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Mens sana in corpore sano, gli italiani riscoprono il piacere del benessere

Dopo il difficile periodo pandemico, gli italiani hanno riscoperto il valore e il piacere dello stare bene, sia fisicamente che mentalmente. Ad acclararlo sono i dati raccolti da NielsenIQ nella cornice di Cibus Connecting Italy, il Salone internazionale dell’alimentazione che si è svolto a Parma il 29 e 30 marzo scorsi: tra le tendenze registrate vi è quella dell’alimentazione sportiva, passata da 6,7 milioni di acquirenti nel 2021 agli 8,1 milioni (+20,2%), un valore che corrisponde al 31,6% dei consumatori.

La tendenza appare ormai consolidata e probabilmente sarebbe più corretto parlare di abitudine di consumo e non più di trend visto che questo tipo di consumo riguarda le famiglie e non più i singoli individui.

Parallelamente anche i claim del benessere presentano trend interessanti come rimarca Marco Pellicci, SMB & Global Snasphot Solution Leader di NielsenIQ, che pone l’accento sulla crescita del senza zuccheri aggiunti (+19% a valore, +14.9% a volume), dell’high protein (+9,3% a valore, +4,3% a volume) e del low calories (+6,8% a valore, +3,7% a volume). «In un mondo che cambia, in cui i consumatori stanno modificando i propri bisogni e comportamenti d’acquisto, risulta sempre più importante sapersi differenziare, rispondendo ai nuovi trend di consumo. Risulta quindi necessario elaborare strategie rivolte a queste particolari categorie di prodotto, dall’identificazione del perimetro (i cui confini sono ancora vaghi), alla creazione dello scaffale, alla definizione dei prezzi e degli assortimenti».

Se da un lato si assiste a un interesse crescente per certe tipologie merceologiche, dall’altro però la situazione economica mette i consumatori di fronte a continue sfide. Il 62% dei consumatori a livello globale e il 70% di quelli italiani si sente già in una situazione di recessione e il 38% (43% in Italia) ritiene di avere disponibilità economiche solo per acquistare lo stretto necessario. Di conseguenza il primo rimedio, quasi istintivo, per la situazione attuale è la riduzione dei volumi acquistati, che in Italia hanno registrato un calo del 6% nelle prime 4 settimane del 2023 (vs 2022).

È una tendenza che si osserva in molti Paesi e che riguarda tutte le principali categorie del largo consumo, anche se la crisi non impatta nello stesso modo su tutte. Pur in una situazione così complessa alcune categorie di prodotto hanno registrato performance migliori nel 2022 rispetto al 2021. In Italia per esempio è cresciuto – in termini di volumi venduti – tutto il mondo dell’alimentazione sportiva (+46,9%), con energy drink (+25,3%) e integratori (+9,5%), ma anche l’universo delle caramelle (+8,8%), dei gelati (+6,2%) e delle merendine (3,9%) cioè in generale tutto ciò che può gratificare il consumatore. Si tratta infatti di prodotti che aiutano le persone a compensare una situazione stressante e che contribuiscono ad alimentare il benessere fisico e mentale, al primo posto tra le priorità per il 2023.

«La ricerca di gratificazioni avviene comunque attraverso strategie prudenziali» spiega Matteo Bonù, Global Client Business Partner di NielsenIQ. «Monitorando il costo totale del carrello della spesa (34% nel Regno Unito e 37% in Francia), scegliendo principalmente prodotti a marchio del distributore (29% negli USA e 42% in Spagna) o acquistando marche in promozione (50% in Italia e 43% in Germania). Si tratta di azioni non necessariamente legate alla ricerca di beni di primo prezzo quanto piuttosto al miglior rapporto qualità-prezzo possibile, per poter mantenere inalterato il proprio livello di gratifica ma contenendo la spesa».

 

 

L’Italia dice no alla carne creata in laboratorio

La carne sintetica non corrisponde alla nostra idea di cibo che, invece, è radicata nella valorizzazione delle produzioni agricole e zootecniche Made in Italy, simbolo di alta qualità e identificative dei territori e delle tradizioni nazionali: è questo l’approccio con cui Cia-Agricoltori Italiani accoglie lo schema di Ddl approvato dal Consiglio dei Ministri.

Da parte di Cia c’è ancora un “no” convinto sul tema, in primis rispetto alla carne in vitro, che mette in pericolo le eccellenze agrozootecniche italiane, fondamentali per la salvaguardia di biodiversità, razze autoctone e interi ecosistemi naturali, per fare spazio a prodotti artificiali che possono avere un impatto pesante sull’ambiente, senza garantire particolari benefici a salute e benessere dei cittadini.

