezionato di 30 aziende italiane – rappresentativo di tutte le categorie merceologiche dell’industria alimentare e di diversi livelli di grandezza e fatturato – analizzandone l’assetto organizzativo (dipendenze gerarchiche, responsabilità operative e gestionali, momenti di condivisione interna delle informazioni), le performance (livello di servizio erogato e impegno del capitale circolante) e le prassi adottate nella gestione dei processi di demand management e operations planning, nonché gli strumenti informativi a supporto.

In particolare, il panel di intervistati è composto in prevalenza di imprese del settore beverage (36%), seguito da caffè e dolciumi (20%), pasta e bakery (16%), carne e salumi (16%), latte e derivati (16%) e comparto ortofrutticolo (4%).

Più dell’80% sono aziende grandi (44% con più di 250 dipendenti) e medie (40% tra 50 e 250 dipendenti); in termini di fatturato, per il 36% delle imprese coinvolte è compreso tra 100 e 500 milioni di euro, per il 24% tra 50 e 100 milioni, superando il miliardo di euro nel 20% dei casi, per un giro d’affari complessivo di oltre € 20 miliardi. Per il 44% del campione, l’export rappresenta meno del 10% del fatturato e solo per il 16% la percentuale supera il 50%; mentre la quota derivante dalla Gdo rappresenta oltre la metà del fatturato per due terzi delle imprese, superando l’80% nel 40%.  Tutte le aziende prese in esame – concentrate prevalentemente nel Centro-Nord Italia (28% in Lombardia, 24% in Emilia Romagna e 20% in Veneto) – hanno la produzione in Italia, di cui la maggior parte con 1 o 2 stabilimenti produttivi.

I risultati dell’indagine

Solo un terzo degli intervistati, infatti, si ritiene soddisfatto dei processi adottati attualmente dalla propria azienda e il 50% conferma di avere intrapreso una revisione di tali procedure, concentrandosi soprattutto sul demand management.

Di fronte alla diffusa incapacità di realizzare previsioni oculate, la grande maggioranza delle imprese sopperisce alla difficoltà di anticipare la domanda affrontando il mercato in ottica perlopiù reattiva. Se, da un lato, solo il 25% degli intervistati ritiene di avere una buona accuratezza delle forecast, dall’altro più dell’80% sostiene di avere performance eccellenti nella flessibilità di risposta al cliente, pagando tuttavia un costo elevato in termini di efficienza interna e di impegno di capitale circolante. Questa elevata variabilità e scarsa prevedibilità della domanda impatta fortemente sulle attività di pianificazione e sui processi produttivi, tanto che meno di un quarto delle aziende del campione riesce ad avere più di una settimana di orizzonte congelato.

Guardando agli aspetti che ad oggi contribuiscono a rendere soddisfatti il 30% dei rispondenti in materia di demand planning, a fare la differenza sono la raccolta di più informazioni bottom-up dalla forza vendita e sulle promozioni dei clienti (nel 90% dei casi), una maggiore frequenza di aggiornamento delle previsioni (più che mensile per il 65%) e l’utilizzo di algoritmi a supporto (75%). Aspetti che si riflettono anche sulle aziende più soddisfatte del proprio operations planning che, potendo contare su una buona accuratezza previsionale della domanda (63% degli intervistati) riescono a garantire alla produzione un orizzonte congelato (nel 75% dei casi) e, quindi, a limitare al minimo le inefficienze, pur rivedendo spesso i piani.

Tre modelli di gestione del rapporto domanda-supply chain

In generale, tuttavia, si rilevano livelli di maturità differenti nella definizione dei ruoli deputati a gestire l’interfaccia tra la domanda e supply chain. Oltre il 50% delle imprese coinvolte non ha un processo definito per il demand management, che risulta o del tutto inesistente (26%) oppure assimilato alle vendite (26%) denotando grande confusione circa i confini di responsabilità tra le varie funzioni aziendali. Laddove esiste un’unità dedicata alla gestione della domanda (48%), questa fa capo prevalentemente all’area Supply Chain (55%). Entrando nel dettaglio dei tre livelli:

– quando il ruolo del demand manager è inesistente, le performance aziendali sono basse, vi è una scarsa visibilità sul mercato in quanto le informazioni sono raccolte solamente dalle vendite, l’export conta per una piccola percentuale del fatturato (10% circa) e vi è una limitata incidenza delle promozioni.La maggiore preoccupazione di queste aziende risiede nel rispondere alla crescente complessità del settore.

