I resi aumentano vertiginosamente: nel 2020 in USA arriveranno a 550 miliardi di $

I resi hanno cambiato la prospettiva dei consumatori. E stanno cambiando il mercato. Tanto che, stando a uno studio pubblicato su The Journal of Marketing, le aziende che offrono resi gratis aumentano le proprie vendite del 457%

Inevitabilmente, però, il numero dei resi sta crescendo esponenzialmente, costringendo alcuni marchi a limitarne le richieste per evitare danni e perdite. Come evidenziato da un report di Appriss Retail, lo scorso anno negli Stati Uniti il loro valore è stato di 369 miliardi di dollari, pari al 10% delle vendite. Una cifra destinata ad aumentare se non si interviene: come riporta GreenBiz, l’anno prossimo negli USA il valore dei resi toccherà la cifra record di 550 miliardi di dollari, segnando un +75% rispetto al 2016. Oltre al dato economico, tuttavia, tutto questo va ad impattare pure sulla salute del Pianeta. Infatti, come rivela il New York Times, il trasporto si piazza al primo posto tra le principali fonti di gas serra nell’atmosfera, un primato recentemente raggiunto dopo aver superato le centrali di energia. A questo si aggiunge la produzione record di imballaggi che genera grandi quantità di rifiuti che stanno mettendo in ginocchio le città.

Tra gli effetti collaterali dei resi non va, inoltre, dimenticato il packaging, con l’enorme quantità di scatole di cartone e involucri di plastica che vengono generati nel processo di restituzione: secondo quanto calcolato dalla rivista statunitense Fast Company, ogni anno negli Stati Uniti vengono spediti 165 miliardi di pacchi, un numero consistente che si traduce nell’abbattimento di 1 miliardo di alberi. L’aumento degli imballaggi sta diventando un problema anche per le città, costrette a far fronte a quantità sempre maggiori di rifiuti, una situazione che ha già costretto l’amministrazione di San Francisco ad aumentare la tassa dei rifiuti. Inoltre, come segnala il rapporto di Forter Fraud Attack Index le frodi legate ai resi costano ai retailer più di 15,3 miliardi di euro l’anno. Una questione che riguarda soprattutto i rivenditori che offrono resi in negozio: grazie alle facili opzioni di ritiro, i truffatori prendono le informazioni personali degli acquirenti, ordinano i prodotti e se ne appropriano.

Perché si rende la merce?

Come evidenziato da The Business of Fashion, tra le cause che spingono i consumatori a rendere la merce acquistata, rientra il fatto che le misure spesso non sono calcolate in modo accurato e, una volta ricevuto il capo, i clienti si accorgono che la taglia non corrisponde affatto a quella desiderata. Ma non solo, secondo la rivista Women’s Wear Daily, esistono dei veri e propri serial returne.

1)    Il compulsive shopper: non può fare a meno di acquistare grandi quantità di vestiti, tuttavia, una volta ricevuta la merce ordinata, tende a sentirsi in colpa e restituire i capi acquistati.

2)    Il wardrober: acquista un capo con l’intenzione di indossarlo per una serata e restituirlo l’indomani. Secondo The Guardian, nel Regno Unito 1 consumatore su 5 fa wardrobing e il fenomeno costa 1,7 miliardi di euro.

3)    Il social media wardrober: acquista un outfit solo per sfoggiarlo sui social, perché si sa, ogni giorno occorre un nuovo #OOTD (outfit of the day).

4)    Il bracketer: compra diverse taglie o colori dello stesso capo, riservandosi poi il diritto di provare il tutto una volta ricevuto l’acquisto e tenere solo la versione che gli sta meglio.

Per questi “consumatori compulsivi” può costituire una soluzione il fashion renting, ovvero la possibilità di affittare gli abiti per un periodo limitato. In questo modo si limitano gli errori di taglia e i sensi di colpa per una spesa “sconsiderata”. Non solo, grazie al pay-per-use, si andranno a soddisfare le esigenze di tutti quei consumatori che comprano abbigliamento a puro scopo di uso e consumo anziché di possesso.