Attualmente, come da report Nomisma per Cia, il mercato mondiale di carne sintetica ha già registrato investimenti da capogiro pari a 1,3 miliardi, con le aziende di riferimento a livello mondiale, tra laboratori e start up, passate da 13 a 117 dal 2016 al 2022 e la produzione globale di carne in vitro che si prospetta al 2030 in aumento fino a 2,1 milioni di tonnellate. Stando allo scenario globale, per Cia serve mettere un freno a decisioni all’interno dell’Europa che possano rivelarsi sconsiderate e non basate su studi scientifici. 

“C’è il rischio concreto che l’agricoltura venga ridimensionata e con ovvie conseguenze soprattutto sulle aree interne, custodi uniche delle tipicità agroalimentari regionali, fonte principale di economia per le comunità locali e motivo di sopravvivenza di interi territori, sempre più soggetti al progressivo abbandono” commenta Cristiano Fini, Presidente nazionale di Cia. “Senza contare che occorre mantenere alta l’attenzione contro falsi sostituti di una corretta alimentazione e della dieta mediterranea il cui valore è certificato e riconosciuto nel mondo” 

Flessione nel comparto del vino nella distribuzione moderna

Il 2022 è stato un anno difficile per il mercato del vino nella distribuzione moderna a causa degli aumenti di costo delle produzioni e dei prezzi al pubblico. Il 2023 potrebbe essere un anno altrettanto complicato per i volumi, a causa del pieno manifestarsi degli effetti legati al prezzo ma potrebbe anche verificarsi un recupero nel secondo semestre, se l’inflazione calerà e se le promozioni diventeranno più incisive.

Questo il quadro che verrà presentato in dettaglio dall’istituto di ricerca Circana (già IRI) a Vinitaly (a Verona dal 2 al 5 aprile), nel corso della 19° tavola rotonda su vino e distribuzione moderna, organizzata da Veronafiere.

Un’anteprima della ricerca presenta i dati generali delle vendite nell’anno 2022, la classifica dei vini e spumanti più venduti (a volume) sugli scaffali della distribuzione moderna e la classifica dei vini “emergenti” (a valore).

Sul podio il Prosecco (Veneto e Friuli V.G.) con 46 milioni di litri venduti, il Chianti (Toscana) con 17 milioni di litri, il Lambrusco (Emilia Romagna) con quasi 17 milioni di litri. Si fanno notare le buone performance del Nero d’Avola (Sicilia) al 10° posto con quasi 8 milioni di litri, il Pignoletto (Emilia Romagna) al 12° posto con 6 milioni di litri, il Primitivo (Puglia) al 13° posto con quasi 6 milioni di litri.

La classifica dei vini “emergenti”, cioè quelli col maggior tasso di crescita rispetto all’anno precedente, elaborata a valore, mostra sul podio: Ribolla (Friuli V.G.) con +12%; Muller Thurgau (Trentino Alto Adige) con +10,0%; Vermentino (Sardegna, Liguria, Toscana) con +9,9%. Da notare i buoni piazzamenti in questa speciale classifica di Vernaccia (Toscana), Orvieto (Umbria, Lazio), Nebbiolo (Piemonte, Lombardia).

I dati dell’intero comparto vino mostrano una flessione, a volume, del vino (-5,4%), dei vini rossi (-7%), degli spumanti (-4,7%) che diventa -0,2% se si esclude il prosecco.

“Lo scenario geo-politico e le conseguenze sui prezzi hanno generato effetti non marginali sulle vendite, che però hanno resistito evitando un tracollo – ha dichiarato Virgilio Romano, Business Insight Director di Circana (già IRI). La fine del Covid potrebbe dare più certezze a tutti. Nel corso della tavola rotonda presenteremo i dati dei primi mesi dell’anno, in modo da approfondire i primi segnali che vengono dai mercati e che potrebbero condizionare il 2023. Senza drammatici ulteriori aumenti dei prezzi, le cantine e la distribuzione potranno tornare a confrontarsi sulla base delle scelte aziendali e delle strategie di medio-lungo periodo”.

Maurizio Danese, amministratore delegato di Veronafiere, ha sottolineato la rilevanza della tavola rotonda promossa con Vinitaly: “Nel tempo è divenuta uno dei luoghi privilegiati del dialogo tra le cantine e le insegne distributive, spesso caratterizzato da posizioni lontane. Per favorire l’incontro, in un periodo non facile per le vendite del vino, abbiamo anche rinnovato la formula, che consentirà ai rappresentanti dei produttori di porre direttamente domande ai distributori, in modo che il confronto sia sempre più costruttivo”.

Spesa sempre più cara per gli italiani, a febbraio inflazione al 16%

NielsenIQ delinea lo scenario della grande distribuzione organizzata nel nostro Paese ne “Lo stato del Largo Consumo in Italia”, l’analisi mensile relativa all’andamento dei consumi e alle abitudini di acquisto delle famiglie italiane. Nel mese di febbraio 2023 la distribuzione in Italia ha ottenuto ricavi per 9,8 miliardi di € a totale omnichannel, registrando un trend positivo (+9,9%) rispetto alla performance dello scorso anno.