– se è assimilato alle vendite, le performance sono mediamente buone, vi sono da 3 a 5 persone che se ne occupano ma vi è una forte distinzione tra chi ha la responsabilità di gestire il mercato rispetto a chi si occupa della supply chain, l’export conta per il 20%-30% del fatturato e vi è un’incidenza delle promozioni fino al 50%. La principale criticità per questo tipo di imprese consiste nel gestire in maniera efficace il coordinamento interno tra le diverse funzioni.

– laddove esiste un’unità dedicata, le performance sono alte e la funzione dispone solitamente di molte risorse, che realizzano previsioni raccogliendo informazioni attraverso meeting periodici interfunzionali e tenendo conto sia della BaseLine sia delle promozioni, che anche in questo caso hanno un’alta incidenza; l’export rappresenta oltre il 50% del fatturato e la produzione è spesso legata a un’elevata stagionalità. La difficoltà per queste aziende sta nel gestire al meglio la collaborazione con gli attori esterni della filiera (fornitori e retailer).

Il nodo dei sistemi informatici

Infine, alla luce della crescente necessità di amministrare grandi volumi di dati complessi, diventa fondamentale avvalersi di adeguati strumenti informativi che siano di effettivo supporto ai processi decisionali e operativi dell’azienda, in un’ottica quanto più integrata. Ciononostante, guardando al campione di imprese interpellate, si evidenzia un’elevata frammentazione anche nell’utilizzo dei sistemi informatici. Spesso la scelta di soluzioni diverse, che tendono a tenere separati il demand planning (DP) dall’operations planning (OP) ostacola l’adozione di un approccio realmente interfunzionale e flessibile. In particolare: il 23% degli intervistati utilizza Excel quale unico programma a supporto per entrambe le funzioni; i sistemi ERP sono utilizzati dal 18% per il DP e dal 27% per l’OP, sebbene molto spesso integrati con Excel (rispettivamente nel 75% e 83% dei casi);  il 59% si avvale di un sistema verticale o software ad hoc per il DP, in linea con quanto accade per l’OP (50%), sempre sfruttando anche Excel per alcune funzionalità (62% DP vs 9% OP).

Il quadro complessivo che emerge dall’indagine GEA-ASSET sul food italiano è quindi quello di un settore in cui è sempre più forte l’esigenza di evolvere verso nuove prassi virtuose, che favoriscano l’adozione di un unico processo integrato di Sales & Operations planning, basato su: un ascolto più attento del mercato e dell’azienda stessa, per raccogliere le informazioni utili al processo su vari fronti, con rapidità e precisione; una maggiore collaborazione, sia tra le diverse funzioni aziendali sia verso l’esterno, con clienti e fornitori;  una misurazione più efficace delle performance del processo e un nuovo approccio all’innovazione, che sappia guardare ad esempi eccellenti anche fuori dal proprio settore, per ripensare a proprio vantaggio le regole del gioco.

Conad e CPR System insieme per la riduzione dell’impatto ambientale nella supply chain