Stando ai dati di NIQ, l’indice di inflazione teorica nel largo consumo confezionato (LCC), ovvero il settore di mercato che comprende tutti i beni di consumo primario e i prodotti confezionati dall’industria, è pari al 16% a febbraio. Il mix del carrello della spesa si riduce dell’1,2%, con una variazione reale dei prezzi che si attesta al 14,8%”.

Per quanto riguarda i canali distributivi, a febbraio riportano tutti – rispetto allo stesso periodo del 2022 – un andamento positivo. Nello specifico, guidano la crescita gli specialisti drug (+16,6%), seguiti da superstore (+12%), iper>4.500mq (+10,4%), supermercati (+9,8%), liberi servizi (+9,2%) e discount (+8,5%).

L’indagine di NielsenIQ evidenzia inoltre che l’incidenza promozionale (a totale Italia) nel mese di febbraio 2023 è inferiore di 0,6 punti percentuali rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e si attesta al 23,1%. Infine, continua ad aumentare la scelta di prodotti a marchio del distributore (MDD): nel mese trascorso ha raggiunto il 22,9% del LCC nel perimetro iper, super e liberi servizi fino ad arrivare a quota 31,2% sul totale Italia omnichannel – inclusi i discount.

Cosa mettono gli italiani nel carrello della spesa
Secondo l’analisi di NIQ, le aree merceologiche con l’incremento a valore più significativo anche nel mese di febbraio e ormai da diversi mesi sono i prodotti dedicati agli animali domestici e il cibo confezionato. Il pet food registra infatti un +17,5% a valore ma un -5,7% a volume, diversamente il food confezionato cresce a valore del 13,5% e diminuisce a volume del 2,9%.

Il fresco (peso fisso + peso variabile) mantiene un andamento positivo nella maggior parte dei canali distributivi: in particolare il trend migliore si rileva negli iper>4500 (+10,8%) mentre nei discount il peggiore (+6,8%). Per quanto riguarda la relazione valore e volume per i formati distributivi in ambito grocery, rispetto all’anno precedente nel mese di febbraio 2023 a totale Italia omnichannel il trend a valore cresce del 10,1% mentre a volume si riduce del 4,7%.

Pane & pasticceria & pasta (+18,8%), formaggi (+17,9%) e macelleria e polleria (+9,2%) rimangono – come a gennaio – le aree merceologiche più dinamiche a totale canali, mentre i trend più bassi sono registrati dai comparti pescheria (+1,2%) e frutta e verdura (+1,3%). A livello di prodotto, fazzoletti di carta (91,2%), olio di semi di girasole (46,3%) e zucchero (42,9%) si classificano come i primi 3 comparti merceologici nella top10 del mese.

Largo consumo, cresce l’attenzione per rispetto e benessere degli animali

I prodotti, food e non food, “amici” degli animali si fanno sempre più notare sugli scaffali di supermercati e ipermercati italiani: quelli che presentano in etichetta un claim o una certificazione che attesta il rispetto degli animali sono 2.892 e, nell’anno finito a giugno 2022, hanno sviluppato 1,7 miliardi di euro di vendite, in crescita di +3,3% rispetto ai 12 mesi precedenti.

A misurare l’”animal welfare economy” in Italia è la dodicesima edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che ogni sei mesi monitora l’evoluzione della spesa degli italiani incrociando le informazioni presenti sulle confezioni dei prodotti digitalizzate dal servizio Immagino con i dati elaborati da NielsenIQ su venduto e consumo nella Gdo. Lo studio ha rilevato e analizzato sei tra claim e certificazioni di quest’area valoriale per individuarne la presenza nei punti vendita, l’entità delle vendite e il loro andamento. Complessivamente coinvolgono il 2,2% dei quasi 130 mila prodotti di largo consumo (food & beverage, cura casa e cura persona) rilevati in quest’edizione e contribuiscono per il 4,3% al loro fatturato complessivo.

«Anno dopo anno, il carrello della spesa “rispettosa degli animali” continua ad arricchirsi di nuovi prodotti, grazie all’aumento dell’offerta proposta dalle aziende, sempre più sensibili al benessere animale» spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. «A trasferire quest’impegno ai consumatori sono soprattutto sei tra claim e certificazioni che attestano il rispetto degli animali, accomunati dall’aver ottenuto positive performance di vendita nell’arco dei 12 mesi rilevati da quest’edizione dell’Osservatorio Immagino».

Le crescite annue più significative sono state registrate dalla certificazione ASC (Aquaculture Stewardship Council), che è avanzata di +6,7%, arrivando a 43 milioni di euro di vendite realizzate da 59 prodotti, e dal claim “no cruelty”, che ha incrementato il giro d’affari di +6,7% superando i 280 milioni di euro. “No cruelty” è anche l’indicazione più diffusa sulle etichette: l’Osservatorio Immagino l’ha trovata su 1.280 prodotti, pari all’1,0% del totale rilevato. Seconda per numerica è la certificazione Friend of the sea, con 648 prodotti (0,5% del totale) per un giro d’affari di oltre 553 milioni di euro (+0,2% annuo). Segue il logo Cruelty free, con 629 prodotti per quasi 61 milioni di euro di vendite (+0,4%).

Al quarto posto per numero di prodotti c’è il claim “benessere animale”, individuato su 588 referenze, che però è il numero uno per valore delle vendite con 585 milioni di euro, il 6,5% in più rispetto all’anno precedente. È cresciuto di +1,7% in 12 mesi il giro d’affari dei 441 prodotti certificati MSC (Marine Stewardship Council), che hanno superato i 466 milioni di euro di vendite.

Accanto a questi prodotti che indicano in etichetta l’attenzione al benessere animale, l’Osservatorio Immagino ha analizzato anche le referenze che sono invece prive di componenti di origine animale, monitorando il claim “vegano”: si trova su 3.554 prodotti (3,9% del totale) che hanno sviluppato 980 milioni di euro, in calo annuo di -1,0%, a causa della contrazione della domanda (-9,9%).

Fashion e sportswear, acquisti guidati sempre più da influencer e social

Per avere successo e conquistare (anche) le generazioni Alpha e Zeta, i negozianti di sportswear e fashion italiani devono adattarsi ed evolversi, offrendo al consumatore un’esperienza sempre più personalizzata e immersiva, proponendo spazi connessi e integrati con il mondo dello shop-on-line, senza mai dimenticare l’attenzione al mondo degli influencer, dei content creator e dei social.

Questo è, in sintesi, quanto emerge dal “3A Retail Insights”, una ricerca sul mondo dello shopping in Italia stilata da 3A, azienda attiva nella distribuzione di brand internazionali sportswear e fashion, presente sul territorio dal 1982. L’indagine, che ha coinvolto un campione rappresentativo di esercenti italiani, punta a tratteggiare il futuro dei negozi e a definire in che direzione sta andando il rapporto con i consumatori.

Per più della metà dei negozianti (52%) che hanno preso parte al “3A Retail Insights”, influencer e social regnano incontrastati nel nuovo mondo degli acquisti: la scelta del prodotto è guidata da un post o da una storia di un content creator. Per più di 8 store manager su 10 (85%) è in generale il mondo dei social a far concludere un affare.

6 negozianti su 10 affermano di assistere a un fenomeno di contaminazione tra off e online: sempre più clienti provano i prodotti in store per poi cercarli in Rete, magari a un prezzo più vantaggioso. Ecco perché, secondo gli store manager italiani, è necessario essere presenti online e non più solo attraverso un e-commerce (55%). Dai dati raccolti emerge anche che chi ha uno store fisico ritiene imprescindibile presidiare i più importanti canali social ed essere presente nel metaverso (34%). Nell’ottica di una visione sempre più ibrida, gli store puntano sulla formula click and collect (31%) che consente il ritiro in negozio dell’acquisto online, oppure propongono app per verificare da remoto la disponibilità in store dei prodotti prescelti (15%).

Secondo i retailer, quindi, la carta vincente da giocare per rivoluzionare le proprie vetrine e sconfiggere la concorrenza è quella di offrire un’esperienza ancora più interconnessa con il digitale. Scelta saggia considerando che, in base ai risultati del “3A Retail Insights”, per l’88% i consumatori passano con disinvoltura dallo shopping online a quello fisico.

A livello nazionale, i negozi si stanno anche attrezzando per conquistare il cuore delle nuove generazioni: sempre più store fanno scouting per individuare nuovi brand in linea con i gusti dei più giovani (65%). Futuro roseo anche per quei negozi che a scaffale hanno prodotti di altissima qualità e/o di brand di nicchia introvabili (33%), o che propongono shopping experience personalizzate per il singolo cliente (60%), o veri e propri momenti immersivi in cui shopping e digital sono sempre più collegati (48%).

“Il mondo dello shopping di dieci anni fa sembra una galassia lontanissima e distante – ha affermato Fabio Antonini, CEO e Founder di 3A. Grazie all’arrivo di device tascabili perennemente connessi, possiamo ricercare valide alternative d’acquisto in ogni momento. I retailers che hanno preso parte all’indagine “3A Retail Insights” hanno riletto in modo innovativo il rapporto tra punto vendita tradizionale e online, per potersi inserire con maggiore efficacia in un processo sempre più influenzato dalle nuove tecnologie, dai social media e dagli influencer. Non è cambiato solo il fulcro dell’esperienza del singolo consumatore, ma anche il mondo del retail. Si stanno delineando nuovi scenari, con negozi che puntano a ripensarsi in un’ottica maggiormente digitale per essere sempre più competitivi sul mercato. Assistiamo a nuove dinamiche per il consumatore, sempre più indeciso tra un’esperienza d’acquisto digitale e il negozio fisico”.