Un progetto innovativo di Conad e Cpr System in collaborazione con l’ Università di Bologna ha consentito di quantificare il valore della partnership nella supply chain che si è espresso in 12 mila spedizioni e circa 4 milioni di chilometri in meno in un anno con una riduzione dell’impatto ambientale misurabile in circa 2600 tonnellate di CO2 equivalente l’anno. La razionalizzazione logistica e la sostenibilità ambientale sono l’obiettivo strategico dell’alleanza tra Conad e CPR System, la cooperativa di Gallo (Fe)  leader in Italia per gli imballaggi a sponde abbattibili e riutilizzabili, che associa tutta la filiera dalla produzione alla distribuzione, ai trasporti. L’analisi comparativa dell’efficienza e dell’impatto ambientale della filiera distributiva di Conad nel settore dei prodotti freschi e deperibili, analizzando il vantaggio del ricorso al servizio di CPR System con i fornitori di prodotti deperibili che utilizzano pallet che vengono recuperati con trasporti ottimizzati a pieno carico, è stata condotta dal centro di ricerca Food Supply Chain dell’Alma Mater Studiorum, di cui è direttore Riccardo Manzini, professore della Scuola di Ingegneria. Grazie all’impiego di una piattaforma software innovativa sviluppata dal gruppo di ricerca dell’università, basata su modelli di ottimizzazione matematica, è stato possibile contabilizzare con precisione costi, efficienza logistica e impatto ambientale In particolare, riconfigurando la rete con l’ausilio dell’ottimizzazione e l’inserimento di CPR per la rete distributiva Conad dei prodotti freschi a marchio si sono registrati: – circa 12.000 spedizioni in meno in un anno (da 37.000 a circa 25.000 spedizioni) con l’avvento del pooling CPR System con una movimentazione di alcuni milioni di pallet. – La riduzione dei chilometri percorsi dai mezzi del 42%, che corrisponde a 4 milioni di chilometri in meno percorsi in un anno con una riduzione dell’impatto ambientale misurabile in circa 2600 tonnellate di CO2 equivalente l’anno. – La misurazione precisa della diminuzione delle emissioni di numerose altre sostanze nocive responsabili dell’effetto serra, dell’eutrofizzazione, dello smog fotochimico, dell’assottigliamento dello strato di ozono e dell’acidificazione, in linea con i protocolli e le linee guida internazionali che normano il life cycle assessment applicato a prodotti e processi industriali. CPR, grazie alla sua rete di impianti di produzione e manutenzione (lavaggio e ripristino dei pallet e contenitori riutilizzabili) è in grado di garantire alti standard di affidabilità e di livello di servizio dei propri prodotti. La partnership con CPR System ha consentito a Conad di sviluppare strategie importanti che hanno consentito di: preservare la Qualità e la Sicurezza Alimentare dei prodotti freschi anche grazie alla gestione dello stress fisico-ambientale e di quantificare e governare l’efficienza logistica, ottimizzando i costi e agendo per ridurre l’impatto ambientale comportano.

750 milioni di costi di trasporto in meno con la logistica collaborativa

logisticacollaborativa2015_miniIn una filiera come quella del largo consumo che movimenta circa 3 miliardi di colli ogni anno, la gestione collaborativa della logistica ha un impatto direttamente misurabile in termini di efficienza e di sostenibilità. Secondo i dati presentati ieri al convegno “La logistica collaborativa: una leva sempre più strategica” organizzato oggi a Milano da GS1 Italy | Indicod-Ecr il potenziale risparmio in tutta la filiera del largo consumo con unità di carico efficienti e una saturazione di viaggi prossima al 100% è di circa 750 milioni di euro con 600 milioni di chilometri percorsi in meno e una riduzione delle emissioni di CO2 del 47%, pari a 510 mila tonellate all’anno.

Risultati che riconoscono nell’efficienza delle unità di carico e nella saturazione dei mezzi di trasporto le due leve “collaborative” su cui deve concentrarsi la filiera del largo consumo italiana se vuole ridurre ulteriormente i costi del sistema industria-distribuzione, a vantaggio del consumatore.

« Sono numeri importanti per le imprese del largo consumo e per l’intero sistema paese» ha anticipato Stefano Agostini, Presidente e Amministratore Delegato di Sanpellegrino Nestlé Waters e Consigliere di GS1 Italy | Indicod-Ecr, nel suo intervento di apertura. «È necessario però un cambio di mentalità, occore avere il coraggio di cambiare e l’unico modo è quello di confrontarci con i clienti, con i consumatori».