Bevande a basso tasso alcolico, mercato in espansione ma serve normativa UE

Negli ultimi anni è aumentata in molti Paesi del mondo l’offerta di bevande senza alcol o con ridotto tenore alcolico, vendute e pubblicizzate come in grado di replicare l’esperienza di consumo di birra, vino e superalcolici, per chi non può o non vuole bere la versione alcolica “classica”. Mentre il mercato delle birre analcoliche o a bassa gradazione è già piuttosto consolidato nella maggior parte degli Stati UE, quello degli altri prodotti “low/no alcohol” è solo agli inizi del suo sviluppo.

Tra i paesi UE che trainano il mercato vi sono Francia, Spagna, Germania e Belgio (in totale, 84% del mercato UE per i superalcolici e 91% del mercato UE dei vini aromatizzati “low/no”), mentre fuori dall’UE mercati vivaci sono soprattutto quello australiano e quello USA, con un valore stimato rispettivamente di circa 2 miliardi e 1 miliardo di euro ciascuno. Se la birra è di gran lunga il prodotto più venduto, in alcuni Paesi sta avanzando anche il consumo di vini dealcolizzati e versioni a gradazione ridotta dei distillati più diffusi. Ciò è vero, ad esempio, in Francia – dove il vino a basso tenore di alcol ha raggiunto nel 2021 un valore di mercato stimato a 166 milioni di euro – e nel Regno Unito, primo mercato per le alternative “low/no alcohol” ai superalcolici, con vendite per 98 milioni di euro. Se in valore assoluto questo segmento rappresenta ancora una nicchia di mercato, in genere contribuendo a meno dell’1% del rispettivo mercato di riferimento (anche qui, con l’eccezione della birra), è notevole la crescita rilevata negli ultimi anni per questa tipologia di prodotti (+18% CAGR a valore 2019-2021 per distillati e liquori “low/no”), in un quadro di generale stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche.

E in Italia?
In Italia il mercato delle alternative “low/no alcohol” sta muovendo i primi passi e pare meno sviluppato rispetto ad altri Paesi, in cui è già piuttosto comune trovare vini dealcolizzati o alternative analcoliche al gin tra gli scaffali dei supermercati. Lo studio Areté destinato alla DG Agri della Commissione UE stima in circa 8 milioni di euro il mercato italiano delle bevande “low/no” alternative ai superalcolici nel 2021 (lo 0,1% del totale della categoria), a fronte dei 78 milioni di euro del mercato francese. Cifre ancora più ridotte per i vini aromatizzati, rappresentati principalmente dalle alternative al vermouth, con vendite stimate in meno di un milione di euro. Se la cava un po’ meglio il vino (parzialmente) dealcolizzato, con un mercato nazionale stimato di circa 30 milioni di euro, nettamente in rincorsa rispetto a Francia (166 milioni) e Germania (69 milioni).

I dati Euromonitor International analizzati da Areté per lo studio fanno però intravedere previsioni di forte crescita nei prossimi anni (+23% di tasso di crescita medio annuo 2021-2026 per i superalcolici “low/no”), in linea con le aspettative di molti operatori, che vedono in questo mercato un grande potenziale per raggiungere nuove categorie di consumatori (si pensi ad esempio a chi non beve alcolici per motivi religiosi) ed allinearsi a trend di consumo ormai consolidati (quali la preferenza per prodotti più salutari).

Il punto di vista dei consumatori
Mentre la birra analcolica o a bassa gradazione è ormai familiare alla maggior parte dei consumatori, nei confronti delle versioni “low/no alcohol” di altri alcolici quali il vino o i distillati, lo scetticismo era prevalente fino a poco tempo fa, anche a causa della bassa qualità percepita di queste bevande. Questa iniziale diffidenza pare però aver stimolato gli investimenti da parte dei produttori verso un miglioramento della qualità organolettica tramite lo sviluppo di nuove tecniche produttive dirette ad aumentare la somiglianza di queste bevande alle controparti alcoliche. Di conseguenza, il 59% dei consumatori dell’UE dichiara attualmente un atteggiamento generalmente positivo, di curiosità, nei confronti di queste bevande in quasi tutti i principali mercati europei, mentre solo il 6% ha riferito una reazione negativa.

Insieme ai benefici per la salute (ai primi posti per il 31% dei rispondenti), la qualità del prodotto è considerato l’aspetto più importante, nonché il principale obiettivo degli investimenti e della ricerca dei produttori. Una bassa qualità percepita e la marcata differenza di sapore rispetto alla corrispondente bevanda alcolica, sono citate come fattori atti a scoraggiare il consumo per il 25%-30% dei consumatori interpellati (in media). Gli under 35, in particolare, paiono più attenti a stili di vita sani e sono generalmente più inclini a provare prodotti nuovi (per esempio versioni “low/no” dei distillati o dei vini aromatizzati) discostandosi dalla tradizione, mentre tra i consumatori più adulti la birra analcolica/ a bassa gradazione è il prodotto che suscita maggior interesse.

La normativa
Uno degli aspetti critici, con impatti anche sugli andamenti di mercato, è la normativa. Ad oggi non esiste una definizione legale di “bevanda alcolica” nella legislazione alimentare dell’UE e il quadro normativo per i prodotti di questa categoria può variare in modo significativo da un Paese all’altro e tra prodotti diversi, così come la possibilità di commercializzare versioni alcohol free o a ridotta gradazione alcolica. Queste differenze diventano particolarmente evidenti soprattutto in tema di etichettatura e di denominazioni di vendita autorizzate: mentre la possibilità di produrre (e commercializzare come tali) vini dealcolizzati è stata introdotta dalla più recente riforma PAC del 2021, ad oggi è vietato etichettare come gin, vodka o whiskey bevande che ne imitano il sapore ma che hanno un tenore alcolico ridotto. Grande attenzione viene data nello studio proprio al tema dell’etichettatura, sul quale sarà necessario lavorare per garantire maggior chiarezza a consumatori e operatori, senza trascurare le istanze di chi vuole tutelare le produzioni tradizionali di bevande alcoliche, per le quali l’Europa è celebre in tutto il mondo.

“Guardando all’UE nel suo complesso – spiega Enrica Gentile, Project Manager per il progetto UE svolto da Areté, il mercato delle bevande “low/no alcohol” diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i Paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in grande evoluzione, ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e alcolici. In questo contesto, sono di grande importanza l’innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di consumatori e operatori”.

L’etichettatura di queste bevande pare essere lo snodo centrale della discussione, tema sul quale l’Unione Europea può avere diversi strumenti di intervento, ad esempio fornendo regole comuni per l’uso di locuzioni quali “analcolico” o “a bassa gradazione” nella comunicazione di prodotto e cercando (assieme ai diversi portatori di interessi) soluzioni efficaci per descrivere queste bevande.

Italiani in visibilio per caramello e pistacchio, è boom di vendite

Il caramello e il pistacchio sono i nuovi ingredienti “must” degli italiani. A rivelarlo la nuova edizione dell’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, che da sei anni individua gli ingredienti “benefici” più trendy nei prodotti alimentari in supermercati e ipermercati e ne monitora l’andamento delle vendite.

Il caramello è il fenomeno dell’ultimo anno nel food, l’ingrediente emergente con il maggior tasso di crescita delle vendite. Nell’arco di 12 mesi il giro d’affari dei prodotti che lo segnalano in etichetta è cresciuto di +14,3% superando i 92 milioni di euro. A trascinarlo è stato l’aumento dell’offerta (+23,0%), che ha portato sugli scaffali della Gdo ben 314 prodotti con il caramello come ingrediente-chiave indicato sulle confezioni. Le performance migliori di vendita? Quelle di biscotti tradizionali, budini e creme.

In forte crescita anche il pistacchio: l’Osservatorio Immagino ha individuato 512 referenze, tra prodotto al naturale e alimenti che lo usano come ingrediente, per un giro d’affari di oltre 175 milioni di euro, in crescita annua di +11,1%. Un risultato dettato dall’aumento dell’offerta (+26,8%) e dai trend positivi di alcune categorie di prodotti, come gelati multipack, creme spalmabili, colombe e uova di Pasqua.

Cacao, nocciole, noci, limone e vaniglia sono gli altri prodotti/ingredienti tradizionali rilevati per la prima volta dall’Osservatorio Immagino, che, insieme alle novità di mango e anacardi, vanno ad aggiungersi agli altri 27 “ingredienti benefici” monitorati da tempo, come cocco, canapa, mandorla, avocado, avena, zenzero e semi di lino. Si tratta di quasi 13 mila referenze per 3,8 miliardi di euro di vendite, in crescita di +2,5% nell’arco dei 12 mesi rilevati.

La classifica degli ingredienti benefici, con l’analisi completa del loro valore nel carrello della spesa e della sua evoluzione, è consultabile nella dodicesima edizione dell’Osservatorio Immagino, scaricabile gratuitamente dal sito osservatorioimmagino.it

Pistacchio, l’oro verde è amato da più di 8 italiani su 10

Il 26 febbraio ricorre la giornata mondiale del pistacchio, piccolo frutto noto anche come “oro verde”. Per l’occasione American Pistachio Growers, associazione no profit che unisce i coltivatori di pistacchi americani, ha realizzato un sondaggio veicolato online per indagare la percezione delle persone legata a questi piccolissimi alleati della salute. È subito emerso un dato davvero interessante: ben l’84% dei rispondenti ha infatti dichiarato di amarli e oltre il 64% di essere consapevole del fatto che la loro integrazione all’interno della dieta costituisca un’ottima fonte di proteine e antiossidanti.