Questi numeri sintetizzano anche il valore della collaborazione di filiera nella logistica e un richiamo ai ben più ampi benefici che, secondo Daniel Corsten, Professore presso l’IE Business School di Madrid, potrebbe ricevere il largo consumo italiano dalle buone pratiche Ecr per superare la frammentazione che lo caratterizza. A patto che la loro implementazione, dice Corsten, si basi su un solido allineamento degli obiettivi e su validi meccanismi di coordinamento.

«La collaborazione di filiera, infatti, richiede il superamento del perimetro aziendale» ha commentato Silvia Scalia, Coordinatore Ecr Italia di GS1 Italy | Indicod-Ecr «e l’adozione di modelli di condivisione dei processi tra tutti gli attori della filiera. Principi a cui da sempre si ispirano le aziende che partecipano a Ecr Italia, rendendo possibile la realizzazione delle soluzioni innovative e strumenti operativi che presentiamo oggi e che favoriranno le buone pratiche della logistica collaborativa».

Il riferimento è ai risultati delle attività di ricerca che Ecr Italia ha svolto in collaborazione con i poli universitari rappresentati da Fabrizio Dallari, Direttore del Centro di Ricerca sulla Logistica di LIUC Università Cattaneo, e da Gino Marchet, Professore ordinario di Logistica  del Politecnico di Milano:

  • Mappatura dei flussi logistici: uno studio dei fenomeni che caratterizzano la logistica del sistema del largo consumo italiano e una fotografia dei flussi logistici e della loro morfologia, la quantificazione del loro dimensionamento e un approfondimento specifico sulla saturazione dei mezzi sia in pianta che a volume.
  • Analisi dei costi della mancata ottimizzazione: una quantificazione dei costi delle attività del processo order to delivery che ha evidenziato i differenziali di costo esistenti tra pratiche logistiche e modelli di riordino differenti, ed ha prodotto un vero e proprio Simulatore di Riordino Ottimo di filiera – SI.RI.O. – un tool che consente di valutare il differenziale di costo tra diverse ipotesi di riordino per una determinata referenza.
  • Atlante della logistica: una mappa geografica aggiornata e un censimento dei principali nodi logistici – oltre 1.000 tra Ce.Di e centri di stoccaggio di beni di largo consumo alimentare gestiti da operatori logistici – presenti sul territorio italiano, con l’obiettivo di fornire una visione della rete distributiva nazionale e di evidenziare le opportunità di ottimizzazione lungo la filiera e di transport & asset sharing.

Prima candelina per Supply Chain Initiative, buone pratiche nella filiera

Nata per promuovere le buone pratiche lungo la filiera della distribuzione agroalimentare, Supply Chain Initiative festeggia il primo anno di attività con la presentazione del primo rapporto annuale. Un punto della situazione e uno sprone a continuare nelle azioni e accogliere nuovi membri.

Le associazioni di settore e le aziende che aderiscono al Sci sottoscrivono un impegno ad attuare pratiche corrette verso tutti gli attori della catena di distribuzione agroalimentare, dagli agricoltori ai distributori finali. A 14 mesi dal lancio, i gruppi che hanno sottoscritto tali impegni sono 164 in rappresentanza di 860 aziende tra cui per la Gdo Lidl, Sisa, Carrefour, Auchan, e tra le multinazionali Ferrero, Coca Cola, Nestlè e Unilever.

Le aziende registrate sono invitate a partecipare a un’indagine annuale per verificare che gli impegni presi siano stati mantenuti. La prima indagine ha rivelato che sono stati formati 18mila dipendenti, e tra questi quasi quattro su dieci hanno utilizzato l’e-learning di SCI. La soddisfazione dei partecipanti è alta, al 73%.

Il direttore generale di EuroCommerce Christian Verschuere ha commentato: “Siamo convinti che l’adempimento volontario sia la via giusta. Il SCI fa sì che le buone pratiche ricadano da Bruxelles al management delle aziende e giù, ai venditori e agli acquirenti. È un sistema che offre un meccanismo redditizio, veloce e meno antagonistico per promuovere le buone pratiche come base per le relazioni commerciali e la progressione dell’impresa”.