I pistacchi non sono solo indispensabili per la salute ma anche un ottimo spuntino “spezzafame”, in grado di allietare le giornate offrendo un’alternativa ai soliti snack. Il momento ideale per gustarli per il 55% delle persone è il pomeriggio – come idea croccante da consumare tra pranzo e cena – seguito dal “post -allenamento” (32%) – dove sono perfetti per recuperare energie – e dalla mattina (14%) in cui rappresentano l’aiuto ideale per stimolare la concentrazione e liberare la propria creatività.

I pistacchi sono anche ottimi ingredienti alla base delle ricette, utili per preparare deliziosi piatti. A trionfare sono le ricette dolci con il 41% delle preferenze – come la panna cotta di pistacchi americani – o i primi piatti ricchi di gusto (sempre 41%) come gli spaghetti con pesto di pistacchi americani tostati. Seguono i secondi piatti leggeri e allo stesso tempo saporiti (18%) come l’insalata di cavolfiore con maionese di pistacchi americani.

In Italia l’amore per la buona cucina d’autore trionfa sempre, specialmente se realizzata da rinomati chef. Ben l’82% delle persone ha dichiarato di affidarsi proprio a questi ultimi per degustare e sperimentare al ristorante ricette sempre nuove a base di pistacchi, mentre solo il 18% ha affermato di sbizzarrirsi a casa, grazie alla realizzazione di piatti creativi e sempre nuovi.

Aumento costo della vita, calano gli acquisti di beni non essenziali

A seguito del costante aumento del costo della vita, i consumatori hanno adeguato in modo drastico il proprio comportamento di spesa, con la maggior parte (53%) dei consumatori globali che “rimanda” gli acquisti di beni non essenziali. Secondo il sondaggio 2023 di PwC Global Consumer Insights Pulse Survey, che ha coinvolto 9.180 consumatori in 25 Paesi, il 15% dei consumatori ha smesso completamente di acquistare beni non essenziali. Dal sondaggio è inoltre emerso che nei prossimi sei mesi la maggior parte dei consumatori prevede di ridurre la propria spesa in tutte le categorie oggetto della ricerca, una riduzione significativa prevista in tutte le categorie rispetto al precedente sondaggio di giugno 2022. Settori quali i prodotti di lusso e di fascia alta, i viaggi e la moda saranno i più colpiti nei prossimi sei mesi dalla riduzione di spesa dei consumatori, mentre i generi alimentari dovrebbero essere i meno colpiti.

Il costo della vita pesa sulla fiducia dei consumatori
I consumatori stanno modificando le abitudini d’acquisto online e in negozio a seguito dell’aumento del costo della vita, mentre le carenze di materie prime si ripercuotono sulla disponibilità dei prodotti e sui tempi di consegna. Circa la metà (49%) sostiene quindi di acquistare determinati prodotti quando sono in offerta, il 46% di cercare rivenditori che offrono un valore maggiore, il 40% di utilizzare siti di confronto dei prezzi per trovare alternative più economiche, il 34% di acquistare in stock per risparmiare e il 32% di acquistare prodotti a “marchio del rivenditore” per risparmiare. A livello demografico, la Generazione X è la “più preoccupata” (47%) e ha rimandato l’acquisto di beni non essenziali, i baby boomer sono “preoccupati in una certa misura” (33%) e hanno anche loro rimandato l’acquisto di beni non essenziali, mentre i millennials sono in cima alla lista e sono “preoccupati” ma senza modificare il proprio comportamento.

La carenza di materie prime sta cambiando il comportamento dei consumatori rispetto agli acquisti online e in negozio
Mentre più della metà dei consumatori (56%) afferma che l’aumento dei prezzi è il fattore condizionante quando fa acquisiti in negozio, una notevole percentuale è rappresentata anche dai problemi legati alla carenza di materie prime con lunghe code e negozi affollati (30%), oltre alla disponibilità dei prodotti (26%) che influenza il comportamento dei consumatori. Le carenze di materie prime per gli acquisti in negozio sembrano interessare maggiormente i consumatori in Australia (36%), Stati Uniti (35%) e India (34%), mentre per chi acquista online, le preoccupazioni principali riguardano gli aumenti dei prezzi (48%), la disponibilità dei prodotti (24%) e i tempi di attesa più lunghi del previsto (24%).

Il settore dei prodotti di lusso/fascia alta sarà quello maggiormente interessato dal calo degli acquisti da parte dei consumatori
I consumatori prevedono di ridurre nei prossimi sei mesi gli acquisiti in tutte le categorie al dettaglio oggetto del sondaggio: la maggiore riduzione di spesa è prevista per i prodotti di lusso/fascia alta o i prodotti di design (53%), i viaggi (43%), le attività virtuali online (42%) e il settore della moda come abbigliamento e calzature (41%). Persiste comunque un desiderio di spesa futura, con il 40% che indica che cercherà di fare acquisiti per sé stesso o per altri, mentre il 39% li considera di qualità superiore. Il settore dei generi alimentari (24%) è quello che ha registrato la minore riduzione di spesa prevista.