Cosa si intenda per “buone pratiche” è spiegato nel documento appena pubblicato. Tra queste, troviamo la trasparenza di ogni parte del contratto, comprese le eventuali sanzioni, che presuppone siano scritte e concordate tra le parti in anticipo, la fornitura di informazioni rilevanti all’altra parte, l’uso di termini e condizioni generali nei contratti che facilitino l’attività e contengano clausole giuste.

Otto tendenze per la supply chain dell’industria manifatturiera e il retail

Non sono previsioni di mercato né tendenze di consumo. Sono considerazioni sul grande cambiamento che il settore manifatturiero sta attraversando e che ha impatti sul cambiamento della supply chain: i vecchi paradigmi che influenzavano produzione e distribuzione sono alle spalle, e si sta delineando un insieme completamente nuovo di sfide e di opportunità. A fare queste considerazioni è Stefano Scandelli, Vice President Sales South Europe di JDA Software, l’azienda che a livello globale è impegnata nella fornitura di soluzioni per la gestione dei processi di supply chain, pianificazione della produzione, retail planning, store operation e category management.

I tempi di attuazione di queste linee di tendenza possono essere variabili, ma ci sembra un serio controbuto per comprendere e affrontare questi cambiamenti anche da parte del sistema del largo consumo, e non solo.

1) I social media guideranno sempre di più la previsione della domanda per le aziende CPG.
In passato, la pianificazione della domanda di prodotti da parte dei consumatori si basava esclusivamente su fattori quali stagionalità, tendenze e dati storici. Poichè i consumatori di oggi sono sempre più online, i social media sono diventati un buon indicatore sui comportamenti di acquisto; le informazioni che arrivano dai canali social sono così significative che le aziende CPG non possono più ignorarle. I dati non strutturati rilevabili dai social media ammonteranno al 20% dei dati utili per la previsioni sulla domanda e le informazioni provenienti dai canali di vendita non sono quindi più sufficienti per prevedere i trend della domanda  e il loro impatto su esigenze di approvvigionamento e produzione.

2) Personalizzazione dei beni di consumo e dell’esperienza d’acquisto si imporranno sempre di più come un fattore competitivo determinante per le aziende CPG.
Tradizionalmente, la nozione di valore dei beni si è basata su riconoscimento di marchio, prezzo, caratteristiche e disponibilità, mentre oggi si estende anche all’esperienza complessiva del cliente. Sebbene nel settore manifatturiero la tendenza a rivolgersi direttamente al cliente non sia una novità, a prosperare saranno quelle aziende che offriranno ai propri clienti un’esperienza di acquisto unica, quale parte integrante della loro proposizione esclusiva di vendita (USP, Unique selling proposition). La personalizzazione svolgerà un ruolo sempre più importante, poiché i consumatori ricercano prodotti esclusivi. Le aziende manifatturiere devono garantire che le proprie supply chain supportino in modo efficace questo cambiamento. I programmi di brand loyalty delle aziende CPG entreranno in competizione con programmi simili dei retailer.

3) La diffusione della produzione personalizzata su vasta scala incrementerà l’esigenza di supply chain sempre più segmentate.
Il desiderio da parte dei consumatori di ricevere un servizio più personalizzato e i progressi in campo tecnologico sono i due fattori che porteranno alla diffusione della produzione personalizzata su vasta scala. Malgrado vi sia sempre meno spazio di manovra per ridurre i costi di produzione, vedremo le aziende manifatturiere ampliare il loro portfolio di prodotti per differenziarsi e offrire valore aggiunto. Essenziale per il successo di un tale approccio sarà la capacità di segmentare le supply chain per conciliare le richieste della clientela con l’esigenza di massimizzare la redditività dei processi produttivi.