Erika Andreetta, Partner PwC Italia, EMEA Fashion & Luxury Leader, spiega: “La crisi legata all’aumento del costo della vita sta avendo ripercussioni a livello materiale sul modo in cui i consumatori fanno acquisiti, tanto online quanto in negozio. A causa dell’aumento dei prezzi, i consumatori di tutto il mondo stanno rimandando gli acquisiti di beni non essenziali, mentre dedicano più tempo a cercare alternative più economiche. Nonostante tutti i settori interessati dalla ricerca registrino una riduzione prevista della spesa nei prossimi sei mesi, stiamo comunque notando che i consumatori continuano a scegliere prodotti realizzati in modo etico e sostenibile. Se desiderano prosperare in questo complesso ambiente macroeconomico e mantenere coinvolti i consumatori, i rivenditori devono sfruttare e diversificare i loro canali di distribuzione, offrire prezzi competitivi, investire in catene di fornitura più resilienti e compensare la crescente riluttanza dei consumatori a condividere dati online monitorando meglio la base clienti e i programmi di fidelizzazione”.

I prodotti sostenibili sono molto richiesti dai consumatori
Nonostante una prevista riduzione di spesa e un ambiente economico complesso, i consumatori sostengono di essere comunque disposti a pagare di più per l’acquisto di prodotti sostenibili. Incredibilmente, oltre tre quarti (78%) sono disposti a pagare di più per un prodotto realizzato/reperito localmente o prodotto con materiale riciclato, sostenibile o eco-compatibile (77%) o da un’azienda nota per le proprie pratiche etiche (75%).

Canali dei consumatori
A giugno 2022, apparentemente la frequenza di acquisti giornalieri/settimanali dei consumatori, che durante la pandemia aveva registrato una tendenza al rialzo, ha fatto un passo indietro tornando ai tempi pre-COVID. In questo sondaggio, la costante stabilità dimostra che nei prossimi sei mesi la maggior parte dei consumatori prevede solo un lieve cambiamento del canale di acquisto abituale nell’online, in negozio e con la formula “click and collect”. Gli acquisiti in negozio rimangono prettamente invariati, anno su anno, come mezzo di consumo più comune nel 2022 (43%), mentre l’utilizzo di cellulari/smartphone (34%), PC (23%) e tablet (15%) registra complessivamente una lieve riduzione. Dal sondaggio emerge la costante tendenza dei consumatori ad affermare che non acquisteranno mai prodotti tramite tablet (51%), assistenti vocali per abitazioni intelligenti (64%) e dispositivi indossabili (71%), dati complessivamente in aumento rispetto all’ultimo sondaggio PwC Global Consumer Insights Pulse Survey condotto a giugno 2022.

Metaverso: ancora nella fase iniziale di adozione, la classe dirigente riconosce l’importanza della gestione del rischio, della sicurezza informatica e delle considerazioni inerenti la governance
L’adozione del metaverso come canale di acquisto è ancora nella fase iniziale di adozione. Questo mezzo rimane comunque ancora sotto-utilizzato, con solo un quarto (26%) degli intervistati che ha dichiarato di aver utilizzato la piattaforma per l’intrattenimento, le esperienze virtuali o l’acquisto di prodotti nel 2022. La maggior parte di questi utenti ha utilizzato il metaverso principalmente per la realtà virtuale, ovvero per giocare ai giochi o guardare un film (10%), entrare a far parte di un mondo virtuale, visitare l’ambiente di un rivenditore o partecipare a un concerto (9%) o acquistare un prodotto digitale, ad esempio un non-fungible token o NFT (9%). Coloro che registrano maggiori probabilità di interagire con attività correlate al metaverso sono India (48%), Vietnam (43%) e Hong Kong (42%), oltre ai Millennials (36%).

Nel contempo, poiché lo shopping online continua a crescere a livello di volumi, i consumatori sono sempre più preoccupati in merito alla privacy dei dati. Quasi la metà (47%) afferma di essere estremamente o molto preoccupato quando interagisce con aziende di social media, siti web di viaggi di terze parti/portali (36%), aziende di assistenza sanitaria (34%) e di prodotti di consumo (32%). Paesi come l’India e le Filippine sono i più preoccupati in tali categorie. Di conseguenza, quasi la metà (49%) sostiene di non condividere i dati personali più di quanto sia necessario, il 32% sceglie di non voler ricevere comunicazioni da tali aziende e il 26% ha in generale ridotto le proprie interazioni con questi tipi di aziende.

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