4) Smartphone, tablet e mobile: i paradigmi  del mondo consumer guideranno sempre di più anche l’organizzazione dei processi produttivi.
Come accade in molti altri settori, anche in quello manifatturiero osserveremo un passaggio dai tradizionali sistemi software aziendali ad applicazioni business simili a quelle di tipo consumer. Queste app orientate ai ruoli e alle attività, accessibili tramite smartphone e tablet, offriranno alle aziende manifatturiere l’opportunità di ristabilire un contatto con la forza lavoro e ricavare informazioni dalla gestione dei processi per applicarle al reparto produttivo, con evidenti vantaggi e miglioramenti per quanto attiene disponibilità di dati, miglioramento del time to market e del servizio alla clientela, capacità di attrarre forza lavoro altamente specializzata ed avvezza ad utilizzare dispositivi di nuova generazione.

5) Le aziende manifatturiere focalizzate sui costi saranno sempre meno competitive e dinamiche
Chi si focalizzerà esclusivamente sul costo si troverà in una posizione di svantaggio. Innovazione e maggiori profitti, saranno appanaggio di quelle aziende manifatturiere focalizzate sui prodotti e sul servizio clienti.

6) La stampa 3D segnerà la fine del settore manifatturiero di fascia bassa
Mentre il costo della stampa 3D si riduce, vedremo emergere una quantità sempre maggiore di aziende manifatturiere quick-turn, che offrono prodotti industriali di fascia inferiori, come piccole parti di ricambio. Tuttavia, nel lungo termine, proprio come il settore del turismo è passato dalla vendita di biglietti aerei da parte delle agenzie di viaggio a processi di vendita online, così i sistemi di fascia media verranno fabbricati dai negozi 3D, mentre le attività manifatturiere di fascia bassa verranno svolte dai consumatori stessi. Questa evoluzione è altresì riconducibile alla tendenza a rendere i prodotti CPG unici e individuali.

7) La stampa 3D aumenterà la globalizzazione del settore manifatturiero e relegherà nel passato i problemi di inventario
La stampa 3D aumenterà il livello di globalizzazione per molte aziende manifatturiere più piccole, che in passato non potevano permettersi centri di distribuione di prossimità. I prodotti a basso volume saranno prodotti localmente con la stampa 3D, con un impatto positivo sui costi di  realizzazione  e spedizione. Inoltre, le problematiche relative alla gestione degli inventari saranno superate, poiché parti di ricambio e componenti possono essere fabbricati in-country e on-demand. A fronte della riduzione dei tempi di progettazione e dei cicli di produzione, le supply chain nel settore manifatturiero dovranno diventare molto più agili e operare secondo la logica del real-time. In futuro, prodotti semplici quali piccole parti di ricambio, giocattoli in plastica o involucri per smartphone verranno principalmente venduti a livello globale, grazie alla possibilità di scaricare un file di stampa 3D.

8) Internet of Things (IoT) guiderà la comparsa della supply chain intelligente: dalla pianificazione della produzione al servizio post-vendita
Lo IoT avrà un ruolo sempre più preponderante ed offrirà alle aziende manifatturiere un livello maggiore di intelligence per rendere più profittevoli i processi di  supply chain. Grazie a sensori incorporati (ad esempio chip RFID, codici QR) nei prodotti, sarà possibile tenere traccia di questi articoli in tempo reale lungo l’intera supply chain, abilitando una pianificazione e una produzione molto più efficienti. Altri chip intelligenti collegati ai prodotti comunicheranno attivamente ai macchinari e alle apparecchiature produttive quali fasi successive di lavorazione sono necessarie. L’IoT supporterà anche la pianificazione e la soddisfazione future della domanda, poiché la tecnologia sarà in grado di notificare in modo intelligente e preventivo quando è necessario effettuare il rifornimento (ad esempio distributori automatici, cartucce delle stampanti, forniture per frigoriferi). Macchinari e apparecchiature invieranno automaticamente informazioni sulle prestazioni al produttore, al fine di rilevare anticipatamente esigenze di assistenza/manutenzione o sostituzione di parti di ricambio prima che si verifichi il guasto. La maggior parte delle automobili di fascia media e alta è già dotata di questa funzione. La pianificazione automatizzata di appuntamenti per l’assistenza è il passo successivo.

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